{Nera la lama distruggerà.}
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Il Re benevolo depose la corona di spine,
nel tempo in cui i fiumi piangevan corpi.
Mostro si fece nel petto esanime,
vacillò la bilancia sotto agli scontri.
C'era un uomo, sì,
che avrebbe portato la bella eternità ...
Qualcuno bussò alla porta della libreria, interrompendo la lettura piena
d'ardore del ragazzo. Tale movimento contro al legno scuro di noce produsse un
rimbombo simile a quello di una campana, spandendosi nel vuoto quasi etereo
della stanza.
Il giovane chiuse il libro con un tonfo sordo, apprestandosi a riporlo in tutta
fretta. Così piccolo, faceva fatica ad arrivare agli scaffali più alti, e
dovette arrampicarsi di fortuna sulla struttura fragile di un scala malmessa
per poter infilare il volume al suo posto. Appena in tempo prima che le due
guardie reali facessero il loro ingresso, senza nemmeno aspettare la sua
autorizzazione.
Ritti in piedi, i due Bisharp lo fissarono incrociando le braccia, attendendo
pazientemente che li seguisse come ormai era nella regola. Gli umani non li
mandavano neanche più, ormai, quando spariva. Lasciare scoperta la sala del
trono sarebbe stato troppo pericoloso, di quei tempi. Ma di che tempi si
trattasse, questo non lo sapeva nessuno.
La simil mano del Pokémon gli si poggiò delicatamente fra le scapole quando si
avviò senza nemmeno provare a controbattere verso la loro direzione. Uno di
loro era una femmina, aveva sentito. Si chiese se fosse sua la mano che aveva
sulla schiena, o del temibile Bisharp a guardia del trono. Quello, si diceva,
era un combattente di valore. Non esitava ad uccidere per proteggere, e metteva
la propria vita sempre sul filo del rasoio, anche nelle missioni più difficili.
In entrambi i casi, trovò divertente che due spadaccini del loro calibro
fossero stati mandati a ripescare un bambino dispettoso.
Forse avrebbe smesso di entrare in libreria. Con ogni probabilità già lo
odiavano per tutte le volte in cui li aveva fatti scomodare.
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Stesa fra le coperte nere della stanza la donna si rigirava da mezz'ora buona,
evidentemente indecisa se svegliarsi per davvero o continuare a crogiolarsi nel
sonno.
Con i fianchi appoggiati al davanzale della finestra aperta l'uomo non si
preoccupava del freddo pungente che gli sferzava la schiena, fintanto che
poteva sentirsi così vivo. Ciò che gli era stato concesso - o che si era
preso, a seconda dei punti di vista - andava ben oltre quello che aveva sempre
sperato. Un dono così bello e generoso da farlo quasi resistere alla tentazione.
Ma la sua indole non poteva essere nascosta. Sorrise in qualche modo
soddisfatto, quando la donna si tirò la coperta fin sulla testa, battendo i
denti per il freddo. Era così piacevole, vederla soffrire un po'. Per tutta la
sua esistenza l'aveva guardata impassibile, ben vestita nella sua ricchezza.
Detestava ammetterlo, ma il suo squallore non era mai stato equiparabile allo
sfarzo lussureggiante della sua amante.
Com'era divertente, ripensare a ciò che era successo. Il risultato del loro
amore, se così avrebbero potuto chiamarlo, sarebbe stato sconvolgente, o non
avrebbe mai visto la luce?
Un lercio topo di fogna come lui avrebbe avuto la grazia di un bellissimo fiore
come quella femmina nascosta fra le lenzuola?
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Lo stesso ragazzo che andava intrufolandosi da piccolo in qualsiasi meandro
nascosto del palazzo aveva ora affinato la tecnica con l'avanzare dell'età e lo
sviluppo del corpo.
Silenzioso come un'ombra, aveva imparato a vagare per i corridoi della tenuta
senza muovere un solo alito d'aria, seguito dal fidato Pokémon che si adoprava
per non lasciar tracce a propria volta.
Non diversamente da un altro giorno, il suo modus operandi si ripeté con lo
stesso schema fisso: aspettava il cameriere che arrivava dall'ultima stanza a
sinistra, prima di imboccarsi nel corridoio adiacente a quello in cui si celava
non appena l'uomo svoltava l'angolo. Dopodiché avrebbe preso la rampa di scale
che puntava verso il basso, scivolando nel suo intrico a chiocciola senza fare
il minimo rumore. Quei gradini, con ogni probabilità, non erano in uso da molto
tempo.
La vera incognita, però, giungeva quando metteva piede nel sotterraneo.
