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Autore: Nadine_Rose    10/09/2015    1 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 20

 

Nelle catene dell’amore

 

“Oh carne, carne mia, donna che amai e persi,

te, in quest’ora umida, evoco e canto.

Come una coppa albergasti l’infinita tenerezza,

e l’infinito oblio t’infranse come una coppa.

Era la nera, nera solitudine delle isole,

e lì, donna d’amore, mi accolsero le tue braccia.

Era la sete e la fame, e tu fosti la frutta.

Erano il dolore e le rovine, e tu fosti il miracolo.

Ah donna, non so come hai potuto contenermi

nella terra della tua anima, nella croce delle tue braccia!”

Pablo Neruda

 


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Berlino ovest, 9 novembre 1950

 

La casa era un completo disastro. Ad accogliere il ritorno di Werner dal lavoro non erano più il bacio di sua moglie e l’abbraccio di suo figlio ma, ormai da un mese, era la gigantesca e angosciante confusione di piatti e vestiti sporchi da lavare. Lo scompiglio della casa rispecchiava perfettamente quello dei suoi pensieri. Werner si fece un po’ di spazio tra il mucchio di fogli e indumenti sparsi sul divano e vi si accasciò, esalando un profondo sospiro. Strofinò gli occhi umidi, arrossati, stanchi per la notte di lavoro in ospedale e le tante altre notti trascorse insonni a piangere le ceneri del suo matrimonio. Pensava a Nadine, ai suoi occhi gonfi di rabbia e delusione, alle sue parole infuocate e alle proprie ancor più crudeli, al suo brutale distacco. Non riusciva a rassegnarsi all’idea che cinque anni d’amore fossero stati distrutti in un attimo di follia e che lui per primo ne fosse il carnefice. Conosceva benissimo la fedeltà di sua moglie ma l’aveva ugualmente incolpata di tradimento, accecato dal buio della paura – la stessa che gli aveva impedito di raccontarle la verità su Kurt. Werner era sempre stato geloso di Kurt. A differenza sua, lui non aveva permesso all’ombra del nazismo di trascinarlo con sé nel buio dell’ingiustizia ma l’aveva combattuta, sacrificando la propria vita per amore di Nadine. Non aveva speso gli anni della propria giovinezza per la rovina degli altri né tantomeno aveva fatto carriera, arricchendosi sempre di più con il loro sangue. Ma si era schierato dalla parte dell’umanità assurdamente e atrocemente perseguitata, rinunciando a tutto ciò che era e che aveva. A differenza del suo, quello di Kurt non era certo un passato orribile di cui vergognarsi, un passato da nascondere ai propri figli, un passato da dimenticare. Le parole di Nadine avevano aperto nel suo cuore un’enorme voragine nelle cui profondità Werner era crollato, schiantandosi nella verità del suo passato. Era stato colpito, trafitto, distrutto senza pietà dalla stessa donna che un tempo con dolcezza lo aveva salvato dall’incubo “Günther”. Quella donna, quella dolcezza, quella compassione erano scomparse e, lontano dall’amore che Nadine gli aveva strappato portandosi via anche suo figlio, i fantasmi del suo passato ritornavano a tormentarlo ricordandogli chi era stato e cosa aveva fatto lui, il dottor Werner Günther, negli anni del nazismo. La sua sposa, la donna che amava, colei che gli aveva cambiato la vita lo aveva anche rigettato nell’inferno dei sensi di colpa, nel buio della solitudine e della tristezza, nel fango della disperazione. Werner esalò un altro profondo sospiro e iniziò a sudare freddo. Il suo cuore ferito non aveva smesso di sanguinare. Allentò il nodo della cravatta e, tremando spasmodicamente, sbottonò il colletto della camicia. Il laccio delle sue paure gli stringeva la gola come una morsa di ferro. Si sfilò la giacca e si sdraiò sulla confusione del divano. La sua mente ingarbugliata cercava riposo nei ricordi di un amore bello, immenso, forte che aveva vinto i postumi della guerra superando gli ostacoli della malattia, delle rovine, della fame, dei pregiudizi e aprendosi al miracolo dell’adozione. Chiuse gli occhi e smise di tremare. I suoi pensieri si erano fermati all’attimo eterno di quel bacio nel rosso del tramonto, tra le carezze del vento, sulla riva del lago, con la speranza e i sogni nel cuore traboccante d’amore. E, ad un tratto, qualcosa simile ad un sorriso apparve sulle labbra di Werner.

