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Autore: HolyBlackSpear    12/09/2015    2 recensioni
La bella regione della Mega Evoluzione, in antichità, non è sempre stata rigogliosa e pacifica come oggi. Teatrino di guerre e conflitti, il suo passato ha molto più da raccontare di quanto in realtà non sia scritto sui libri di storia o inciso nella memoria delle persone.
Perché ciò che va oltre la comprensione umana sparisce nel tempo, la certezza presto diventa la mera proiezione dell'onirico. Ci sono però delle anime, dei ricordi rinchiusi nel cuore della mente, che non sono ancora pronti ad andarsene, che resistono strenuamente e che presto si desteranno.
Un figlio sacrilego, un’antica profezia, il divino che si confonde all'umano, giudice e giudicato che si fondono in un unico errore.
Benvenuti nella Kalos di 3000 anni fa.
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Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Elisio, Professor Platan
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Videogioco
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bellum coffcoff Parole: 2591

Bellum.
{Nera la lama distruggerà.}
.
.

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Il Re benevolo depose la corona di spine,
nel tempo in cui i fiumi piangevan corpi.
Mostro si fece nel petto esanime,
vacillò la bilancia sotto agli scontri.

C'era un uomo, sì,
che avrebbe portato la bella eternità ...


Qualcuno bussò alla porta della libreria, interrompendo la lettura piena d'ardore del ragazzo. Tale movimento contro al legno scuro di noce produsse un rimbombo simile a quello di una campana, spandendosi nel vuoto quasi etereo della stanza.
Il giovane chiuse il libro con un tonfo sordo, apprestandosi a riporlo in tutta fretta. Così piccolo, faceva fatica ad arrivare agli scaffali più alti, e dovette arrampicarsi di fortuna sulla struttura fragile di un scala malmessa per poter infilare il volume al suo posto. Appena in tempo prima che le due guardie reali facessero il loro ingresso, senza nemmeno aspettare la sua autorizzazione.
Ritti in piedi, i due Bisharp lo fissarono incrociando le braccia, attendendo pazientemente che li seguisse come ormai era nella regola. Gli umani non li mandavano neanche più, ormai, quando spariva. Lasciare scoperta la sala del trono sarebbe stato troppo pericoloso, di quei tempi. Ma di che tempi si trattasse, questo non lo sapeva nessuno.
La simil mano del Pokémon gli si poggiò delicatamente fra le scapole quando si avviò senza nemmeno provare a controbattere verso la loro direzione. Uno di loro era una femmina, aveva sentito. Si chiese se fosse sua la mano che aveva sulla schiena, o del temibile Bisharp a guardia del trono. Quello, si diceva, era un combattente di valore. Non esitava ad uccidere per proteggere, e metteva la propria vita sempre sul filo del rasoio, anche nelle missioni più difficili. In entrambi i casi, trovò divertente che due spadaccini del loro calibro fossero stati mandati a ripescare un bambino dispettoso.
Forse avrebbe smesso di entrare in libreria. Con ogni probabilità già lo odiavano per tutte le volte in cui li aveva fatti scomodare.

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Stesa fra le coperte nere della stanza la donna si rigirava da mezz'ora buona, evidentemente indecisa se svegliarsi per davvero o continuare a crogiolarsi nel sonno.
Con i fianchi appoggiati al davanzale della finestra aperta l'uomo non si preoccupava del freddo pungente che gli sferzava la schiena, fintanto che poteva sentirsi così vivo. Ciò che gli era stato concesso - o che si era preso, a seconda dei punti di vista - andava ben oltre quello che aveva sempre sperato. Un dono così bello e generoso da farlo quasi resistere alla tentazione.
Ma la sua indole non poteva essere nascosta. Sorrise in qualche modo soddisfatto, quando la donna si tirò la coperta fin sulla testa, battendo i denti per il freddo. Era così piacevole, vederla soffrire un po'. Per tutta la sua esistenza l'aveva guardata impassibile, ben vestita nella sua ricchezza. Detestava ammetterlo, ma il suo squallore non era mai stato equiparabile allo sfarzo lussureggiante della sua amante.
Com'era divertente, ripensare a ciò che era successo. Il risultato del loro amore, se così avrebbero potuto chiamarlo, sarebbe stato sconvolgente, o non avrebbe mai visto la luce?
Un lercio topo di fogna come lui avrebbe avuto la grazia di un bellissimo fiore come quella femmina nascosta fra le lenzuola?

