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Autore: Fear    12/09/2015    2 recensioni
[ Drammatico, whump; sentimentale, spoiler! del diciassettesimo episodio – centric●Kurona/Nashiro | seconda classificata e vincitrice del "premio bittersweet" al contest La gara dei prompt indetto da Mokochan sul forum di EFP ]
Cit/: Il breve stelo s'ingarbugliava piano intorno alle caviglie, sbocciando in campanelli penduli che sfioravano i polpacci e il tessuto rovinato, innalzandosi da dove esso rivestiva le candide cosce, donando la magia a Nashiro fra le mani. Forse Kurona aveva lasciato che le foglie striate s'insinuassero sul fisico acerbo perché la sua illusione era quella che Nashiro si sarebbe risvegliata. [...]
A dirla tutta, Kurona avrebbe preferito darle uno schiaffo, cosicché il suo sguardo confuso l'avrebbe distinta un'ultima volta in un disperato miraggio, permettendo alla nero chiomata un conclusivo atto d'amore, baciandola a lungo sulle labbra di mughetto prima di augurarle buona fortuna in quel mondo marcio. Sì, perché successivamente Kurona l'avrebbe spinta via dall'uscio di un Paradiso precoce, inadatto a ospitare una forma d'arte floreale quale era lei. [...]
—✿ scritta perché Nashiro non c'era più, ma il sogno continuava; 2164 parole.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Yasuhisa Kurona, Yasuhisa Nashiro
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incest
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A s p e t t a n d o t i  c o m e  s e m p r e ;
Alterati dal lutto, i boccioli del dissapore germogliano
anche se il sole non splende su di essi. 






 

«It’s okay. It’s okay. It’s okay.
Seasons are changing
And waves are crashing,
And stars are falling all for us».


 

