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Autore: Flora    10/09/2015    4 recensioni
Stati Uniti, anni '30. Un giornalista d'assalto decide di tentare lo scoop della sua vita: scoprire i misteri del più pericoloso gangster di New York. Tuttavia, Victor Soprano - killer spietato e inquietante - potrebbe nascondere un segreto che va ben al di là di ogni immaginazione.
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“Lei è una strana creatura,” sussurra Soprano, mentre continua ad accarezzarlo. “Tutti voi lo siete. Così fragili, così magnifici.” Le labbra pallide si incurvano in un sorriso che a Jake ricorda quello degli angeli dipinti nelle chiese. “È sdraiato nella sporcizia, sanguinante, ma non implora, non piange come un moccioso.”
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Questa storia è una sorta di AU del mio racconto "Gioco di Specchi"- ma leggibile in assoluta autonomia; ritroviamo qua Victor Soprano, l'affascinante gangster italoamericano, sotto una luce del tutto nuova.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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AMERICAN GANGSTER



New York City – Gennaio 1937



1. La cena



Jake Preston è seduto da solo in un angolo del ristorante, il tavolo nascosto dietro una colonna.
Impreca a bassa voce pensando all'informatore, e guarda per l'ennesima volta l'orologio. I dati erano precisi – quello stronzo gliel'aveva assicurato – eppure di Victor Soprano, l'uomo per il quale si è fatto tutta questa strada nonostante la neve, non c’è traccia.
È lì già da un'ora e inizia a innervosirsi. Ha deciso di dare una svolta alla sua carriera di giornalista e questa potrebbe essere l'occasione giusta.
La chance di una vita.
Gli avevano assicurato che a cena con Soprano ci sarebbe stato anche Arthur Bane, un giudice della Corte Suprema che sta facendo carriera in politica. Un po’ troppo velocemente, forse. L’ascesa di Bane ha dato adito a parecchi sospetti, e non sono pochi quelli che giurerebbero su una sua connivenza con gli esponenti più importanti della malavita organizzata.
Lui è lì per verificarlo.
Si guarda attorno. Il posto è elegante, l’ambiente risuona del tintinnio delle posate e dell'accompagnamento di un quartetto d'archi che da un angolo del salone esegue una sontuosa giga di Corelli. Da quando i politici hanno messo fine a quella gran buffonata del proibizionismo i locali hanno ripreso vita, riflette Jake – e con le notizie che arrivano da oltreoceano, con i crucchi e gli italiani in pieno delirio di onnipotenza, la gente ha solo bisogno di divertirsi e di stordirsi un po’.
La sua attenzione si sposta sul maître in livrea fermo in attesa accanto all'ingresso. L’uomo è elegantissimo nel suo smoking nero, ha il volto inespressivo, se non per un guizzo nervoso delle labbra. Jake può notarlo anche a distanza. Lo osserva aprire la porta e accogliere due uomini con un cenno della testa. Al di là del vetro riesce a scorgere altre due figure in attesa. Qualche parola, coperta dalla musica dell'orchestra e dal rumore della porta che si chiude, poi la vetrata si apre di nuovo.
Jake trattiene il respiro.
La coppia appena entrata sembra uscita dalla prima pagina del Times. L’uomo ha una figura slanciata, elegante, fasciata da un lungo cappotto grigio. Capelli neri e pelle bianca, ancora più pallida sotto le luci intense dei lampadari. Jake conosce bene quel volto: sono molte le fotografie che lo ritraggono e lui ne ha viste anche troppe. Faccia d'angelo lo chiamano, quel figlio di puttana.
Victor Soprano.
Anche la giovane donna entrata insieme a Soprano non è un viso nuovo per lui: Lara Bane, figlia di Arthur Bane, ventuno anni e già apparsa sulle copertine di alcune delle riviste più importanti della nazione a fianco del famoso genitore. Sembra perfettamente a suo agio accanto a quello che è considerato il delinquente più pericoloso dello stato di New York. Sarebbe da non credere se non li vedesse con i suoi occhi.
Rivolge un ringraziamento silenzioso all’informatore. Vorrebbe avere con sé la sua macchina fotografica, ma avrebbe dato troppo nell’occhio. Il suo tavolo, però, è abbastanza vicino a quello di Soprano, dal suo angolo gli basta alzare gli occhi per osservarlo.
Victor è seduto di profilo, la schiena appoggiata al velluto del divano. Non ha toccato il calice di vino servitogli dal maître. Si limita ad aspirare dalla sigaretta in lente boccate, la giacca scura sbottonata sulla cravatta di seta.
Jake si sorprende a osservare i lineamenti perfetti del suo viso. Sarebbe pronto a giurare che molte rispettabili casalinghe americane si bagnino le mutande mentre guardano le foto sfocate che lo ritraggono sui quotidiani.
Lara Bane gli sta parlando. Gli sussurra all’orecchio, il bicchiere di vino rosso rubino inclinato nella mano. Eccola lì, la dolce figlioletta dell’astro nascente del partito repubblicano, quella che compare su tutte le foto di propaganda del padre – quando con la divisa del college, quando con in braccio il barboncino, il viso struccato e i capelli legati in una coda di cavallo. Seduta accanto a Soprano, e fasciata in un lungo abito aderente, sembra un’altra persona.
Così occupato a studiarli, Jake non fa caso al fatto che uno degli uomini entrati con loro, e rimasti in disparte, si è alzato dal tavolo e si è avvicinato.
“Non capita spesso di vedere facce nuove da queste parti.” L'uomo è accanto a lui e gli sorride come un vecchio amico. È così robusto che sembra esplodere nell'elegante completo giacca e cravatta. “Sei sordo? Sto parlando con te.” Il tono è basso, ma a Jake non sfugge la vibrazione minacciosa della voce.
