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Autore: Reiko_Hatsune    13/09/2015    1 recensioni
Scritta anche grazie a un piccolo "prestito" da parte di Akari Sakura Uchiha alla quale vorrei dedicare in parte questa piccola fic.
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Sogni. Cosa sono i sogni? Illusioni? Davvero si possono comandare, o sono ricordi di una vita precedente? Magari nessuna di queste due affermazioni è reale e forse si tratta di un'altra vita parallela a quella reale. Forse i sogni sono un gioco dove bisogna mettere il proprio "io" per potersi risvegliare. Ma cosa succederebbe se i sogni si ribellassero alla nostra volontà intrappolandoci al loro interno?
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kiseki No Sedai, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 1
Dream?

 
[Sognare è un po’ come lasciarsi andare ai propri desideri... o ai propri timori.]
 
 
 
 
 
Si abbandonò sulla panca con un tonfo e lasciò che un sospiro le uscisse dalle labbra, non riusciva proprio a capire come facessero quei ragazzi ad essere così vitali dopo una sconfitta. Lei c'era rimasta male nonostante fosse solo un'amichevole contro la Kaijou, da quella volta aveva deciso di impegnarsi dieci, cento volte di più:
 “Sakura!’, un tuono la percosse e inevitabilmente il suo sguardo cadde sul terremoto chiamato Kagami Taiga.
 “Dimmi Tai-chan.”, rispose lei sorridendo come al solito mentre il ragazzo le si avvicinava correndo e grondando di sudore.
 “Ricordati che oggi dobbiamo ritrovarci a casa di Kuroko.”, quella sarà stata la milionesima volta che glielo faceva presente.
 “Lo so, lo so. Basta che smetti di ricordarmelo ogni volta che muovo un arto.”, sbottò la castana a metà fra il divertito e l’irritato.
 “Kagami-kun, la coach dice di tornare all’allenamento.”, ad un certo punto apparve una figura minuta che fece sobbalzare i due ragazzi.
 “Kuroko, maledetto! Quando smetterai di comparire così all’improvviso?!”, gli urlò contro Taiga.
Il resto del pomeriggio passò velocemente, Akari stava tenendo il conto delle ore che mancavano prima di rivedere Seiko. Decise di passare alla Shuutoku così da poter incontrare Midorima e gli altri due suoi amici. Si fiondò fuori dalla palestra e corse verso la metro inspirando l’aria tiepida tipica delle serate di maggio, una vera goduria per i suoi polmoni costretti ad ore di pesante aria resa puzzolente dalla fatica dei giocatori di basket.
 
Definirsi stanca sarebbe stato un eufemismo, Reiko non sentiva più le braccia tanto le facevano male. Era stata colpa sua e della sua testardaggine a voler proseguire con gli allenamenti di kendo fino a tardi; infatti quando si rese conto dell'ora si rivolse un insulto. Non si aspettò comunque di ritrovarsi davanti i suoi due unici amici in quella scuola:
 “Midorima-san, Takao-san!”, esclamò sorpresa andandogli incontro.
 “Rei-chan! Ti abbiamo aspettata!”, la salutò il sorridente ragazzo dai capelli corvini come quelli della ragazza.
 “Takao voleva chiederti se saresti venuta a casa di Kuroko stasera.”, disse l'altro sistemandosi gli occhiali.
 “Mi sembra ovvio, perché non dovrei esserci? Insomma, ci saranno anche Sei-san e Ryuu-kun.”, si espresse come se avesse appena detto una cosa ovvia, se fosse stata Midorima avrebbe aggiunto ‘nanodayo’ alla fine della frase.
Sembrò che Takao le avesse letto nel pensiero perché si mise a ridere buttando la testa all’indietro e tenendosi la pancia fra le mani, il solito esibizionista esagerato. Mentre si stava avviando verso l’uscita dell’istituto notò una figura vicino al muretto, non ci mise molto per riconoscere quel profilo:
 “Aka-san!”, le corse in contro mentre i due cestisti rimasero qualche metro più indietro.
 “Rei-chan!”, s’incontrarono a metà strada e prontamente la mora si lasciò sfuggire uno sbuffo seccato.
 “Possibile che io debba essere sempre la più bassa?”, incrociò le braccia al petto mettendo un finto broncio.
Effettivamente era bassa, un metro e cinquantaquattro dedicati interamente al kendo, ma non era la più bassa, Seiko era cinque centimetri meno di lei rendendola regina indiscussa delle persone basse:
 “Hatsune, non devi dare peso a queste cose.”, Shintarou si era messo dietro di lei e la guardava dall’alto del suo metro e novantacinque.
 “Vaffanculo Midorima-san, porta rispetto verso la tua senpai.”, sbottò la mora facendo scintillare i suoi occhi d’ametista di una luce pericolosa.
 “Oha-Asa oggi ha detto che l’acquario è al terzo posto e ha consigliato un metro come oggetto fortunato.”, dicendo ciò il ragazzo dai capelli verdi rigirò fra le mani il portachiavi con un nanetto da giardino in miniatura.
 “Direi che Oha-Asa può anche smetterla di prendersi gioco delle persone basse.”, sbuffò la ragazza pensando che anche suo cugino, Kuroko, non era poi così alto ed era acquario.
 “Rei-chan, andiamo?”, Akari interruppe la discussione con la sua voce squillante costringendo i due ad una riappacificazione forzata.
 