__


Lo stesso ragazzo che andava intrufolandosi da piccolo in qualsiasi meandro nascosto del palazzo aveva ora affinato la tecnica con l'avanzare dell'età e lo sviluppo del corpo.
Silenzioso come un'ombra, aveva imparato a vagare per i corridoi della tenuta senza muovere un solo alito d'aria, seguito dal fidato Pokémon che si adoprava per non lasciar tracce a propria volta.
Non diversamente da un altro giorno, il suo modus operandi si ripeté con lo stesso schema fisso: aspettava il cameriere che arrivava dall'ultima stanza a sinistra, prima di imboccarsi nel corridoio adiacente a quello in cui si celava non appena l'uomo svoltava l'angolo. Dopodiché avrebbe preso la rampa di scale che puntava verso il basso, scivolando nel suo intrico a chiocciola senza fare il minimo rumore. Quei gradini, con ogni probabilità, non erano in uso da molto tempo.
La vera incognita, però, giungeva quando metteva piede nel sotterraneo.
Unica zona del castello non ancora esplorata, c'era sempre qualcosa che lo tratteneva dallo spingersi fino in fondo. Il problema principale era rappresentato dalla presenza della porta d'ingresso, enorme e difficile da aprire senza la chiave originale. L'unica volta in cui era riuscito a varcarla era stato per dimenticanza del Klefki che aveva in custodia le varie chiavi del palazzo, e non era stata un'esperienza esattamente entusiasmante. In primo luogo perchè era stato chiuso dentro dall'esterno, ma soprattutto perchè il posto non era illuminato.
Quella volta se l'era cavata con un buon colpo di fortuna e un grosso spavento. Il Pokémon l'aveva fatto uscire, seppur stizzito, promettendo di tacere sull'accaduto solo a patto di un'ingente fornitura di bacche che ancora adesso gli veniva recapitata in stanza direttamente dalle cucine.
Nonostante il brutto ricordo che lo avrebbe accompagnato per tutta l'esistenza, tuttavia, niente riusciva mai a fermarlo dallo scendere ogni volta quelle scale, nella vana speranza che, come quel giorno, la porta fosse stata dimenticata aperta. Allora, in tal caso, avrebbe trovato il coraggio di prendere in mano la chiave, far scattare la serratura dall'interno, e ordinare al proprio compagno di fare luce con il suo fuoco, e poi...
«Padrone.»
Il suono secco di una voce ruppe il silenzio della sua camminata, facendolo sobbalzare proprio quando stava per avventurarsi lungo la scalinata oscura. Girarsi quasi non servì, tanto bene conosceva chi aveva parlato. Parlato nella mente.
Ritto nella propria forma, le mani incrociate pigramente dietro lo scudo rotondo, Aegislash stava aspettandolo immobile, fluttuando a qualche centimetro da terra. L'unico occhio dalla pupilla bianca sembrava quasi annoiato, per quando fosse irremovibile nel silente avviso che gli aveva mandato.
Pyroar dimenò la coda contro alla propria gamba, salutando il suo simile con un basso ringhio. La spada spettrale, di rimando, spostò una delle sue mani per andare ad accarezzarlo sulla criniera. Scottarsi sarebbe stato impossibile, essendo incapace di sentire il calore o il freddo.
«Scusami, Aegislash. So che è rischioso, hai ragione.»
«Dovreste scusarvi con il re, non con me. È lui che vi vuole proteggere.»
Per qualche motivo, né il tono in cui lo disse ne lo sguardo del Pokémon parvero convinti.
Quell'Aegislash era stato, a suo tempo, un magnifico Honedge. Un rituale prevedeva che ai giovani di nobile lignaggio fosse donato un uovo senza conoscerne la provenienza. A seconda di cosa fosse uscito da esso si avrebbe avuto un buon presagio per il futuro del giovinetto e la sua famiglia, o l'avviso di un'imminente disgrazia pronta ad abbattersi sul casato. L'Honedge che era uscito dal suo uovo avrebbe, tecnicamente, dovuto presagire un buonissimo futuro: essi rappresentavano la nobiltà d'animo e il cuore puro dei sovrani. Rarissimi, all'epoca, in cattività, erano coloro che si associavano ai futuri re e imperatori, quelli degni di ricoprire tale carica, i prescelti per fregiarsi di tale, importantissimo titolo.
Eppure, nessuno al castello era parso entusiasta di vedere un piccolo dai capelli rossi correre ovunque esibendo il nuovo nato Pokémon. Tutti, al contrario, erano impalliditi, mostrando silenziosamente il proprio sgomento.
Come il resto delle persone, lì a palazzo, anche lui sembrava conoscere qualcosa che il ragazzo non sapeva. Più nello specifico, il motivo per cui gli era sempre stato vietato di entrare in quasi la metà delle stanze del maniero.
«Non fare domande. Non risponderei e lo sai.»
Un dettaglio abbastanza spiacevole che avevo acquisito soprattutto con l'evoluzione era stata la capacità di leggere nel pensiero, oltre che comunicare tramite esso. Era anche in grado di manipolare la sua volontà, a dire il vero, ma non si era mai azzardato a violare il suo libero arbitrio.
«Se non ti piace dovresti imparare a pensare alle donne quando ti ronzo attorno. Smetterei di interessarmi a cosa ti frulla per la testa all'istante.»
«Aegislash, fuori dalla mia testa. Ora.»
Il Pokémon parve divertito, a giudicare dallo sguardo d'intesa che lanciò al Pyroar. Poi scrollò le spalle sottili, dandogli la schiena e avviandosi lungo il corridoio nella direzione opposta alla sua.
«Ogni suo desiderio è un ordine, padrone.»
Nella sua testa proruppe una lieve risata, e non poté fare a meno di sorridere di fronte al sarcasmo che aveva affinato nel corso dei tanti anni passati assieme.
Poco prima che il Pokémon sparisse in una folata di vento, tuttavia, si girò un'ultima volta verso il rosso, fissandolo con intensità negli occhi. Era tornato serio e gelido come una lastra di ghiaccio.
«Il re vuole vederti. Faresti meglio a correre, perché ha detto che era urgente.»

