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Autore: Sery400    11/09/2015    1 recensioni
Damon ed Enzo sono due Shadowhunters che da ragazzi scelgono di diventare parabatai. Ora hanno diciassette anni e si trovano ad Idris, attendendo una guerra che sono sicuri di dover combattere, ma che non sono sicuri di vincere.
Il Codice dice che tra due parabatai è proibito qualsiasi sentimento romantico. Ma se i sentimenti che si sviluppano tra Damon ed Enzo fossero più potenti di qualsiasi legge?
[Denzo AU] [Spoiler!Città del fuoco celeste.]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Damon Salvatore, Enzo
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: ciao a tutti! Vi trattengo davvero poco, prometto. Voglio solo informarvi del fatto che questa fanfiction è ambientata durante la Guerra Oscura, ad Idris. In 'Città del fuoco Celeste' abbiamo vissuto questi giorni nel regno demoniaco abitato da Sebastian e ho pensato di farvelo rivivere invece ad Alicante, tramite Damon ed Enzo, due giovani Shadowhunters.
Aggiungo inoltre che il titolo della fanfiction è preso dalla canzone Run - Leona Lewis, che vi consiglio vivamente di ascoltare, visto che è la colonna sonora di tutto il racconto.



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Even if you cannot hear my voice I'll be right beside you.






Damon e Enzo vivevano insieme nello stesso istituto da sempre. I loro genitori si erano conosciuti da giovani e vivevano nella meravigliosa Londra da più di trent’anni. Era in quell’istituto che i due ragazzi, ora diciassettenni, erano nati. Damon, più grande di Enzo di quattro mesi, aveva imparato con lui a camminare, a parlare, poi ad impugnare un una spada e disegnare le prime rune. Era con lui che aveva esplorato ogni centimetro dell’istituto, con lui che aveva imparato a combattere e a ridere. Non erano gli unici ragazzi nell’istituto, ma Damon ed Enzo erano sempre stati legati da un’affinità particolare. Enzo aveva disegnato il primo iratze a Damon quando, cadendo all’età di dodici anni, si era sbucciato un ginocchio e Damon aveva disegnato il suo primo ad Enzo quando, allenandosi insieme, lo aveva involontariamente ferito con un pugnale sulla spalla, provocandogli un leggero graffio. Damon ed Enzo erano sempre stati lì per l’altro, si erano sempre spalleggiati, da piccoli mentre giocavano e da più grandi mentre combattevano i demoni. Le due famiglie ne formavano praticamente una sola allargata, da sempre. Ma ci fu un momento, un giorno, esattamente il 24 maggio 2003, in cui il legame tra le famiglie, si fece più forte che mai. Quel giorno i quattro genitori erano andati a stanare un gruppo di demoni, lasciando i due ragazzi, ancora troppo piccoli per partecipare a certe battaglie, nell’istituto ad allenarsi. Nell’Istituto era andato tutto bene, Damon ed Enzo avevano passato il pomeriggio nella stanza di addestramento, determinati a migliorare per poter anche loro, un giorno, uscire là fuori insieme ai loro genitori. La bella giornata fu inevitabilmente rovinata dal ritorno dei genitori di Damon. Da soli.

«Dove sono mamma e papà?» aveva chiesto Enzo, perché non c’era motivo di allarmarsi. Potevano benissimo essersi fermati in un’altra stanza dell’Istituto prima di andare da suo figlio e Damon per vedere se era tutto apposto. Eppure il ragazzino aveva una strana sensazione all’altezza dello stomaco, provocata dallo sguardo spento dei genitori di Damon, che lo faceva tremare sul posto.

«Non ci sono» aveva risposto il padre di Damon. «Loro… una volta entrati nell’edificio vuoto ci siamo divisi e loro hanno incontrato quei tre demoni per primi» spiegò mentre Lily si era volta e aveva affondato il viso nella spalla del marito per nascondere le lacrime ai piccoli. «Quando abbiamo sentito le loro urla siamo corsi ma non abbastanza velocemente.»

Enzo era rimasto immobile, incapace di battere ciglio, di parlare o muovere qualsiasi muscolo. Sentiva lo sguardo di Damon su di sé, ma non aveva la forza di ricambiarlo. Non era possibile, non stava succedendo quello, non a lui. «Loro sono…» si bloccò, non riuscendo a continuare, non riuscendo a pronunciare quella parola.

«Sì, sono morti» aveva detto Giuseppe, trattenendo una lacrima.

Enzo non ricordava molto di quel giorno da quel momento in poi. Ricordava che c’erano stati abbracci, lacrime, parole di conforto. Ricordava Damon che aveva dormito con lui per paura di lasciarlo solo, ricordava il dolore atroce, la sensazione che fosse tutto un tremendo incubo. Da quel giorno Enzo era entrato a far parte della famiglia di Damon anche legalmente. I Salvatore lo avevano adottato, promettendogli di donargli tutto l’amore possibile, di non fargli mancare niente e Enzo credeva in loro, poiché non lo avevano mai deluso, eppure c’era sempre quel vuoto nel suo petto che non sarebbe mai stato colmato nemmeno da tutto l’affetto del mondo. Quel vuoto che solo Damon era riuscito a riempire ogni giorno un po’ di più, con sorrisi, allenamenti, e abbracci. Anche con i silenzi, perché Damon riusciva a trasmettergli fiducia e comprensione anche stando in silenzio. Damon era la persona che meglio lo conosceva, che meglio lo capiva. Fu per questo che, esattamente un anno dopo la morte dei genitori di Enzo, glielo chiese.

 


«Damon» disse Enzo, mentre i due ragazzi camminavano per Londra. Il più grande lo aveva portato a fare un giro per cercare di distrarlo, per cercare di non farlo pensare troppo alle parole di Giuseppe di quell’anno prima. «Stavo pensando ad una cosa.» Damon si fermò e si voltò per guardarlo negli occhi. «Tu mi sei stato vicino tutta la vita, sin dal giorno in cui sono nato. Ogni evento significativo durante la mia crescita, ogni episodio che mi ha segnato, tu lo hai vissuto con me. A volte non mi soffermo a pensare a quanto io sia fortunato ad averti. A volte ti do per scontato, ma non oggi, non ora. Ora penso che io non so come avrei fatto senza di te, quel giorno. In realtà non so come avrei fatto ogni giorno, da quello. Ogni tanto ho paura che non mi sarei mai ripreso, senza di te, non sarei mai riuscito ad andare avanti e mi sono reso conto che io ho bisogno di te, che io avrò sempre bisogno di te. Che ti voglio nella mia vita per il resto dei miei giorni, perché non ho idea di come farei a vivere senza di te. Non riesco ad immaginare un vita in cui tu non sia con me.»

«Mi stai facendo una proposta di matrimonio? Perché sinceramente credo che siamo ancora troppo piccoli per sposarci, sai?» lo interruppe Damon con un sorriso sarcastico.

«No, idiota» rispose l’altro, dandogli uno schiaffo sul petto. «Ma ti sto facendo una proposta altrettanto importante, forse anche di più.» E fu in quel momento che Damon realizzò, che comprese ogni parola del discorso appena fattogli dal suo migliore amico. «Vuoi essere il mio parabatai, Dam?»

