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Autore: lovelyweirdo    09/09/2015    3 recensioni
In quel periodo Stefania stava dando un'esame di non ricordo quale materia per l'università, e parlava spesso dei colori e dei loro significati. Prima di conoscere lui, per me i colori erano qualcosa di bello e bidimensionale. Ma da quando lui aveva cominciato a far parte della mia vita, per me erano diventati reali, facevano parte della mia quotidianità e mi riportavano ognuno a qualcosa di particolare. Erano d'improvviso qualcosa che apparteneva anche a me.
Il blu erano i suoi jeans Levi's strappati.
Il rosso i nostri baci nel suo appartamento di lusso.
Il verde il suo sorriso.
Il grigio era il fumo delle sue Marlboro rosse, il colore dei suoi capelli, il modo in cui lui vedeva il mondo e sé stesso.
E il viola, quello è il giorno in cui ci siamo lasciati.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ndA: ogni citazione presente è tratta dalla canzone "Colors" di Halsey. Buona lettura.


You're ripped at every edge but you're a masterpiece

Troye, 1.85, spiccato accento british e sorriso esitante, ma tanto luminoso. Era a Milano per un qualche evento mondano di cui non mi disse mai nulla di troppo dettagliato, ma probabilmente legato alla sua carriera in ascesa.
Faceva il modello ed era uno dei volti che su Tumblr si stavano velocemente affermando, aumentando vorticosamente la sua già consistente popolarità.
Capelli tinti di un gelido grigio tendente all'azzurro chiaro, occhi blu dalla forma allungata, fisico asciutto ma scolpito, Troye era innegabilmente ciò che all'apparenza si può definire “bello e dannato”. Bello perché era oggettivamente un ragazzo che si fa notare e che piace; dannato per il suo sguardo tormentato che non poteva sfuggire a nessuno, nemmeno a chi lo vedeva soltanto per pochi secondi.
Aveva lo sguardo di chi si è visto passare davanti quasi tutte le atrocità del mondo, ma l'espressione di chi non vede oltre il suo naso.
Aveva gli occhi di chi è caduto troppe volte e si è rialzato ogni volta con energia sempre maggiore, ma che è pieno di ammaccature e lividi violacei che nemmeno chili di fondotinta possono coprire.
Nelle sue iridi color blu cobalto era impossibile non leggere una sofferenza così profonda da non lasciare spazio ad altro, ma la sua abilità nel nascondere le emozioni riusciva a farlo sembrare comunque solo un modello menefreghista qualsiasi.
Ci incontrammo come ci si incontra nei film: davanti al Duomo in un tiepido pomeriggio di sole, durante una primavera anonima, in una giornata di per sé grigia e comune. Io stavo attraversando la piazza per andare a prendere la metro, mentre lui si guardava attorno un po' spaesato. Io cercavo di mantenere il mio passo veloce per raggiungere la biglietteria il più presto possibile, tentando schivare lui, che mi si è piazzato davanti.
E gli finii addosso, giusto per mantenere l'atmosfera da film.
«Oh, sorry...» mormorò lui, con quella sua voce roca e un po' acida che però a me piacque fin da subito.
«No problem.»tagliai corto io, facendo per andarmene.
«Excuse me, can you tell me the way to the metro station? I guess I got lost...»
Ero di fretta, mi trovavo di fronte ad un Tumblr boy in carne ed ossa e il mio cuore già batteva come un disgraziato.
«Funny how it's exactly where I'm going.» borbottai.
È da quel giorno, quando lo accompagnai fino alla stazione della metro e gli spiegai i vari percorsi delle diverse linee milanesi, che lui entrò come personaggio fisso nella storia della mia vita. Non lo fu per molto tempo, ma abbastanza da non fermarsi ad essere solo una comparsa qualsiasi. Lui e le sue manie di protagonismo...
Da quel giorno ho smesso di fumare da sola davanti a Zara sbuffando ogni volta che usciva qualcuno che non volevo vedere. C'era lui che fumava con me, e ridacchiava ogni volta che sospiravo commenti acidi.
Da quel giorno non sono più andata ad una festa con le mie amiche, finendo sempre per ballare con loro e respingere scocciata quei cinque o sei ubriachi che mi si accollavano: c'era lui a farlo per me, col suo italiano traballante e l'accento inglese che rendeva tutto terribilmente sexy ma anche un po' ridicolo.
Da quel giorno la scostante e riluttante ragazza che ero, “quella con i capelli tinti di arancione carota, una quantità industriale di jeans skinny e acidità da vendere”, ha fatto spazio ad una persona più matura che ha scoperto cos'è la passione. Sia per qualcosa, sia per qualcuno.
In quel periodo Stefania stava dando un'esame di non so – okay, non ricordo – quale materia per l'università, e parlava spesso dei colori e dei loro significati. Prima di conoscere Troye, per me i colori erano qualcosa di bello e bidimensionale. Ma da quando lui aveva cominciato a far parte della mia vita, per me ogni singola tinta aveva cambiato aspetto.
I colori erano diventati reali, facevano parte della mia quotidianità e mi riportavano ognuno a qualcosa di particolare. Erano d'improvviso qualcosa che apparteneva anche a me, non solo quello che finiva a coprire il mio odiato colore naturale di capelli o di cui sentivo parlare da critici d'arte.