Kurona percorreva il viale della sopraffazione, dissimulando il viso con i capelli neri e le dita per non farsi riconoscere da Nashiro. Indossava una maschera di sorrisi distorti, un’organza d’apparenza regale che un tempo avvolgeva il triste risvolto della verità dei bronci della vita. Ora, questo era accanitamente tenuto segreto nei cristalli marini che oscillavano al margine degli occhi, che mentre la pupilla doleva se tentava di seguire la fuga della contentezza, guarniva un volto offuscato dall’ombra, quest’ultimo sua intelaiatura di nivea pelle e cercatore della metodologia sul come ripudiare la realtà senza riempirsi di lacrime. La rugiada salata colante da iridi d’ematite era presente perché Kurona non si arrendeva mai, perché era maldestra nel segregare tutto nel cuore, perché i fantasmi pesavano sulla sua piccola schiena, e al di sopra di ogni cosa perché sapeva di dover affrontare un altro giorno, un nuovo albore antimeridiano impallidito dall’evanescenza di lei. A ogni modo, in conclusione alla veduta delle infinite gocce di pianto, Kurona aveva imparato a circondare se stessa in cerca del calore agognato, stipulando il pensiero che ella stesse bene dietro quel suo velo scuro, poiché c’era una parte di sé che conseguiva la condanna; un ritaglio di viltà che ancora in quel battito smarrito, anche lei non avrebbe mai perdonato.
All’udito, la melodia della distruzione serpeggiava tra le mura della chiesa, sibilando al tocco con la cute della casta creatura assopita su di una creazione artistica di calcare scalpellato dalla fine del mondo. Gridava pervasa dal candore che Nashiro emanava, indietreggiando verso il tramezzo affrescato e sfiorando il suo volto, che, come una bianca colomba arresa alla cupidigia di un cacciatore, doleva. Kurona invece le camminava attorno, posando le dita ossute sul suo profilo, incorniciando con lo sguardo gli angelici contorni della sua sagoma perfetta. Occultate da cerei petali di mughetto, le screziature nebulose degli occhi della sorella erano ricordate da Kurona come monili di lacrimoso cielo, ricordi di tempi brillanti e mani tese verso la luce traboccante; di cuscini intrisi di sogni, non di lacrime. Il palmo esitò prima di affondare fra i suoi capelli; sparsi sulla roccia e sollevati da rivoli ventosi di tramontana, essi erano morbidi al tocco e alcune ciocche le accarezzavano le labbra socchiuse, danzando sul volto latteo che pareva porcellana. Ciuffi di piume di una bianchezza irreale volteggiavano in un universo racchiuso nell’argento dei suoi occhi vaghi oltre le palpebre, nell’oro della sua bocca; filamenti di nebbia uniti a sospiri azzurri della presenza di Kurona, vezzeggiati da polpastrelli vibranti e grondanti d’amore.
Tempo prima, Kurona aveva raccolto fiori intensamente profumati, piccole gemme della sfumatura di Nashiro che adesso si estendevano dal corpo di lei. Il breve stelo s’ingarbugliava piano intorno alle caviglie, sbocciando in campanelli penduli che sfioravano i polpacci e il tessuto rovinato, innalzandosi da dove esso rivestiva le candide cosce, donando la magia a Nashiro fra le mani. Forse Kurona aveva lasciato che le foglie striate s’insinuassero sul fisico acerbo perché la sua illusione era quella che Nashiro si sarebbe risvegliata. E quando l’avrebbe fatto, nell’ignoranza buia di un edificio religioso negletto, i suoi occhi avrebbero discernuto elementi di vita incastonati tra le sue forme: pendenti, i fiori di mughetto avrebbero ricordato la maligna benevolenza di quel mondo sbagliato dove aveva visto Kurona. Forse. Forse invece i boccioli alterati dal lutto erano solo un ritratto delle due sorelle durante la guerra della loro esistenza, quando la felicità erano delle labbra distese e uno sguardo complice. E fu proprio in quella battaglia che Nashiro vide la morte. La sua carne fiorente ancora adesso rimaneva ugualmente distesa, inerme e incapace, trafitta dal gelido vento che scivolava sui lividi di baci dettati dal sentimento bruciante, schioccati da un’arma da fuoco inesistente che aveva mutato l’avvenire e la sua sorte, che riapriva la ferita sul suo torace schiuso da una lama scortata da un ghigno già visto, colmando Kurona con il fluido liquoroso del sangue e del profondo risentimento. Però, con un panno o con le sue stesse mani, il sangue l’avrebbe sempre purgato, cogliendolo dal busto come linfa di germogli di rose scarlatte nel palmo falsificato dall’odio, chiedendosi perché anch’esso fosse un così bel turbinio purpureo. Contrariamente, l’aspro rancore verso se stessa persisteva a decomporre il suo cuore e la sua sanità, portandola nella notte a inseguire lo spettro della gemella, incalzando la sua ingannatrice presenza per dirle di fermarsi, che tutto era a posto e che il filo rosso del destino le annodava insieme, insieme per sempre. Nella tenebra, Kurona avrebbe voluto distendere il suo braccio e afferrarle il mignolo in una zuccherata carezza, guardandola poi in viso e sorridendole perché lo vedeva, perché era lì, il loro filo rosso, e niente l’avrebbe impedito. Neppure il tanto detestato dio della morte, colui che avrebbe mietuto la sua anima incontaminata, che avrebbe voluto portarsela via con sé. Così giovane e così ignara, probabilmente Nashiro non si sarebbe nemmeno accorta di essere morta. A dirla tutta — riflettendo con gli occhi sui petali, che forse erano petali o forse la stessa pelle di Nashiro — Kurona avrebbe preferito darle uno schiaffo, cosicché il suo sguardo confuso l’avrebbe distinta un’ultima volta in un disperato miraggio, permettendo alla nero chiomata un conclusivo atto d’amore, baciandola a lungo sulle labbra di mughetto — voluttuose e bugiarde per averla lasciata sola — prima di augurarle buona fortuna in quel mondo marcio. Sì, perché successivamente Kurona l’avrebbe spinta via dall’uscio di un Paradiso precoce, inadatto a ospitare una forma d’arte floreale quale era lei, entrandoci a testa alta e pugni stretti, affiancando il più tetro degli dei, divenendo sua sposa e pregandogli di risparmiare Nashiro per gli anni avvenire. Donandosi a lui, in cambio le avrebbe donato una sfocata visione del viso della sorella pieno di lacrime, questa volta, forse e dopo tanto tempo, di felicità.
Porgendo fantasticherie alla parte ottimista e falsa di sé, inventive che conducevano a qualcosa, forse alla morte stessa, Kurona si allontanò dai giorni più esuberanti della sua sussistenza, volendo sapere perché un corpo puro come quello di Nashiro doveva essere tormentato da delle dita emaciate che non erano le sue. Kurona voleva sapere perché era stata una codarda, quella volta e mille altre, perché anche quando chiudeva gli occhi e galleggiava nel vuoto del suo colore immaginava il viso di perla della gemella, osservandola in risa ovattate e dolci gesta. Odiava ammetterlo, la sorella nera, ma il Paradiso bramava Nashiro perché qualcuno si era accorto della sua innaturale purezza; avevano notato la solida rachide che portava incontaminata cose. Cose come l’amore, il candore, l’innocenza e l’ingenuità di una mano aperta all’amara caramella che non le era mai piaciuta. In un’innominata notte Kurona aveva notato la vita di Nashiro sommata in una corta linea, indenne come nessuna, defluita in una fumosa apparizione di bellezza allacciata al filo rosso della perdita, che la voleva rendere solamente più incantevole.
Accettando lo stucchevole incanto di zucchero, i cieli di Nashiro diventarono grigi, mutando in annunci di morte. Nashiro, che aveva preso in prestito la vita solo per qualche tempo, che da sempre desiderava di danzare su un palco promesso tenendo la mano della sorella. L’epoca di Nashiro risultava così lontana per Kurona, e nonostante il suo corpo si stesse decomponendo davanti all’impotenza del suo sguardo, lo spirito l’aveva abbandonata giorni prima, migrando verso valli più verdi e fiori più pregiati. I suoi tempi erano quelli delle risate contrastanti a quella che adesso era rabbia, erano le piroette sulla punta dei piedi attraverso onde di una perenne estate, di petali e germogli sorridenti verso il sole, del vento acchiappato in un pugno. E poi erano le fughe segrete, l’adolescenza bollente attenuata quando si poteva tra le lenzuola impregnate di sudore e profumo, di gonne calate e camicie strappate; di piaceri ardenti e occhi riservati unicamente alla sinuosità di un corpo femminile. Questi istanti mai contenevano solamente amore soffocato tra le cosce tremanti, ma traboccavano di memorie e desiderio di carezze per preservare momenti romantici di due sagome inseparabili, così che, quando sazie d’affezione, Nashiro avrebbe parlato d’arte e Kurona avrebbe parlato di lei.   
«È così facile morire, non è vero, Shiro?»
E lo era. Lo era. E continuava a esserlo anche per chi aveva vissuto nell’epoca degli illimitati sorrisi, di chi mai aveva provato l’assenza, la morte o morire, e nemmeno i rimorsi o le tragiche ragioni per cui piangere. Sì, definitivamente morire era facile anche per Kurona e Nashiro, che non erano avvinte a quel mondo corrotto, che appartenevano al tocco del giorno e al sapore della notte; all’odore di un fiore di mughetto.

