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Autore: Padme Undomiel    11/09/2015    2 recensioni
Lontano anni luce e per sempre da Central City e da lui, Ed è ancora scottato dallo sguardo che ha letto nell’unico occhio sano del Colonnello, un braccio fermamente serrato intorno alla vita di un Al disperato e col viso inondato di lacrime, dritto e fermo a guardare Ed mentre Ed diceva loro addio.
[post film "Il conquistatore di Shamballa"]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stay





Stay













Ci sono cose che riesci a vedere solo da lontano.
E’ quello che succede con le tessere di un mosaico. Puoi avvicinarti quanto vuoi, osservare da ogni angolatura, usare lenti di ingrandimento potentissime, impiegare minuti, ore, e attenzione e impegno a volontà, e tutto quello che potrai scorgere saranno tanti piccoli pezzi quadrangolari, colorati con un criterio che non comprendi, dalle forme incomplete che ti paiono addirittura grottesche. Eppure, appena qualche passo indietro, ed ecco il disegno d’insieme: e ti chiedi all’improvviso come tu abbia fatto a non scorgerlo prima, perché è così chiaro, così armonioso. Così evidente.
Si può dire che, di passi indietro, Edward Elric ne abbia fatti un bel po’ ultimamente.
Il Portale è chiuso, a Monaco di Baviera come a Central City, e non c’è nulla in questo mondo e nell’altro che lo riaprirà. E va bene così, sul serio: ha anche Al con sé, e lo avrà per il resto della sua vita. E’ solo che fa strano fermarsi a contemplare l’enorme mosaico della vita che ha vissuto finora, con gli occhi di chi non ne fa più parte, e rendersi conto di aver passato troppo tempo a perdersi nei dettagli, e a scordarsi delle cose davvero importanti.
Ed potrebbe stilare un elenco infinito delle cose che sono rimaste troppo a lungo periferiche nel suo campo visivo, e a cui avrebbe dovuto, necessariamente, prestare attenzione.
Winry che piange su una torta bruciata, e non per una questione d’orgoglio, o per la sua fama improvvisamente smentita di meccanico provetto col forno perfetto, bensì per il suo desiderio di far sentire lui e Al a casa, dopo tanto tempo, e per la percezione sciocca di aver fallito nel suo intento. Il signor Hughes che insiste ogni anno perché Ed e Al partecipino alla festa di compleanno di Elycia, in realtà una scusa banale per poter festeggiare anche il compleanno di Ed senza che Ed se ne senta imbarazzato. Maria Ross che lo schiaffeggia, e non per punirlo della sua imprudenza, bensì per stampargli bene in viso il segno della sua preoccupazione, e dell’affetto che sente per lui, nonostante lui sia così ingrato. Alfons che lo guarda ferito allontanarsi, durante l’ennesima prova di volo del suo prototipo di razzo, perché non vuole solamente aiutarlo, con le sue conoscenze fisiche e astronomiche, a  tornare nel suo mondo, ma soprattutto condividere con lui la sua solitudine, e smussarne anche solo di poco gli angoli graffianti.
E ancora un milione di altri visi, situazioni, emozioni, emersi all’improvviso e tutti insieme, un vero assalto per gli occhi, per i sensi, per i suoi ricordi stessi: è un caleidoscopio confuso nel quale l’ormai ex Alchimista d’Acciaio potrebbe perdersi, se solo non continuasse a ripetere a se stesso che ormai è inutile, ormai non può più farci nulla. E’ stato cieco: ebbene, prendersi a sberle non risolverà le cose, non riaprirà nessun Portale, non riporterà in vita nessun morto. Non può che sentirsi amaramente defraudato di una seconda possibilità, scuotere la testa, e andare avanti.
E’ ormai prassi ben collaudata, e funziona sempre.

Quasi.