 
Everything is blue
his pills, his hands, his jeans,
and now I'm covered in the colors

Il blu era il colore dei suoi Levi's strappati sulle ginocchia, un po' larghi come piacevano a lui, che portava spesso quando uscivamo fuori città e ci sdraiavamo sull'erba del prato a raccontarci di tutto quello che avevamo fatto prima di conoscerci. Lui parlava spesso della sua famiglia a Oxford, di suo fratello che giocava ai videogames ed era incapace di dimostrare affetto, di sua madre e delle lacrime che aveva versato quando suo padre se n'era andato di casa. Parlava, a volte in inglese e a volte in italiano (sbagliando tutti i congiuntivi), di come lei sorridesse solo guardando serie tv o fermandosi a osservare con venerazione le vetrine delle pasticcerie.
Io parlavo dell'università, della fisica che al liceo avevo tanto odiato, dei Led Zeppelin e del concerto dei Linkin Park a cui ero stata con Stefania; raccontavo dei miei ex e delle amicizie che col tempo si erano dimezzate.
Ed eravamo blu.
L'azzurro erano le sue pillole per l'ansia, che ingurgitava senza acqua perché gli piacevano amare. La fama lo circondava come un mantello, insieme alla serie di ragazzine che gli chiedevano foto in continuazione e mi chiamavano “The Carrot” sulle fanpage su Facebook; ma lui ne sentiva tutto il peso e diceva che non ce l'avrebbe mai fatta senza un “aiutino”.
Litigammo più volte, per quelle pillole. Lui la spuntava sempre e mi strappava anche un bacio.
Il rosso era il colore delle sue Vans consumate, che diceva che il suo agente gli imponeva di buttare, ma a lui ricordavano i tempi in cui non era ancora famoso e passava le ore alla stazione dei treni insieme ai suoi quattro migliori amici a fumare e filosofeggiare.
Era il colore dei suoi baci, delle sue carezze veloci, delle parole che sussurrava per farmi capire che anche se lui era “a fucking ice cube”, io ero davvero il centro dei suoi pensieri.
Il rosso erano le notti in cui mi fermavo da lui nel suo appartamento in centro e commentavamo qualche film di cui non importava a nessuno dei due, per poi finire a spegnere la tv e con i vestiti sparsi per terra, svegliandoci ridacchiando e mormorandoci le solite frasi di rito.
«It happened again.»
«But it was awesome.»
«As always, baby.»
L'arancione era il colore dei miei capelli, che lui accarezzava lentamente prima di baciarmi o quando ero seduta sul divanetto del suo appartamento, mentre faceva riscaldare qualche cibo precotto nel microonde. Diceva sempre che mi sarebbe piaciuto da matti, ma poi non c'era volta in cui non lo bruciasse.
Il verde era il suo sorriso. Troye tendeva a ridere, ridacchiare, abbozzare un'espressione serena o divertita, ma mai a sorridere. Spesso ne parlavano sui giornali. Ma quando sorrideva, ogni suo tratto si addolciva all'improvviso, facendolo sembrare un bambino il giorno di Natale. Era il ritratto della gioia, una miniatura del sole che illuminava tutto ciò che lo circondava.
Il verde era il suo sorriso, che batteva anche il colore dell'erba del Sempione illuminata dal sole in pieno agosto, che mi riempiva il cuore.
Il rosa era il colore del costoso smalto che mi regalò per il compleanno. Era stato per un tre lunghe settimane a Londra, ci eravamo sentiti a malapena un minuto al giorno, ma al ritorno si era presentato davanti alla mia università con un mazzo di tulipani, un pacchetto di Marlboro Light e quello smalto rosa antico, che diceva che l'aveva fatto immediatamente pensare a me.
Il nero era il suo sguardo. Le sue iridi erano blu, ma la profondità di quel suo modo di osservare ciò che lo circondava, unita a tutti i segreti che quegli occhi custodivano gelosamente, incastonati in quel dolore sordo che non aveva via di fuga, era soltanto nero. Nero pece, buio pesto.
In quel buio mi ci ero fatta strada lentamente alla cieca, ma nemmeno io riuscivo a trovare l'interruttore.