“Prego? Mi rincresce, ma non credo di conoscerla.”
L'altro fa un passo avanti e afferra il bicchiere di vino dal tavolo. Lo fa oscillare davanti agli occhi e lo fissa da dietro il cristallo. “Ci siamo capiti. Non ci piacciono i curiosi, qua. Si può sapere chi cazzo sei?”
Jake prende un respiro. “Con il dovuto rispetto, non penso che questo sia affare che la riguardi.”
L'uomo sbatte il bicchiere sul tavolo, spargendo il vino sulla tovaglia. Si sporge in avanti e lo afferra per il bavero della giacca. “Forse non hai capito con chi stai parlando, né dove ti trovi.”
Jake respira il suo alito pesante, vede i suoi occhi brillare. Apre la bocca per rispondere, ma una voce alle sue spalle – secca, decisa – gli tronca le parole sul nascere. “Basta così.”
La voce di Soprano.
Il suo aggressore lo lascia andare all’istante. Lo spinge indietro contro la sedia e si allontana dal tavolo. Jake allunga lo sguardo oltre le sue spalle. Osserva Victor Soprano alzarsi dal divano e avvicinarsi al compagno. I suoi occhi neri scintillano come ardesia sotto la luce dei lampadari. “Stai infastidendo un ospite,” gli sibila. “Ora piantala.”
L'altro si volta e punta l’indice nella sua direzione. “Ma Victor, non sappiamo neanche chi...”
Soprano lo interrompe con un gesto della mano. Le sue labbra si allungano in una linea sottile. “Ti ho detto di finirla.” La sua voce è così bassa che Jake la sente a malapena. “Torna al tuo posto. Non farmelo ripetere.”
L’uomo serra la bocca. Gli getta un’ultima occhiata perplessa e si allontana, imprecando a bassa voce. Soprano lo segue con lo sguardo, poi si volta e si avvicina al suo tavolo. “Sono spiacente per lo sgradevole incidente che l'ha vista protagonista.” È davanti a lui, tiene le mani nelle tasche della giacca, la catena d'oro dell'orologio si intravede sotto il risvolto del gilet. “È deplorevole che lei sia stato importunato in maniera così ingiustificata, signor...?”
“Mi chiamo Preston,” risponde Jake. Ha parlato cercando di mantenere l'espressione naturale che si è imposto da quando è entrato nel ristorante. I muscoli della faccia gli dolgono per lo sforzo.
Soprano gli rivolge un sorriso comprensivo. Jake nota che ha denti bianchissimi, come la pelle.
“Lasci che le porga le mie scuse, signor Preston.” Tira fuori una mano dalla tasca e anche le dita sono pallide, forti e affusolate. “Mi chiedevo se vorrebbe unirsi al nostro tavolo,” continua Soprano. “Lei è solo, e sarebbe piacere mio e della mia compagna offrirle un bicchiere di Chianti per farmi perdonare dello sgradevole incidente.”
“La ringrazio, sarebbe un piacere anche per me, signor…”
“Victor,” e gli porge la mano. Stretta decisa, vigorosa. “Victor Soprano.”
Jake ricambia il sorriso e la stretta. Non aveva osato sperare tanto. Si alza per seguirlo al tavolo.
La giovane donna in compagnia di Soprano li accoglie in piedi. I suoi capelli, d'un biondo scuro, sembrano fili di seta sotto le luci dei cristalli. “Victor, non perdi occasione per procurarti una buona compagnia, non è così?” Gli porge a sua volta la mano. “Lara Bane. Molto piacere.”
“Jake Preston. E il piacere è tutto mio.”
Soprano si siede accanto alla ragazza e gli fa cenno di accomodarsi. Il maître si fa avanti con discrezione e porge a Victor la carta dei vini. Poche parole, sussurrate a bassa voce, e il maître si allontana, sparendo dietro una colonna.
“Forse lei conosce la mia ospite,” esordisce Victor, e sorride nella direzione di Lara. “Non mi stupirebbe. È alquanto famosa in città.” Estrae il pacchetto di Lucky Strike dalla tasca e lo allunga verso di lui. “Sigaretta?”
“Grazie, ma non fumo,” risponde Jake. “Ora che mi ci fa pensare, sì, la conosco di fama, lei è la figlia del giudice Bane. Ma non mi aspettavo di incontrarla di persona. Ultimamente non si fa altro che parlare di suo padre e della sua corsa al governatorato. Non dev’essere stato facile lasciare la toga per gettarsi tra gli squali che affollano il Congresso.”
Lara ride educatamente. “Oh, non è poi così diverso da un bel gioco di società, solo che al posto dei dadi si usano le parole.” Il suo sorriso si accentua mentre si volta a guardare Soprano. “E qualche volta anche le zanne.”
Jake non può fare a meno di notare che la ragazza ha un bel viso liscio, da adolescente. E occhi verde cupo, come il cristallo molato del bicchiere che tiene in mano.
“A ogni modo non facciamo poi una gran vita mondana, io e mio padre,” continua Lara. “Per questo raramente mi riconoscono. Esco poco, salvo per accettare l'invito di un amico.” Torna a guardare Victor, che è rimasto in silenzio a fumare.
Soprano sorride e soffia fuori uno sbuffo di fumo. “Un amico, sì.” E appoggia la sigaretta al posacenere, picchiettandoci sopra con le dita. Sposta gli occhi su Jake, scrutandolo da dietro la cortina di fumo. “Lei invece di cosa si occupa, signor Preston?”
Jake si aspettava questa domanda. “Sono nel campo finanziario. Fusioni e acquisizioni.”
“Ma che lavoro interessante,” lo interrompe Lara, versandogli il vino nel bicchiere. Il liquido ha un colore scarlatto, quasi ipnotico. “Ci racconti, la prego.” E si porta il calice alle labbra.
