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Autore: ValyDeleNian    13/09/2015    1 recensioni
Elena ha 20 anni. Scappa da un grande perdita, tanta delusione e solitudine. Vuole darsi un'opportunità, provare a vivere, magari ad innamorarsi come mai è riuscita a fare. Vuole solo una vita di cui essere orgogliosa..per non crollare, per non rompersi.
Damon ha 25 anni. Famiglia agiata, equilibrata. Suo padre è uomo attivo nella politica di NYC. Damon ha una vita quasi perfetta...perchè quasi? Perchè a Damon manca l'amore, la passione...come anche ad Elena.
Potranno incontrarsi due mondi cosi distanti e diversi..potranno entrare in contatto e riuscire viversi? Damon si innamorerà?...e cosa piu importante, ad Elena basterà lui per sconfiggere i suoi mali?
AU. Tutti umani.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 16

 

Elena's POV

 
Tutti pensavano che mi stessi arrendendo, e in un certo senso era così.
Ma la scelta spettava a me.
Era
mia.
Non ne potevo più di essere coccolata e tenuta sotto una campana di vetro. Ero una donna adulta, ed era ora che iniziassi a comportarmi come tale.
Se mi restava da vivere poco tempo, sarei stata io a decidere come trascorrerlo.
Io. E nessun altro.
Nel breve periodo passato insieme, Damon era riuscito a darmi un assaggio di come avrebbe potuto essere se le cose fossero state diverse, se fossi stata normale. Pensare alla vita che avremmo potuto avere lasciava l’amaro in bocca, e faceva male sapere che non sarebbe mai stata nostra. Ma ero stata a lungo negli ospedali e isolata dal resto del mondo, perciò sapevo quanto dovevo ritenermi fortunata di avere a disposizione anche solo quel poco tempo che mi restava.
E lo volevo trascorrere con Damon, non a lottare per una causa persa.
Sentii bussare alla porta e alzai lo sguardo. Vederlo entrare in quella stanza mi ricordò di tutte le volte che l’aveva fatto. Ciononostante, il suo arrivo mi riportò alla mente tanti bei ricordi.
Avevo dormito la maggior parte del tempo e la giornata era volata senza che me ne accorgessi. Fuori si era fatto buio, e la luce della luna illuminava la sua pelle.

"Non potevo starti lontano", disse Damon, avvicinando una sedia al letto.

Benché cercasse di apparire tranquillo e allegro, si vedeva che era abbattuto.

"Il dottore ha detto che le analisi sono a posto, per cui dovrebbero dimettermi domani"

"Bene" intrecciò le dita alle mie, la fronte aggrottata.

"Parlami, Damon. So che sei arrabbiato per via della decisione che ho preso, ma io…"

Si alzò e si mise sul letto, accanto a me.

"Adesso non ho voglia di parlare", disse sfilandosi la maglietta per poi gettarla a terra.

Le mie mani furono subito sul suo petto scolpito, sui muscoli definiti.

"E se entra qualcuno e ci scopre?" chiesi alzando lo sguardo lentamente, fino a incontrare il suo.

"Gli altri li mandati a casa a riposare, e il dottore è in pausa. Di tutti gli altri me ne frega ben poco"

Quelle parole mi eccitarono, e feci subito per spogliarmi.
Ma lui mi fermò.

"No, lascialo fare a me"

E, come se avessimo a disposizione tutto il tempo del mondo, mi tolse un capo alla volta, ammirando ogni centimetro della mia pelle che restava scoperto.

"Passerei la vita a guardarti", mormorò.

Cominciò a baciarmi ovunque, e io iniziai a muovermi e a strusciarmi addosso a lui, che tirò fuori un preservativo dal portafogli e si tolse il resto dei vestiti. Coprendoci col lenzuolo, si mise sopra di me. Ogni carezza era lenta, ponderata, come se volesse memorizzare ogni curva, ogni linea del mio corpo, come se mi stesse già dicendo addio.
Gli presi il mento e feci in modo che mi guardasse.

