Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: FinnAndTera    11/09/2015    5 recensioni
C'è un assiuolo che lo accoglie con il suo pianto di morte (chiù, chiù...) la quarta volta che Sirius si rifugia in Guferia. Ha gli occhi enormi di chi ha sofferto per colpa di un idiota, come quelli di Remus malconcio in infermeria.
*
«Allora ci vediamo in dormitorio» dice e esita qualche istante perché non sa se vuole dirglielo davvero, non dopo tutto quello. Alla fine cede sullo stipite della porta, ma non si gira. «Si chiama Fenrir Greyback, quello a cui piacciono i bambini».
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tutte le volte in cui non c'erano parole più buone di una torta
 

Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla [...]
[...] sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù..

[Giovanni Pascoli, L'assiuolo]


C'è un curioso e goffo allocco che lo guarda la prima volta che Sirius si rifugia in Guferia. Ha un piumaggio marroncino abbastanza curato e degli occhi nerissimi che lo fissano senza interruzione; Sirius si sente giudicato. Ha litigato con James perché quello scemo non fa altro che pensare a Lily Evans da quando gli ha dato quello schiaffo in Sala Grande ed è irritante, estremamente irritante. Hanno dodici anni e le femmine sono il nemico, tutti al di fuori di loro sono il nemico che finalmente Sirius non deve più affrontare da solo. Lily Evans è il nemico e lo sarà per sempre, anche se l'allocco pensa che sia lui lo scemo, non James.
«Sirius, sei qui?»
Sirius dovrebbe girarsi, ma ha paura che lo sguardo di Remus possa essere peggio di quello dell'allocco. Fa la cosa che gli riesce meglio da quando è nato, mettere il broncio e congelare gli occhi, però Remus non si arrabbia come sua madre.
«Quell'allocco dovrebbe essere di Frank. Mi ha detto che si chiama Pooh, ma potrei sbagliarmi».
«Che cosa vuoi?»
La rabbia gli esce dalle labbra senza avergli chiesto il permesso come fa sempre e Sirius non si sopporta sentendosi così furioso. Non dovrebbe esserlo – almeno non con Remus.
«Ti ho portato una fetta di torta. Stasera era buonissima, cioccolato e limone» dice e Remus si avvicina lentamente, con quei passetti cauti e leggeri così in contrasto con quella cicatrice che gli rovina lo zigomo destro tanto da farlo sembrare la caricatura di se stesso. «Le torte aiutano più delle parole».
Sirius scioglie il nodo che gli attorciglia le braccia offese, perché la saggezza di Remus arriva in tutti i momenti più giusti.
«Ce ne sono due».
«Ne volevo un'altra, ho ancora fame. Sono scappato dalla cena il più in fretta possibile, perché sentire James ripetere quanto tu sia scemo e quanto odia Lily Evans non era la mia idea di momento torta».
Sirius prende la sua torta e inizia a mangiarla. L'allocco continua a guardarlo, ma non dividerà mai la torta con quell'uccellaccio.
«Allora ci vediamo in dormitorio».
Remus si alza con uno scatto improvviso e sparisce prima che Sirius si accorga che ha lasciato la torta lì, intatta. L'allocco lo sta ancora giudicando e Sirius si arrende. Prende quella torta e va in dormitorio, scostando le tende di James.
«Che c'è? Stavo dormendo!»
«Nah, non è vero».
Le torte aiutano più delle parole.

 

**

 