 
Everything is grey
his hair, his smoke, his dreams

Il grigio era il fumo delle sue Marlboro rosse, il colore dei suoi capelli, il modo in cui lui vedeva il mondo e sé stesso. Gli piaceva illudersi che tutto fosse in bianco e nero e che i colori sgargianti che gli altri vedevano fossero soltanto una magra idea di fantasia per non guardare in faccia la realtà.
La verità è che Troye era una persona profondamente infelice, e i colori aveva smesso lui di vederli da tanto tempo.
Lui si vedeva in bianco e nero, ma io lo vedevo in tutti i colori che mi capitava di osservare. Era in ogni mio respiro, in ogni mio gesto, era la mia ispirazione e la mia quotidianità.
Per Troye ero arrivata a considerare “normale” apparire sulle riviste per teenagers, a trovare tag su Instagram su foto di fanpages, a ricevere messaggi minatori e menzioni su Twitter di fans del mio ragazzo. Ero arrivata ad abituarmi alle sue lamentele sulla sua ricrescita bionda, la sua voglia di smettere di fumare che poi si dissolveva davanti a un tabacchino qualsiasi, le sue crisi d'ansia che riusciva a sedare solo con le dannate pilloline azzurre che io tanto odiavo, il suo sguardo che a volte si faceva totalmente buio e sembrava un blackout.
La mia routine era diventata un tornado. Un tornado di eventi, emozioni, sorrisi, pianti, baci, sigarette, studio, menzioni sui sociali, sentimenti confusi, altri pianti e, se Troye era a Milano, anche altri baci nel suo appartamento di lusso. Vivevo dentro un uragano di tutti i colori del mondo, ed ero arrivata considerarlo veramente la felicità.
Io ero il blu: quella non famosa, quella che studiava, quella che usciva un giorno sì e due no, che si crogiolava nelle sue poesie scritte a metà alle cinque del mattino.
E lui era il rosso: pieno di impegni, di lavoro, di aerei da prendere e di eventi a cui presenziare mantenendo sempre il solito fascino che lo stava rendendo un'icona della moda e dei social network. Era il rosso che infiammava i sogni di miliardi di teenagers.
Io ero il blu, lui era il rosso, e ci piacevamo perché ci completavamo. Eravamo un'unione perfetta, l'apoteosi dell'alchimia, avevamo una chimica che ci faceva dimenticare di tutto il resto. Eravamo legati sia a livello sentimentale che mentale; ci ammiravamo e ci amavamo a vicenda. Io lo invidiavo per la sua eleganza e la sua facilità nel sedurre praticamente chiunque; lui avrebbe voluto avere il mio talento nel metaforizzare tutto ciò che mi circondava.
O almeno, così credevo.