Soprano si sporge verso il tavolo, afferra il bicchiere e lo avvicina a quello di Jake. “Non faccia caso alla mia amica. La curiosità è un vizio delle donne.” Fa tintinnare il vetro contro il suo bicchiere. A Jake non sfugge il fatto che abbia riabbassato il calice senza toccare il vino. Si rende conto un attimo troppo tardi che Lara ha notato la sua occhiata e lo sta fissando. Non può fare a meno di pensare a quanto sia attraente nel suo abito da sera, e con quegli occhi verdi, screziati d’oro. Deglutisce nervoso mentre lei si avvicina e gli appoggia le dita sull’avambraccio. “Lei non era mai venuto a cena qui, vero?” sussurra. “Mi ricorderei d'averla vista.”
“È la prima volta che ci vengo,” risponde Jake, sussultando al tocco. “Dicono che la cucina sia ottima.”
“Ha ragione.” La ragazza gli rivolge un sorriso obliquo. “È una fortuna che abbia deciso di dare retta ai consigli, altrimenti non avremmo avuto modo di essere presentati.”
Jake non sa come rispondere, si sente arrossire e il vino gli brucia nella gola. Deve stare attento, non può rischiare di ubriacarsi e di fare qualche sciocchezza che possa esporlo. “Sarebbe stato un peccato anche per me.”
Lara non risponde. Si limita a un cenno garbato della testa e a un altro colpetto del bicchiere contro il suo.
“Vedo che ho fatto bene a proporle di unirsi al nostro tavolo,” commenta Soprano mentre con calma si accende un’altra sigaretta. Jake si sente i suoi occhi addosso – acuti, quasi abrasivi – ma non ha tempo di soffermarci il pensiero, perché il profumo di Lara, seduta così vicina, lo stordisce e gli annebbia la mente. Si sente andare alla deriva nel flusso ipnotico della sua voce, osserva rapito il modo elegante in cui muove le mani, il rosso del vino sulle sue labbra. Non sa dire quanto tempo sia passato, sa solo che il maître è andato e tornato tre volte, portando vino sempre più squisito. Il ristorante, intanto, si è svuotato, se ne rende conto all'improvviso. I camerieri si muovono tra i tavoli, sistemando le tovaglie e raddrizzando le sedie. Il grosso orologio alla parete segna la mezzanotte.
Soprano si accorge del suo sguardo e fa un cenno al cameriere. “Si è fatto tardi,” constata a bassa voce. Estrae una penna dal taschino e verga una firma sulla ricevuta del conto. “Credo sia ora di andare.”
“È tardi anche per me, signori. È stato un piacere fare la vostra conoscenza.” Jake si alza per salutarli, ma si sente girare la testa e le gambe gli vacillano. È costretto ad aggrapparsi alla sedia per non cadere. Lara gli è accanto in un attimo, la mano poggiata sulla spalla.
“Tutto bene, Jake?”
Non gli sfugge che l'abbia chiamato per nome.
“Sì, sto bene. Solo non avrei dovuto bere tanto.”
La ragazza scambia uno sguardo rapido con Victor, che si sta infilando il cappotto vicino all’entrata. I suoi due accompagnatori sono già usciti, lui non ha notato quando. Nella sala sono rimasti solo loro.
“Ho la macchina qua fuori,” continua Lara. “A quest'ora è quasi impossibile trovare un taxi. Le posso dare un passaggio fino a casa.”
Jake non si aspettava questo sviluppo e per un attimo si sente prendere dal panico. La serata è stata proficua, ma non può e non deve dimenticare con chi ha a che fare.
“Non voglio approfittare della vostra gentilezza. Aspetterò.”
“Suvvia,” lo interrompe la ragazza. “Vuole scherzare. Lo sa anche lei che è impossibile trovare un taxi a Manhattan dopo le dieci di sera.” La stretta sulla spalla si accentua, come il suo sorriso. Ha gli zigomi arrossati, gli occhi lucidi come pietre levigate. “La farò riaccompagnare dal mio autista. Non mi faccia insistere.”
Victor si riavvicina. Sta infilando i guanti e ha indossato un elegante cappello a falde larghe. “Le consiglio di accettare, signor Preston.” E sorride. “La mia ospite può diventare molto insistente quando le viene negato qualcosa. Ma presumo sia una peculiarità delle belle donne.” Ha parlato con voce ferma, attutita dal bavero rialzato del cappotto. Non sembra ubriaco, solo un po’ impaziente.
“D'accordo,” risponde Jake, sentendosi alle strette. “Dato che insistete, accetto.”
Il sorriso di Victor si accentua. Sotto la luce soffusa dei lampadari le sue labbra sembrano innaturalmente rosse, spiccano sulla carnagione pallida come una chiazza di sangue su un lembo di stoffa candida. “Bene, allora. Andiamo.” Appoggia una mano guantata sulla spalla di Lara. “Il ristorante sta chiudendo.”
Escono in strada, la frustata di vento gelido fa rabbrividire Jake nel suo cappotto. Lara aveva ragione. I viali sono deserti e ricoperti di ghiaccio. Per i taxi è quasi impossibile circolare.
La berlina nera della ragazza è in attesa accanto al marciapiede, le ruote affondate fino ai mozzi nel cumulo di nevischio appena caduto. L'autista è fermo davanti alla portiera e la tiene aperta per loro.
“Si accomodi,” dice Lara, e si infila nella vettura. Aspetta che lui la raggiunga e gli fa spazio sul sedile posteriore. Un attimo dopo la portiera si apre dall'altra parte, e anche Soprano entra in macchina. Scosta i lembi del cappotto e si sistema all'altro lato del sedile.
