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Autore: _armida    12/09/2015    0 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XII: La Ruota

Dopo aver raggiunto Giuliano, Elettra andò nel salone dei banchetti per l'ultimo brindisi prima di lasciare la festa. Peccato che dopo 'l'ultimo brindisi', se ne aggiunsero altri. Parecchi altri. Insieme a Giuliano, erano arrivati al punto di brindare per ogni persona che saliva o scendeva la scalinata. Forse Giuliano era messo peggio di lei, visto che l'idea era stata sua. Alla fine era riuscita a convincere il giovane de Medici ad andare a letto.
Per quanto riguardava lei, non se la sentiva proprio di tornare a casa e così decise di passare prima per il suo studio.
 
***

Si era addormentata a poco a poco, mentre leggeva delle carte riguardanti la costruzione della biblioteca. 

Si trovava nuovamente nella piazza dove avvenivano le esecuzioni pubbliche. Un brivido freddo le percorse la schiena: era tutto esattamente come la volta precedente. 
"Vieni! Tra poco giustizieranno il consigliere dei Medici!", disse un ragazzino a quella che sembrava poco più di una bambina. Da come gli stringeva la mano, la piccola doveva essere terrorizzata.
"No no no...", si ripetè Elettra tra sè e sè. Non poteva essere così.
La piazza era gremita di gente, per lo più curiosi, ed Elettra dovette faticare, e non poco, per farsi largo tra la folla. 
Gentile Becchi era già stato legato alla ruota e il suo viso era pieno di lividi e ferite. I loro occhi, della stessa tonalità del cielo, si incrociarono per un istante, prima che lo zio gli abbassasse. Non voleva che lei se lo ricordasse così, legato alla ruota e ridotto in uno stato pietoso. No, lei doveva andare via da quel luogo orribile che presto si sarebbe macchiato del suo sangue. Provò a dirglielo ma il suono della sua voce non riuscì ad arrivarle. 
Il boia aveva ormai finito di parlare e si apprestava a compiere il suo dovere. Prese la pesante mazza da terra e se la passò tra le mani, in attesa di usarla.
"Cosa ci fate voi qui?". La voce di Dragonetti sembrava lontana eppure lui era proprio lì, davanti a lei. "Elettra, non è una scena adatta voi. Vi consiglio di andarvene", non aveva il solito tono duro da capitano delle guardie della notte ma uno più dolce, velato di tristezza. 
"Io... io devo fare qualcosa", balbettò, incapace di spostare gli occhi dallo zio.
"Non potete più fare niente, ormai. Le prove a carico di vostro zio erano schiaccianti: ha venduto i nostri segreti a Roma!", le ripetè tirandola leggermente per un braccio, per portarla via da quella piazza.
"No! Lui non lo avrebbe mai fatto!", disse mentre due grandi lacrime le solcavano il viso. 
Dragonetti sospirò affranto, anche per lui era difficile crederci ma era tutto vero. 
L'orologio scoccò l'ora e, a quel suono, il boia vibrò in aria la pesante mazza, facendola poi colpire violentemente contro la gamba di Gentile Becchi; Elettra sentì il rumore delle ossa che andavano in frantumi e poi l'atroce grido di dolore dello zio.
"No!", urlò mentre voltava la testa per non guardare. 


Il Conte Riario, dopo l'incontro con Elettra, non era ritornato alla festa ma aveva deciso di andare nei suoi alloggi, con tutta l'intenzione di dormire. Peccato che il tanto desiderato sonno non era arrivato e così, dopo alcune ore passate a camminare avanti indietro per la camera e a leggere, decise di uscire per fare una passeggiata. 
Si trovava al piano terra, in una delle ali del palazzo che non aveva ancora avuto l'opportunità di visitare; vi erano parecchie porte chiuse, in quel corridoio, e non aveva l'aria di essere un posto molto frequentato.
Improvvisamente la quiete della notte fu rotta da un grido. Senza pensarci due volte il Conte si mise a correre nella direzione da cui l'urlo proveniva. Una sottile lama di luce filtrava da sotto una porta; doveva senz'altro provenire da lì.