__

 

Quando Aegislash ti avvisava di qualcosa in modo tanto secco non c'era veramente tempo da perdere. Sia lui che Pyroar non avevano perso un istante per precipitarsi verso la sala del trono, tallonando il tempo mentre si districavano del labirinto infinito dei corridoi. Da piccolo si era spesso perso fra di essi, incapace poi di tornare indietro senza l'aiuto di qualcuno. Ora, grazie al cielo, li aveva memorizzati. Un punto a proprio favore durante le sue fughe in extremis dalle proprie incursioni non autorizzate.
Il salone principale che dava accesso alla sala del re pullulava di persone di ogni sorta di lignaggio e superiorità. Dame delicate come fiori ma velenose come Seviper parlottavano concitatamente dietro il movimento ipnotico dei loro ventagli variopinti. Lord di varie province si stringevano le mani con sguardo grave, altri si passanovo sacchetti di cuoio in tutta segretezza. Il tintinnio inudibile in mezzo al caos della folla non avrebbe dato dubbi sul contenuto di esse. Pokémon aristocratici si crogiolavano, annoiati, ai piedi dei proprietari troppo presi dai pettegolezzi o dagli affari per badare a loro.
Al suo passaggio, la ressa di persone accalcate le une contro le altre si aprì, spalancandogli la via. Il silenzio cadde con prepotenza nella sala, riversandosi in essa come un'improvvisa ondata d'acqua, che immerge tutto senza riguardi. L'unico rumore che si udì, per qualche secondo, fu il rimbombare dei tacchi contro al marmo scuro del pavimento. Poi la porta che lo separava dal re suo padre venne spalancata, stroncando a metà la voce dell'uomo proprio mentre pronunciava una parola decisamente pericolosa.
Guerra.