Unica zona del castello non ancora esplorata, c'era sempre qualcosa che lo
tratteneva dallo spingersi fino in fondo. Il problema principale era
rappresentato dalla presenza della porta d'ingresso, enorme e difficile da
aprire senza la chiave originale. L'unica volta in cui era riuscito a varcarla
era stato per dimenticanza del Klefki che aveva in custodia le varie chiavi del
palazzo, e non era stata un'esperienza esattamente entusiasmante. In primo
luogo perchè era stato chiuso dentro dall'esterno, ma soprattutto perchè il
posto non era illuminato.
Quella volta se l'era cavata con un buon colpo di fortuna e un grosso spavento.
Il Pokémon l'aveva fatto uscire, seppur stizzito, promettendo di tacere
sull'accaduto solo a patto di un'ingente fornitura di bacche che ancora adesso
gli veniva recapitata in stanza direttamente dalle cucine.
Nonostante il brutto ricordo che lo avrebbe accompagnato per tutta l'esistenza,
tuttavia, niente riusciva mai a fermarlo dallo scendere ogni volta quelle
scale, nella vana speranza che, come quel giorno, la porta fosse stata
dimenticata aperta. Allora, in tal caso, avrebbe trovato il coraggio di prendere
in mano la chiave, far scattare la serratura dall'interno, e ordinare al
proprio compagno di fare luce con il suo fuoco, e poi...
«Padrone.»
Il suono secco di una voce ruppe il silenzio della sua camminata, facendolo
sobbalzare proprio quando stava per avventurarsi lungo la scalinata oscura.
Girarsi quasi non servì, tanto bene conosceva chi aveva parlato. Parlato nella
mente.
Ritto nella propria forma, le mani incrociate pigramente dietro lo scudo
rotondo, Aegislash stava aspettandolo immobile, fluttuando a qualche centimetro
da terra. L'unico occhio dalla pupilla bianca sembrava quasi annoiato, per
quando fosse irremovibile nel silente avviso che gli aveva mandato.
Pyroar dimenò la coda contro alla propria gamba, salutando il suo simile con un
basso ringhio. La spada spettrale, di rimando, spostò una delle sue mani per
andare ad accarezzarlo sulla criniera. Scottarsi sarebbe stato impossibile,
essendo incapace di sentire il calore o il freddo.
«Scusami, Aegislash. So che è rischioso, hai ragione.»
«Dovreste scusarvi con il re, non con me. È lui che vi vuole proteggere.»
Per qualche motivo, né il tono in cui lo disse ne lo sguardo del Pokémon
parvero convinti.
Quell'Aegislash era stato, a suo tempo, un magnifico Honedge. Un rituale
prevedeva che ai giovani di nobile lignaggio fosse donato un uovo senza
conoscerne la provenienza. A seconda di cosa fosse uscito da esso si avrebbe
avuto un buon presagio per il futuro del giovinetto e la sua famiglia, o
l'avviso di un'imminente disgrazia pronta ad abbattersi sul casato. L'Honedge
che era uscito dal suo uovo avrebbe, tecnicamente, dovuto presagire un
buonissimo futuro: essi rappresentavano la nobiltà d'animo e il cuore puro dei
sovrani. Rarissimi, all'epoca, in cattività, erano coloro che si associavano ai
futuri re e imperatori, quelli degni di ricoprire tale carica, i prescelti per
fregiarsi di tale, importantissimo titolo.
Eppure, nessuno al castello era parso entusiasta di vedere un piccolo dai
capelli rossi correre ovunque esibendo il nuovo nato Pokémon. Tutti, al
contrario, erano impalliditi, mostrando silenziosamente il proprio sgomento.
Come il resto delle persone, lì a palazzo, anche lui sembrava conoscere
qualcosa che il ragazzo non sapeva. Più nello specifico, il motivo per cui gli
era sempre stato vietato di entrare in quasi la metà delle stanze del maniero.
«Non fare domande. Non risponderei e lo sai.»
Un dettaglio abbastanza spiacevole che avevo acquisito soprattutto con
l'evoluzione era stata la capacità di leggere nel pensiero, oltre che
comunicare tramite esso. Era anche in grado di manipolare la sua volontà, a
dire il vero, ma non si era mai azzardato a violare il suo libero arbitrio.
«Se non ti piace dovresti imparare a pensare alle donne quando ti ronzo
attorno. Smetterei di interessarmi a cosa ti frulla per la testa all'istante.»
«Aegislash, fuori dalla mia testa. Ora.»
Il Pokémon parve divertito, a giudicare dallo sguardo d'intesa che lanciò al
Pyroar. Poi scrollò le spalle sottili, dandogli la schiena e avviandosi lungo
il corridoio nella direzione opposta alla sua.
