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Autore: Robin Nightingale    09/09/2015    3 recensioni
La routine giornaliera di un dio annoiato ed irrequieto: Hades è un dio freddo e meschino, descritto come un essere senza cuore e privo di sentimenti, eppure nel più profondo della sua anima qualcosa lo tormenta, qualcosa che lo rende del tutto simile agli esseri umani che tanto odia e cerca di distruggere.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hades
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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E’ difficile avere una giusta concezione del tempo nel Regno degli Inferi, dove il tempo stesso smette di esistere, lasciando spazio ad una lunga e, forse, beata eternità.
Nel Regno degli Inferi, nel mio regno, non esistono i giorni, non esistono le notti, non esiste niente.
Io e i miei Specter ricordiamo a fatica come sia fatto il sole, perché qui non c’è sole; la nostra unica cognizione del giorno è un lieve bagliore rosso sul nostro cielo nero e privo di stelle. Esso proviene dalla superficie, e con il tempo è diventato il nostro sole: rosso porpora per la mattina, assenza di luce per la sera.
Un dono di mio fratello concedermi il privilegio di vedere la luce, anche se fioca e quasi impercettibile. A detta sua, rappresenta una sorta di “legame” tra il mio regno ed il suo.
“ Anche il Signore degli Inferi ha il diritto di godere della mia luce” – così aveva detto.
Futile.
E nel mio regno non vi è tempo per le cose futili; nel mio regno vige la sacra ed unica regola del lavoro: le anime dei morti hanno il diritto di essere giudicate, e non possono certo farlo da sole.
Ogni giorno vedo passare sotto i miei occhi milioni e milioni di anime in pena; tra grida, striduli e lamenti, passano sotto il giudizio dei miei fidati Generali, unici responsabili della futura sorte di questi sciocchi mortali.
Seduto sul mio trono, passo le intere giornate ad ascoltarli ed osservarli, poggiato sul mio stesso palmo e un viso privo di emozione.
Raramente intervengo nelle decisioni dei Giudici, e quando lo faccio – finalmente- le mie orecchie riescono a godere del mio tanto amato silenzio, che vorrei regnasse sovrano ogni santo giorno.
Vorrei intervenire più spesso, ma in realtà non mi importa niente della sorte di questi mortali, non mi importa se Aiacos li condanna nel Tartaro, o se Rhadamanthys  gli concede il lusso di vivere nei Campi Elisi; così, la maggior parte delle volte rimango indifferente, mentre loro, disperati, tentano di convincermi a modificare il giudizio.
Subisco le urla, concedo persino loro di avvicinarsi alla mia persona, toccarmi e afferrare la mia tunica; subisco l’affronto, ma la mia bocca rimane serrata.
Sono già intervenuto a favore di un umano, secoli e secoli fa, e ancora oggi ne sto pagando le conseguenze.
E quando gli Skeleton, fortunatamente, mi liberano dalla loro sudicia presa, e quando quel raggio rosso diventa sempre più flebile, capisco che per me è ora di andare.
 Con il tempo ho imparato ad apprezzare il regalo di mio fratello: grazie a lui riesco finalmente a capire quando i giorni volgono a termine e ritirarmi nelle mie stanze, non prima però di aver posto quella fatidica domanda, che tormenta me e, probabilmente, anche i miei Specter.
<< Che giorno è? >>
<< L’undici Maggio, Sommo Hades >>
Mi risponde prontamente il Grifone, prima che io sparisca dietro le tende.
Nel mio castello godo di tutta la pace di cui ho bisogno, del buio e del silenzio; ceno da solo, tra vecchi candelabri che preferisco tenere spenti e una sedia vuota di fronte a me.
Una sedia che è sempre stata vuota, anche quando godo appieno dei miei diritti.
Odio il regalo di mio fratello. Lo odio perché mi rende irrequieto, impaziente; lo odio perché mi tormenta, perché mi ricorda lei.
La regina ha i capelli rossi come il fuoco, come l’alba che l’Averno non conosce, come la rosa che ha dimenticato di portare con sé in superficie e che io custodisco gelosamente accanto al mio letto, anche se non si tratta di un regalo.