 

Città di Fürstenberg/Havel

 

Un gemito di dolore accompagnò il risveglio di Kurt: con un crack la sua schiena si ribellava alle troppe notti trascorse a dormire, o meglio, a cercare di dormire sul divano, scomodo, freddo. Kurt si svegliò già stanco e la colpa non era soltanto della posizione sbagliata. Una battaglia interiore, infatti, lo tormentava riducendolo ogni notte allo stremo. Si mise a sedere e, stiracchiandosi un po’, rivolse lo sguardo alla porta d’ingresso. Quante volte avrebbe voluto aprirla, buttare tutto all’aria, lasciarsi alle spalle la brutale indifferenza di sua moglie ma ogni volta, puntualmente, si trovava ad incrociare gli occhi amorevoli della sua bambina e il coraggio andava via. Era ormai da un mese che Engel aveva smesso di parlargli – le uniche parole che gli rivolgeva riguardavano la piccola Brigit –, di dormire insieme a lui, di farsi toccare da lui. E così lo puniva per un qualcosa che con Nadine non aveva mai fatto ma che, se scavava in profondità nelle sue viscere, avrebbe voluto. Il silenzio di sua moglie lo costringeva a guardare dentro di sé e a combattere le proprie contraddizioni. Il ricordo di Nadine occupava un posto importante nella sua vita e si sentiva attratto dalla donna che aveva ritrovato dopo dieci anni. Ma, allo stesso tempo, desiderava fortemente la sua Engel e si sentiva legato a tutto ciò che il loro amore aveva costruito in quegli anni. Mai avrebbe potuto scappare dalle sue responsabilità, tradire la promessa fatta al signor Franz, abbandonare sua figlia, fare del male a sua moglie e si tormentava pensando a quanto fosse poco l’amore che riusciva a darle. Per quanto potesse sforzare il suo cuore, Kurt non riusciva ad amare in pienezza Engel, colei che – prima di essere sua moglie – era stata il miracolo sulla sua morte, la cura per le sue ferite, la forza nella sua disperazione, la speranza che asciugava le sue lacrime, la pace sulla sua guerra, il suo tutto in un mondo che non aveva più niente da offrirgli. La testa diventava sempre più pesante e le gambe, come paralizzate, gli impedivano di rialzarsi. Di nuovo, si abbandonò sul divano e s’infilò sotto la coperta mettendosi in posizione fetale. Era di nuovo solo Kurt. Solo tra le braccia della sua tristezza, a contare i lividi dei suoi errori, a raccogliere le lacrime dei suoi fallimenti, a soffocare i fantasmi dei suoi limiti e delle sue debolezze. Perché non c’era mai fine al tormento della sua sofferenza?

 

Lago di Schlachtensee, 10 novembre 1950

 

In cinque anni, tante cose erano cambiate: le strade, i negozi, le case, i parchi … lui stesso era cambiato, eccetto quello squarcio di mondo immerso nella natura. Il lago Schlachtensee rimaneva sempre lo stesso, teatro e spettatore dell’esplosione di un amore che pure era cambiato perdendo la bellezza della sua speranza e della sua spensieratezza nelle ferite dell’inganno e dell’amarezza. Senza farsi troppe domande, Werner si era fidato della voce del suo cuore che lo guidava nel silenzio della foresta in una fredda mattina di autunno. I suoi occhi, umidi di lacrime e di stanchezza, videro da lontano una figura di donna con indosso un cappotto rosso e una corda del suo cuore vibrò. Un palpito di gioia risvegliò il suo cuore e lo squarciò d’amore: quella donna di spalle, che osservava immobile le rive del lago, era proprio la sua Nadine. Si avvicinò lentamente e da dietro la strinse in un abbraccio, accogliendo il suo sussulto.

 

Quel respiro leggero che hai

l’onda del petto che scende e che sale

e mentre sogno ti penso e fa male

un’altra vita eravamo oramai

adesso sì che sto imparando

a stare nel mondo

ancora qui per noi.

 

Amedeo Minghi

 

   
 
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