Damon non si rese conto di star annuendo, fin quando non vide un sorriso formarsi sul viso di Enzo. «Si, certo che lo voglio. Ma non voglio che pensi che lo stia facendo solo per te» continuò poi frettolosamente. «Lo sto facendo anche per me, perché ormai per me tu sei un fratello, sei… tutto, sei tutto, Enzo. Perché io non esisterei senza di te, perché non sarei me senza di te.» Il secondo dopo aveva le braccia di Enzo strette intorno al suo collo e il suo corpo contro il proprio. Ricambiò l’abbraccio del ragazzo che sarebbe stato il suo parabatai e sorrise nel sapere che nonostante tutto, loro ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro, che il legame che li avrebbe tenuti vicini sarebbe stato il più potente esistente sulla faccia della terra.

 


Tre giorni dopo erano parabatai. I genitori di Damon gli avevano chiesto più volte se ne erano sicuri, spiegando loro quanto grossa sarebbe stata quella scelta, quali sarebbero state le conseguenze. Ma più Lily e Giuseppe cercavano di avvertirli, più loro ne erano convinti. Quindi avevano pronunciato il giuramento e ricevuto il Marchio parabatai, così da esser legati per sempre.

Damon ed Enzo continuarono a passare ogni giorno della loro vita insieme. Ovviamente, crescendo, cambiarono e maturarono, così ci furono litigi e bisticci, ci furono momenti in cui uno aveva bisogno di spazio per se stesso e altri in cui non si parlavano per giorni interi. Capitava che uno prendeva una decisione che l’altro non condivideva e si urlavano contro per quello, ma niente, niente, era mai riuscito a dividerli davvero. Anzi, ogni volta che litigavano, il rapporto si faceva più stretto. Ogni volta che urlavano, veniva fuori una parte di loro che l’altro non conosceva e che gli permetteva di capirsi meglio. Così, a diciassette anni, Damon conosceva l’anima di Enzo come fosse la sua ed Enzo conosceva il cuore di Damon come fosse il suo. Era per questo che quel giorno, quando Enzo entrò in camera loro e trovò Damon a tirare una pallina da tennis contro il soffitto, si sedette accanto a lui e chiese: «Hai paura?»

Damon fermò la pallina nella sua mano destra e lo guardò. «Tu non ne hai?»

Enzo sospirò e di sdraio anche lui nella sua porzione di letto. In teoria la camera era di Damon, ma nessuno dei due voleva restare solo in un momento del genere così Enzo l’aveva tacitamente trasformata nella loro camera e Damon non aveva avuto niente da ridire. Ormai erano in quella casa da un paio di giorni ed il terrore, l’ansia e l’irritazione sembravano le uniche sensazioni che riempivano l’aria. Dopo che Sebastian aveva attaccato l’istituto in cui vivevano erano stati costretti a trasferirsi ad Alicante insieme al resto degli Shadowhunters, in attesa di non si sapeva cosa. Le voci che giravano parlavo di una cura per gli Ottenebrati, ma anche di un’imminente guerra. Damon era sicuro ci sarebbe stata una guerra e continuava a ripeterlo ad Enzo, più per prepararlo psicologicamente che per spaventarlo. «Certo che ne ho. Chi non ne avrebbe?»

«Non ho paura per me, Enzo» disse Damon, continuando a lanciare la pallina al soffitto, seguita dallo sguardo di entrambi. «Sai che non temo le guerre, che mi piace combatterle, che mi fanno sentire vivo.»

«Questa non è una guerra come le altre» provò a ribattere Enzo.

«Lo è. Ogni guerra è diversa nella ragione, nelle persone che la vivono, ma è sempre una guerra ed io non la temo perché non temo il mio destino, ma ho paura perché temo il tuo.» Enzo provò a parlare, aprì la bocca per dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì una parola. Allora Damon continuò. «A me non interessa se diventerò un Ottenebrato, se morirò. Non mi interessa, se perderò, affinché lo farò combattendo. Ma non posso permettere che succeda qualcosa a te. Non riuscirei a vivere con la consapevolezza di aver permesso a lui di ucciderti, o peggio, di trasformarti. Io non posso perderti, Enzo.» Ormai aveva smesso di lanciare la pallina e la stringeva forte in una mano concentrandosi su quella per non lasciarsi sfuggire le lacrime che premevano nei suoi occhi.

«Non succederà» rispose Enzo, ma non vedendo alcuna reazione in Damon, gli mise una mano sulla spalla e ripeté: «Non succederà. Ti fidi di me?» Il suo parabatai annuì. «Allora smettila di pensare a me e pensa a te stesso, perché nemmeno io riuscirei a vivere senza di te.»

Damon mise la propria mano su quella di Enzo e continuò a guardare il soffitto. «Tu credi che esista una cura?»

«Sinceramente? No. Hai sentito le parole di Jace Herondale, lui ha visto gli Ottenebrati e ha detto che non si può tornare indietro da una condizione del genere. Io credo in lui, conosce Sebastian meglio di chiunque altro.»

«E pensi che abbiamo possibilità di vincere?»

«Siamo Shadowhunters, Dam, vinciamo sempre.»

«Quella è una cazzata e lo sai anche tu.» Sapeva che Enzo lo stesse guardando, ma non riusciva a voltarsi. «Sono più forti, più veloci, più impavidi. Come faremo contro di loro?»

«Ma loro non hanno un’anima, Damon. Loro non hanno qualcosa per cui combattere. Non hanno qualcuno per cui vincere. Spesso questo è più importante di qualsiasi altra cosa.»

Damon sapeva avesse ragione. «Combatteresti per loro?» gli chiese, finalmente guardando nei suoi occhi, che si fecero più scuri, più lontani, persi nel ricordo.

«Sì, combatterei per mamma e papà, come faccio ogni giorno. Ma combatterei anche per te.»

Damon sorrise, un sorriso sincero, ma allo stesso tempo sofferente. Dall’attacco a Londra nessuno dei due era mai stato veramente felice. «Ci andiamo ad allenare un po’?»

«È quasi mezzanotte, Dam» rispose Enzo con una risatina.

«Quindi? Non riuscirei a dormire comunque.» I loro volti erano a pochi centimetri di distanza ma la loro vicinanza non li metteva a disagio, non l’aveva mai fatto. In fondo erano cresciuti insieme, avevano condiviso tutto, a volte avevano anche dormito insieme, non c’era nulla che potessero fare che avrebbe messo a disagio l’altro. Anzi, la vicinanza era una delle cose che più apprezzavano del loro rapporto. Damon era molto geloso del suo corpo e si apriva raramente con gli estranei, non era un tipo da abbracci, carezze o prese per mano, eppure con Enzo faceva tranquillamente ognuna di queste cose. Avere Enzo vicino, poterlo toccare, sentire il suo calore, lo faceva sentire al sicuro. E Damon era stato spesso l’ancora di Enzo. Quando i ricordi si facevano troppo intensi, quando la mancanza era troppo dolorosa, un abbraccio di Damon era l’unica cosa che riusciva a calmarlo. Quando la paura gli scorreva nelle vene fino a farlo tremare, anche un tocco di Damon riusciva a farlo sentire stabile, gli ricorda che lui era lì, che non lo avrebbe lasciato, che qualsiasi cosa l’avrebbero attraversata insieme.