Profuma di lei, ma io non oso toccarla perché appassirebbe all’istante; la notte, prima di addormentarmi, rimango a fissarla, come se quel fiore fosse davvero lei.
Veglio su di essa, come farei con la mia regina, se solo mettesse piede nella mia camera da letto. Sono secoli ormai che ho chiesto, e preso, la sua mano, ma queste lenzuola non sono mai state violate.
Non profumano che di morte e zolfo, di me; non vi è alcun sentore della sua pelle, né sul cuscino, né sulla mia pelle.
Ogni notte, il desiderio di lei mi tormenta e l’assecondo, immaginandola accanto a me, proprio su quel cuscino freddo da tempo immemore.
La mattina mi sveglio, pentendomi per quell’atto impuro – io, il Sommo Hades, che della purezza ne ho fatto la mia ossessione.
E il giorno riprende come il precedente, tra urla e disperazione, e soprattutto la mia insofferenza.
Più passano i giorni, più il disagio sale, più devo porre quella domanda, pur conoscendo la risposta.
<< Che giorno è? >>
<< Il venti Giugno, Signore >>
La risposta della Viverna è ormai automatica, né lui e né i compagni perdono più tempo a pensare, ricordare; la mia domanda, per loro, è diventata un comando.
Dopo secoli ci si abitua.
Come ogni giorno, intuisco che la mia presenza è ormai inutile e lascio le stanze del Tribunale come se nulla fosse, senza emettere suono, o avvertire qualche servitore.
Rhadamanthys intuisce il mio stato d’animo irrequieto ed ansioso, ma prima che manifesti il suo desiderio di seguirmi, lo fulmino con lo sguardo, ricordandogli che il suo lavoro non è ancora finito.
E’ fedele la Viverna, ligio e attento ad ogni dettaglio, non mi toglie mai gli occhi di dosso, soprattutto adesso; mi spiace tenerti lontano, mio fido Giudice, ma sarebbe troppo umiliante per me confidarti questi miei sentimenti, che mi rendono patetico come un qualunque mortale.
Sentimenti – perché credo si tratti di questo – non avrei mai pensato che un dio come me potesse mai provarne, a parte l’odio e l’indifferenza, ma di quest’ultima dicono che non sia un sentimento.
Non sono certo un esperto, e sono convinto, che non sarei qui a mollo nella vasca da bagno a rimuginarci sopra, se tutto questo non fosse uno scherzo di quel marmocchio alato.
Come ogni notte, affogo i miei pensieri nella fantasia, immaginando le sue calde labbra, i fianchi morbidi e i suoi capelli color fuoco saldi tra le mie dita.
Finito il bagno, rimango in piedi, con le braccia larghe e lo sguardo fisso nel vuoto, in attesa che le ancelle si prodighino ad asciugarmi e vestirmi.
Accorrono in fretta - senza alcun bisogno di richiamarle- esaltate di poter toccare il mio corpo divino; non mi curo dei loro sorrisi, dei loro sguardi maliziosi, delle risate in sottofondo, ma chiudo semplicemente gli occhi, fingendo che le loro mani siano in realtà quelle della mia sposa, che vagano sul mio corpo in maniera così indecente.
Povere sciocche, nessuna di loro eguaglia la mia regina, benché io non ricordi una sola sua carezza.
Buffo, anche solo pensare che delle semplici ancelle hanno goduto di molti più privilegi, che la stessa Regina dell’Averno.
No, tutto ciò è umiliante! Eppure sono una delle tre divinità maggiori di tutto l’Olimpo.
Come sono potuto cadere così in basso e rendermi così simile ad un vulnerabile umano?
<< Che giorno è? >>
<< Il quattordici Luglio, Sire >>
Un altro giorno ricomincia, solita routine, solita domanda.
Picchietto le dita sul trono, sempre più irrequieto, ormai è palese a tutta la corte.
Mi alzo, ancor prima che il nostro sole tramonti, ma questa volta non ho alcuna voglia di andare al castello e di chiudermi nella mia camera, ho voglia di stare fuori.