“Passiamo prima da casa mia, poi la faccio riaccompagnare.” Lara rivolge un cenno all'autista. La macchina sussulta mentre si stacca dal marciapiede, schizza fango sotto le ruote, poi scivola lenta lungo le strade illuminate del centro.
Soprano si è acceso una sigaretta – l'ennesima della serata – il viso rivolto al finestrino. L’abitacolo è invaso dal fumo, Jake se lo sente bruciare in gola e negli occhi.
“Io vivo a Brooklyn,” lo informa Lara. “Una bella zona. E lei?”
“Queens.”
“Allora è di strada,” conclude la ragazza, e nessuno aggiunge altro.
Jake si accomoda meglio sul sedile, ma è come essere seduto sulle pietre. Nel silenzio perfetto dell’auto, con la neve che sbatte contro la lamiera e le orecchie che gli ronzano, non riesce a scacciare la sensazione di avere commesso il più grande errore della sua vita.



2. L’appartamento



La berlina si è fermata davanti a un'elegante palazzina in stile coloniale, inghiottita dalla luce lattiginosa dei lampioni.
“Siamo arrivati.” Lara apre la portiera. Il freddo è pungente come un morso sulla carne viva. “Io e Victor dobbiamo salire per discutere di affari, che ne direbbe di un ultimo bicchiere di whisky, prima di tornare a casa?” Gli sorride. Ancora quel sorriso caldo, vagamente ammiccante.
Jake ci ragiona un attimo. Ha avuto modo di calmarsi nel tragitto dal ristorante, e ora riesce a pensare con lucidità. Un’occasione del genere non si ripresenterà più, vale la pena di giocarsela fino in fondo. “Va bene, se non faremo troppo tardi. Purtroppo il mio lavoro inizia presto al mattino.”
“Oh, non faremo tardi. Solo un ultimo brindisi fra amici,” risponde Lara mentre esce dalla macchina. Victor li aspetta davanti all'entrata. Ha ripreso a nevicare. I primi cristalli si sono già depositati sulla stoffa scura del suo cappotto e lui li spazza via con la mano, mentre li osserva camminare a fatica nella neve alta.
La ragazza fa loro strada su per una scala di marmo, fino al suo appartamento. Victor rimane indietro. Si ferma sul pianerottolo a finire la sigaretta, mentre Lara armeggia con le chiavi e apre la porta.
Jake si guarda attorno. La casa è ampia, il salone che si intravede dall'ingresso è illuminato da un fuoco lasciato acceso nel grande camino di pietra.
“Prego,” lo invita Lara, sfilandosi il cappotto. “Faccia come a casa sua.”
Jake si toglie il soprabito e la segue nel salone, dove lei lo aspetta seduta sul divano. La stanza è in penombra, ravvivata dalle sfumature scarlatte del fuoco. La luce si rifrange sui vetri smerigliati delle porte, sopra il ripiano lucido del tavolino di cristallo – e sulla pelle di Lara.
La sua carnagione ha una tonalità ambrata, illuminata dai riflessi che guizzano alti nel caminetto. Si volta a guardarlo e si distende sui cuscini. Le sue labbra si arricciano in un sorriso. “Allora signor Preston,” sussurra. “Le piace qui?”
“Sì,” risponde Jake, sentendosi avvampare. Non gli è sfuggito il modo in cui l’ha guardato. Sa che dovrebbe dire qualcosa, ma adesso che è rimasto da solo con lei si sente un perfetto idiota. Eppure, per quanto folle sia, non può negare di sentirsi anche molto emozionato.
Come gli avesse letto nel pensiero, la ragazza si sporge verso di lui e i suoi occhi brillano, accesi dai bagliori del fuoco. “Che cosa c'è?” Un pezzo di legno schiocca nel caminetto, sollevando un nugolo di scintille. “Mi sembra a disagio.”
“Niente affatto. Non volevo darle quest’impressione. Sarà la stanchezza.”
Lara annuisce, mentre si stende di nuovo sul divano. Accavalla le gambe e lo spacco nel vestito lascia intravedere uno spicchio di pelle serica. “Non credi che sarebbe ora di darci del tu?”
“Certamente,” risponde Jake, quasi mangiandosi le parole. “Stavo proprio per proportelo.”
Lei sembra compiaciuta. Apre la bocca per rispondergli, ma la frase si spezza tra le labbra e il suo sguardo scatta improvviso verso l'entrata.
Soprano è fermo sulla soglia e li osserva in silenzio. Raggiunge il mobile bar accanto al camino e lo apre, traendone fuori una bottiglia e un tris di bicchieri. Si muove a suo agio, come conoscesse bene la casa.
Lara lo segue con lo sguardo. Il suo sorriso si è un po’ affievolito, ma gli occhi spiccano più accesi di prima mentre osserva Soprano appoggiare i bicchieri sul bancone e riempirli con il ghiaccio.
“Whisky, signor Preston?” Soprano gli si è rivolto senza guardarlo.
“La ringrazio. Anzi, noi avevamo appena deciso di darci del tu,” propone Jake, sperando di suonare naturale. La presenza di Soprano gli fa guizzare i nervi sottopelle.
Victor non risponde. Si limita a sorridere, mentre finisce di riempire i bicchieri. Lara si alza dal divano e lo raggiunge. Allunga un braccio per prendere il calice che l'altro le porge e le sue dita gli sfiorano il dorso liscio della mano. Sono vicini, uno davanti all'altra. Soprano non sembra stupito del gesto della ragazza. Le sue dita sono ancora lì, sulla mano di lui – soltanto la punta carnosa dei polpastrelli – e si muovono lente, in una carezza sensuale. Lei gli pianta più forte le dita nella carne e gli avvicina le labbra all’orecchio. Ci sussurra dentro qualcosa.