Il suo corpo venne scosso da singhiozzi sempre più forti mentre la gola lentamente le si chiudeva e le gambe cominciavano a tremare.
Un secondo colpo. Questa volta fu il braccio a cedere. Elettra vide l'osso perforare la carne e uscirne, formando una brutta fratutta scomposta. 
"Per favore, fermatevi", riuscì a mormorare tra un singhiozzo e l'altro. 

 
Da oltre quella porta privenivano dei lamenti; stava sicuramente succedendo qualcosa e qualcuno era in pericolo. Riario provò ad abbassare la maniglia per entrare ma la porta era chiusa a chiave; cominciò a prenderla a spallate mentre un nuovo urlo gli giunse alle orecchie. Temeva di sapere chi ci fosse, dall'altra parte.
Ignorando il dolore crescente alla spalla, riuscì finalemente a sfondare la porta ed entrare.

Altri colpi, parecchi altri colpi, si erano susseguiti. Gentile Becchi era ormai ridotto ad un ammasso di carne sanguinante. Non aveva nenache più la forza di urlare, i suoi erano solo flebili lamenti.
"Durerà ancora molto?", chiese una donna alle sue spalle.
"Anche delle ore", rispose il suo accompagnatore. A Elettra le si gelò il sangue nelle vene, a pensare ad una simile agonia. "A cosa serve tutto questo dolore?", si domandò, sapendo che non vi sarebbe stata risposta.


Riario la vide seduta alla scrivania. Aveva gli occhi chiusi eppure poteva vedere le sue pupille guizzare da una parte all'altra, senza un attimo di tregua. Il suo corpo era scosso da fremiti e le guance erano solcate da due lacrime.
"Elettra, cos'è successo?", chiese preoccupato. Solo quando non gli rispose si accorse che dormiva. Ma di certo non tranquillamente; di qualsiasi specie fosse il sogno che stesse facendo, doveva terrorizzarla. Nel sonno mormorava alcune parole incomprensibili. 

Si guardava in giro sperduta mentre i presenti nella piazza urlavano frasi del tipo "Più forte! Boia picchia più forte!" oppure "Che stai aspettando per ucciderlo? Noi qui siamo impazienti di tirare le pietre!". Elettra non poteva credere che l'umanità fosse così malvagia; era cresciuta nella fidicia nelle potenzialità dell'uomo ma, quello che stava avvenendo, le aveva fatto cambiare drasticamnte idea.

Non poteva sopportare di vederla in quello stato e provò a svegliarla; pima delicatamente e poi sempre più forte ma lei parve addiruttura agitarsi di più. Alla fine, a Riario, non restò altro da fare che prenderla per le spalle e scuoterla.

Mentre osservava la vita lasciare lentamente il corpo di  Gentile Becchi, la terra cominciò a tremare, scossa da un potente terremoto. Lentamente, tutto quello che la circondava scomparve, lasciando spazio alla più totale oscurità. 
"Le morti che avverranno, devono avvenire", fu l'ultima cosa che sentì, prima di svegliarsi. 


