IL CIGNO E LA VOLPE

Sherlock guardò la grande sala attraverso i fori per gli occhi della maschera. 
Aveva scelto il volto appuntito di un cigno. Nero. John l’aveva trovata una scelta…particolare, anche per l’illustre Sherlock Holmes; ma l’uomo non aveva scelto quell’animale a caso, anzi, aveva riflettuto a lungo su quale fosse la maschera giusta per lui. Aveva in fine scelto proprio il cigno per la sua maestosità e forza, così rari in un essere così apparentemente fragile. 
Come gli uomini.
Ed il nero, beh, il nero era per l’anima. Un essere apparentemente puro e bello, ma all’interno buio e putrido. 
Marcio. 
Per John però era solo stata una scelta particolare. 
Una mano gli si posò sul braccio in un muto invito alle danze. Sherlock non si fece pregare troppo e dopo pochi minuti stava volteggiando per la sala da ballo fra le braccia di una volpe. 
Studiò la maschera del suo compagno con cura clinica e si rese conto che non era una volpe, era una faina. Che strana scelta aveva fatto Watson! E si era lamentato del suo cigno. 
Fecero un volteggio e poi un altro. 
Un inchino, una risata, era champagne quello che aveva in mano? Sherlock non beveva, perché il flut dunque? 
Una voce calda sussurrava parole nuove eppure conosciute all’orecchio dell’investigatore, facendogli battere il cuore un po’ più forte del normale. 
L’atmosfera attorno a loro si fece quasi fiabesca, le luci soffuse disegnavano arabeschi antichi sulle maschere. 
Occhi scuri lo fissavano, stelle in un mare di felina malizia. Sherlock si chiese da quando John avesse assunto quell’aria sicura. 
Come poteva una maschera cambiare tanto un uomo? 
Il cuore saltò di nuovo un battito. La serata migliore della sua vita.
Quando a mezzanotte le luci si riaccesero e tutto si tolsero la maschera, Sherlock si trovò a sorridere al volto ammaliatore di Jim Moriarty.