«Va bene» rispose Enzo annuendo. Allontanò la mano da quella di Damon e si alzò.

«Non dobbiamo farci beccare dai miei però quindi secondo me l’idea migliore è di uscire dalla finestra» disse Damon, andando verso la scrivania ed iniziando a mettersi qualche arma nella cintura. I genitori di Damon non volevano che uscissero da soli dopo cena, ancora di meno che uscissero dopo il coprifuoco e ne avevano tutte le ragioni, solo che Damon ormai si sentiva soffocare in quella stanza ed aveva bisogno di fare qualcosa che lo facesse sentire utile, che lo facesse sentire uno Shadowhunters, perché nascondersi ad Idris e rinchiudersi ognuno nelle loro case, non era un atteggiamento da Shadowhunters. Enzo lo affiancò e prese le sue armi, poi presero entrambi le loro stregaluci e si avvicinarono alla finestra.

«E se scoprono che siamo scappati?»

«Se ci scoprono siamo fottuti, Enz, e al nostro ritorno ci toccherà sentire una bella ramanzina su quanto è pericoloso là fuori e su quanto imprudenti siamo stati. Lo vuoi ancora fare?»

«Certo» rispose quello, senza esitazione. Non che lo avrebbe fatto, se fosse stato solo. Enzo era più incline a rispettare le regole di Damon, che spesso e volentieri faceva ciò che lo faceva star bene, anche se questo consisteva nel disubbidire ai suoi genitori. Se Damon però gli chiedeva di trasgredire al regolamento per lui, però, non aveva che dire di sì, senza nemmeno pensarci, perché per e con Damon avrebbe fatto di tutto.

Si trovarono fuori dalla finestra, su un viale di Idris un minuto dopo. «Dove hai intenzione di andare?» chiese Enzo, guardandosi intorno. Si sarebbero potuti allenare dove tutti i Nephilim si allenavano ad Idris, ma Enzo dubitava Damon avrebbe scelto quel posto, anche perché non era sicuro fosse ancora aperto dopo il coprifuoco.

«Non lo so» rispose onestamente Damon, iniziando a camminare accertandosi che non ci fosse nessuna guardia intorno a loro. Enzo lo seguì. Non avevano bisogno delle stregaluci, poiché le torri antidemoni di Alicante illuminavano la strada quanto necessario. Camminavano tra le vie della città senza una vera e propria meta ma Enzo sospettava che quando Damon avrebbe trovato il posto giusto, si sarebbe fermato, ed Enzo si fidava di Damon. Si rese conto solo in quel momento di quanto gli sarebbe piaciuto allenarsi un po’. Combattere gli premetteva di distrarsi, di sentirsi libero, di non pensare a tutto ciò che andava storto –in quel caso di pensare a Sebastian e ciò che aspettava a tutti loro-. E con Damon c’era una tale sincronia che era davvero liberatorio. Era anche molto stimolante, perché si conoscevano talmente bene da dover ogni volta cercare di sorprendere l’altro per metterlo al tappeto. Il ragazzo stava pensando a tutto quello quando Damon gli urlò contro di correre. All’iniziò non capì, così rimase immobile a cercare il pericolo, ma l’altro lo prese per mano e iniziò a scappare da Enzo non sapeva cosa, portandosi il suo parabatai con sé. «C’è una guardia» spiegò Damon, senza fermarsi. La guardia infatti li aveva visti e li stava rincorrendo, ma i due ragazzi erano più giovani e determinati, così riuscirono a correre più veloce e seminarlo. Quando finalmente si fermarono, il fiato corto e le mani sulle ginocchia, si resero conto di essere in una raduna, probabilmente fuori da Idris. Le torri illuminavano ancora il campo, quindi non si preoccuparono per la luce, e scoppiarono a ridere all’unisono. «Mio Dio, Damon.»

«È stato così eccitante!» esclamò l’altro, continuando a ridere.

«Lo è stato» accordò Enzo, portando un braccio intorno alle spalle di Damon e tirandoselo addosso. Il ragazzo poggiò la testa nell’incavo del suo collo e continuò a ridere fino a quando non gli fece male la pancia. Nel momento in cui le risate scemarono, Damon si allontanò da Enzo e cercò la propria spada nella cintura. La sfilò e guardò Enzo. «Allora, sei pronto?»

L’altro sorrise e sguainò la sua. «Ovviamente.»

Si posizionarono uno davanti all’altro, le ginocchia leggermente flesse e l’espressione concentrata ed iniziarono a combattere. Il rumore dei colpi delle spade su quella dell’altro era l’unico che risuonava nell’ambiente desolato, insieme a quello del respiro affannato dei due ragazzi e qualche urlo. Con una velocità che Enzo gli aveva sempre invidiato, Damon riuscì a disarmare il compagno e puntargli l’arma al collo. «Che c’è, la corsetta di prima ti ha stancato?» disse Damon ridendo, prendendolo in giro per la vittoria.

Ma Enzo non aveva finito ogni risorsa. Così, vedendo che Damon aveva abbassato la guardia, si allontanò di un passo e con un calcio sul polso gli fece perdere la presa sulla spada. «Non direi» rispose allora, sorridendo. Damon ora aveva un’espressione sorpresa sul volto, ma riprese quasi immediatamente a sorridere. Enzo si mise in guardia avvicinando i pugni chiusi al volto e parandosi il petto con le braccia, poi con l’indice della mano destra fece segno a Damon di avvicinarsi.

«Lo sai che nel combattimento corpo a corpo non hai mai avuto chance.» Il più grande si sfilò la felpa, scoprendo una maglietta nera attillata che lasciava visibili i muscoli delle braccia e del petto. Enzo lo aveva visto così tante volte con quella maglietta, ma non si era mai del tutto abituato al meraviglioso corpo dell’amico. Aveva imparato, però, a non farsi sfuggire niente di fronte a lui, così tenne lo sguardo nei suoi occhi e lo invitò ad iniziare.

«Lo vedremo.»

Non si colpirono in faccia -durante gli allenamenti non lo facevano mai- ma sulle braccia, sul petto e in pancia. Non davano mai il cento per cento di loro quando si addestravano insieme per esser sicuri di non far del male all’altro.

Naturalmente Damon aveva ragione: grazie alla sua agilità e la sua muscolatura più possente, vinceva sempre lui durante i combattimenti del genere, mentre per Enzo di solito era più facile vincere usando le spade, che erano il suo punto forte. Infatti quando Enzo scagliò un pugno all’altezza del petto di Damon, questo gli afferrò il polso e lo tirò a sé, facendolo girare prima che la sua schiena toccasse il suo petto e incastrandolo tra le sue braccia e il suo corpo. «Te l’avevo detto» mormorò poi e, sentendo il verso frustrato di Enzo che non riusciva a liberarsi, si sporse per dargli un bacio sulla guancia. «Prima o poi ce la farai, dai. Magari quando sarò vecchio e… nah, invecchierò sempre meglio di te.»