"Ehi, sono ancora qui con te"

Lui non disse niente, la sua unica risposta fu un lunghissimo bacio straziante. Gli infilai le dita tra i capelli e l’attirai più vicino a me: non si doveva fermare.

"Piano. Stasera voglio farlo così", mi sussurrarono le sue labbra, sfiorandomi il collo.

Era molto diverso dal modo febbrile e appassionato in cui l’avevamo fatto le altre volte. Travolto dalle emozioni e dalla rabbia, Damon era stato sfrenato. Adesso, le stesse emozioni erano ancora presenti e si agitavano sotto la superficie, ma erano diverse.

E, mentre mi teneva il viso e mi guardava con tutto l’amore e la devozione del mondo, io sentii che c’era qualcosa che mi sfuggiva.

"Ti amo, Elena Gilbert", disse.

Poi mi penetrò, dandomi un piacere che s’irradiò in tutto il corpo. Senza mai fermarsi, continuando a muoversi lento, iniziò a baciarmi, mi accarezzò le spalle, circondò i seni tondi, per poi, finalmente, afferrarmi i fianchi e affondare ancora di più, facendomi godere.
I baci camuffavano i gemiti, mentre lui si agitava per raggiungere l’orgasmo, che arrivò pochi secondi dopo.
Ci rivestimmo, e io tornai ad accoccolarmi vicino a lui. Mi piaceva sentire il calore che emanava. Tra le sue braccia non sentivo mai freddo. Mi addormentai così, stretta nel suo
abbraccio, sentendomi al sicuro.

-

Mi svegliai, spaventata. Mi allungai per cercare Damon al mio fianco.
Ma lui non c’era più.
Mi strofinai le braccia per ritrovare il calore che avevo perso, perché lui se n’era andato. Lasciai correre lo sguardo in tutta la camera, nella speranza di scorgere la sua sagoma in un angolo buio. Ma non c’era.
Con la coda dell’occhio notai che c’era qualcosa sul comodino. Mi girai e trovai una nostra foto, come una polaroid..lui che con la macchinetta in mano e io vergognosa che poggiavo la fronte sulla sua spalla, cercando di nascondermi..ma un sorriso mi aveva tradito. Come ora. Sorrisi e la presi, per poi stringermela al cuore, come fosse stata la cosa più preziosa del mondo.
Fu allora che mi accorsi della lettera.
Su una busta bianca, Damon aveva scritto il mio nome.
Mi tremavano le mani mentre l’aprivo.

"Elena,
sappi che questa è la cosa più difficile che abbia mai fatto.
I giorni passati con te sono stati i più belli e sereni di tutta la mia vita.
Non ci sono parole per spiegare cosa significa perdere la persona che ami.
Mi hai insegnato ad amare di nuovo, a vivere di nuovo. Hai dato una ragione alla mia esistenza.
È per questo che non posso restare a guardarti morire.
Perché, se lo facessi, non credo sopravvivrei.
Mi dispiace
. Damon"

La lettera si sgretolò tra le mie mani, mentre le lacrime mi bagnavano il volto. Chiudendo gli occhi, mi tornarono alla mente il suo sguardo combattuto, le carezze incerte della sera prima, quando avevamo fatto l’amore.
Lo sapeva già.
Mentre io cercavo di capire come mai avesse un’aria così malinconica, lui mi diceva addio, con ogni bacio, ogni carezza.
E adesso se n’era andato.
Quando mi resi conto di quello che era successo, il mio pianto disperato straziò il silenzio della stanza. Mi aveva lasciata da sola.

No, cambierà idea. Ha soltanto bisogno di tempo.
Cercai il cellulare.
Adesso gli mando un messaggio. Gli dico di tornare, per parlarne insieme.
Gli avrei spiegato di nuovo le mie ragioni, e lui avrebbe capito.
Saltai giù dal letto e andai a prendere lo zaino che Damon aveva preparato per me. Rovistai al suo interno, trovai vestiti, cose per il bagno, e infine il telefono. Ma il suo numero in rubrica non c'era più.
Lo aveva cancellato. Mi aveva cancellato dalla sua vita. Non voleva essere trovato, e questo mi uccise più della malattia.
Rimasi immobile in mezzo alla stanza. Adesso capivo tutta l’enormità di ciò che era accaduto.
Damon se n’era andato… E non sarebbe mai più tornato.