L’aria degl’Inferi puzza di morte, ma il mio naso è talmente abituato che non ne sento più l’odore e ho come l’impressione di respirare aria fresca, la stessa che sta respirando lei in questo momento.
Sono vicino alla porta dell’Inferno, fuori di essa vi è il mondo dei vivi, il mondo che la mia regina, in questo periodo dell’anno, rende rigoglioso.
Non mi è concesso uscire, né vederla: conosco i patti e la mia sposa, al momento, non mi appartiene.
Il raggio rosso che filtra dall’alto è molto più luminoso visto da vicino, ma non è mai accecante come potrebbe essere il sole in superficie.
In questo momento,  probabilmente, starà scaldando la sua pelle e le sue gote rosse, mentre gioca con le ninfe sulle rive di un fiume.
Osservo la mia superficie , che altro non è che il suo sottosuolo, e accarezzo delicatamente le nuove radici di piante che stanno spuntando: sono opera sua, lei è così vicina e io non posso vederla, o toccarla.
Con l’altra mano accarezzo Cerbero, che nel frattempo mi si è avvicinato guaendo.
Ha capito che qualcosa non va, ma cosa vuoi che ti dica, mio fedele compagno? Non capiresti e non dovresti nemmeno distrarti così facilmente dal tuo compito.
Gli ordino di tornare al suo posto, allontanandomi da quel posto: non voglio certo che lei percepisca la mia presenza, sarebbe un disonore mostrarmi così fragile.
Le giornate trascorrono lente e passeggiare tra lo Stige e il Cocito, non solo mi sfianca, ma udire le agghiaccianti lamentele di queste anime piagnucolanti, quasi mi disgusta.
Questi uomini sono del tutto incapaci di accettare il loro destino, sempre a ribellarsi, persino a noi immortali.
Sono il Re e qui vige la mia giustizia: i cattivi pagano, i buoni premiati ai Campi Elisi.
Qualcuno avrebbe il coraggio di dire che tutto ciò è sbagliato? La mia è una giustizia vera e la pace eterna non è altro che un privilegio per cotanta stupidità.
Nei momenti di riposo, amo ascoltare della buona musica e pur di non pensare, sarei capace di far suonare Pharaoh per tutta l’eternità.
La canzone mi prende particolarmente e il musico è costretto a suonarla più volte nell’arco della giornata, fino a notte fonda se è possibile.
Con un gesto della mano gli intimo di ripetere la melodia per l’ennesima volta, mentre il dissenso si propaga sotto i miei occhi, del tutto impegnati ad osservare il nulla oltre una finestra del castello, che da sull’Acheronte.
<< Che giorno è? >>
<< E’ appena giunto alla fine il venticinque Agosto, Vostra Magnificenza >>
Markino, lo Skeleton, persino lui risponde automaticamente alla domanda tra una riverenza e l’altra, sembra quasi baci il terreno che calpesto.
E per me, un’altra notte, passa.
Mi rendo conto che quella tortura sta volgendo al termine, quando, seduto sul mio scranna, intento ad osservare il lavoro dei Giudici, avverto una folata di vento.
E’ fresca, ancor di più del normale, non è il solito venticello mite che ha fatto da padrone in tutti questi giorni.
Sorpreso, mi stacco dalla mia solita posizione; mi drizzo sulla sedia, destando l’attenzione dei tre Generali e osservando i loro occhi, capisco che anche loro hanno intuito la fine di quella maledetta agonia.
<< Che giorno è? >>
<< E’ il primo Settembre, Signore >>
Soddisfatto mi poggio sullo schienale con un cenno di sorriso, sapendo che, d’ora in poi, i giorni sarebbero trascorsi veloci e il mio stato d’ansia sarebbe scomparso.
La mia mente sarebbe stata libera.
Non serve più chiedere, perché quando le porte della sala del trono si spalancano davanti ai nostri occhi e da esse fa irruzione Hermes, lo psicopompo, capisco che è già il ventitré Settembre.
E’ il giorno del suo ritorno agl’Inferni, il giorno in cui non ho bisogno di un fascio di luce per ricordarmi del colore dei suoi capelli, ma li ho davanti ai miei occhi.