Damon aveva ormai allentato la presa, così Enzo si girò tra le sue braccia e lo fulminò con lo sguardo. «Ma sta’ zitto» esclamò con una risata. A Damon era venuto naturale afferrarlo per la vita, una volta giratosi, così potette avvicinarlo di più a lui e guardarlo negli occhi –quei meravigliosi occhi scuri, resi quasi brillanti dalla luce soffusa che arrivava-. Enzo lo guardò come a capire se stava davvero per fare ciò che lui pensava e quando l’altro sorrise –solo un accenno, solo gli angoli della bocca leggermente alzati-, ebbe la sua conferma. Portò le mani, di cui prima non sapeva che farsene, sul suo petto e si avvicinò alle sue labbra, facendo poi dolcemente scontrare le loro bocche. Le labbra di Damon erano carnose e morbide contro le sue, molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Gli era capitato più di una volta di rimanere incantato da esse e di iniziare a sognare ad occhi aperti, ma mai aveva pensato che una cosa del genere sarebbe successa davvero. Insomma, era illegale. Eppure Damon non osava allontanarsi da lui, anzi, dischiuse le labbra e sfiorò con la lingua quella di Enzo per invitarlo a fare lo stesso. Il più piccolo sentiva il calore del corpo di Damon attraverso le sue mani, sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi contro i suoi palmi, mentre le loro lingue si accarezzavano per la prima volta. La presa ferrea di Damon sui suoi fianchi era confortante, sembrava volesse tenerlo vicino a sé per non lasciarlo fuggire. Fu però Damon il primo ad allontanarsi, con un sorriso sulle labbra come prima del bacio. Ed Enzo, in quel momento, la sentì. Felicità. Come non ne provava da giorni interi. Accarezzo con una mano i capelli di Damon, aggiustandogli un ciuffo ribelle, poi affondò il viso nel suo collo. Damon spostò le braccia sulla sua schiena e lo strinse a sé con forza. «Abbiamo infranto tre regole nell’arco di un’ora» sussurrò poi, mentre Enzo ridacchiava sulla sua pelle. «Non avremmo dovuto farlo» disse poi seriamente, il tono cupo. «È contro il Codice provare sentimenti romantici per il proprio parabatai.»

«Già, forse avremmo dovuto pensarci prima.»

Damon sbuffò una risata amara. «L’ho fatto. Sono mesi che ci penso, che penso di dover smettere di volere qualcosa che non posso avere.»

«Davvero?»

«Certo. Pensi mi sia svegliato questa mattina con la voglia di baciarti? Ho perso il conto di quanti mesi sono che voglio farlo. Ero terrorizzato, la prima volta che mi sono reso conto di volerlo, ho immediatamente pensato che avrebbe significato provare qualcosa per te e di conseguenza andare contro il codice.»

Enzo tornò a guardarlo in viso, gli accarezzò una guancia. «Eppure mi hai baciato lo stesso.»

«Sembrava così giusto» rispose lui, alzando le spalle.

Enzo non poté fare a meno di posare di nuovo le labbra sulle sue. «Lo è.»

«No, Enz, non lo è. Ma non mi interessa, se non interessa nemmeno a te.»

Enzo lo guardò negli occhi per qualche istante per capire se fosse serio, se fosse stato disposto ad andare contro il Conclave per lui. Lo era. Così annuì. «Sai quando è stato il momento in cui ho realizzato che provavo più dell’amicizia che lega due parabatai?» Damon rimase in silenzio a fissarlo interessato, così Enzo continuò. «Ricordi quando abbiamo lottato contro quel demone insieme a tuo padre e tu sei quasi morto durante l’attacco? Nel momento in cui ti ho visto crollare a terra, ho lasciato tuo padre da solo e sono corso da te. Mi sono sentito una paura indescrivibile attraversarmi le ossa e ho rischiato addirittura la vita di tuo padre, per controllare che fossi vivo. Ti ho disegnato un iratze ma sembrava non funzionare ed io sono andato letteralmente in panico pensando al fatto che avrei potuto perderti, non come andrebbe nel panico uno Shadowhunter che vede morire il suo parabatai, ma come andrebbe nel panico un uomo che vede morire la persona che ama.»

Damon rimase in silenzio, le parole che non riuscivano ad un uscire dalle proprie labbra, mentre due lacrime gli si formavano agli angoli degli occhi. Enzo non ebbe il tempo di dire un’altra parola che la bocca di Damon era sulla sua, quasi disperata, così come Damon stesso, che teneva stretto a sé il suo parabatai come se ne valesse della sua vita.

Nel ritorno a casa nessuna guardia li beccò, così proseguirono tranquillamente, la mano di Enzo che a metà percorso aveva sfiorato quella di Damon per chiedergli silenziosamente il permesso di prenderla. Lui non aveva esitato ed aveva intrecciato le loro dita. Rientrarono dalla finestra mentre i genitori di Damon dormivano ancora. Sospirarono di sollievo, rendendosi conto che non erano stati beccati. Posarono poi insieme la cintura con le armi e si levarono la tuta da combattimento, per mettersi su una maglietta e un pantalone della tuta. Se c’era una cosa di cui Enzo non poteva esser più sollevato, era che nulla tra loro sembrava esser cambiato. Continuava a non esserci disagio, non c’erano titubanze, niente di tutto quello. L’unica cosa differente fu il modo di dormire. Infatti, una volta stesi a letto, Enzo circondò con un braccio la vita di Damon e si avvicinò alla sua schiena.

«Promettimi che non ti succederà niente» sussurrò il più grande, posando una mano su quella di Enzo. «Promettimi che quando la guerra sarà finita, dormirò ancora con te.»

«Non andrò da nessuna parte, Dam. Te lo prometto.»

 



Damon era una di quelle persone che si muovevano la notte, che si giravano e scalciavano, e i lividi che di solito riempivano le gambe di Enzo quando si svegliavano insieme se erano la prova, eppure, quella mattina, Damon si svegliò esattamente come si era addormentato: circondato dalle braccia di Enzo. Erano giorni che non si svegliava durante la notte, scosso da un brutto sogno o semplicemente dall’ansia, per poi costringersi a riaddormentarsi vista l’ora presta. Si girò lentamente per capire se Enzo era già sveglio o meno. Gli occhi chiusi e il respiro regolare gli diedero la risposta che cercava. Approfittò di quel momento per osservarlo indisturbato. Damon aveva sempre saputo quanto fosse bello Enzo e aveva sempre saputo di amarlo. Amava Enzo da quando erano bambini, eppure solo qualche tempo prima aveva realizzato che il suo amore non è più platonico come un tempo. Lo aveva capito dal modo in cui riusciva a sentirsi in pace semplicemente guardandolo negli occhi, dal modo in cui il suo corpo reagiva quando erano vicini, dai brividi che percorrevano la sua schiena quando sorrideva. Dall’intensità con cui desiderava le sue labbra, labbra che ora stava fissando e che vide aprirsi per farfugliare un ‘buongiorno’ assonnato. Alzò lo sguardo sui suoi occhi e li trovò aperti, il verde che quasi predominava sul marrone, come succedeva solo appena sveglio. «Buongiorno.»

Enzo socchiuse di nuovo gli occhi. «Sei ancora disposto ad infrangere il Codice, Dam?»