«Ogni suo desiderio è un ordine, padrone.»
Nella sua testa proruppe una lieve risata, e non poté fare a meno di sorridere
di fronte al sarcasmo che aveva affinato nel corso dei tanti anni passati
assieme.
Poco prima che il Pokémon sparisse in una folata di vento, tuttavia, si girò
un'ultima volta verso il rosso, fissandolo con intensità negli occhi. Era
tornato serio e gelido come una lastra di ghiaccio.
«Il re vuole vederti. Faresti meglio a correre, perché ha detto che era
urgente.»
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Quando Aegislash ti avvisava di qualcosa in modo tanto
secco non c'era veramente tempo da perdere. Sia lui che Pyroar non avevano
perso un istante per precipitarsi verso la sala del trono, tallonando il tempo
mentre si districavano del labirinto infinito dei corridoi. Da piccolo si era
spesso perso fra di essi, incapace poi di tornare indietro senza l'aiuto di
qualcuno. Ora, grazie al cielo, li aveva memorizzati. Un punto a proprio favore
durante le sue fughe in extremis dalle proprie incursioni non autorizzate.
Il salone principale che dava accesso alla sala del re pullulava di persone di
ogni sorta di lignaggio e superiorità. Dame delicate come fiori ma velenose
come Seviper parlottavano concitatamente dietro il movimento ipnotico dei loro
ventagli variopinti. Lord di varie province si stringevano le mani con sguardo
grave, altri si passanovo sacchetti di cuoio in tutta segretezza. Il tintinnio
inudibile in mezzo al caos della folla non avrebbe dato dubbi sul contenuto di
esse. Pokémon aristocratici si crogiolavano, annoiati, ai piedi dei proprietari
troppo presi dai pettegolezzi o dagli affari per badare a loro.
Al suo passaggio, la ressa di persone accalcate le une contro le altre si aprì,
spalancandogli la via. Il silenzio cadde con prepotenza nella sala,
riversandosi in essa come un'improvvisa ondata d'acqua, che immerge tutto senza
riguardi. L'unico rumore che si udì, per qualche secondo, fu il rimbombare dei
tacchi contro al marmo scuro del pavimento. Poi la porta che lo separava dal re
suo padre venne spalancata, stroncando a metà la voce dell'uomo proprio mentre
pronunciava una parola decisamente pericolosa.
Guerra.
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La sala era riccamente decorata, degna dell'uomo che vi sedeva al centro.
L'immenso trono d'oro torreggiava su tutto, fulgido come una stella nei propri
decori imperiali. Serperior, viticci d'edera che simboleggiavano l'eternità e
un Aegislash proprio sopra alla testa del re erano stati modellati del lussuoso
metallo, facendo apparire chi vi sedeva come un vero e proprio emissario del
cielo.
Quando il principe fece irruzione della stanza, il cuore del giovane servitore
ebbe un improvviso sussulto. Ignaro delle occhiatacce dei suoi colleghi che lo
intimavano a starsene fermo e ritto neanche fosse una statua, non poté fare a
meno di spostare lo sguardo da un estremo all'altro della sala, valutando
quanto fossero diverse le bellezze di padre e figlio.
Il primo sedeva fieramente nella sua poltrona d'onore, avvolto in drappeggi
porpora, neri e bianchi; un grosso diadema dorato, impreziosito da varie gemme,
gli correva intorno al capo. I capelli scuri, con suo sommo dispiacere, stavano
mostrando i primi segni della vecchiaia, tingendosi di quella tonalità canuta
che le donne reali tanto rifuggivano. La moglie, in compenso, per nascondere tale
difetto di cui soffriva anche lei, era già ricorsa alla parrucca.
Il viso non era decisamente bello, con le sue forme poco eleganti, ma attirava
per qualche motivo l'attenzione. Il naso era troppo lungo rispetto al resto del
viso, gli occhi erano troppo sottili e le sopracciglia troppo folte. Il labbro
superiore praticamente non esisteva, e la lunga barba nera stonava contro allo
sguardo grigio tutto sommato ancora giovane.
Il figlio, invece, pareva a confronto quasi adottato. Nelle sue forme di ragazzo
che sta diventando uomo appariva come un bellissimo fiore in procinto di
sbocciare nella propria vera bellezza. Ogni tratto di lui era elegante e fine,
quasi scolpito dal migliore artista. Non c'era difetto, ai suoi occhi, nei suoi
capelli color fuoco che sfidavano il cielo puntando verso l'alto, o nel viso
squadrato spruzzato di efelidi che andavano sparendo. Ciò che gli piaceva di
più, tuttavia, ciò che lo faceva restare ogni volta senza respiro, erano gli
occhi. Due pezzi di ghiaccio dello stesso colore del cielo, piazzati in mezzo
al viso nel perfetto rispetto delle proporzioni ideali. Le lunghe ciglia
castane che li incorniciavano gli accarezzavano le guance ogni qual volta si
inchinava al cospetto del padre. Quel giorno non successe.
