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Autore: _Joanna_    07/09/2015    4 recensioni
One-shot dedicata alla distruzione di Sala dell'Estate
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{Da molti lui era sempre stato considerato un re contadino, esageratamente magnanimo più che giusto [...] lui Aegon l’Improbabile avrebbe messo a tacere tutti i suoi nemici, grazie al principe… e ai draghi}
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{In pochi secondi l’incendio verde sarebbe divampato all’interno, bruciando, incenerendo, partorendo i nuovi draghi}
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{Il rombo tuonante della distruzione. Una seconda Valyria si abbatté sui Targaryen, questa volta annientando uomini molto più miseri e draghi di pietra}
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Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Westeros Warriors'
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Summerhall


«Ser, quella va là in fondo» ripeté per la decima volta. Ser Duncan era un cavaliere coraggioso, un amico fidato, ma a volte dava prova di essere dannatamente poco sveglio; avrebbe dovuto esserci abituato ormai, dopo gli anni passati insieme.
«Perfetto» approvò. Nel lungo corridoio scavato nelle viscere del castello tutto era pronto, sistemato secondo le sue precise disposizioni. Fece allontanare tutti, voleva un minuto per riflettere: quella notte lui avrebbe fatto la storia, lui avrebbe risvegliato la più grande forza che il mondo avesse mai conosciuto. Istintivamente ripensò a quel giorno di appena un anno prima, il giorno in cui lui aveva delineato definitivamente il suo destino e quello della sua famiglia, il giorno il cui ricordo, perfettamente cristallizzato nella mente, continuava a tormentarlo.

      “No, no e no!” aveva tuonato imperioso. Da molti lui era sempre stato considerato un re contadino, esageratamente magnanimo più che giusto “Non mi interessa se quella tua strega dei boschi dice che da questa unione nascerà il principe che fu promesso, io non lo permetterò!” aveva sentenziato. Non gli era mai piaciuto alzare la voce, eppure con i suoi figli era sempre stato pressoché impossibile non farlo, anche se, in effetti, non era mai riuscito ad ottenere grandi risultati.
“Ma padre, come puoi essere così cieco” aveva ribattuto il figlio, il suo primogenito, Duncan “Dici di voler risvegliare i draghi per ridarci la forza dei nostri antenati, eppure rifiuti tutte le tradizioni che li hanno resi grandi?!”
Che avesse ragione? si era chiesto, che mescolarsi con gli altri avesse indebolito il loro sangue, il loro potere? Ma l’incesto era un abominio; i septon lo avevano sempre condannato, i grandi lord, così come il popolino, aborrito.
Così l’aveva congedato, zittendo ogni sua ulteriore protesta voltandogli le spalle.
Nessuno gli aveva mai detto che essere padre sarebbe stato così difficile, neppure Aemon, né Duncan. Ma in fondo loro che ne potevano sapere, avevano pronunciato un voto, le gioie e i dolori dei figli erano estranei a loro.
“Forse è la cosa giusta da fare” la voce della sua amata sposa aveva riempito l’aria subito dopo che la porta si era richiusa. Era rimasta lì per tutto il tempo, celata dai veli del letto a baldacchino, nella stanza attigua. Quanto era brava a rendersi invisibile tra quelle lenzuola, sgusciandone fuori con la stessa agilità di una gatta, silenziosa e sensuale.
“Forse tutto quello che abbiamo fatto, tutte le gioie, i dolori, tutto quanto è servito a portarci qui, a vedere finalmente nascere il principe promesso. Pensa Aegon, noi potremmo esserne testimoni, il tuo nome scritto per sempre nella storia” aveva detto, sorridendo mentre si avvicinava a lui per abbracciarlo. Aegon le aveva accarezzato il viso, un gesto ripetuto mille volte. Era così incantevole e perfetto, come se il tempo non avesse minimamente intaccato la sua bellezza, ma anzi, l’avesse accresciuta.
Ed era stato così fino alla fine, quando gli dèi si erano presi gioco di lui, strappandogli via quella moglie troppo amata, impedendole di assistere al miracolo che insieme avevano contribuito a realizzare.