Soprano sposta gli occhi su di lui. Impossibile determinare cosa pensi. Il suo sorriso sembra disegnato, inciso solo in superficie, come su una maschera. “La mia compagna mi chiede di riferirle una cosa, signor Preston.”
“Prego?”
Soprano gli rivolge un cenno con la mano che stringe il bicchiere. “Lei le piace. Le devo spiegare in che senso?”
Jake sbatte le palpebre, fa correre gli occhi da lui a Lara, sentendosi la bocca arida, la lingua attaccata al palato. “Io... davvero non so che dire.”
Lara ride, nonostante l’ombra d'impazienza nello sguardo. Afferra due bicchieri e si avvicina di nuovo. “Ti vedo confuso,” sussurra. “Forse allora devo spiegarmi meglio.” Si china su di lui e gli porge il bicchiere. È vicina. Il suo alito ha l'odore pastoso del whisky. “Voglio che mi scopi. È chiaro adesso?”
A Jake tremano le mani mentre le sfila il bicchiere dalle dita. L’ha desiderata per tutta la sera, ora può ammetterlo a se stesso. Eppure, adesso che lei gli si sta offrendo così spudoratamente, si sente a corto di parole. Il buonsenso gli direbbe di liquidarli entrambi con un arrivederci e grazie, e invece riesce solo a rimanere inchiodato al divano, il sudore che gli cola lungo la schiena e il sangue che gli rimbomba nelle orecchie.
Si rigira il bicchiere tra le mani, poi alza il volto e prende un respiro. “D'accordo.”
Si rende conto di ciò ha detto solo dopo aver parlato. Ma la ragazza non sembra stupita. Un guizzo verde le illumina gli occhi mentre prende un sorso di whisky. Il liquore ambrato luccica sulle sue labbra, quando allontana il bicchiere. “Bene.” Si china su di lui e gli soffia sul viso. Ancora quel buon profumo alcolico, e qualcosa di più dolce. L'aroma della sua bocca.
Jake si sente inebriare dall’odore e non è più in grado di tirarsi indietro. Appoggia il bicchiere e solleva il volto, cercando le sue labbra.
Lara lo accoglie con un rauco mugolio di soddisfazione. “Dunque anche a te piace giocare,” gli sussurra, prima di ricambiare il bacio. Tiene ancora il bicchiere in mano, il braccio teso all'altezza della spalla. “Mi vanto di riconoscere quando vale la pena di fare un tentativo.” Si siede accanto a lui, abbandonando il bicchiere sul tavolino. Si sposta in modo da essergli quasi addosso. Vuole farsi guardare. Si porta le mani al nastro che tiene chiusi i lembi del suo corpetto e lo sfila con un gesto fluido. Lento. Fruscio di seta, e il rumore della stoffa che si apre. Anche la pelle del seno è levigata, persino più liscia di quella del viso.
“Ti piace quello che vedi?”
“Sei bellissima,” ammette Jake senza fiato.
“Ah sì?” sussurra lei, e si passa le dita sulla pelle color caffelatte alla base del collo. “Molto gentile da parte tua.” Poi, senza dargli modo di aggiungere altro, è di nuovo sulle sue labbra.
Jake la lascia fare e l’accarezza lungo la schiena. Infila la mano sotto la stoffa, circondandole un seno morbido. Lara sospira, gli mette le braccia attorno alle spalle e getta indietro la testa. “Ci sai fare,” ansima, poi si irrigidisce di colpo contro il suo petto. Si volta e trattiene il respiro, gli occhi fissi in un punto davanti a sé. “Victor,” sussurra.
Soprano è rimasto a osservarli in silenzio, appoggiato al bancone. Ha ancora il bicchiere in mano, lo fa oscillare vicino al volto, la pelle illuminata dai riflessi caldi del liquido dentro il cristallo. Non sembra stupito della scena che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi. Anzi, sembra divertito. Li guarda con interesse, ma niente di più.
Lara sospira e si districa dall'abbraccio. Si alza, sistemandosi l’abito, e si avvicina a Victor. Il modo in cui cammina verso di lui, il modo in cui lo guarda – c'è poco della sicurezza che ha ostentato per tutta la sera. Sembra indecisa, invece. Anche la sua voce lo è, quando finalmente si decide a parlare.
“Tu non vieni?”
Victor solleva il bicchiere ancora pieno nella sua direzione. “Si è fatto tardi. È ora che me ne vada.”
Lara allunga il braccio e gli sfila il bicchiere dalla mano. Per un attimo gli sfiora di nuovo le dita, poi gliele stringe fino a farsi sbiancare le nocche. “No.”
“Lara,” sussurra Soprano, ritirando la mano. “Lo sai bene che sono altri i giochi che preferisco.” Afferra la giacca e si riveste con calma, continuando a fissare la ragazza. Poi le sorride – un sorriso freddo – tuttavia non privo di una bizzarra tenerezza. “Riferisci a tuo padre che avrà quello che mi ha chiesto. Come ci eravamo accordati.”
Lei scuote la testa. La schiena e le spalle si irrigidiscono in un nodo di carne e tendini. “E quello che voglio io? Lo sai cos'è che desidero da te.”
Soprano l'osserva in silenzio. Le appoggia il palmo sul viso e fa scivolare un dito sulla sua guancia. Un tocco veloce, quasi un graffio. “Attenta a quello che chiedi, bambina,” risponde in un soffio. “Perché potresti pentirtene.” Poi volta le spalle e si avvia verso la porta. “Arrivederci Preston,” dice inclinando il viso nella sua direzione. Ha ancora quel sorriso obliquo, quasi scolpito. “Le auguro un buon proseguimento di serata.”
Jake non trova le parole per rispondergli. Non riesce a credere a quello che ha sentito, alle informazioni che gli sono state servite con tanta nonchalance. La confidenza di Soprano dovrebbe insospettirlo, ma ora ha altro per la testa e l’erezione che gli pulsa nei pantaloni è lì per ricordarglielo.