Elettra aprì gli occhi di colpo, guardandosi in giro per la stanza. Se non fosse stata così concentrata a reprimere un attacco di panico di proporzioni epiche, si sarebbe accorta della punta di paura che traspariva dalle iridi color nocciola del Conte. La gola sembrava essersi chiusa completamente e l'aria le scendeva fino ad un certo punto, per poi bloccarsi e risalire.
Quando Riario vide finalmente Elettra sveglia, fu come se il grosso macigno che portava sul petto, gli fosse stato tolto magicamente: si sentiva parecchio sollevato. Ma si accorse presto, che qualcosa non andava. 
Per la prima volta da tanto tempo, il Conte non sapeva come comportarsi: fece un gesto molto semplice. Si stupì di sè stesso, credeva di aver dimenticato come si abbraccia una  persona. La strinse al suo petto più forte e, allo stesso tempo, nel modo più delicato che conoscesse; sperava così di far cessare quel tremolio che la rendeva molto simile ad un pulcino bagnato. Anche il ritmo del cuore di Elettra lo preoccupava: se avesse continuato a battere a quella veloocità avrebbe ben presto ceduto.
"Va tutto bene", le sussurrò all'orecchio mentre le accarezzava dolcemente i biondi capelli. Lei appoggiò la testa sul suo petto, piangendo tutte le lacrime che non era riuscita a piangere nel sogno.
Restarono in quella posizone fino a quando Elettra non si fu calmata abbastanza da riuscire a dire qualche parola. "Sto bene, ora. Grazie dell'aiuto, Conte", gli disse staccandosi dalla sua presa.
"Ne siete certa?". Nonostante fosse tornato alla sua solita espressione fredda e distaccata, si poteva notare una nota di preoccupazione, nella sua voce.
Elettra non fece in tempo a rispondergli: qualcuno stava bussando alla porta. Provò ad alzarsi, per andare ad aprire, ma dovette risedersi immediatamente: le gambe le tremavano ancora molto e non riuscivano a reggerla in piedi.
"Avanti". Si limitò a dire, evitanto lo sguardo di Riario che sembrasse volerle dire 'Ve l'avevo detto, che non stavate ancora bene'.
Nella stanza entrò Fabrizio, seguito da due guardie della notte con le spade sguainate. Si guardarono intorno sospettosi.
"Elettra, vi abbiamo sentita urlare", lo sguardo del servitore si posò sul Conte, era stupito di trovarlo lì, "Tutto bene?".
"Ho fatto solo un brutto sogno, sai che parlo molto nel sonno, ma ora va meglio", gli rispose lei con un sorriso tirato. Fabrizio però non sembrava ancora convinto. "Sto bene, potete andare, ora". I tre esitarono. "Davvero, è tutto a posto. Buonanotte, signori", disse facendogli segno di uscire.
"Anche voi, Conte. E' ora che ritroviate il vostro letto", gli disse una volta che gli altri tre se ne furono andati; Riario, però, non accennava minimamente a voler uscire.
"Resterò qui finchè voi non deciderete di tornare a casa"
"Pensavo di passare la notte qui"
"Bene, sarà il caso di metterci comodi allora", disse sarcastico mentre si sedeva su una delle poltroncine, dalla parte opposta della scrivania.
Elettra sbuffò infastidita. Si alzò lentamente, facendo attenzione ad ogni passo, e si diresse verso una delle ante del grande armadio; l'aprì e ne estrasse una bottiglia di un qualche tipo di liquore, insieme a due bicchierini. Posò il tutto sul tavolo, stappò la bottiglia e ne versò un goccio in entrambi i bicchieri.
"Non credete di aver bevuto abbastanza, per questa sera?"
"Mi sto mettendo comoda", disse la ragazza ironicamente, giocando sulle parole dette poco prima dal Conte, "E poi voi non siete mia madre, per dirmi cosa devo fare"
Per tutta risposta Riario fece uno dei suoi soliti sorrisi, di quelli che fanno gelare il sangue nelle vene. 
"E non sono neanche uno dei vostri nemici. Tentare di intimidirmi non mi farà cambiare idea"
Restarono un po' in silenzio, gustandosi quel buon liquore al sambuco che, rivelò Elettra, veniva distillato nella casa di campagna della famiglia Becchi.
"Cosa avete sognato?", chiese il Conte.
Elettra si versò ancora un po' di sambuco, per parlare di quell'argomento era strettamente necessario. "Mio zio. Sulla ruota". Quel 'sulla ruota' lo disse con la voce tremolante ed era quasi un sussurro. Anche gli occhi le divennero lucidi.
Riario, senza pensarci troppo, le prese una mano, stringendola delicatamente nella sua. Cosa gli stava succedendo? La conosceva da appena tre giorni eppure, ogni volta che aveva a che fare con lei, lui, che pianificava nel minimo dettaglio ogni mossa, diventava impulsivo e, sotto sotto, sembrava quasi avere un cuore.
"Andrà tutto bene", le disse per rassicurarla.
Elettra appoggiò la testa sul braccio libero e chiuse gli occhi.


Nda
So che questo capitolo non è proprio il massimo, in fatto di allegria... Compenserò con il prossimo
   
 
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