    Aveva conosciuto Betha durante un banchetto a palazzo. Lei era la dama di compagnia di una qualche lady, doveva essere importante, forse suo padre si aspettava che la sposasse, dopo che Aegon si era dimostrato categorico nella sua decisone di non sposare né Daella né Rhae; tuttavia, non aveva avuto occhi che per lei. Era ancora giovane, da poco tornato dai suoi viaggi in giro per il continente; i capelli avevano cominciato a ricrescergli, forse non aveva proprio l’aspetto di un principe, eppure lei… qualcosa era scoccato quel giorno, una scintilla, trasformatasi poi in un incendio divampante.
A quel tempo tutti i suoi fratelli erano ancora vivi ed era suo zio a regnare, pertanto aveva potuto seguire il suo cuore. Aveva sposato Betha, la bruna bellezza di Raventree Hall, per amore, e nel nome dell’amore aveva preso tutte le decisioni, e quando lui, Aegon, quarto figlio di un quarto figlio, era stato incoronato Re, per amore dei suoi figli non aveva esitato nel prometterli quando ancora erano in fasce. Era necessario: se l’era ripetuto così tante volte che alla fine se n’era convinto.
Ma poi, uno dopo l’altro, tutti i suoi figli si erano ribellati a quelle nozze: Duncan aveva sposato una specie di folletto cresciuto tra gli alberi, Daeron sembrava preferire gli uomini e poi… poi anche lui era morto. E Shaera e Jaehaerys si erano innamorati tra loro… L’incesto si era già insinuato nella sua famiglia, che cosa poteva cambiare, cosa avrebbe ottenuto se avesse impedito quel matrimonio?
Amore… così aveva capito. Tutti i suoi figli si erano sposati per amore, non per obbligo, Aerys e Rhaella si amavano? Non lo aveva creduto allora e adesso ne era tristemente certo.

      Aveva così fatto convocare i suoi nipoti: Aerys, un ragazzino di appena quindici anni, sveglio, generoso, terribilmente inesperto; Rhaella, tredicenne e già allora spettatrice impotente degli eventi. Aveva chiesto il loro parere, ricevendo solo i loro sguardi confusi, mentre andavano alla ricerca di parole che non esistevano. Non poteva, non avrebbe mai potuto costringerli, lo aveva saputo fin da subito, non lui, non dopo quello che aveva concesso a sé stesso e ai suoi figli, ed Aerys l’aveva capito, aveva anteposto il bene del regno ai desideri del proprio cuore e aveva accettato, portando un po’ pace alla sua stanca anima. Aerys e Rhaella si sarebbero sposati, avrebbero generato il leggendario principe e lui l’avrebbe stretto tra le braccia; lui Aegon l’Improbabile avrebbe messo a tacere tutti i suoi nemici, grazie al principe… e ai draghi. Non aveva ancora abbandonato il suo sogno, forse quello era stato il segno che tanto aveva atteso, l’inizio di una nuova era. Un’era cominciata sotto il più fausto degli auspici, celebrata nel più grottesco dei teatri: i suoi nipoti si erano sposati in un freddo mattino di quell’inverno che non voleva andarsene, un freddo che manifestava il gelo di quell’unione senza amore, mentre tutto intorno a loro la città era in festa, tutti plaudivano alle nozze reali, così cariche di aspettative, i cuori di tutti gioivano, mentre due avevano smesso per sempre di battere.