Si alza e va incontro a Lara, che è immobile a guardare la vetrata del salone dietro cui è sparito il suo compagno. Ha le mani serrate, le spalle contratte. Si volta d'impulso e lancia il bicchiere contro il bancone, mandandolo in frantumi.
“Stronzo figlio di puttana!”
“Non arrabbiarti,” la consola Jake, mettendole una mano sulla spalla. “Ci sono io qui, se la cosa ti interessa ancora.”
La ragazza si volta verso di lui e lo afferra per la camicia, tirandoselo addosso. “Non dire sciocchezze,” gli sibila contro le labbra. “Non voglio pensare a quel bastardo. E ora datti da fare. Dammi qualcosa per cui valga la pena dimenticarlo.”



3. Il magazzino



Lara si allunga sul divano, poi gli si struscia addosso. Ha il respiro accelerato e tiene gli occhi socchiusi, ancora scossa dai fremiti dell’amplesso. Si lascia accarezzare dalle sue mani, mentre si offre al calore del fuoco. Il sudore si sta già asciugando sulla pelle, il suo corpo odora di whisky e di sesso. Si stiracchia, passandosi una mano tra le cosce e sporcandosi le dita con il seme che si sta già seccando.
Volta il viso verso Jake e gli sorride. “Allora?” gli chiede, leccandosi via una goccia di sudore dalle labbra. “La serata è stata di tuo gradimento?”
Jake sospira, ancora a corto di fiato dopo quella che gli è sembrata la scopata più intensa della sua vita. Fa correre le dita sulla pancia liscia di lei, per poi soffermare l’indice sull’ombelico. “Non mi posso lamentare.”
Lara ride, portandosi una mano alla bocca. “Su questo non ci sono dubbi.” Si solleva su un gomito e getta un'occhiata all'orologio appeso sopra il camino. Le tre passate. E fuori continua a nevicare. Le tende accostate lasciano intravedere una porzione di cielo bianco.
“Adesso è meglio se te ne vai.” Si volta e lo fissa con distacco. “È tardi e io ho un'intervista domani.”
Il suo tono è come una secchiata d’acqua gelida. Jake sente il cuore sprofondargli nello stomaco. Si mette a sedere e si passa una mano tra i capelli arruffati.
“Anche per me è tardi,” risponde, cercando di mantenere ferma la voce. “E domattina ho anch’io del lavoro da sbrigare.”
Lara sorride – un sorriso cordiale, ma privo di interesse. Si alza dal divano, completamente nuda, e cammina fino al mobile bar. Il suo corpo è ancora umido di sudore, bellissimo alla luce del fuoco. E lei lo mostra senza pudore. Ma ora sembra distratta. Impaziente.
Si versa da bere.
“È stato bello, Jake.” Si volta a guardarlo. “Non nascondo che sia stata una serata piacevole…” Si porta il bicchiere alle labbra e ingoia un sorso. “Ma tra noi finisce qua. Puoi immaginare il perché, vero?” Sbatte il bicchiere sul ripiano e fa scorrere le dita sulla plastica accartocciata del pacchetto di Lucky Strike che Soprano ha dimenticato sulla mensola. Aggrotta le sopracciglia – solo un attimo – poi torna a guardare Jake. “La mia immagine pubblica e quella privata devono restare divise. Quello che è successo stanotte rimane tra noi. Posso avere la tua parola?”
“Non avrei interesse a dirlo in giro. Abbiamo molto da perdere entrambi.” Jake parla mentre si alza dal divano e inizia a rivestirsi. Sapeva sin dall'inizio che per lei era solo lo sfizio di una sera, ma questa consapevolezza non rende lo smacco meno amaro. Prima di andarsene la raggiunge e con uno strattone l’attira a sé. “Almeno questo me lo devi,” le sussurra sulle labbra.
La ragazza vacilla, colta di sorpresa. Il bicchiere si inclina nella mano. Le poche gocce rimaste si spandono sul bancone. Lascia andare il bicchiere e con un sospiro gli circonda il collo, ricambiando il bacio. Lo morde sulle labbra, passandogli il gusto intenso del liquore.
Il suo stesso sapore, riflette Jake e si sente stringere lo stomaco. Troppo amaro per tornare a berlo, troppo forte per dimenticarlo.
“Addio, Jake,” sussurra lei contro le sue labbra socchiuse. “Non mi dimenticherò di te.”
“Addio, Lara.” La prende per i polsi e la allontana. Si sofferma per un istante a guardarla, come a volersela imprimere nella memoria, dopodiché gira i tacchi e se ne va senza voltarsi.
Mentre scende le scale si sente bruciare in gola tutte le parole che avrebbe voluto dire, e che invece ha dovuto rimangiarsi. Continua a ripetersi che è giusto così e che ha ragione lei. Appartengono a mondi diversi, universi diversi, ed è stato un ingenuo a pensare anche solo per un momento che una cosa come questa potesse avere seguito. Eppure, il nodo rovente che gli stringe le viscere non accenna a sciogliersi.
Sedotto e scaricato come un liceale alla prima cotta.
Si chiede se riuscirà a dimenticarla, se alla fine tornerà a questa esperienza come si torna a guardare una vecchia fotografia sbiadita dal tempo e dalla troppa esposizione. Com'è che gli diceva sempre un suo compagno di classe, ai tempi del college? La fiamma forte si spegne subito. Ma al momento il pensiero non gli è di grande consolazione.
Arrivato all'ultimo gradino apre il portone e una folata di vento gelido lo fa rabbrividire. La neve continua a turbinare, i lampioni sono spenti e la strada che fiancheggia la casa si perde nel buio. Azzarda un passo sul terreno scivoloso, riparandosi gli occhi con la mano. In lontananza, gli sembra di scorgere la luce dei fari di una macchina che taglia l’oscurità.