-

Tornata a Casa Salvatore, nulla era più come prima. Il freddo mi stava uccidendo l'anima, perché nonostante le coperte il gelo era dentro il mio cuore.
Ma non lo odiavo. Affatto. Odiavo il fatto di non odiarlo.
Bussarono alla porta: era Elizabeth che veniva a controllare come stessi. Tornava ogni ora. Lei e Olga non mi lasciavano mai da sola. Per essere una che stava lentamente morendo, stavo benissimo. Ciò che le preoccupava era il mio stato emotivo. Nonostante la causa fosse suo figlio.

"Ciao, tesoro. Ti ho portato la cena", disse Elizabeth con un vassoio in mano.

"Non ho fame"

"Elena, devi mangiare", insistette, mettendolo vicino al letto.

Mi tirai su e mi sedetti a gambe incrociate, quindi guardai il piatto e scossi la testa.
Allora mia madre sbuffò.

"Dai, Elena, io ce la sto mettendo tutta, ma tu mangi appena, non parli con nessuno e piangi fino allo sfinimento. Non so più cosa fare. Da quando Damon…"

"No! Non voglio parlare di lui", dissi, alzando una mano per fermarla.

"Va bene. Ma almeno mangia. Sono preoccupata"

Nel vedere gli occhi lucidi sul suo volto, mi si strinse il cuore.

"Scusami. Mi riprenderò, te lo prometto. Ho soltanto bisogno di tempo. E poi, guarda, adesso mangio", dissi prendendo la forchetta.

"Bene. Posso restare qui con te?" mi chiese con un sorriso appena accennato.

Io annuii, facendole spazio sul letto. Damon non si vedeva più. Olga mi aveva etto che era andato a stare da un amico, per non rimanere qui. Per non vedere me.
Grazie al cavolo.
Presi il telecomando e accesi la TV: guardare qualcosa di scemo, anziché parlare, mi avrebbe fatto bene.

E invece no, porca miseria. Mi si strinse lo stomaco e mi venne la nausea.
Di fronte ai miei occhi, in perfetta qualità HD, c’era Damon, che con indosso un jeans e la sua solita maglia entrava in un locale con Finn e...Rebekah. Era circondato da telecamere e microfoni, che lui cercava di allontanare. Il gossip molesto e nauseante.
Le telecamere continuarono a seguirlo e i giornalisti non smettevano di fargli domande. Ma lui li ignorò e sparì all’interno dell’edificio.
Elizabeth spense la TV, io però rimasi a fissare lo schermo nero.

"Stai bene?" mi chiese.

"No", risposi onestamente.

Perché Elizabeth non dice niente? Nessuno lo fa. Non è nemmeno un po' disgustata?

Se non altro adesso avevo la risposta che cercavo. Sapevo dov’era. Era tornato a casa, alla sua vita normale, lontano da me.
Amare una persona come me, vivermi accanto, era troppo difficile.
Aveva scelto la strada più facile, quella più sicura.
Proprio come avevo fatto io.

 

Damon's POV


Alle sette in punto, lo schermo del cellulare s’illuminò: era mio padre.
Presi subito il telefono e risposi:

"Ehi"

"Ciao, figliolo"

"Come sta oggi?" gli chiesi, e m’immaginai il sorriso sulle sue labbra.

"Sei come un disco rotto"

"Ti prego"

"E va bene. Sta meglio. Ha finalmente ricominciato a mangiare. Tua madre e Olga non la lasciano mai sola e sembra che piano piano si stia riprendendo"

"Ma sono passate tre settimane"

"Sì, d’accordo, ma tu l’hai lasciata… nel cuore della notte. Ti aspettavi una reazione diversa?"

Poggiandomi allo schienale del divano di casa di Finn, mi strinsi il naso tra pollice e indice.

"Quando glielo dite?"