Immobile al centro della stanza, attorniato dai servitori che si fecero
mprovvisamente più rigidi, fissò senza una parola il sovrano, astenendosi dal
rituale che prevedeva di inchinarsi di fronte a lui in ogni occasione, prima di
rivolgergli la parola. Sfidò coraggiosamente l'etichetta, aprendo la bocca
senza nemmeno essere interpellato, suscitando un mormorio di costernazione
nell'ingente di folla di spettatori di cui faceva parte.
«Mi è stato comunicato che volevate parlarmi urgentemente, padre.»
«È così, figlio. Ma dimmi, la fretta ti ha fatto dimenticare le buone maniere?»
La voce dell'uomo non era cattiva, ma giunse ugualmente come una pugnalata
fredda. Una ragazza al suo fianco trattenne il fiato, mentre un tizio dietro di
lui imprecò a bassa voce. Una frecciatina simile era difficilmente ignorabile.
Il giovane, invece, non parve minimamente turbato dalle parole del padre, e
resse il braccio di ferro senza demondere. Per la precisione, in realtà, lo
ridusse al silenzio.
«Se il mondo stesse crollando non perderei certo tempo a inchinarmi. Non sviate
oltre, siate diretto nella vostra parola.»
Una risposta simile da parte di qualcun altro sarebbe costata qualcosa come una
cinquantina di frustate. Il re invece si limitò ad annuire, dopo essere rimasto
sbigottito quando il resto delle persone. Con ogni probabilità, gli avrebbe
dato una lezione verbale quando ne avrebbe avuto una nuova occasione.
«Ebbene, ecco la notizia: la nostra nazione espanderà i propri confini.
Invaderemo la regione a noi confinante, conquistando tale territorio. Mio
fratello, povero pazzo, è caduto in rovina anni fa. È tempo che riconosca la
propria scarsa predisposizione al trono e lasci a me il dovere di governare su
un regno tanto vasto e rigoglioso. Non siete d'accordo?»
Lo sguardo del re passò sui suoi sudditi, accarezzandoli come si fa con un
animale per ammansirlo e tenerselo fedele. Tutti annuirono, ci fu chi esultò,
chi urlò frasi come "lunga vita al nostro re". Lui, invece, rimase in
silenzio, esattamente come parve fare il principe. L'unica differenza fra loro
fu che la mascella imberbe del rosso si contrasse bruscamente.
«Pertanto, figliolo, volevo metterti al corrente del fatto che presto
raggiungerai la maggiore età e che, con tale avvento, non ti sarà più concesso
di sfuggire agli impegni di corte che hai sempre messo da parte. Non appena
compirai diciott'anni verrai istruito come un capo dell'esercito e prenderai
parte alle battaglie che io guiderò da qui qual'ora se ne presentasse la
necessità. Inoltre sarai tu a dirigere la strategia di guerra, assieme a me,
per prepararti al futuro compito che ti attende. Non durerò in eterno.»
Tale notizia, nel suo cuore, fiorì come un bellissimo avviso. Non certo perchè
augurasse la morte al proprio sovrano, si intende, ma perché sarebbe stato
fiero di vivere sotto al comando di un uomo dall'ingegno tanto fine ed istruito
quanto quello del principe.
Nel resto della sala, tuttavia, cadde un profondo silenzio. Lo stesso Pyroar
del nobile, rimasto docilmente seduto a fianco del padrone senza muovere un
muscolo, alzò gli occhi verso la miriade di spettatori, percependo l'anormalità
di tale reazione.
L'unica frase che colse, in un sussurro a malapena udibile, lo lasciò in
qualche modo in allarme.
Nera la lama distruggerà.
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Non mi sarei mai aspettata che questa storia vedesse la luce, ma ... alla fine mi sono decisa a scriverla. Da troppo tempo mi ronzava in testa, ed era assurdo continuare a rimuginarla e rigirarla senza produrci qualcosa di serio.
Che dire, quindi? Un primo capitolo pieno di interrogativi e misteri. Posso solo dirvi che verranno tutti sbrogliati, nel corso della storia, e che tutto avrà una spiegazione, alla fine.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di leggere anche il seguito, affezionandovi a poco a poco a questo mio prodotto più unico che raro (non è una oneshot coffcoff)
Ci vediamo presto con il secondo capitolo! Spero che siate abbastanza pazienti da attenderlo!
Bellum = Guerra