C'è un enorme e spaventoso gufo reale che lo guarda quando Sirius si rifugia per la seconda volta in Guferia. Ha gli occhi gialli e rabbiosi e a Sirius ricorda un lupo mannaro. Il segreto di Remus è terribile e orrendo, lui è terribile e orrendo, e il gufo reale fa più paura del normale. Gli ha mentito per tre anni, con quella cicatrice sullo zigomo destro in bella vista a prendersi gioco di lui, uno scemo. Stavolta Sirius il broncio lo ha già e la rabbia vorrebbe farla uscire tutta in una volta, tutta addosso a Remus.
«Sapevo che eri qui».
Ed eccolo là, il mostro, il mangiabambini, l'assassino, nascosto dietro un faccino innocente e una camminata strana, dietro ai voti altissimi e ai sorrisi malaticci.
«Vattene, non voglio vederti».
Remus prende il colpo in pieno viso, ma non si arrende. È pronto a disputare il match senza paradenti e a trattenere le lacrime finché riesce a parlare: chiede scusa Remus, chiede scusa per essere una creatura oscura.
«I miei genitori mi hanno detto tante cose su di voi».
«Ah, davvero?» chiede Remus fra il sarcastico e l'incredulo. «E oggi credi alle loro parole?»
«Sì. Ce n'è uno che prende di mira i bambini, li morde e se non li trasforma li uccide». La domanda è implicita e Remus non è sicuro di poterla afferrare e sopportare. Fai anche tu così? Si guardano e non c'è paura nello sguardo di Sirius, solo rabbia e disgusto.
«Sì, è vero, ce n'è uno che fa così». Il gufo reale bubola e apre le ali, spiccando il volo in cerca di una preda. Sirius continua a guardare Remus e non si capacita della realtà. È per questo che lo picchia forte, tira pugni a caso e calci nelle gambe e poi lo abbraccia, perché lui non sa quale sia la realtà. Sperava in un diniego da parte di Remus, una bugia detta con la sua voce pacata e tranquilla che ti dà sicurezza prima dei test importanti e ti consola quando nessun altro ti vede piangere. Non è vero, Sirius, noi lupi mannari siamo buoni. Sirius gli avrebbe creduto, se solo Remus l'avesse detto.
«Mi dispiace, io non so più come fare».
Lo tiene così stretto fra le sue braccia che Remus non può respirare. Remus, che ha una costola incrinata che tra poco si rimetterà a posto da sola, un naso sanguinante e un Sirius spaventato addosso, ricambia l'abbraccio senza dire una parola. Poi si rialza e vede che il gufo è tornato, fra gli artigli ha un topino piccolissimo.
«Allora ci vediamo in dormitorio» dice e esita qualche istante perché non sa se vuole dirglielo davvero, non dopo tutto quello. Alla fine cede sullo stipite della porta, ma non si gira. «Si chiama Fenrir Greyback, quello a cui piacciono i bambini».
Remus scende le scale e se ne va e Sirius rimane attonito, gli manca la forza di muoversi e per qualche secondo ripensa a quell'allocco che l'anno prima l'aveva giudicato sul trespolo proprio davanti a lui. È vergogna quella che prova, ma ora ha capito dove si cela la verità.
Fa un giro nelle cucine prima di ritornare in dormitorio e quando sposta le tende di Remus lo trova che morde il cuscino mentre prende a pugni il suo stomaco.
«Basta così» dice, mentre ferma la sua autodistruzione. Nota la cicatrice sul fianco, proprio vicino al punto che prima Remus stava massacrando, e Sirius si accorge che ha l'inquietante forma di un morso.
Gli porge la torta e gli si stende accanto.
Le torte aiutano più delle parole.

 

**

 