"Domani. Le diremo che abbiamo presentato ricorso e che l’abbiamo vinto.»

"Pensi che ci crederà?"

"Non lo so. Lo spero. Sennò questa cazzata non sarà servita a niente

"Bene" sorrido tristemente

"Non è per niente felice", mi confessò.

La sua voce tradiva stanchezza e rammarico.

"Allora siamo in due. Ma continuo a preferire il suo odio al suo amore, se questo significa che continuerà a vivere, che non morirà. Non mi perdonerei di non aver fatto tutto il possibile"

"Spero tu sappia ciò che stai facendo"

Ignorai quelle parole. Non lo sapevo più quello che stavo facendo, maledizione.

"Adesso i soldi ci sono: fai quello che devi fare. Ci sentiamo domani», dissi prima di chiudere la telefonata e buttare il cellulare sulla scrivania.

 

Elena's POV

"Avete fatto ricorso?" urlai, sbattendo la forchetta sul tavolo.

"Sì, ehm…" farfugliò Elizabeth, prima di tamponarsi la bocca col tovagliolo di stoffa e mettersi dritta sulla sedia.

Lanciò un’occhiata a Giuseppe, e gli fece un cenno con la testa; quindi si rivolse di nuovo a me.

"So che ci avevi chiesto di non farlo, tesoro, ma è della tua vita che stiamo parlando, e io… noi non potevamo restare qui fermi a guardare e non fare niente"

Li squadrai. "Quando?"

"’Quando’, cosa?" disse Giuseppe, aggrottando la fronte.

"Quando avete presentato il ricorso?"

"Un paio di giorni dopo che Damon se n’è andato", rispose.

A sentirgli dire quelle parole, mi si spezzò il cuore. Per una frazione di secondo, quando mi avevano detto del ricorso, avevo pensato che ci fosse anche lo zampino di Damon. Si era così arrabbiato, era talmente contrario alla mia decisione, che pensavo avrebbe fatto qualcosa. Ma in realtà non avrei voluto che facesse niente, perciò davvero non capivo per quale motivo scoprire che lui non c’entrava mi avesse rattristata in quel modo.

"Ok. Quindi avete presentato ricorso. E adesso?" chiesi, mentre riprendevo la forchetta per giocare coi pomodori che avevo nel piatto.

"Niente."

Guardai Elizabeth, che sorrideva.

"Cosa vuol dire ’niente’? L’hanno già respinto?"

"No, Elena. L’hanno accolto."

Mi scivolò la forchetta dalla mano e cadde a terra con un gran frastuono. Con gli occhi pieni di tutte le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento, guardai prima Giuseppe e poi sua moglie, entrambi felicissimi.

"Accolto?"

Annuirono all’unisono, per poi alzarsi dalle rispettive sedie e venire ad abbracciarmi.

"Siete sicuri?" chiesi loro, lasciando finalmente libero sfogo al pianto.

"Sì, siamo sicuri", risposero ridendo.

"Ma perché?"

"Non lo so. Forse hanno cambiato idea. O forse è stato un miracolo", disse Elizabeth.

La osservai per nulla convinta, e lei scoppiò a ridere di nuovo.

"Chi se ne importa? L’hanno approvato!"

"Oddio, non ci credo!"

-

Era trascorso quasi un mese dall’ultima volta in cui avevo visto Damon, sentito le sue dolci carezze e la sua voce profonda. Ogni minuto che passava mi pareva un anno intero. Avevo sempre creduto che guardar scorrere il tempo da un letto di ospedale fosse un’agonia. Ma veder scivolare i giorni senza Damon accanto era un inferno.

«Glielo dirai?» mi chiese Elizabeth.

Alzai lo sguardo e la trovai che mi fissava. La TV era spenta e Giuseppe se n’era andato. Erano passate due ore e io mi ero persa nei miei pensieri.

"A chi?"

Lei mi lanciò un’occhiata poco convinta, come a dire: Mi prendi in giro?
Sospirai, esasperata.