__


La sala era riccamente decorata, degna dell'uomo che vi sedeva al centro. L'immenso trono d'oro torreggiava su tutto, fulgido come una stella nei propri decori imperiali. Serperior, viticci d'edera che simboleggiavano l'eternità e un Aegislash proprio sopra alla testa del re erano stati modellati del lussuoso metallo, facendo apparire chi vi sedeva come un vero e proprio emissario del cielo.
Quando il principe fece irruzione della stanza, il cuore del giovane servitore ebbe un improvviso sussulto. Ignaro delle occhiatacce dei suoi colleghi che lo intimavano a starsene fermo e ritto neanche fosse una statua, non poté fare a meno di spostare lo sguardo da un estremo all'altro della sala, valutando quanto fossero diverse le bellezze di padre e figlio.
Il primo sedeva fieramente nella sua poltrona d'onore, avvolto in drappeggi porpora, neri e bianchi; un grosso diadema dorato, impreziosito da varie gemme, gli correva intorno al capo. I capelli scuri, con suo sommo dispiacere, stavano mostrando i primi segni della vecchiaia, tingendosi di quella tonalità canuta che le donne reali tanto rifuggivano. La moglie, in compenso, per nascondere tale difetto di cui soffriva anche lei, era già ricorsa alla parrucca.
Il viso non era decisamente bello, con le sue forme poco eleganti, ma attirava per qualche motivo l'attenzione. Il naso era troppo lungo rispetto al resto del viso, gli occhi erano troppo sottili e le sopracciglia troppo folte. Il labbro superiore praticamente non esisteva, e la lunga barba nera stonava contro allo sguardo grigio tutto sommato ancora giovane.
Il figlio, invece, pareva a confronto quasi adottato. Nelle sue forme di ragazzo che sta diventando uomo appariva come un bellissimo fiore in procinto di sbocciare nella propria vera bellezza. Ogni tratto di lui era elegante e fine, quasi scolpito dal migliore artista. Non c'era difetto, ai suoi occhi, nei suoi capelli color fuoco che sfidavano il cielo puntando verso l'alto, o nel viso squadrato spruzzato di efelidi che andavano sparendo. Ciò che gli piaceva di più, tuttavia, ciò che lo faceva restare ogni volta senza respiro, erano gli occhi. Due pezzi di ghiaccio dello stesso colore del cielo, piazzati in mezzo al viso nel perfetto rispetto delle proporzioni ideali. Le lunghe ciglia castane che li incorniciavano gli accarezzavano le guance ogni qual volta si inchinava al cospetto del padre. Quel giorno non successe.
Immobile al centro della stanza, attorniato dai servitori che si fecero mprovvisamente più rigidi, fissò senza una parola il sovrano, astenendosi dal rituale che prevedeva di inchinarsi di fronte a lui in ogni occasione, prima di rivolgergli la parola. Sfidò coraggiosamente l'etichetta, aprendo la bocca senza nemmeno essere interpellato, suscitando un mormorio di costernazione nell'ingente di folla di spettatori di cui faceva parte.
«Mi è stato comunicato che volevate parlarmi urgentemente, padre.»
«È così, figlio. Ma dimmi, la fretta ti ha fatto dimenticare le buone maniere?»
La voce dell'uomo non era cattiva, ma giunse ugualmente come una pugnalata fredda. Una ragazza al suo fianco trattenne il fiato, mentre un tizio dietro di lui imprecò a bassa voce. Una frecciatina simile era difficilmente ignorabile.
Il giovane, invece, non parve minimamente turbato dalle parole del padre, e resse il braccio di ferro senza demondere. Per la precisione, in realtà, lo ridusse al silenzio.
«Se il mondo stesse crollando non perderei certo tempo a inchinarmi. Non sviate oltre, siate diretto nella vostra parola.»
Una risposta simile da parte di qualcun altro sarebbe costata qualcosa come una cinquantina di frustate. Il re invece si limitò ad annuire, dopo essere rimasto sbigottito quando il resto delle persone. Con ogni probabilità, gli avrebbe dato una lezione verbale quando ne avrebbe avuto una nuova occasione.
«Ebbene, ecco la notizia: la nostra nazione espanderà i propri confini. Invaderemo la regione a noi confinante, conquistando tale territorio. Mio fratello, povero pazzo, è caduto in rovina anni fa. È tempo che riconosca la propria scarsa predisposizione al trono e lasci a me il dovere di governare su un regno tanto vasto e rigoglioso. Non siete d'accordo?»
Lo sguardo del re passò sui suoi sudditi, accarezzandoli come si fa con un animale per ammansirlo e tenerselo fedele. Tutti annuirono, ci fu chi esultò, chi urlò frasi come "lunga vita al nostro re". Lui, invece, rimase in silenzio, esattamente come parve fare il principe. L'unica differenza fra loro fu che la mascella imberbe del rosso si contrasse bruscamente.
«Pertanto, figliolo, volevo metterti al corrente del fatto che presto raggiungerai la maggiore età e che, con tale avvento, non ti sarà più concesso di sfuggire agli impegni di corte che hai sempre messo da parte. Non appena compirai diciott'anni verrai istruito come un capo dell'esercito e prenderai parte alle battaglie che io guiderò da qui qual'ora se ne presentasse la necessità. Inoltre sarai tu a dirigere la strategia di guerra, assieme a me, per prepararti al futuro compito che ti attende. Non durerò in eterno.»
Tale notizia, nel suo cuore, fiorì come un bellissimo avviso. Non certo perchè augurasse la morte al proprio sovrano, si intende, ma perché sarebbe stato fiero di vivere sotto al comando di un uomo dall'ingegno tanto fine ed istruito quanto quello del principe.
Nel resto della sala, tuttavia, cadde un profondo silenzio. Lo stesso Pyroar del nobile, rimasto docilmente seduto a fianco del padrone senza muovere un muscolo, alzò gli occhi verso la miriade di spettatori, percependo l'anormalità di tale reazione.
L'unica frase che colse, in un sussurro a malapena udibile, lo lasciò in qualche modo in allarme.
Nera la lama distruggerà.
__

 

{Post Scriptum:
Non mi sarei mai aspettata che questa storia vedesse la luce, ma ... alla fine mi sono decisa a scriverla. Da troppo tempo mi ronzava in testa, ed era assurdo continuare a rimuginarla e rigirarla senza produrci qualcosa di serio.
Che dire, quindi? Un primo capitolo pieno di interrogativi e misteri. Posso solo dirvi che verranno tutti sbrogliati, nel corso della storia, e che tutto avrà una spiegazione, alla fine.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di leggere anche il seguito, affezionandovi a poco a poco a questo mio prodotto più unico che raro (non è una oneshot coffcoff)
Ci vediamo presto con il secondo capitolo! Spero che siate abbastanza pazienti da attenderlo!

Bellum
= Guerra


   
 
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