C’è solo una cosa che riesce ancora togliergli il sonno, in mezzo a tutti quei visi dipinti che lo guardano, lo guarderanno per sempre da quel mosaico così grande; solo una cosa, e non importa quanto scuota la testa, quanto lontano si spinga, quanto ripeta a se stesso che è inutile e doloroso ripensarci: perché non è un pensiero, e non è un ricordo, è piuttosto qualcosa di vivo e pulsante incastrato nella sua mente, che proprio non vuole saperne di andarsene - in fondo, è prepotente come il suo proprietario.
L’immagine di Roy Mustang che gli chiede di restare.
Gliel’avrà sentito dire almeno un milione di volte, in mille modi diversi. Dietro ad una scrivania, piegato sulle sue innumerevoli scartoffie; girato di spalle, gli occhi fissi sulla finestra; davanti a lui, chinato in modo irriverente verso il suo viso per fargli pesare la sua altezza, un sorriso sottile su quella faccia da schiaffi; persino di fronte ai suoi uomini, mimando teatralmente la scena di una terribile e cocente delusione riguardo un suo ennesimo fallimento nella ricerca della Pietra Filosofale, neanche fosse un moccioso di tre anni che si è visto portar via un dolcetto.
Anche le parole esatte che impiegava erano sempre diverse, sempre più fantasiose.
“Ma che peccato, Acciaio. Ora ti toccherà restare qui in attesa che io ti fornisca un’altra occasione d’oro che tu, naturalmente, ti farai sfuggire …”
“Perché, invece di vagabondare come un cane randagio, non ti decidi a renderti utile qui, per una volta?”
“Giacché sei qui, accompagnami a supervisionare gli impianti antincendio della città. Come dici? Quanto tempo impiegheremo? Beh … dipende tutto da quanto riuscirai a starmi dietro, con le tue gambette microscopiche …”
“I tuoi viaggi costano troppo. Mai sentito parlare di tagli alle spese? Ricordati che è l’esercito a finanziare le tue ricerche, non puoi mandarlo sul lastrico. Pensaci bene, prima di scappare da una parte all’altra senza sosta. E comprare senza sosta cose inutili.”
“E’ che, sai, sei il mio sottoposto, e a furia di vederti fare il pazzo combinaguai per tutta Amestris la gente potrebbe associarti al grande Roy Mustang, Alchimista di Fuoco. Non ci tengo a rovinarmi la reputazione, indi per cui resti qui per un po’.”
“E se ti ordinassi di restare, Acciaio? Potrei farlo, lo sai. Ti richiamerei qui, ti affiderei una qualche mansione, e tu non potresti andartene.”
Oh, sommo Colonnello, lei sì che sa come gestire le situazioni e le ricerche, io posso solo farmi piccolo piccolo dalla vergogna e rimettermi al suo sommo giudizio … mi prenda come apprendista, e mi insegni come essere un bravo scienziato e un bravo militare!
Non importava in che modo glielo dicesse, il messaggio era sempre lo stesso: Resta.
Un messaggio incomprensibile, uno dei mille tasselli colorati in modo strano che Ed osservava da vicino per un po’, e a cui poi voltava le spalle sbuffando, rifiutandosi di sprecare tempo prezioso.
Tutto quello che sapeva, e tanto gli bastava, era che non sopportava Mustang quando si comportava così. Era stato lui a presentarsi a casa Rockbell, il giorno maledetto di quella trasmutazione umana fallita; lui a spronarlo ad entrare nell’esercito, per poter raccogliere materiale utile per le sue ricerche; sempre lui a stringergli fermamente il polso in quel giorno di pioggia, accanto alle spoglie smembrate di Nina, e a costringerlo a tenere gli occhi fissi sul suo obiettivo, per non mollare, per non farsi schiacciare. Con che coraggio quello stesso uomo gli chiedeva di rinunciare a tutto, di prendersela comoda, di mettersi alle sue dipendenze come il più servile dei cani, di accettare per sé una vita da ibrido, di condannare Al ad una vita da armatura vuota?
Andava a finire sempre nello stesso modo. Il Colonnello lo provocava, Ed si infuriava e gli rispondeva che non lo avrebbe mai accettato, mai. Dopodiché pretendeva da lui una nuova pista da seguire, e nel caso in cui non ve ne fossero affatto, afferrava la sua valigia sempre pronta e partiva lo stesso, senza salutare, di nascosto come un ladro, con Al e nessun altro al suo fianco, e con la convinzione ingenua che, a mettersi a cercarle con impegno, le cose si fanno trovare, prima o poi –scambio equivalente, ancora una volta.
Per anni è stato convinto di averla sempre avuta vinta grazie al suo pestare i piedi, prendere posizione, sfidare il Colonnello così sfacciatamente da impedirgli di ignorarlo, sottometterlo, costringerlo al silenzio.
Per anni si è ingannato.
L'ha sempre avuta vinta perché il Colonnello non insisteva mai sul serio.