«Se vuoi un bacio basta chiederlo» sussurrò l’altro, sporgendosi per posare le labbra sulle sue. Quelle di entrambi erano ancora secche per la lunga dormita, ma a Damon non interessò. Incontrò la lingua di Enzo e lentamente si spostò sopra di lui, scacciando malamente le coperte, che rimasero a metà tra i loro corpi.

«Dobbiamo essere prudenti, Damon, i tuoi potrebbero entrare in ogni momento» mormorò Enzo, prima di riappropriarsi delle labbra del suo parabatai.

«Busserebbero» fu la risposta di Damon. La sua bocca si spostò poi sul collo di Enzo. Non si radeva da quando erano arrivati ad Idris e la barba pizzicò lievemente le labbra di Damon. Enzo infilò le mani nei capelli troppo cresciuti di Damon e li accarezzo dolcemente. Il più grande poggiò la testa sul petto dell’altro e disse: «Che ne dici di fare un giro stamattina, per non restare chiusi in casa? Potremmo avere qualche notizia.»

«È una buona idea. Facciamo colazione e andiamo?»

Damon annuì e si alzò dal letto. Prese i suoi vestiti e –dopo aver rivolto ad Enzo un ultimo sorriso- si diresse in bagno per una doccia.

 

Camminavano uno accanto all’altro senza toccarsi, come avevano sempre fatto, per passare inosservati, ma ogni tanto le loro mani si sfioravano e quando accadeva non riuscivano a trattenere un sorriso. Avevano le orecchie tese in caso qualcuno avesse parlato di Sebastian, ma le persone in giro non erano molte.

Passarono davanti la Sala degli Accordi, ma le diedero solo un’occhiata prima di proseguire dritto. Erano già stati un paio di volte ad Alicante e già avevano fatto il tour della città. «Spero che faccia una mossa» esordì Damon, interrompendo il silenzio tra i due. «Quest’ansia mi sta uccidendo. Se facesse qualcosa almeno potremmo combattere. In questo modo non possiamo fare nulla ed è snervante.»

«Molta gente spera il contrario, sta apprezzando quest’attesa, la sta usando per riprendersi dagli ultimi eventi» commentò Enzo, passandosi una mano tra i capelli.

«Lo so» rispose Damon, annuendo. «Ma non ce la faccio più ad aspettare.»

Enzo si voltò a guardarlo, osservò il suo profilo, la mascella contratta, gli occhi stanchi. Sulla porzione di collo scoperto non c’erano marchi –a parte quello di parabatai-, ma la pelle era piena di segni di quelli che c’erano stati e che erano svaniti. Le braccia e il torso erano coperte dai vestiti, ma sapeva che nemmeno lì ne aveva, a parte qualcuno. Non che gli servissero, in quegli ultimi giorni stavano vivendo praticamente una vita da mondani. Non vedevano un demone da una settimana e, se non fosse per le torri antidemoni che dominavano su Alicante, quella sarebbe potuta benissimo essere una normale cittadina. Non gli era nemmeno permesso di partecipare ai consigli. Ciò che in quel momento gli ricordava cosa e chi fosse, era la cintura intorno alla vita con la sua spada ed un paio di pugnali.

«Entriamo?» chiese Damon, fermandosi davanti all’armeria.

«Hai bisogno di qualcosa?»

«No, ma mi piace guardare le armi.»

Lo sapeva, Enzo, quanto gli piaceva, perciò annuì e lo accompagnò dentro. Salutarono la signora dietro il bancone che chiese loro se avessero bisogno di qualcosa. Damon rispose per entrambi e, con un sorriso, la ringraziò. Le diede poi le spalle iniziando ad ispezionare le varie spade messe una accanto all’altra, ognuna di diversa lunghezza, con una diversa elsa e un diverso spessore. Ne impugnò una per sguainarla davanti a sé, ma subito dopo la rimise al suo posto, mormorando un “la mia è migliore”. Enzo sghignazzò e lo seguì mentre oltrepassava gli archi e le frecce e si posizionava davanti ai pugnali. Ne prese uno e lo puntò al petto di Enzo, sorprendendolo. «Dovresti stare sempre in guardia, sai, amore mio?»

Enzo alzò le sopracciglia divertito. «Amore mio? Da quanto sei diventato romantico?» Damon scrollò le spalle e si girò, posando l’arma, ma ad Enzo non sfuggì il sorrisetto che gli si era aperto sul viso. Si avvicinò furtivamente a lui e, dopo aver controllato che la signora non li stesse guardando, gli posò una mano sul fianco e si avvicinò al suo orecchio. «Mi piace questa nuova parte di te.»

Damon si voltò con un accenno di sorriso e lo sguardo gli si soffermò sulle sue labbra. Sembrava volesse baciarlo, ma si tirò indietro e continuò a studiare le varie armi. Stavano per uscire dall’armeria, quando la proprietaria del negozio richiamò la loro attenzione. «Siete parabatai, non è vero?» I ragazzi annuirono contemporaneamente. Enzo dedusse l’avesse capito dal marchio sul collo. «Tenetevi d’occhio e proteggevi, soprattutto in questi giorni» si raccomandò, come fosse loro madre.

«Anche lei ha un parabatai?» chiese educatamente Enzo.

«No» rispose la donna. «Ma ho conosciuto persone che ne hanno uno. È il legame più forte che esista, non sottovalutatelo.»

«Non lo abbiamo mai fatto» rispose Damon, spostando poi lo sguardo su Enzo per un attimo. I tre si scambiarono sorrisi cordiali, poi i due ragazzi uscirono. «Perché pensi ci abbia detto tutto quello?»

Enzo scosse la testa. «Non ne ho idea.»

«Enz… tu ne sei sicuro, di tutto ciò? Di noi?» chiese Damon, infilandosi una mano tra i capelli dietro la nuca.

«Certo che ne sono sicuro. Non hai capito ciò che ti ho detto ieri?»

«Ma stiamo andando contro il Codice

Il più piccolo lo prese per un braccio e si fermò di fronte a lui. «Tu sei sicuro, Dam?»

«Sì, assolutamente» rispose senza esitazione.

«Allora lo sono anch’io. Sono disposto a rischiare per te, Damon. Rischio la vita praticamente ogni giorno con te, perché questo dovrebbe esser diverso? Perché dovrei aver paura?»

«Lo sai perché. Perché potrebbero toglierci i marchi ed è anche peggio della morte, per uno Shadowhunters.»

Enzo strinse la presa sul braccio del suo migliore amico e lo trascinò in un vicolo alla sua sinistra, allontanandosi il più possibile dalla strada. Quando si fermò rimase confuso notando l’impronta di due mani sul muro alle spalle di Damon, come se fossero state incise col fuoco1. Scosse la testa e tornò a guardare nei profondi occhi azzurri del ragazzo davanti a sé. «So quali sono i rischi e sono disposto a correrli, per te. So che non potremo mai farci vedere insieme, so che se ci scoprissero potrebbero toglierci i marchi, so che sarà difficile, ma non mi interessa.» Avvicinò il viso a quello di Damon tanto che le loro fronti e i loro nasi si toccarono. «Ti amo, Dam. Ti ho sempre amato, credo. Quindi sì, ne sono sicuro.»

