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Autore: tableforone    11/09/2015    0 recensioni
Non è abbastanza ingenua da credere alle sue stesse scuse, ma nemmeno coraggiosa a sufficienza per ammettere il vero motivo. (3x06)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kate Murphy, Megan Hunt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ascensore si arresta e, mentre le porte scorrono e si aprono, si chiede cosa ci faccia qui.

Si chiede perché sia tornata indietro, perché non sia stato pesante fermare la macchina sotto l’edificio in cui lavora ogni giorno, anche se sono le dieci di sera.

Se lo chiede, ma non necessita di una risposta.

Non le capita spesso di farlo. Di andare da qualcuno spontaneamente. Di tornarci, in particolare, da qualcuno.

Soprattutto se non ha bisogno di qualcosa.

Eppure quando la vede ancora alla scrivania il suo passo si fa cadenzato, leggermente più veloce ma il più silenzioso possibile. La vede rigirare la penna tra le mani, la vede fissare i fogli davanti a sé senza davvero vederli.

Si appoggia allo stipite della porta senza fare rumore ed è strano, ma vederla da sola in mezzo all’obitorio deserto le fa realizzare quanto simili loro siano in realtà. Forse non amano nello stesso modo, ma rispondono al dolore in modo simile.

“Kate…”.

Non è stato intenzionale, ma la voce ha addolcito il suo nome molto più di quanto si fosse aspettata. E il viso di Kate scatta e torna a fuoco su di lei. Per qualche frazione di secondo è come se i suoi occhi non la riconoscessero, come se non capissero come avesse potuto essere stata lei a chiamarla.

Spera non le chieda spiegazioni, non saprebbe giustificare l’estrema riverenza con cui l’ha chiamata. È stata… fuori posto. Qualcosa di insolito in mezzo al suo essere.

“Megan, cosa ci fai qui a quest’ora?”. La vede raddrizzare la schiena, le mani abbandonano la penna e stirano leggermente la camicetta, i suoi occhi deviano mentre aspettano una risposta.

“Mi chiedevo se ti andasse ti andare a mangiare qualcosa, in realtà”.

Si rende perfettamente conto di quanto stupido sia come motivo – o scusa? – per venirla a cercarla qua. Lo sente, eppure è estremamente naturale rispondersi che sì, è abbastanza come ragione.

E lo rifarebbe.

Si giustifica dicendosi che Kate ha passato giorni pesanti e che non si sente di lasciarla sola dopo aver visto la sua fragilità e, allo stesso tempo, la forza che ha mostrato possedere. È riuscita a stupirla, entrando nella sala interrogatori in quel momento inopportuno. A farla sentire stranamente orgogliosa.

Guardando la sua figura piegata sul tavolo si era chiesta quanto condividessero in realtà i loro impulsi, quanto si somigliassero, anche se non aveva avuto modo di notarlo prima. Era come se Kate fosse… la sua versione tenuta sotto controllo.

“Megan, non sarebbe esattamente appropriato cenare con un sottoposto”, le risponde, lasciando chiaramente che il suo senso del giusto vinca l’impulso. “E, in realtà, non ho molta- ”.

Non le interessa, non le interessa, Kate comunque non sa opporsi a lei, non c’è mai riuscita. I suoi buoni propositi non bastano mai ad attenuare la fermezza di Megan, a mitigare la sua tenacia.

E comunque lei sta già attraversando la stanza, la costringe in piedi afferrandole una mano, ignorando i suoi commenti. Non ci pensa, perché, se lo facesse, noterebbe troppo quanto sia semplice passarle la borsa e tirarla con sé, stringere la presa delle dita senza voltarsi a guardarla, lasciare che le labbra sorridano appena sapendo che Kate non può vederle.

Lascia la presa una volta nell’ascensore, non si volta, ma una di fianco all’altra si guardano nello specchio e Kate scuote il viso, nasconde l’evidente smorfia della bocca abbassando gli occhi al pavimento.

“Devo ammettere che questa non è una cosa che succede spesso”, la sente mormorare prima di tornare a guardarla.

“Megan, tu riesci sempre a lasciarmi senza parole”.
 
 
“Togli le scarpe”.

È detto prima che possa ripensarci. Non può cancellarlo, così continua a camminare dandole le spalle, facendo finta di niente.

