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Autore: theuncommonreader    10/09/2015    6 recensioni
[Male!Persefone/Ade]
Una gabbia era una gabbia, indipendentemente dalla sua natura.
Scritta per l'evento "Winter Is Coming Week" indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone
Note: Cross-over | Avvertimenti: Gender Bender
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nor iron bars a cage

WE ARE OUT FOR PROMPT - WINTER IS COMING WEEK 31 AGOSTO - 6 SETTEMBRE

Titolo: nor iron bars make a cage

Personaggi: Male!Persefone; Ade; Demetra [menzionata]. Male!Persefone/Ade.

Prompt © Karla Rosaria Watson: Mitologia greca. Male!Persefone/Ade. Il mito rivisitato nella versione maschile (Con una Demetra ancora più incazzata del solito).

Note:  Il titolo è  una citazione di Lovelace: "Stone walls do not a prison make, nor iron bars a cage", letteralmente, "muri di pietra non fanno una prigione, né le sbarre una gabbia". 

Nella vicenda, Poseidone viene coinvolto nella vendetta di Demetra, assistendola nella mattanza dei mortali.

[Per correttezza, scrivo che è un poco riveduta dall'originale, nonostante sia rimasta perlopiù identica. Ho solo cambiato qualche parola e l'ordine di un passaggio o due, per rendere il tutto più scorrevole.]


OoOoOoOoOoO

Era stato un amplesso furioso, molto diverso dalle metodiche esplorazioni di cui Ade lo faceva solitamente l'oggetto. 

Senza fiato nel corpo coperto da un sottile velo di sudore dalla testa ai piedi, in un angolo remoto della mente, Persefone si domandava se lo avessero sentito urlare.

Quella ctonia era una stirpe che badava ai propri affari; le ninfe dei Cinque Fiumi, uguali per temperamento alle cugine della superficie, non stavano a palazzo, se non ospiti dei rari simposi che si tenevano corte, quando persino Ade sentiva il bisogno di compagnia.

Tutto questo aveva appreso nel breve soggiorno in Erebo, che pareva avergli spalancato le braccia scheletriche, accogliendolo nel grembo di nuda terra come Persefone accoglieva il suo Re nel proprio corpo.

I polpastrelli trovarono le ciocche scure dei capelli di Ade, sparse sul proprio ventre, dove l’Invisibile aveva posato il capo. I loro respiri pesanti riempivano il tàlamo; oltre la finestra, da cui la luce senza fonte di Emera penetrava soffusa e statica, non un rumore turbava il silenzio che non lasciava scampo.

Persefone si passò le dita della mano libera sul viso umido, nascondendo l’espressione alla vista. Era stato estremamente facile lasciare che il ritmo dei fianchi di Ade cancellasse ogni traccia di preoccupazione, lasciarsi svuotare la mente e riempire il corpo, in balia di qualcun altro, per una volta felicemente.

Per una volta, poiché per Persefone, la misura era colma.

Non ricordava un giorno in cui ogni passo non fosse stato deciso per lui. Era stato guidato lungo un cammino con tanta abilità che neanche s’era accorto di non sentirlo proprio. Avrebbe potuto attribuire il merito di aver scoperto se stesso ad Ade, ma non sarebbe stata l’intera verità. Era stato l’Olimpo a cambiarlo: le attenzioni dei  fratelli e delle sorelle da cui era vissuto lontano, trovarsi preda delle loro brame, conteso come il premio alla più bella, il trofeo del più forte. 

Sospirò di quel se stesso che se n’era fatto lusingare. Una gabbia era una gabbia, indipendentemente dalla sua natura.

Sua madre non capiva.

Abbassò lo sguardo per seguire il movimento delle proprie dita che carezzavano lo scalpo di Ade, immobile come solo quanto appartenesse ad Erebo riusciva ad essere. 

“Devo tornare.” 

Le parole gli uscirono a fatica, e non per l’ansito che ancora gli gravava il respiro. Le voci nella testa, le implorazioni disperate dei mortali su cui sua madre sfogava l’ira impotente, quasi gli annebbiavano la vista più della solita fiacca dopo l’amore.

Ade non poteva percepirli (non erano suoi sino a che Thanatos non li conduceva oltre la porta), ma per Persefone erano reali quanto la gamba di Ade intrecciata alla propria, i suoi capelli carezzati dai polpastrelli, la morbidezza del materasso sotto la schiena. 

Ade questo non lo ignorava, né lo ignorava sua madre.

Le bassezze di cui si stava macchiando - Persefone poteva immaginare solo un modo in cui avesse convinto Poseidone ad unirsi alla mattanza di mortali, i cui spiriti affollavano i banchi dell’Acheronte - per riaverlo con sé lo facevano tremare di rabbia e dolore al contempo e in egual misura; il suo bisogno viscerale lo chiamava verso l’Alto, gli faceva desiderare di potersi dividere in due, vivere una vita per sé e una per lei.

Non era rispettoso per un figlio compatire la madre, ma Persefone si era lasciato indietro la prima giovinezza. Era entrato nell’età in cui la madre doveva rispettare il figlio e neppure sterminando ognuno di quei mortali dei quali condividevano la devozione si sarebbe fatto ingabbiare di nuovo, neanche dal circolo delle sue braccia bianche.

Ade taceva, ma ogni suo muscolo pareva tirato allo spasimo sotto la pelle umida contro la propria.

Lentamente, Persefone si districò da lui, e i suoi passi non ebbero bisogno di una guida per raggiungere l’unica destinazione possibile. Nella scodella d’oro e d’osso, i semi del melograno luccicavano cupamente, come grumi di sangue rappreso.

Tra le dita erano carnosi, sotto i denti scrocchiavano rilasciando il succo acidulo. Persefone amava le dolci carni speziate, la frutta matura rubata dagli alberi dopo la caccia.

Eppure, sotto lo sguardo muto di Ade che quasi lo perforava, si leccò anche le dita per non farsi sfuggire una goccia.

   
 
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