Damon sospirò e prese il viso di Enzo tra le sue mani, per poi baciarlo con tanto trasporto da far rimanere senza fiato l’altro, che interruppe il bacio e rimase a respirare contro le labbra di Damon. Infilò le mani sotta la sua maglietta nera e gli accarezzò i fianchi, tornando a baciarlo dopo qualche secondo. Damon indietreggiò fino al muro dietro di lui per appoggiarcisi contro ed avere più stabilità mentre avvicinava il corpo di Enzo sempre di più al suo.

«Ti amo anch’io, Enz e ti prometto che farò di tutto per proteggerti.»

 



Avevano finito di cenare da un’oretta ormai ed Enzo era steso sul letto a guardare Damon che ripuliva le proprie armi. Lo aveva visto così tante volte fare quel lavoro che sapeva che gesto avrebbe fatto ancor di prima di vederglielo fare. Enzo lo trovava così bello, concentrato in un lavoro che adorava svolgere. Era perso ad osservare ogni suo lineamento, quando la voce del Console Jia Penhallow rimbombò per tutta la città.

«Nephilim.» Damon ed Enzo si guardarono preoccupati, ma anche elettrizzati. Quella non poteva che essere una notizia. Probabilmente cattiva, certo, ma pur sempre una notizia. Sospettavano si trovasse sul balcone della Guardia per far in modo che tutta Idris la sentisse. «Figli dell’Angelo, guerrieri, questa notte dobbiamo stare allerta, perché questa notte Sebastian Morgenstern guiderà le sue forze contro noi.»

Per Damon fu come una scossa di adrenalina. «Finalmente» sussurrò tra se e sé.

Jia continuò il suo discorso. «Sebastian Morgenstern sta cercando di distruggere ciò che siamo. Ci scaglierà contro guerrieri che hanno le nostre stesse facce, ma non sono Nephilim. Non potremo esitare. Quando li affronteremo, quando guarderemo gli Ottenebrati non potremo vedere i fratelli o le madri o le sorelle o le mogli, ma creature tormentate. Umani a cui è stata carpita ogni umanità. Noi siamo ciò che siamo perché la nostra volontà è libera, siamo liberi di scegliere. E scegliamo di resistere e combattere.» Damon si andò a sedere accanto ad Enzo sul letto e prese il proprio stilo. Il suo parabatai non fece domande e si spogliò della maglia, così che Damon avesse tutto lo spazio necessario per disegnargli qualsiasi runa. Ormai era tradizione per loro di disegnarsi le rune a vicenda prima di andare in battaglia, soprattutto perché sapevano che essendo parabatai, i marchi erano più potenti. «Scegliamo di sconfiggere le forze di Sebastian. Loro hanno l’oscurità; noi abbiamo la forza dell’Angelo. Il fuoco mette alla prova l’oro. In questo fuoco noi saremo messi alla prova, e brilleremo. Conoscete il protocollo; sapete cosa fare. Andate, figli dell’Angelo. Andate, e accendete le luci di guerra.»

Quando Damon finì di disegnare ogni tipo di runa utile sul corpo di Enzo, quest’ultimo fece lo stesso su Damon. Conoscevano le rune talmente bene, avendole disegnate così tante volte, che ci misero davvero poco a completare il lavoro. Una volta finito recuperarono la loro cintura e ci infilarono tutte le armi che sarebbero potute essere utili, la loro spada in primis. Stavano per uscire dalla camera quando, proprio davanti alla porta, si guardarono. Damon prese il viso di Enzo tra le sue mani e posò le labbra sulle sue. La prima volta era stato dolce, la seconda appassionato, ma questo bacio non era né l’uno né l’altro. Si baciarono per darsi forza, coraggio, per ricordarsi perché avrebbero combattuto da lì a poco. Si baciarono sapendo che sarebbe potuta essere l’ultima volta, ma speranzosi che sarebbe stata solo una delle tante altre che sarebbero venute.

In corridoio incontrarono i genitori di Damon, anche loro vestiti e pronti per combattere. «Ragazzi, aspettate un attimo» li chiamò Lily.

«Mamma per favor-»

«Lo so che niente e nessuno vi impedirà di prendere parte a questa guerra, non vi sto chiedendo di non andare. Solo… state attenti, okay? Per favore.»

I ragazzi annuirono e Lily posò un bacio sulla testa ad entrambi con fare materno, mentre Giuseppe li salutò con una pacca sulla spalla prima di uscire. Qualche secondo dopo anche Damon ed Enzo si chiusero la porta alle spalle, ma non fecero in tempo a fare due passi che un cavaliere delle fate in tenuta bianca gli si stanziò di fronte. Ma lui era da solo, mentre i ragazzi erano in due e con la rapidità fisica di Damon e la sveltezza mentale di Enzo, lo misero fuori gioco in pochi minuti. Si guardarono intorno. C’era ovunque gente che correva, che combatteva, qualcuno aveva già del sangue addosso, qualcuno era in panico, altri decisi a vincere. Si avviarono verso il centro di Alicante, dove con più probabilità ci sarebbe stato un maggior numero di guerrieri. Appena voltarono un angolo, trovarono un uomo a terra, ferito. Corsero da lui e Damon fu il primo a notare lo squarcio sulla gamba che lo teneva immobile sull’asfalto, ormai macchiato di sangue. Il ragazzo chiamò il signore, che rispose con un gemito di dolore. Damon non ci pensò oltre. Prese il suo stilo dalla cintura e iniziò a disegnare un iratze all’altezza del ginocchio del ferito. Enzo stava parlando con lui, cercando di rassicurarlo, quando notò un Ottenebrato venire verso di loro. «Ci penso io!» esclamò, lasciando Damon e dirigendosi verso lo Shadowhunters oscuro. La divisa rossa ricordava fortemente il sangue da cui aveva appena distolto lo sguardo, ma non lo intimidì. Sfoggiò la spada e si parò con quella da un affondo dell’uomo che si trovava di fronte, alto qualche centimetro più di lui e con due spalle decisamente più grandi. Riuscì a tenergli testa per un paio di minuti, il tempo che ci volle a Damon per lasciare tranquillo l’uomo, ora in forma migliore. Il suo parabatai lo affiancò, mettendo in difficoltà l’Ottenebrato. Nessuno dei due ne aveva mai visto uno prima ma si trovarono d’accordo con le parole di chi lo aveva fatto. Erano almeno il doppio più veloci e più forti. Enzo riuscì a ferirlo ad un fianco, ma non bastò. Anzi, quello rise e provò un altro colpo di spada, da cui riuscì a difendersi. Damon allora tentò di colpirlo alle gambe, per togliergli stabilità e, mentre Enzo attaccava, lo fece anche lui. Affondò la spada nella sua coscia destra, il che lo fece piegare sulle ginocchia. Non riuscì a vedere la reazione di Enzo e la sua successiva mossa, poiché un’altra figura rossa entrò nel suo campo visivo a qualche metro da lui, sulla destra. Estrasse un coltello dalla cintura e lo scagliò con forza, colpendolo alla gola. L’Ottenebrato si accasciò al suolo emettendo un urlo strozzato, inumano alle orecchie di Damon. Quando quest’ultimo si voltò di nuovo verso Enzo, notò che lo Shadowhunters oscuro era senza testa. «Complimenti» disse, con un mezzo sorriso.