Quante cerimonie, Hermes! Presentala dicendo semplicemente il suo nome, come se l’Averno non sapesse del ritorno della Regina.
Lo psicopompo si avvicina al trono, accompagnato dalla sua leggiadra figura; credo mi sia scappato un sorriso, altrimenti non saprei come giustificare le risate, malamente celate, da parte dei Giudici Infernali.
Mi ricompongo afferrando finalmente la sua mano, che appare fredda e…morta.
 La sua pelle da rosea divine pallida, i suoi capelli assumono una sfumatura viola e i suoi occhi verdi, chiari come due giade, si incupiscono, assumendo una tonalità più scura.
Kore diventa Persephone. E l’unica cosa che rimane di quella spensierata fanciulla, sono le vesti bianche, che terrà addosso fino alla prossima Primavera in segno di ribellione.
La Regina non ha mai indossato i suoi abiti regali, e mai lo farà; non importa, non importa davvero, se è questo il suo volere – e dopotutto – il nero non è colore che le si addice.
L’Averno non è regno più consono per la Dea della Primavera; è un luogo cupo, freddo, la sua aria è pungente e i suoi abitanti non lo rendono certo ospitale; qui non cresce nulla ed è ironico che proprio lei, che dà la vita, adesso sia costretta a sottrarla a tutto ciò che lei stessa ha creato.
E’ ironico, ma anche crudele.
Sa cosa sto pensando - lo intuisco perfettamente - perché anche lei sta pensando lo stesso e i suoi occhi diventano freddi e il suo sguardo si indurisce in una smorfia di disprezzo.
Lei, che ha la stessa tempra della madre, non può certo limitarsi a questo e, come sempre, decide di umiliarmi di fronte a tutti i miei sudditi, sputandomi in faccia.
Posso certamente intuire le parole dietro quest’affronto: mostro, egoista, è questo ciò che sono per la Regina dei Dannati.
Io sono solo il suo rapitore, che l’ha condannata sottoterra e che mai altro potrà offrirle se non un posto sterile come questo, o come me.
Non reagisco, perché, in fondo,  so di meritarmelo, ma sono anche capace di accettare le conseguenze delle mie azioni e farmi carico delle mie responsabilità; e mentre Hermes si allontana mortificato e la mia intera corte mormora parole d’odio contro la Sovrana, prima che tutto il popolo insorga contro di essa, primo fra tutti Rhadamanthys, decido di mettere tutti a tacere con un semplice gesto della mano.
Ripristino l’ordine con una semplice occhiata, mentre di sottecchi faccio cenno al mio Generale, suggerendogli di aver apprezzato il gesto, ma non è necessario alcun tipo di intervento.
Cara la mia Viverna, l’odio non è forse anch’esso una dimostrazione d’affetto? E cosa ci può essere di meglio per me, se non proprio l’odio?
Ringrazia comunque i tuoi compagni che prontamente ti hanno trattenuto, perché anche se mi sei fedele, non avrei esitato a condannarti nel Tartaro, se solo avessi alzato un dito su di lei.
E non è un avvertimento unicamente rivolto a te, ma a tutti gli Specter. Non voglio udire alcun tipo di insulto, solo elogi verso la Regina, lo sapete bene, tanto è vero che vi siete ammutoliti.
Dopo mesi la mia sposa torna a sedersi accanto a me, sul trono che ho fatto costruire appositamente per lei. La osservo con la coda dell’occhio e la vedo rigida, irrequieta, con il solo desiderio di andar via dipinto sul volto. Piange, e non se ne vergogna; la sento singhiozzare accanto a me, ma qualsiasi cosa io possa fare, o possa dire, qualsiasi mio tentativo di consolazione verrà rifiutato, quindi preferisco rimanere immobile ed in silenzio, facendomi odiare ancor di più.
Come ogni giorno, torno ad osservare il via vai delle anime, ascolto attentamente i giudizi, ma i suoi lamenti mi distraggono; così, con un solo schiocco delle dita, intimo ai miei Specter di intervenire.