 
You were red and you liked me because I was blue.
You touched me and suddenly I was a lilac sky
and you decided that purple just wasn't for you.

Io ero il blu, lui era il rosso.
Se si uniscono i due colori, si crea il viola.
Ed il viola a lui proprio non piaceva. Gli piaceva vedermi nel suo appartamento, finire per fare l'amore ogni notte che passavo lì, leggere i miei quaderni di poesie e perdersi tra i miei disegni; gli piaceva litigare per le pillole, fumare davanti a Zara, raccontarmi della sua famiglia; ma non gli sarebbe mai potuto piacere farmi diventare la sua quotidianità. Voleva aprirmi la porta sorridente ogni volta che gli facevo una sorpresa e non trovarmi a casa tutte le sere ad aspettarlo.
Il viola poteva essere il colore dell'alba o del tramonto, e noi scegliemmo di farlo diventare la tinta della nostra fine.
Troye ed io, dopo quasi un anno di uragano di colori, ci lasciammo quasi col sorriso, davanti al Duomo di Milano, sotto gli sguardi delle sue fans che si erano appena abituate a me e ai miei capelli arancioni. Mi avrebbero insultata a menzionata ancora, ma per motivi ben diversi.


 
and now he's so devoid of color,
he doesn't know what it means

Il dolore lui se lo porta dentro ancora, ma ha deciso di farne il suo unico compagno.
È diventato un po' blu anche lui, come i suoi Levi's di quando stava con me, che però ha deciso di buttare tempo fa; e mi hanno fatto sapere dei suoi amici che ora ha la fissa di alzarsi alle cinque del mattino per scrivere, come me.
Prende ancora le pillole per l'ansia, porta ancora le Vans rosse, il suo sorriso è ancora verde speranza, ma ancora più raro di prima, il suo sguardo è ancora nero e l'arancione e il rosa se li porta dentro il quadernetto in cui butta giù i suoi pensieri. Chissà se in prosa, oppure in poesia come me. Vede ancora in bianco e nero, Troye. Vede la sua vita in ascesa, la fama che aumenta, ma senza poterne assaporare tutte le sfumature.
In quanto a me, anche se ora ho smesso di fumare davanti a Zara e sono diventata finalmente capace di credere in qualcosa senza fare la povera illusa, a volte mi manca vivere in un ciclone di emozioni e di eventi. Mi mancano i baci sul divanetto di quell'appartamento in centro e i pomeriggi nei parchi della periferia a parlare instancabilmente con qualcuno capace di ascoltarmi e ribattere a tono nel modo migliore.
Eppure, anche se a volte l'assenza di Troye fa male e vorrei premere il tastino verde del cellulare “chiama”, so che tornare a quei giorni non mi renderebbe felice come credevo di esserlo. Perché stare con lui era come osservare un'opera d'arte: la puoi amare, ma a distanza di sicurezza.
Quindi mi limito a fare un respiro profondo, bere un sorso di té al gelsomino e dedicargli la mia prima raccolta di poesie che va in stampa domani.
Si intitola semplicemente “Colori”.

 
and I'm still waking every morning but it's not with you.

 
 




ndA (di nuovo)
Ero in vacanza e stavo ascoltando "Colors" sul balcone, guardando il mare. Questa storia mi è passata davanti agli occhi quasi come se fosse un film e l'ho scritta di getto. 
Spero vi sia piaciuta.
Un abbraccio,
Erica.

 
 
   
 
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