Allora quella stronza un cuore ce l’ha, pensa, mentre arranca incontro all’auto. Ha avuto almeno il buon gusto di mandarmi l’autista che aveva promesso. Allunga una mano verso la portiera, ma la maniglia scatta prima che l'abbia raggiunta. Lo sportello si spalanca e sul sedile posteriore c'è Victor Soprano. Ha i lembi della giacca aperti e in mano impugna una pistola. L'acciaio della canna luccica nell'oscurità.
“Buonasera, Preston.”
Il cuore di Jake salta un battito. “Signor Soprano. Io...” Ma quale scusa credibile può inventare ora? Con una pistola puntata, ragionare diventa difficile. Si guarda attorno, ma non c’è nessuno. Tutto è nero e silenzio. Senza dire una parola lo raggiunge in macchina e gli si siede accanto.
L’altro fa ruotare la pistola con uno scatto del polso, sfiora la canna con le dita. “Bene, vedo che capisce al volo.” Si sporge verso di lui e chiude la portiera. “Non vorrà creare un impiccio alla sua nuova amica facendosi trovare cadavere davanti a casa sua. Sarebbe una cosa spiacevole da spiegare alla polizia…” Il suo sorriso è uno spicchio bianco nel riquadro buio dell'abitacolo. “... o al partito.”
Batte la mano sulla spalla dell'autista, e Jake non si stupisce di riconoscere l'uomo che l'aveva importunato al ristorante soltanto poche ore prima. Non che in questo momento abbia molta importanza. Non con una Beretta calibro nove puntata in faccia.
“Possiamo andare.”
La macchina ingrana e scivola silenziosa sui viali ricoperti di neve. Il vento fischia fuori dai finestrini, sbatte contro i fianchi della Cadillac, facendola sbandare contro il margine della carreggiata. Ma Soprano non sembra preoccuparsene. Ha le spalle contro la portiera e lo osserva. La pistola non è più puntata su di lui, la tiene ancora in mano, appoggiata alle ginocchia. Ma Jake non si illude. Basterebbe uno scatto del polso per ritrovarsi una pallottola nel cranio.
“Davvero credeva che tutta quella pantomima sull’esperto di finanza avrebbe funzionato?” La voce di Soprano spezza il silenzio. Infila la mano libera nella tasca interna della giacca e tira fuori una sigaretta. L'accende con calma, aspira una boccata e sputa fuori il fumo. Lo sbuffo grigio si espande nell'abitacolo, attaccandosi alla gola come un insetto fastidioso. “Lei però ha del fegato, glielo devo riconoscere.” Una risata ruvida, dal fondo della gola. “Venire addirittura al Trinacria a curiosare. Non ci volevo credere finché non l'ho vista. Le faccio i miei complimenti.”
Jake prende un respiro profondo. “E così alla fine mi ha scoperto. Sapevo fin dall'inizio di rischiare grosso, però l'idea di uno scoop era troppo allettante e ho voluto provarci.”
“Già. Molto audace.” Victor accarezza la pistola, facendo correre le dita sulla canna. “Peccato che la sua corsa finisca qui.” Torna a fissare gli occhi nei suoi. Le sue iridi nere scintillano nel buio come monete di nichel brunito. A Jake pare di scorgervi una venatura rossa che non aveva ancora notato.
Si sente invadere da un terrore atavico, mai provato prima.
“Vede, non creda che non capisca. Lei fa il suo lavoro,” continua Soprano, gli occhi socchiusi, mentre la macchina si ferma schizzando neve contro le fiancate. “E io adesso devo fare il mio. Siamo arrivati.”
La portiera dal lato di Jake si spalanca e lui finisce a terra, in mezzo alla neve. L'automobile è parcheggiata in una zona di periferia, uno spiazzo largo davanti a una fila di capannoni. I cristalli di neve turbinano e si avvitano in fitte spirali, il vento gli frusta il volto. Pochi lampioni ai margini dello spiazzo, spenti, appesantiti dal nevischio. E in piedi, davanti alla macchina, un gruppo di uomini in attesa. Due di loro si fanno avanti e lo sollevano per le spalle.
“Forza, stronzo. Muoviti.”
Viene strattonato verso l'entrata di uno dei magazzini e spinto sul pavimento polveroso. Non lo lasciano nemmeno toccare terra. Sono in quattro e cominciano a prenderlo a calci e pugni. Si sente sbalzare contro le piastrelle, cerca di ripararsi facendosi scudo con le braccia, ma è tutto inutile. Viene sbattuto faccia a terra. Cerca di alzare il viso e, da quella posizione, riesce a scorgere la sagoma di Victor, appoggiato al muro del magazzino. Si è tolto il cappello e osserva la scena in silenzio, mentre finisce la sigaretta. Il suo volto è un ovale scuro dietro la cortina grigia di fumo. Nella gragnuola di calci, Jake lo vede raddrizzare le spalle e gettare la sigaretta a terra, poi spegnerla col tacco della scarpa.
“Basta così.” I suoi uomini si fermano all'istante. Si voltano, lo guardano perplessi. “Lasciatemi solo con lui.” Si fa avanti e si inginocchia al suo fianco, l’osserva senza parlare. Fa cenno ai suoi uomini di allontanarsi. La porta del magazzino si apre e si richiude alle sue spalle.
Poi, il silenzio.
Jake è sdraiato a terra, i vestiti e il volto sporchi di sangue. Si solleva a fatica su un gomito, gli occhi che gli bruciano. Se davvero deve finire così, vuole almeno conservare un briciolo del suo orgoglio e morire guardando in faccia il suo assassino. Per un attimo rivede gli occhi verdi di Lara, le sue labbra incurvate in un sorriso. Il pensiero è sufficiente a fargli ritrovare un po’ di coraggio.