Lontano anni luce e per sempre da Central City e da lui, Ed è ancora scottato dallo sguardo che ha letto nell’unico occhio sano del Colonnello, un braccio fermamente serrato intorno alla vita di un Al disperato e col viso inondato di lacrime, dritto e fermo a guardare Ed mentre Ed diceva loro addio.
In quel momento non ci ha fatto troppo caso, la gola stretta in una morsa al pensiero di ciò che la sua decisione comportava, il cuore che batteva in fretta, troppo in fretta, e troppo dolorosamente contro la sua gabbia toracica, i denti fermamente serrati per impedire alla sua voce di uscire dalle sue labbra in un grido angosciato. Ha incontrato lo sguardo del Colonnello in modo veloce e quasi distratto, temendo di cedere, temendo di farsi coinvolgere così tanto da rinunciare al suo proposito. E gli ha dato le spalle.
Ma gli sarebbe bastato sostenerlo appena un istante in più, per sapere come individuare correttamente, infine, la figura di Roy Mustang.
Se fosse rimasto ancora un attimo, avrebbe riconosciuto quello sguardo.
Lo avrà visto almeno un milione di volte, in mille modi diversi. Nascosto dietro le carte che il Colonnello si ostinava ad esaminare; riflesso sul vetro della finestra dietro la sua scrivania; celato dal battito ripetuto delle palpebre quando il suo viso era troppo vicino a quello di Ed; camuffato dal gesticolare teatrale delle sue mani mentre lo prendeva in giro davanti ai suoi uomini.
Non importava in che modo lo nascondesse, il messaggio era sempre lo stesso: Resta, ti prego.
A dispetto della sua cecità, un messaggio fin troppo lampante.
Resta, ti prego, e non c’era alcun intento provocatorio, canzonatorio, punitivo in quella richiesta. Resta, ti prego, ed era un sussurro più che un ordine o una supplica, imbrigliato in una certezza straziante che non sarebbe stato ascoltato, non sarebbe stato soddisfatto. Resta, ti prego, e ogni volta Ed andava via.
E ogni volta lui lo lasciava andare via.
Il mosaico di Mustang è sempre stato impossibile da scorgere nella sua interezza, ma solo ora Ed sa il perché: è un mosaico insolitamente incompleto. Come se qualcuno avesse colorato male alcuni punti, o avesse applicato alcune tessere dalla forma inadeguata, o addirittura si fosse scordato di applicarne altre.
E, per quanto assurdo, inspiegabile, quasi paradossale, Mustang ha sempre guardato Ed come se fosse lui, la componente essenziale che avrebbe completato il suo mosaico – lo ha nascosto bene per anni, non è riuscito a nasconderlo su quell’aereo annerito e ridotto in pezzi.
Mustang sapeva di guardarlo in quel modo.
E’ proprio questo che Ed non riesce a sopportare.
Se era così importante che lui restasse, perché non ha pensato di dirglielo, almeno quell’ultima volta? Perché non ha allungato un braccio, come ha fatto con Al, e non lo ha fermato prima che lui si incamminasse per quella strada senza ritorno?
Ah, gliel’avrebbe chiesto, se avesse capito in tempo. Lo avrebbe preso per il bavero, strattonato, e chiamato stupido, e dannazione, preteso una risposta. Cosa vuole da me?, gli avrebbe urlato, con quanto fiato avesse avuto in corpo. In che modo la mia assenza la ferisce fino a questo punto? Come osa decidere al mio posto, decidere che io non meriti di conoscere il motivo di questa richiesta subito ritrattata? Le pare un comportamento da adulti, questo? Da cosa vuole proteggermi, che cosa, questa volta, vuole nascondermi? Non siamo forse alla pari, come lo siamo stati quel giorno al tramonto, in cui le ho colpito la mano per gioco, in cui il suo sorriso era specchio del mio, in cui per la prima volta siamo riusciti davvero a comprenderci?
Ma le labbra di Mustang resteranno serrate, custodi di un segreto di cui Ed non saprà mai nulla.
Furibondo, sconvolto, disperato, Ed non sa cosa fare di fronte alla sua determinazione che vacilla. Si ritrova incapace di accettare che quel che è fatto è fatto, e spasmodicamente anela a quel Portale che ha richiuso per sempre, pur sapendo che non servirà, pur sapendo che mai, in tutta la sua vita, potrà tornare indietro. Vuole rivedere quel dannatissimo Colonnello, come mai gli è capitato, come mai si sarebbe aspettato; vuole rivederlo, una volta soltanto, una volta ancora.
Per domandargli perdono.
Per dirgli …
Dirgli cosa?
Forse non è ancora lontano abbastanza per scorgere se stesso all'interno del mosaico della sua vita, forse semplicemente non sopporta di allontanarsi ancora e conoscere la Verità dietro le Verità.
Ma è meglio così.
Perché ha paura di scoprire che sarebbe cambiato qualcosa, se il Colonnello gli avesse impedito di voltargli le spalle un’ultima volta.
Ha paura di scoprire che anche lui, come il Colonnello, non è che un mosaico incompleto, e che lo sarà sempre – colpa sua.
In fin dei conti, non riesce neanche ad essere arrabbiato come vorrebbe. La desolazione che prova ha assorbito tutto quanto.
Non può rimediare, non potrà mai rimediare.
Il loro tempo è ormai perduto.

Ci sono cose che riesci a vedere solo da lontano.
E’ quello che succede con le tessere di un mosaico. Puoi avvicinarti quanto vuoi, osservare da ogni angolatura, usare lenti di ingrandimento potentissime, impiegare minuti, ore, e attenzione e impegno a volontà, e tutto quello che potrai scorgere saranno tanti piccoli pezzi quadrangolari, colorati con un criterio che non comprendi, e con forme incomplete che ti paiono addirittura grottesche. Eppure, appena qualche passo indietro, ed ecco il disegno d’insieme: e ti chiedi all’improvviso come tu abbia fatto a non scorgerlo prima, perché è così chiaro, così armonioso. Così evidente.
Il viso di Roy Mustang, composto da tante tessere troppo tardi riordinate, lo guarderà sempre con l’espressione struggente dell’ultima volta che si sono visti, sull’orlo di un abisso, al confine tra due mondi e due vite. E gli strapperà un po’ più forte il cuore ogni giorno, l’occhio nero pieno di parole inconfessate, e di un desiderio irrealizzabile.
Incapace di sostenere quello sguardo, Edward volterà il capo, chiuderà gli occhi.
Ma le lacrime non si fermeranno.















   
 
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