 

«Cause youre my, youre my, my true love, my whole heart. 
Please dont throw that away 
Cause I'm here for you, 
Please dont walk away and 
Please tell me youll stay».

 

Il vento invernale congelava i singhiozzi, forgiando fiocchi innevati di tristezza che sarebbero rimasti dolcemente imprigionati nella bianca pelle di chi aveva veramente incontrato la morte. Piano, Kurona era diventata vittima del gelido vento; ella si accartocciava al fianco di Nashiro, posando la testa sul suo grembo, emettendo un lieve acuto che sopprimeva il silenzio struggente e distruggeva la luna. Muovendo le mani, i suoi palmi incontravano quelli della gemella, allacciandosi l’un con l’altro solamente come conseguenza della sua prestanza, serrandoli forte, bramando un loro accennato movimento seguito dal sorriso e dall’amore impossibile che non era riuscita a tenere con lei. Labbra turgide sussurravano il suo nome, la imploravano di venire da loro. Disperata, Kurona inclinò il capo all’indietro, guardando il soffitto perforato ma vedendo il corpo bianco di Nashiro attorniato dalla morte; con occhi di luce soppressa, si arrese, e una sgraziata risata risuonò tra le fredde mura della stessa chiesa.
Inginocchiata davanti al cinico gioco dell’abbandono, si sfiorò il collo pallido con le mani, poi abbassandole lungo il busto e attanagliando in misurati movimenti la cute più sensibile, quasi sentendo la presenza di Nashiro. Sospirò pesantemente, stringendo i seni e desiderando le sue labbra fredde, lontane più che mai, le gambe scolpite e gli angelici gemiti che emetteva dopo un solo lieve tocco. Bramava le sue mani, che nella loro illibata inesperienza riuscivano ad afferrare polvere luccicante dall’abisso della sua anima nera. Smorzati tocchi e mielose parole volate in sussurri d’amore proibito alle orecchie di Kurona; soffi vitali riflessi che si permettevano d’essere venerati per poche ore nelle corvine notti di platino. Un’onda di disgusto le trapassò la testa in un acre proiettile, perché di quell’amore le mancava tutto e il sapore non era tale per conseguenza delle gesta di ricerca di fisica attenzione, ma per aver compreso di non essere nulla senza di lei. E lei non c’era più. Ma il sogno continuava.