C'è un bellissima civetta delle nevi la terza volta che Sirius si rifugia in Guferia. Ha il manto candido e lo sguardo dolce, come quello che Remus gli ha lanciato prima che lui scappasse via. L'ha baciato senza aver ben chiaro in testa cosa volesse fare e ora si ritrova a essere arrabbiato con se stesso in Guferia ancora una volta. Quell'angolino di Mielandia è poco frequentato, perché quelle tortine al cioccolato piccante non piacciono a nessuno tranne che a Remus. Costano poco e sono buone e può mangiarne quante ne vuole senza rischiare che qualcun altro le rubi, aveva detto divertito togliendosi la sciarpa e il mantello color senape e a quel punto Sirius non aveva potuto fare a meno di baciarlo. Era stato un bacio veloce, forse neanche era esistito, con due paia di labbra che si scontrano, i nasi che cozzano e Remus che alza il viso perché gli manca il respiro. Gli ha lanciato quello sguardo da civetta delle nevi e Sirius poi è corso via, sperando che anche questa volta l'avrebbe visto sbucare dalla porta con i suoi passettini cauti e leggeri che sono rimasti gli stessi anche se le gambe sono ormai lunghissime.
«Ciao» lo saluta infatti, la voce spezzata dall'imbarazzo. «Che bella civetta!»
Sirius non riesce a trattenere una risata, perché quando Remus è imbarazzato non si rende mai conto di quello che dice.
«Sì, me lo dicono in tante» risponde e riassume la postura composta che non riesce a correggere e sembra ancora più alto con quel cappotto lungo e le mani nelle tasche. Remus ha le guance rosse e alza le sopracciglia e si avvicina piano, piano, un passettino alla volta.
«Non fare il nobile, ti prego. Non ora».
«Non sto facendo il nobile».
«Sì, invece. Hai la postura da “Oh, oh, oh, sono bello e aristocratico e ho un cappotto di un colore normale” e mi metti in soggezione».
Passettino.
«Hai una strana idea di nobile, tu. Mi hai appena detto che parlo come Babbo Natale».
È a quel punto che, mentre Remus sta replicando – “Io vesto senape, Sirius!” –, il passettino cauto e leggero lo tradisce e scivola sul pavimento pieno di neve. Sirius lo prende appena in tempo ed è sicuro che passino anni, secoli, millenni prima che Remus lo baci. È sicuro di aver visto il Big Bang negli occhi di Remus e stavolta non ci sono nasi che si scontrano e labbra impreparate, ma quello è un bacio vero.
Quando finisce Sirius non apre gli occhi e la civetta delle nevi gli becca un braccio per risvegliarlo dal sonno eterno in cui sembrava essere caduto.
«Allora ci vediamo in dormitorio».
Remus corre via come il ragazzino che ancora è, nonostante le cicatrici raccontino un'altra storia. Sirius si lecca le labbra e pensa di esser diventato più saggio di prima.
Le torte aiutano più delle parole.
I baci aiutano più di se stessi.


**

 

C'è un assiuolo che lo accoglie con il suo pianto di morte (chiù, chiù...) la quarta volta che Sirius si rifugia in Guferia. Ha gli occhi enormi di chi ha sofferto per colpa di un idiota, come quelli di Remus malconcio in infermeria. Stavolta Sirius non è arrabbiato con se stesso, si odia profondamente. Si odia come odia suo fratello, che se ne sta sempre zitto quando Snape insulta James, come odia sua madre che non meriterebbe neanche il suo odio e soprattutto si odia come ha sempre odiato se stesso quando la sua natura di Grifondoro si unisce in un modo ripugnante e doloroso alla sua natura di Black. Lui non ci ha pensato al male che poteva fargli, eppure questa volta Remus non può entrare in Guferia. Sarebbe troppo per Sirius e per Remus stesso, se l'avesse sputato in faccia forse farebbe meno male. Remus però non è fatto così. Lui perdona gli altri, perdona Sirius che ha fatto una cosa tanto terribile, perché non riesce a perdonare se stesso. Nella sua intricata e stupida testa non è stata del tutto colpa di Sirius se Snape stava per essere ucciso da Moony, ma è colpa sua che quel Moony lo è e non riesce a controllarlo.
«Hai fatto un'enorme cazzata, amico».
Questa è la voce di James che gli arriva in piena faccia, come il vento proveniente dall'assiuolo che sbatte freneticamente le ali, troppo piccolo e debole per creare un tornado.
Sirius non gli risponde e cerca il suo aiuto. Si aggrappa alle sue spalle e gli chiede scusa e James capisce che gli sta chiedendo di guardare Remus al posto suo. James sospira stanco di tutto quello, ma sa che deve cercare di convincere Sirius che Remus lo vuole ancora vicino.
Sa di loro. Sa della loro mezza storia fatta di baci in piedi senza toccarsi con le mani, sa di Remus che si sente felice e di Sirius che si sente meno infelice, ma sa anche che è solo grazie al suo abbraccio, quello di James Potter, se Sirius trova la forza di tornare a essere un cretino. James è esclusivo in un modo che anche Remus spesso invidia.
«Prendi queste cazzo di torte e scompari dalla mia vista, cane rognoso».
«Non credo che...»
«Va', ho detto!»
Sirius non è convito ma lo fa. Fa sempre quello che dice James. Corre via da quel verso angosciante (chiù, chiù...) e si precipita da Remus che dorme. Lo sveglia e mezzo terrorizzato gli ficca una tortina in bocca.
Remus è freddo, ma gli tiene la mano.
Le torte aiutano più delle parole.
Un bacio aiuterebbe a distruggerle?