Ma la risposta non fu quella che si aspettava. «Dietro di te!» urlò infatti il suo parabatai facendogli voltare la testa per notare un altro cavaliere delle fate.

«Ne hai anche tu uno dietro!» ribatté Damon prima di girarsi per fronteggiare l’uomo in bianco. Al contrario dell’Ottenebrato, era esile e della sua stessa altezza, ma era altrettanto rapido. Il ragazzo non fece in tempo a colpire, però, che questo cadde a terra, una freccia conficcata nel cranio. Scorse a qualche metro da lui l’uomo che aveva medicato in precedenza, che gli fece un cenno con la mano e corse via. Damon non poté che sorridere grato, prima di voltarsi ed aiutare Enzo, che però se la cavava bene. Era ferito all’avambraccio, ma non stava dando importanza alla felpa strappata, né al sangue che sgorgava fuori dal taglio. Damon si avvicinò e, mentre il guerriero fatato cercava di colpire Enzo, gli tirò un calcio nello stomaco, facendolo piegare in due. Tutto ciò che vide dopo fu una spada nel suo petto. Si soffermò a guardare il suo compagno. Il sudore gli imperlava la faccia e i capelli spettinati lo rendevano bellissimo. Non aveva mai visto degli occhi così determinati. Si stavano guardando da un paio di secondi, ma a Damon sembrò che il tempo si fosse fermato. Fin quando non vide di sfuggita qualcosa volare, per rendersi conto che fosse una freccia solo una volta essersi conficcata nella spalla di Enzo. Si voltò immediatamente alla sua sinistra, un cavaliere teneva l’arco con un ghigno. Damon lanciò il suo secondo pugnale e lo colpì in piena fronte, facendo crollare lui e il suo sorriso. «Enzo!» gridò poi, chinandosi sul ragazzo a terra dolorante, nella sua voce panico e terrore. Respirò, cercando di tornare razionale per capire cosa fare. «Okay, okay, calma. Ti estraggo la freccia, poi ti disegno un iratze e starai bene, okay?» Ma tutto ciò che ricevette da Enzo fu un urlo a denti stretti. «Questo farà male» disse poi, prendendo la freccia in una mano ed estraendola dal braccio del parabatai. Il gridò che uscì dalle sue labbra fu il suono più straziante che Damon avesse mai sentito. Per la prima volta in vita sua tutto quel sangue gli diede alla testa. Stava per tirare fuori lo stilo, quando lo sentì parlare. «Destra.» Non più che un ansimo, ma a Damon bastò. Si alzò immediatamente per trovarsi di fronte un altro Ottenebrato. Stavolta era una donna, ma Damon non esitò. Era troppo vicina per usare l’ultimo pugnale e sfruttare la sua impeccabile mira, così impugnò la spada. Sarà anche stato più stanco di quando si era scontrato con il primo Ottenebrato, ma in quel momento aveva tanta adrenalina in corpo come non ne aveva mai avuta. Doveva andare da Enzo, era quello il pensiero fisso. Così attaccò il più rapidamente possibile, così rapidamente da mettere in difficoltà anche uno Shadowhunters oscuro. Quando la giovane donna traballò, le diede il colpo finale, tagliandole la testa. Tutto ciò che fece dopo fu dettato da nient’altro che l’istinto. Buttò a terra la spada e si girò verso Enzo, che era a terra con gli occhi chiusi, una smorfia di dolore sul viso. Poggiò un ginocchio accanto al suo fianco ed uno tra le gambe aperte, per poi chinarsi sulla ferita aperta. «Enzo stai con me, sono qui, sono qui.» Prese finalmente il suo stilo e disegnò un iratze con quanta più concentrazione riuscì ad accumulare. Quando finì si mise lo stilo in tasca e prese tra le mani il viso di Enzo. «Guardami Enzo, apri gli occhi, ti prego» implorò Damon con la voce spezzata e una lacrima che gli rigava il viso. Quando il più piccolo li aprì tirò un sospiro di sollievo, mentre il suo cuore si alleggeriva velocemente. «Va meglio?»

«Sì.» Non fu altro che un sussurro quasi inudibile, ma Damon se lo fece bastare. Posò la propria fronte su quella di Enzo e gli sfuggì un singhiozzo, anche se non stava piangendo. Rimase in quella posizione non seppe quanto tempo, ma quando si sollevò fu per assicurarsi che non ci fossero altri nemici nelle vicinanze. Andò a recuperare velocemente la spada e mezzo minuto dopo notò un Ottenebrato che si avvicinava a lui. Era già pronto a combattere, quando questo crollò silenziosamente a terra senza fiatare. Senza che nessuno lo avesse colpito. Damon ne rimase stupefatto. Ma andò di nuovo verso Enzo per constatare le condizioni della sua ferita. Si era rimarginata quasi del tutto e fu un enorme sollievo per Damon vedere che il viso di Enzo aveva ripreso colore. I suoi occhi scuri adesso lo fissavano. «Come va?»

«Bene, il dolore è quasi svanito» rispose il ragazzo, cercando di alzarsi in piedi.

«Fermo» ordinò però l’altro, dolcemente. «Non c’è nessuno per ora, riprenditi del tutto visto che puoi.» Riprese lo stilo per tracciargli un'altra runa di guarigione sul braccio e la pelle tornò come nuova in qualche secondo.

«Sto bene ora Dam, davvero. Gli iratze funzionano, mi sento bene» lo rassicurò Enzo, mettendogli una mano sul braccio per convincerlo.

«Saresti pronto a combattere?»

«Assolutamente. Andiamo.»

Ma appena Enzo si alzò, Damon lo costrinse in un abbraccio che gli mozzò il respiro. «Per un momento ho pensato che ti avrei perso.»

Enzo lo strinse con altrettanta forza. «Ti avevo detto che non sarei andato da nessuna parte.»

Solo dopo quella risposta Damon ebbe il coraggio di lasciarlo andare per ricominciare a camminare. Ma per le strade gli unici Ottenebrati che videro furono quelli a terra senza vita. Molti di loro, si resero conto, non erano nemmeno feriti. «Ma che diamine è successo? Prima ne stavo per combattere uno ed è caduto senza che nessuno lo toccasse, ora questo.»

Arrivarono alla Guardia senza aver incontrato nessun guerriero nemico, ma solo Shadowhunters, alcuni feriti, altri contenti o sollevati. Molti confusi. Lì incontrarono l’Inquisitore, padre della famiglia Lightwood. «No, non so nemmeno io cosa stia succedendo, ma sembra che gli Ottenebrati siano tutti morti da un momento all’altro» stava spiegando ad una donna. «Possiamo solo sperare…»

«…nella morte di Sebastian» concluse Enzo.

L’Inquisitore sembrò udirlo, perché si voltò verso la loro direzione. Poi annuì. «Avrebbe senso.»

«Certo» ragionò Enzo. «È lui che li ha creati, no? È a lui che rispondono. Se lui muore, loro muoiono.»

«È quello che ho pensato anch’io, ma resta solo una teoria, per ora non possiamo esser sicuri di nulla. Credo sia una buona idea riunirci nella Sala degli Accordi. Perché non vi avviate tutti lì?» propose poi l’uomo. I due ragazzi e la donna annuirono, così, senza dire altro, si avviarono.