"No. Mi ha lasciata. Non è stato abbastanza forte da restare quando le cose hanno cominciato ad andare male. Anche se il trapianto è stato approvato, non significa che da adesso in poi sarà tutto in discesa. Se torna e il trapianto non attecchisce? Cosa fa, se ne va di nuovo?"

"Non lo so", rispose lei, addolorata.

"Lui ha scelto la sua vita. E adesso io scelgo la mia, senza di lui. Non dirglielo. E' tuo figlio, lo so, ma ti prego"

-

Aspettare che ci sia un midollo disponibile è un po’ come aspettare un disastro naturale: sai che prima o poi arriverà, ma non sai né come né quando.
Per giorni restai incollata al telefono e al cercapersone fornito dall’ospedale.
Alla terza settimana, cominciai a perdere la speranza.
Non arriverà mai.

«Arriverà, Elena. Devi essere paziente», mi disse una sera Giuseppe.

-

Dovevo essermi addormentata, perché a un certo punto mi sentii scuotere.

"Elena, svegliati"

"Cosa? Perché? Lasciami dormire sul divano", protestai.

"Ha appena chiamato l’ospedale. Ci siamo", disse Elizabeth

Mi tirai su di scatto, mi guardai intorno e alla fine mi resi conto che era lì davanti a me. Olga ed Elizabeth e Caroline correvano di qua e di là per preparare la borsa.
Nell’osservarle, fui colta da un attacco di panico.

Oddio, è tutto vero. Non dovrò più aspettare che squilli il telefono. Ci siamo, ci siamo. E se muoio? E se muoio su quel tavolo operatorio e questi sono gli ultimi istanti che passo con la mia famiglia? Morirò senza aver rivisto il suo volto.

"Elena, respira. Inspira l’aria dal naso, piano, a fondo», mi diede istruzioni Caroline, facendo in modo che tenessi la testa bassa, tra le ginocchia.

"Non so se ce la faccio!" gridai.

E di punto in bianco non guardavo più il pavimento ma la faccia della mia amica bionda.
Si era messa in ginocchio e mi aveva preso il viso tra le mani, per farmi coraggio.

"Sei la persona più forte che conosca, Elena. In quell’ospedale ci sono i migliori chirurghi del Paese. Andrà tutto bene."

"Ok", annuii, rispondendo con un filo di voce.

A quel punto Giuseppe si rialzò e mi prese in braccio, come fossi stata una bambina.
Elizabeth ci seguì all’auto. Giuseppe mi adagiò sul sedile di dietro e io mi distesi con la testa sul cuscino, mentre guardavo loro due mettere le borse nel bagagliaio. Giuseppe si sedette al volante e partì.

In un quarto d’ora appena, arrivammo all’ospedale e superammo le porte a vetri del Centro Trapianti.
Dopo averci fatto firmare un miliardo di moduli, cui in tutta sincerità non prestai la minima attenzione, ci accompagnarono in una stanza, dove aspettammo di parlare col chirurgo.
Qualche minuto più tardi, sopraggiunse un uomo di mezza età, già vestito da sala operatoria. Mi strinse la mano e si presentò come il dottor Westhall.

"Piacere di conoscerla", risposi.

"Sono sicuro che andrà tutto alla perfezione, tesoro", mi disse il dottore, facendomi l’occhiolino.

Be’, almeno lui ha delle certezze.
Il dottor Westhall procedette coi dettagli dell’intervento, dicendoci quanto sarebbe durato e cosa avrebbero fatto. Rispose alle nostre domande dopodiché andò a finire di prepararsi.
L’attesa era sempre la parte più difficile, stare lì a fissare la porta e a chiedersi quanto mancava, quando si sarebbe aperta di nuovo.

Dopo un’ora, finalmente venne a prendermi un’infermiera, che ci lasciò il tempo di abbracciarci e salutarci, prima di condurmi in sala operatoria e prepararmi. Un’infermiera molto materna mi accarezzava la fronte mentre io fissavo il soffitto. Respirando dalla bocca, contavo le piastrelle.

"Ci pensiamo noi a te, adesso dormi», mi sussurrò.

Damon..

Poi divenne tutto nero.

  
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