Pochi secondi dopo, nella sala fa irruzione un’anima di un uomo bello, forte e fiero; colui per cui sono intervenuto secoli fai e che sembra essere l’unica gioia, l’unica luce di speranza, per la mia sposa quando discende negli Inferi.
Il suo volto cambia alla sua vista, diventa radioso come il sole in superficie, felice come lo è lei tra le braccia della madre.
Gli corre incontro, dimenticando tutte le sue pene, sotto gli occhi accusatori dei Giudici, che tanto vorrebbero metterla sotto giudizio, ma non possono.
Io la vedo allontanarsi, abbracciata a quello sciocco umano, costretto a vivere per sei mesi con la mia regina e sei mesi sull’Olimpo.
La mia dolce Persephone si contende un mortale, come la più capricciosa delle dee. E guardandoti correre spensierata, cara, sale a me la voglia di sputarti in faccia, e tutto per colpa della tua immaturità e sconsideratezza. Sei troppo presa dall’amore per quel giovane e dal rancore nei miei confronti per renderti conto di quanto io ti ho offerto.
Ti regalato un trono, un titolo, un regno, ho fatto di te una delle Regine dell’Universo, e non è solo tuo padre che devi ringraziare se ti è concesso vedere quell’uomo, ma anche la mia negligenza.  
E’ vero, lui ti dona la felicità e la spensieratezza, ma io? Non è forse donarti la felicità permetterti tutto questo, persino prenderti gioco di me? Sciocca fanciulla.
Mi chiedo se è davvero questo ciò che vuole, o se la sua non sia una semplice vendetta nei miei confronti.
No, forse no. Puoi plasmarla quanto vuoi, mia cara sorella, ma Kore rimarrà sempre un’ingenua e immatura ragazzina dal cuore puro, e non sarebbe mai capace di meditare vendetta.
Qualunque sia la risposta alle mie domande, non importa, soprattutto se lei è felice.
Le giornate continuano scorrere lente e sempre allo stesso modo, l’unica cosa che è cambiata sono io: non ho più bisogno di contare i giorni, perché nonostante tutto lei è accanto a me, e non mi importa nulla del tempo che passa, dei giorni che trascorrono, anche se vorrei che non lo facessero.
L’unica cosa che desidero è che la Terra sprofondi nel più freddo e gelido Inverno per tutta l’eternità.

Note
Ok, non solo Gold. Il Re degli Inferi è da sempre il mio dio preferito e ho sempre voluto scrivere qualcosa su di lui, ma non l'ho mai fatto prima perché gli Specter e il loro Divino Signore non sono proprio il mio forte.
Questa storia è nata alle quattro di notte qualche giorno fa e solo ora mi sono decisa a scriverla e postarla.
E' strana, o almeno ai miei occhi appare strana, spero che si capisca che Hades racconta episodi della sua giornata che si susseguono e si ripetono costantemente senza mai cambiare.
La descrizione dell'Inferno è ispirata maggiormente all'Inferno greco, piuttosto che a quello d'ispirazione dantesca di Kurumada; in realtà l'intera storia trae più ispirazione dalla mitologia classica, piuttosto che da Saint Seiya.
Il marmocchio alato a cui Hades fa riferimento è naturalmente Eros, anche se io non ricordo se nel mito il dio viene colpito da una sua freccia oppure no.
L'uomo con cui si accompagna Persephone è Adone, che secondo il mito si contende con Afrodite.
So di aver reso Persephone una dea brutta e cattiva, ma quando ho avuto l'ispirazione la storia è uscita così e quindi...buona la prima! Anche perché non sono il tipo da scene melense e romantiche, e credo neanche il Sommo Hades.
La storia non ha una collocazione temporale precisa,a vostra immaginazione. Per quanto riguarda gli avvertimenti ho messo OOC, nonostante io cerchi sempre di rimanere nel personaggio, ma Hades è affascinante quanto complicato. Se ho dimenticato qualche avvertimento segnalatemelo pure, anche perché quando io esco dai soliti "drammatico" o "azione", mi perdo!
Anche questa è una storia senza particolari pretese e spero che vi piaccia, come è piaciuto a me scriverla.
 
  
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