      “Ma ne è valsa la pena” pensò. Rhaella era incinta, prossima al parto: il principe sarebbe nato e lui gli avrebbe fatto dono di un drago. Osservò l’uovo che aveva davanti a sé. Un meraviglioso involucro di pietra rossa, dentro il quale la vita pulsava. Lo sentiva. Estese lo sguardo lungo tutto il corridoio, dove decine di uova erano ordinatamente disposte in piccole nicchie, circondate dalle ampolle verdi di altofuoco. Era quello l’unico modo, l’unico sistema, per far dischiudere le uova e permettere ancora una volta ai draghi di solcare i cieli.
Era tempo, decise. Salì la piccola scala a chiocciola, in cima alla quale lo attendevano i suoi Duncan. Emerse dalle tenebre e, subito prima di sigillare la botola che si apriva nel pavimento, innescò la miccia. In pochi secondi l’incendio verde sarebbe divampato all’interno, bruciando, incenerendo, partorendo i nuovi draghi. Aveva opportunamente modificato il cunicolo segreto che collegava la Sala Grande con l’esterno della fortezza. Esattamente dietro alla piattaforma reale, infatti, suo nonno Daeron aveva fatto scavare un tunnel, una via di salvezza per i Targaryen, che, in caso di assedio, li avrebbe condotti un miglio lontano, al sicuro.
«Ne sei proprio certo, Egg?» ser Duncan lo chiamava ancora così, a volte, quando qualcosa lo preoccupava.
«Sicurissimo» disse, quasi sussurrando, come se non volesse disturbare le sue creature ancora dormienti “Non per molto” si disse. Aveva fatto rinforzare le pareti di pietra, sigillando le due bocche di uscita, isolando l’enorme incubatrice, trasformando quella via di fuga in una gigantesca fornace ardente. E infatti, come previsto, udì il ruggito delle fiamme propagarsi nello spazio sotto i suoi piedi, percependone via via l’intenso calore. Stava funzionando, lo sentiva, poteva udire distintamente il rumore dei gusci spezzati. Stavano venendo alla luce, la pietra stava tornando alla vita.
Crack!
Un rumore che riempì l’aria, mozzando il respiro dei presenti. Non assomigliava allo spezzarsi delle uova, non sembrava il ruggito di un drago, non era niente di quello che si era aspettato di sentire, nulla di ciò che avrebbe dovuto essere. Abbassò lo sguardo e vide le assi e le pietre del pavimento spezzarsi sotto i suoi piedi, mentre una voragine si apriva e si allargava senza criterio, veloce, mostruosamente veloce. Ser Duncan lo afferrò e di colpo si ritrovò con il petto compresso contro la spalla del gigante, trascinato verso… verso dove? Vide la piattaforma allontanarsi e poi sparire, ingoiata insieme allo scranno reale e insieme… con orrore vide il baratro ingoiare suo figlio. “Duncan!” tentò di urlare, ma il fumo gli ostruiva la gola, gli mozzava il respiro, mentre gli occhi cominciarono a bruciargli, e cosa ancora peggiore, Aegon non avrebbe saputo dire se le lacrime scaturissero per il dolore di aver appena visto suo figlio scomparire o per la caligine che cominciava ad avvolgere le colonne, le belle statue, l’aria stessa. Le fiamme verdi eruppero nella Sala, un tempo maestosa, risalendo fino… fino alle stelle, perché solo allora si rese conto con terrore che il tetto non esisteva più, crollato miseramente su sé stesso, su di loro. Infatti, la folle, cieca, corsa del suo cavaliere, del suo amico, si era bruscamente arrestata: Aegon era ora disteso a terra, coperto di sangue. Cercò di muoversi, ma la cenere, i detriti, il fumo, il fuoco, erano ovunque. Di suo figlio non c’era traccia; lo cercò, come se avesse dimenticato che solo pochi attimi prima, lui, il suo primogenito che portava il nome del suo primo e forse unico amico, era morto, inghiottito dalle fauci del mostro verde. Infine vide ser Duncan, il gigante buono, abbattuto, come in uno dei tanti tornei che non aveva mai saputo vincere. Vide il fuoco verde avanzare, freddo come il gelido smeraldo, eppure rovente come il respiro di un drago. Ed eccoli i draghi: vide il principe promesso, la lunga chioma argentea, nascere dalle ceneri e, attorno a lui, tre piccoli draghi: uno nero, uno verde e uno crema. Un drago doveva morire perché un altro potesse nascere? Era quello dunque il prezzo, era sempre stato così. Avrebbe riso se il fumo non gli avesse serrato la gola, i polmoni, in una stretta mortale.
E infine lo sentì: il rombo tuonante della distruzione. Una seconda Valyria si abbatté sui Targaryen, questa volta annientando uomini molto più miseri e draghi di pietra. L’imponente palazzo di Sala dell’Estate implose, collassando su sé stesso, seppellendolo come avrebbe fatto con il più comune degli uomini.
Morì sereno; un attimo prima aveva compreso, aveva visto, aveva agito per il bene, per il regno, ma soprattutto aveva adempiuto alla sua promessa: aveva ucciso il ragazzo.
Non morì come Egg, morì come Aegon Targaryen, quinto del suo nome, Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Lord dei Sette Regni e Protettore del Reame.











  
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