L’ha convinta a cenare a casa sua, non sa nemmeno perché. Non perché l’appartamento è tranquillo o perché così non avrebbero dovuto parlare in mezzo al mormorio di altra gente, come le aveva detto per persuaderla.

Non è abbastanza ingenua da credere alle sue stesse scuse, ma nemmeno coraggiosa a sufficienza per ammettere il vero motivo.

Lascia la borsa sul divano e si volta a guardarla. E Kate è immobile, bloccata sulla porta, sorpresa di fronte a lei.

“Kate, sfila le scarpe e la giacca”, ripete. E questa volta la vede avvicinarsi di qualche passo e copiare i suoi movimenti. Si allontana a prendere una bottiglia di vino mentre sente il rumore dei tacchi che vengono appoggiati a terra. Con la coda dell’occhio vede le mani di Kate raccogliere i capelli che le coprono la nuca e spostarli su una spalla, liberando il collo. Sfila la collana, mentre Megan stappa la bottiglia, il suono leggero del vino che viene versato nei due bicchieri riempie deliziosamente la stanza.

Le allunga un bicchiere quando Kate si avvicina, appoggia i gomiti al bancone e la ringrazia con un leggero sorriso.

Restano in silenzio, a sorseggiare il vino, a osservarsi. Megan traccia con gli occhi il profilo della bocca e del collo, le lentiggini che compaiono dalla scollatura, e deve forzarsi a distogliere l’attenzione per non proseguire verso il basso.

“Megan, c’è qualcosa che vuoi dirmi?”, le chiede mentre Megan si volta per preparare qualcosa, nascondendosi, dandole la schiena. “Non che non apprezzi tutto questo, ma la situazione è piuttosto inusuale e tu sei incredibilmente silenziosa, dovrei preoccuparmi?”.

Scuote leggermente il viso, prima di risponderle senza voltarsi, lasciando trasparire il sorriso nella voce. “Ignorerò questo commento soltanto perché hai avuto una giornata pesante”.

“Apprezzo che tu abbia tutti questi riguardi nei miei confronti stasera, ma, davvero, non ce n’è motivo. Se mi hai invitata per tentare di farmi sentire meglio, sappi che non ce n’è bisogno. Ora so che Sergei aveva buone intenzioni, questo mi basta. Anzi, lo ammiro per quello che ha fatto…”.

“In realtà…”, tenta quando Kate aggira l’isola e le si avvicina, appoggiando il bicchiere sul bancone di fianco al suo. “Volevo chiederti scusa”.

Vede Kate raddrizzare le spalle e sorridere sorpresa, il suo corpo vicino al suo più del necessario. La differenza d’altezza le rende estremamente facile guardarle le labbra e sentirsi leggermente sopraffatta da lei.

“Questo è un evento, e ho paura a chiederti perché, sinceramente”.

“Per come mi sono comportata negli ultimi giorni”, ammette. Ma Kate non capisce, è evidente, ed è costretta a fare un passo indietro per pensare, la vicinanza potrebbe farla agitare ulteriormente.

“Per il fatto di aver tentato in ogni modo di interromperti con… con lui. Non avrei dovuto, non ne avevo il diritto”. Si appoggia al bancone opposto con la schiena, osserva la sua reazione ma non vede che una semplice scossa di spalle.

“Megan, è nella tua natura infastidire gli altri, no? Ormai ci sono abituata, e io sono uno dei tuoi obiettivi preferiti, dopotutto”. Le sorride, apertamente, prima di bere di nuovo, e lei si rende conto che Kate sta fraintendendo le sue parole, le sta alleggerendo.

Non capisce, non sente il peso di quello che le sta dicendo, non si rende conto di quello che le sta confessando.
“Anche io pensavo fosse dovuto a quello, all’inizio”, precisa prima di passarsi una mano sul volto, col solo scopo di distrarla e guadagnare qualche secondo.

“E non lo era, Megan?”.

Alza il viso quando sente che non c’è più leggerezza nella voce di Kate, il suo tono è preoccupato, ma la sollecita facendo qualche passo verso di lei. E a lei manca quasi l’aria, la vorrebbe pregare di non avvicinarsi, ma resiste perché una reazione emotiva renderebbe tutto ancora più difficile.

“Era gelosia”.