Era una fragranza di mulinelli di mughetto, Nashiro, mentre camminava sulla strada principale in un’aura candida come i suoi capelli e il viso rilassato. Indossava un corto vestito ocra pigmentato — se avesse potuto, Kurona l’avrebbe rimproverata, perché le sue gambe snelle attiravano gote paonazze, occhi che non erano i suoi — e delle lucide scarpe nere; i lineamenti erano delicati, incontaminati dai graffi di fragola sulla pelle e le cicatrici di un’infanzia ingarbugliata. Fu quando il suo sguardo incrociò quello di Nashiro, forse più un frammento di una triste occhiata, che ella iniziò a piangere. Singhiozzando, pianse la sua anima e l’amore che provava, custodendo solo uno scarabocchio del quadro di romanticismo e immensa dedizione che le apparteneva. Era triste, così immensamente triste che quasi pareva irreale. 
«Sei morta... Shiro, sei morta?»
Nashiro annuì col capo, fermandosi solamente per un secondo. Una ragazza, una sorella e l’amore della sua vita; solamente una fanciulla che salvaguardava qualcosa di eterno nei suoi occhi malinconici, soltanto un rimasuglio della sua esistenza terrena rappresentata in un barlume luccicante pronto a svanire insieme a Kurona, che Kurona stessa poteva rivedere in grigie fotografie strappate a ogni angolo e custodite all’interno di qualche cassetto mai aperto.
«Morta» ripeté Kurona.
E Nashiro sorrise. Il viso si schiuse in una mezzaluna segreta prima di passare accanto alla sorella, senza sfiorarla, in grado d’inalare solamente il suo profumo di coraggio e responsabilità; un sorriso spontaneo che stonava con le iridi di adesso, come se celasse cose che nessuno avrebbe mai saputo. Kurona si girò velocemente, notando che la figura gemella era ora un bagliore di bianchi petali, forse di mughetto o forse di rosa. E come aveva sempre saputo, anche la sua scomparsa era attorniata dall’estrema bellezza di foglie che dovevano cadere, dalla luce e da tre parole. 
«Non piangere, Kuro». 

«Guarda che guaio hai combinato, Shiro» disse forzando un sorriso per lei. 
Kurona divaricò le braccia, aprendo i pugni stretti inconsciamente, per la prima rincuorandosi del fatto che Nashiro non l’avrebbe mai vista così, consumata ed esausta, brutta e deturpata. Abbassò le mani, lasciandole ciondolare alla fine delle braccia senza una risorsa di calore, felice che i palmi candidi di Nashiro non avrebbero dovuto più sfiorare quelli callosi e difettosi di lei. Ciononostante, volendo rubare l’anima beata della gemella, Kurona aspirava ancora di salvarla; non il suo corpo, solo la sua anima. Ma accettando l’insanità del suo amore, guardò il mignolo e, dopotutto, si rallegrò del filo rosso tagliato — ancora sporco del suo sangue —, della sospensione del tormento da sempre unito all’imprudenza; di perire per mano sua.
 

 

«Use me as you will,
Pull my strings just for a thrill
And I know I’ll be okay,
Though my skies are turning gray».


 


 

«Kuro, stai piangendo?»
«Mai».







nota dell'autrice:
sbarcando una seconda volta nel fandom di TG, ho voluto proporvi questa one-shot incentrata sul rapporto di Kurona e Nashiro ambientata in un post!capitolo 103 dell'undicesimo volume che sfocia in un inevitabile missing moment e what if? specialmente riferito alla relazione amorosa delle gemelle. Riprendendo quest'ultimo punto, spero vivamente di essere stata entro le regole riguardante l'incesto nel sito di EFP. Personalmente ho voluto rappresentare questo loro rapporto come una relazione estremamente dolce e per niente incentrata sull'atto sessuale. Ciononostante ho voluto comunque immaginare le due sorelle condividere un'amore molto più forte e significativo della comune affezione fraterna. Questa è inoltre evidente anche nel manga e nell'anime, dove loro due sono senza dubbio qualcosa di più di due gemelle. E nulla, lo sfondo sessuale ha sempre fatto parte dello sviluppo di questa storia e se non l'avessi messo sarebbe stato come cancellare una parte del loro indissolubile legame. Per questo spero di non offendere nessuno, credendo di non essere stata volgare nelle descrizioni, anzi, il mio intento era proprio l'opposto. Andando oltre, non sono sicura se mettere il rating giallo o arancione, però dopotutto le descrizioni si soffermano più alla porzione poetica del tutto.
Parlando dell'uso dei prompts che avevo a disposizione, ringrazio Eleonora18 per questi bellissimi stimoli che hanno creato la narrazione. Il loro approfondimento lo potete trovare qua: CLICK. Con questo credo di aver concluso. È stata un vero piacere partecipare al contest di Mokochan e spero che apprezzi; ho sempre desiderato scrivere sulle mie gemelle preferite e questa competizione mi ha dato la possibilità di pubblicare finalmente qualcosa. Miku.
   
 
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