 

**

 

C'è un gufo comune che lo osserva con i suoi occhi comuni l'ultima volta che Sirius si rifugia in Guferia. È un comune gufo con un piumaggio comune, come tutti i diplomati in divisa scolastica che da secoli passano di lì. Sirius non vuole lasciare tutto e andare in guerra, ma sa che lo farà comunque. Quella guerra è anche sua. Molto sua. C'è un pazzo che crede di poter decidere chi sia degno di questo mondo e chi meno e dalla sua bacchetta escono solo lampi verdi, verdi come gli occhi di Lily che guardano James in quel modo. È una similitudine macabra che era venuta in mente a James un giorno in Sala Comune. Gli occhi di Lily che lo uccidono, i suoi capelli che lo fanno rinascere come la più bella delle fenici.
È patetico. Patetico come Sirius che si rifugia in Guferia sperando che il tempo si fermi almeno per qualche altro anno.
«Se continuerai a venire qui per il resto della tua vita, sappi che inizierò a pensare tu abbia una strana passione per i gufi».
Remus è rilassato e Sirius crede che starebbe a meraviglia con il suo mantello consunto dietro una cattedra di Hogwarts se solo quella guerra non fosse anche sua. Ricorda bene quando al sesto anno Silente gli disse di sua madre, bella e dignitosa anche nella morte come solo una Babbana con un figlio maledetto poteva essere. Dopo qualche mese fu il turno della Evans che trovò in James una maturità nuova con cui affrontare il dolore. Toccava a tutti, prima o poi, e la sua famiglia – ex famiglia – era dalla parte degli orrori.
«No, mi bastano già i grossi lupi affamati di coccole, grazie mille».
«Che momento deprimente» soffiò Remus, avanzando a passo svelto verso Sirius. I passettini cauti e leggeri aveva dovuto abbandonarli, perché sul campo è la velocità a farti restare vivo. «È strano ci sia un gufo comune qui dentro. Di solito sono sempre di specie assurde».
Sirius urla a squarciagola e il gufo vola via. Remus gli chiede se deve chiamare il San Mungo e lui gli risponde di aver cacciato via tutta la sua tristezza e la sua infantilità con quell'urlo. I gufi tanto non giudicano.
«Andiamo a rubare una torta?»
«Ti amo, Remus». Il gufo comune torna sul trespolo e inclina la testa di lato, interessato.
«Fai tanto lo sbruffone, ma non sei diverso da James».
Remus sa che non è vero, o almeno non nel senso che Sirius aveva intenzione di dargli. Si erano baciati per un'ultima volta all'inizio di quell'anno, rendendosi conto che non ne avevano più bisogno. Si amavano in un modo troppo diverso dal solito per essere definito e questo lo sapevano entrambi, solo che Sirius faticava ad accettarlo. Voleva qualcosa di normale come quel gufo e l'aveva cercato nella persona sbagliata. Mentre sapeva che il suo rapporto con James non poteva essere definito normale, così sentito, bello e morboso, Sirius tentava di nascondere la verità a Remus con baci che sapevano di casa e che per un po' avevano ingannato anche il ragazzo più saggio che avesse mai conosciuto, che si era sentito del tutto normale per una volta nella vita. Arrivati al settimo anno, però, avevano capito che la normalità non era fatta per loro, non in quel mondo, non con la guerra. Continuano ad amarsi ancora in Guferia, ma Remus sente qualcosa di diverso nello stomaco. Paura, preoccupazione. Consapevolezza della loro difficoltà a restare insieme senza nessun dubbio nell'aria.
Vanno a rubare una torta e la mangiano insieme su di un tavolo sgangherato nelle cantine. Cioccolato e limone, la preferita di Remus.
«Forse ti amo anche io, Sirius» dice e per qualche tempo ci ricrede davvero.
Le torte aiutano più delle parole, ma per quella volta le pronunciano lo stesso.


**


«Sei tu».
«Lo credi davvero?»
«Ti odio, Remus».
«Anche io, Sirius».
Nessuna torta è sulla loro tavola, nessun allocco è lì per giudicarli. Un bacio arrabbiato, un pugno, un incantesimo per fare del male.
«Io me ne vado, voi non avrete mai James».
Mentre guarda il viso di Remus, indignato e colpevole, Sirius ottiene una risposta.
Sono le parole a distruggere i baci, non il contrario.




 


 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: FinnAndTera