E Kate non avanza più, si blocca a qualche passo da lei, schiude le labbra ma non riesce a rispondere. E Megan vorrebbe rimangiarsi tutto, tornare indietro e non invitarla, reprimere il bisogno stupido di confessarglielo. Invece incrocia le braccia al petto per tentare di ignorare l’impulso di prenderle le mani e avvicinarla.

“Gelosa... di...?”.

“Di te”, precisa. “Di te. Anche se non pensavo fosse possibile. Ho notato come lo guardavi, nella sala autoptica. E, all’inizio, credevo che il mio astio fosse dovuto al suo essere... misterioso. E al tuo essere così sfacciata, anche se era soltanto una sensazione. Ma qualcosa era diverso: lui non era Todd, e il mio non era il comportamento che un’amica avrebbe normalmente avuto. Penso di aver capito cosa stavo provando solo dopo la proposta di Tommy di farti tornare in hotel da lui”.

“Mi hai sorpresa, in effetti”.

“Non mi preoccupo mai per nessuno, Kate. Non mi preoccupo nemmeno per me quando si tratta di pericoli. L’unica eccezione è Lacey, e quello era il tono che uso con lei. Quando ho sentito di averlo usato con te, ho capito che qualcosa era effettivamente fuori posto, la mia reazione era sproporzionata al nostro tipo di rapporto. O forse era il tipo di rapporto a essere inesatto”.

Riesce a guardarla, alla fine, e adora – adora – come Kate schiude le labbra, come le analizza il viso, come le serva qualche secondo prima di guardarsi intorno, fare un altro passo e appoggiarsi al bancone di fianco a lei, come si voltano l’una verso l’altra e si sorridono.

“Da quanto tempo, Megan?”.

Sembra- incredibilmente semplice. Il modo in cui Kate stia accettando tutto questo.

Molto più di quanto avesse previsto, molto più di quanto sarebbe se lei... non provasse lo stesso?

“Non ne ho idea. Qualcosa è successo durante l’epidemia. Qualcosa che ho coperto con l’amicizia, con la convinzione di voler essere semplicemente di conforto. Ma non ci ho fatto caso fino a... Sergei, cioè il primo per cui hai mostrato interesse dopo il Marburg... forse sto soltanto- esagerando, forse mi sto auto convincendo e amplificando un sentimento diverso...”.

“È quello che pensi? Che tu stia fraintendendo le tue emozioni?”.

“No”.

La vede annuire lentamente, e, con cautela, e riverenza, allungare una mano e sfiorarle il collo. È solo un istante, un momento di passaggio prima di spostarle i capelli da viso, ma la gentilezza del gesto le fa mancare il respiro. Non c’è provocazione nei suoi modi, non frenesia nella sue mani.

Niente che possa farle credere di sbagliarsi.

La spaventa, anzi, come non senta il bisogno di prendere il controllo con Kate. Come, per la prima volta, non sente di dover mettere in chiaro che è lei a condurre. È evidente che non lo sia, ma non deve nemmeno mentire e auto convincersi di esserlo. Accetta, con estrema facilità, il nuovo ruolo.

“Non voglio mentirti, Megan. Non posso dirti di essere innamorata di te, non per adesso, perché non credo che sia quello che provo. Ma qualcosa c’è e c’è stato da sempre. Forse il tuo essere così ostinata... è una continua sfida con te, ed è- estenuante, davvero. Ma tu non sei mai stata accondiscendente con me come chiunque altro e forse è questo che ti rende tanto interessante. Ti ammiro, Megan. E a volte non ti sopporto, sei così estremamente frustrante... Ma sapevo fin dal primo giorno che, se, per qualche strano motivo, tu avessi fatto un passo avanti, non sarei stata in grado di tirarmi indietro. Non ne sono emotivamente capace”.

“Questo non è molto positivo, Kate”.

E lei ride appena, facendola sorridere di rimando, mentre Kate sposta le attenzioni al bordo del suo viso, lungo la linea dei capelli. Il suo modo di sfiorarla è assolutamente diverso da qualsiasi altro abbia mai provato prima, la leggerezza delle sue dita non ne diminuisce comunque l’intensità.

Sente Kate avvertirla di allontanarsi, nel caso ne senta l’impulso.

È grata della via di fuga che Kate le ha appena concesso, del fatto che riconosca il suo timore, ma il suo viso si sta facendo ancora più vicino e, al contrario, senza pensarci, si allunga e le bacia la bocca. 
  
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