Fu davanti alla Sala degli Accordi che videro i genitori di Damon. Lui aveva pensato a loro da quando si erano alzati dall’asfalto e si erano incamminati verso la Guardia, ma non aveva nemmeno provato a chiedersi perché non li vedeva da nessuna parte, poiché sapeva quale ipotesi gli sarebbe venuta in mente e non voleva nemmeno considerarla. Così, appena incrociò gli occhi di Lily emise un sospiro di sollievo e lasciò Enzo per correre ad abbracciarla.

«Sto bene, piccolo, stiamo tutti bene» sussurrò lei al suo orecchio mentre lo cullava tra le sue braccia. Damon si allontanò da lei con un sorriso stanco per abbracciare il padre, che gli diede un paio di pacche sulla schiena. Enzo a quel punto li aveva raggiunti e aveva salutato entrambi i genitori di Damon, che poi lo abbracciarono come fosse loro figlio. «Sono così felice che ci siamo tutti. Per un momento ho temuto per il peggio» disse Lily, prendendo la mano del marito.

Damon ricordò Enzo inerme a terra, il sangue che fuoriusciva dalla sua ferita profonda e deglutì. Rivolse uno sguardo al suo parabatai, che capendo a cosa stava pensando gli cinse le spalle con un braccio per portarselo vicino e disse anche per lui: «Lo siamo anche noi.»



 

 

«Riesci a crederci che sia tutto finito?»

Damon ed Enzo erano nella stessa radura in cui erano andati due giorni prima, Damon con la schiena appoggiata ad un albero ed Enzo disteso, con la testa sulle sue gambe. Il più grande stava accarezzando i capelli di Enzo, guardando il cielo azzurro. Era quasi mezzogiorno e loro avevano il permesso di star fuori per un’altra ora, prima di dover tornare a casa per pranzare. Per ritrovare quell’esatto posto ci avevano messo una ventina di minuti, visto che la prima volta ci erano capitati per caso e fuggendo da una guardia.

«Sembra irreale» rispose Enzo. «Eppure è tutto qui. Ce l’abbiamo fatta, abbiamo vinto.»

«Già…» Damon abbassò lo sguardo sul suo parabatai. Ogni segno della guerra era svanito grazie agli iratze ed una bella dormita, ed ora sembrava come nuovo, sempre bellissimo. Si chinò per posare le labbra sulle sue ed Enzo, scorgendo il movimento, si sollevò un po’ per rendergli più facile l’azione. Fu un bacio dolce, che sapeva di tranquillità e di pace, che ne prometteva altri, uno di quei baci che ti fanno chiudere gli occhi e perderti in essi, che vorresti non finissero mai.

«Io e l’Inquisitore ci sbagliavamo» disse Enzo quando Damon tornò ad appoggiarsi all’albero. «Gli Ottenebrati sono morti perché era stata distrutta la Coppa Infernale, non ucciso Sebastian.»

«Beh, l’importante è che sia morto comunque, no?»

Enzo annuì sulle sue gambe. Rimasero in silenzio per un po’ ad ascoltare il silenzio di quel posto. Era raro per loro trovare del silenzio. Nell’istituto c’era sempre qualcuno che urlava, parlava, faceva rumore o correva e negli ultimi giorni ad Idris era stato il caos. Così si godettero quella meritata pace, insieme. «Dam, posso rivelarti una cosa?»

«Certo che puoi» lo assicurò Damon, senza smettere di accarezzargli i capelli appena lavati ed ancora un po’ umidi.

«Quando siamo arrivati alla Sala degli Accordi, ieri sera, e abbiamo visto i tuoi io ne sono stato immensamente sollevato, voglio dire, non avrei mai potuto non esserlo. Però una parte di me non riusciva –e non riesce tutt’ora- a smettere di chiedersi perché. Perché i tuoi genitori sono riusciti a sopravvivere ad una guerra e i miei sono dovuti morire per colpa di uno stupido demone? Non è giusto.» Arrivò a dire le ultime parole con la voce spezzata dalle lacrime imminenti.

«Enz vieni qui, tirati su.» Enzo fece come statogli detto e si sedette tra le gambe aperte di Damon, così che la sua schiena potesse appoggiarsi sul petto del suo parabatai. Si sentì circondare il corpo dalle braccia muscolose di Damon e il suo mento posarsi sulla sua spalla. «È del tutto normale che tu pensi questo. Non puoi sentirti in colpa per una cosa del genere, credo sia legittimo pensarlo, io farei lo stesso. Hai ragione a proposito dell’ingiustizia della cosa ma dovresti aver imparato che la vita, soprattutto quella da Shadowhunters, non è giusta. Nemmeno un po’.»

Enzo si abbandono completamente tra le braccia di Damon e si lasciò baciare la guancia, ricordando il modo in cui l’aveva fatto prima di baciarlo la prima volta. «Ti riferisci a noi?»

«Anche. Ciò che voglio dire è che dobbiamo abituarci, perché non saranno le ultime ingiustizie che riceveremo.»

«Ma staremo insieme, no? A me basta che staremo insieme, Dam. Potrà succederci di tutto, ma se sarai con me io starò bene.»

Damon gli prese il mento tra le dita e lo fece voltare così che potesse guardarlo. «Certo che sarò con te, Enz. Non potrei fare altrimenti» promise, lasciandogli poi un bacio sulle labbra.

«Ti amo Dam, ti amo così tanto.»

Damon sorrise sulle sue labbra, aprendo poi gli occhi e perdendosi per un po’ nel marrone dei suoi occhi. «Tanto da sfidare il mondo intero.»








1 L'impronta delle due mani notate da Enzo sono le mani di Jace. Nel libro lascia quell'impronta con il fuoco celeste, mentre sta baciando Clary. Mi sembrava carino inserire questo particolare.



Note: a chi è arrivato fin quaggiù vorrei dire prima di tutto grazie e poi che sono contenta che non abbia mollato, che abbia continuato a leggere fino alla fine, anche se la storia non lo ha convinto, anche se lo ha solo incuriosito, perché il solo fatto che voi siate arrivati fino alle note per me è un traguardo.
Ho messo in questa fanfiction il cuore e Francesca e Thea possono confermarlo. Vorrei ringraziare particolarmente queste due, la prima perché mi ha dato l'ispirazione e ogni informazione che mi mancava, perche mi ha supportata dall'inizio fino alla fine e perché ha creduto in me, sempre. La seconda perché non conosce la saga e pur di leggere un qualcosa ideato e scritto da me, si è fatta raccontare ogni minima cosa che l'avrebbe aiutata a leggere e non ha nemmeno idea di quanto questo significhi per me. Ci tengo a ringraziare anche Paola, per lo stesso motivo per cui ringrazio Thea.

Il mio terrore più grande è sempre stato, sin da quando ho iniziato a pensare alla trama di questa fanfiction, che risultasse banale. Spero di essere riuscita, perciò, a realizzare qualcosa che non lo sia, ma questo potete dirmelo solo voi. Quindi se volete lasciare un parere, anche piccolo, anche negativo, vi prego di lasciare una recensione, perché solo grazie a quelle potrò crescere e migliorare, solo grazie a voi che state leggendo questo.

Un bacio:)
  
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