Soprano è davanti a lui. Si è tolto il cappotto. Ha una mano appoggiata al ginocchio, l'altra impugna la pistola. Il volto è senza espressione. Si china e gli scosta dalla fronte un ciuffo di capelli appiccicosi di sangue.
Jake rabbrividisce al tocco. La sua mano è gelida, le dita come marmo. Gliele passa tra i capelli, lentamente, ed è come se lo stesse accarezzando. È scosso dai brividi, vorrebbe sottrarsi al contatto, ma le forze gli vengono meno, e lui sente il suo corpo abbandonarsi, sciogliersi in un strano calore che lo riempie di dolcezza.
“Lei è una strana creatura,” sussurra Soprano, mentre continua ad accarezzarlo. “Tutti voi lo siete. Così fragili, così magnifici.” Le labbra pallide si incurvano in un sorriso che a Jake ricorda quello degli angeli dipinti nelle chiese. “È sdraiato nella sporcizia, sanguinante, ma non implora, non piange come un moccioso.”
“Ora mi ucciderai, non è vero?” Jake fatica a ritrovare la voce. Dovrebbe essere terrorizzato, ma è come nuotare nel miele. Non prova più paura, solo un vago senso di anticipazione.
“Oh, ma io non voglio ucciderti.” Soprano si china, appoggia la pistola a terra. Quando rialza il volto, i suoi occhi sono cambiati. Il bianco è sparito e gli occhi sono due ovali neri, come quelli di uno squalo. E, sul fondo, una fiamma rossa che arde sanguigna. “Io voglio mangiarti.”
Si china sul collo di Jake, per un attimo i denti candidi balenano nel buio. Appoggia la bocca sulla sua carne calda, i denti gli sfiorano il nodo pulsante alla base del collo. “Non temere. Non sentirai dolore.” Poi affonda i denti. Un fiotto di sangue gli schizza il volto.
Jake si tende come una corda di violino contro di lui, gli afferra le spalle, ma la presa di Victor è come acciaio e lui non ha più forze. Sente la vita che gli viene succhiata via, mentre un piacere mai provato si diffonde nelle vene e lo ricolma di pace. Di nuovo l’immagine di Lara; la vede in piedi davanti a una finestra, circondata dalla luce. Ha una creatura in braccio, un bambino che ha i suoi occhi.
Jake Preston sorride, riconoscendo il futuro che avrebbe voluto. “Oh, mio Dio. È bellissimo…” sussurra, gli occhi pieni di lacrime.
L’ultima immagine che scorge, prima che la vista si offuschi, è il volto di Soprano che si stacca da lui e gli sorride, le labbra sporche di sangue.



4. La notte



Victor adagia la sua preda sul pavimento. Si solleva, scrollandosi la polvere dai pantaloni, tira fuori un fazzoletto dalla tasca e si pulisce la bocca.
Si allontana di qualche passo e infine si volta, scrutando il corpo senza vita abbandonato nell’angolo.
Persino così, in mezzo alla sporcizia, con la gola squarciata e gli arti disarticolati, quella creatura gli appare bellissima. Si chiede se l’immagine di questa mortalità è ciò che tanto spaventa Lara. Lui non può comprendere la sua paura. Esiste da un tempo che nemmeno ricorda, e non ha mai dovuto fare i conti con l’angoscia della decadenza, dell’imputridimento, della corruzione.
Ha visto passare i mesi, le stagioni, gli anni. Ha attraversato le vite degli uomini, godendo ogni singolo attimo del suo cammino, traendo piacere da ogni goccia di sangue che ha strappato alle sue vittime.
Eppure, anche nell’orrore della loro fine e della loro carne fragile, queste creature mortali conservano qualcosa di commovente.
Raccoglie la pistola da terra e aggiusta la mira. Due colpi in rapida successione, il corpo di Preston sobbalza, poi torna inerte.
Osserva i fori che la Beretta gli ha aperto nell’addome, e – più in alto – i segni del morso sul collo.
I suoi uomini sono abituati alle stranezze dei cadaveri che devono seppellire, e lui sa che non faranno domande. Ma gli piace mantenere le apparenze. Del resto, è molto difficile che qualcuno possa notare certi segni, nei corpi che di tanto in tanto riaffiorano dall’Hudson con i piedi nel cemento.
Fa scorrere il portello del magazzino ed esce all’aperto, nella neve che turbina e nel vento che fischia. Non presta attenzione agli uomini che in silenzio scivolano alle sue spalle e rientrano nel magazzino.
È troppo preso ad ammirare la bellezza della notte che lo circonda.
L’oscurità respira attorno a lui, è densa e piena di promesse. A occhi chiusi percepisce ogni suono. Il tonfo attutito della neve che cade dagli alberi e, da qualche parte, un fruscio d’ali, il lungo e lugubre richiamo di un uccello notturno, che alle sue orecchie è come musica. Dietro le palpebre, in lontananza, riesce a scorgere gli alti palazzi della città, immobili e silenziosi.
Nonostante sia solo una parentesi nella sua lunga vita, ha imparato ad amare New York – il suo cuore pulsante di vita, la purezza delle sue notti. Anche Lara apprezzerebbe un tale splendore.
Solleva il bavero del cappotto e sorride al pensiero della ragazza.
Da troppo tempo non ha una compagna, e Lara lo desidera, brama la vita che lui potrebbe offrirle. Forse è ancora sveglia e lo sta aspettando. L’aspetta da tempo, e lui lo sa.
Lo sente.
Il suo sorriso si accentua, mentre raggiunge l’auto ferma davanti al piazzale.
Adesso ha fretta.
C’è una bella donna che aspetta ancora il bacio della buonanotte.


  
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