L’aereo era in ritardo, non di qualche minuto, ma di due ore. Seiko si lasciò sfuggire un sospiro ripensando a come era riuscita a convincere Akashi a non usare il jet della sua famiglia, forse avrebbero fatto prima, ma ormai il danno era fatto.
L’aeroporto di Osaka era immenso, ci erano arrivati dopo circa un’ora di auto e teoricamente in quel momento sarebbero già dovuti essere in viaggio verso Tokyo:
 “Sono stanca di aspettare, ci vuole solo un’ora di volo e addirittura due di attesa perché si possa partire.”, la ragazza tese le braccia sopra la sua testa emettendo un mugugno di apprezzamento mescolato con uno scocciato; era seduta sopra la sua valigia bianca e da quando erano lì non aveva ancora tolto gli occhi dalla nuca di Akashi.
 “Porta pazienza Shiroko.”, disse lui gettandole un’occhiata veloce da sopra la spalla, non aveva troppa pazienza e in quell’istante era intento ad avvisare Kuroko del loro ritardo.
 “Tuo fratello è già là.”, mormorò più rivolto a sé stesso che a Seiko, non aveva mai nascosto la poca simpatia che provava verso quel ragazzo gigantesco.
 “Per forza, lui ha preso l’aereo questo pomeriggio.”, annuì la ragazza facendo ondeggiare la lunga treccia bianca.
Shiroko era una di quelle persone dalla bellezza singolare, possedeva il suo fascino con tutto quel bianco; dai suoi capelli, alla sua pelle nivea che aveva l’apparenza di essere liscia e morbida, i tratti delicati del viso con le orecchie un po' a punta e infine loro, i suoi occhi. I suoi grandi occhi perlacei dalle sfaccettature arcobaleno.
 
Si sentiva osservato, era una sensazione sconfortante per uno come lui. Odiava essere fissato da chiunque che non fosse la sua amata Erufu-chan. Sin da quando era bambino aveva chiamato sua sorella in quel modo, proprio perché le ricordava una piccola elfa.
Aveva girato per la città di Tokyo tutto il pomeriggio e si decise di prendere la metro e di dirigersi verso l'indirizzo segnato fra i promemoria del cellulare. Proprio mentre stava controllando quest'ultimo si accorse di un messaggio, era l'amico d'infanzia di Seiko che lo avvisava del ritardo della ragazza. Un grugnito infastidito sibilò fra i suoi denti stretti, la sola idea di saperla da sola assieme a quel pazzo dai capelli rossi lo infastidiva.
Arrivato finalmente al luogo designato, si trovò accolto da un ragazzino delle elementari che si era accertato di fargli venire un infarto:
 “E tu chi saresti? Il fratellino di Tetsuya-kun?”, domandò perplesso sgranando gli occhi.
 “Io sono Tetsuya Kuroko, Ryuu-kun.”, disse pacato l'altro accompagnato da un'infallibile espressione neutra. Solo dopo qualche attimo lo riconobbe.
Una volta all'interno dell'ampia casa si ritrovò davanti a sei facce dalla stessa espressione dipinta sopra, tutti con la stessa sorpresa mista ad incredulità:
 “Kuroko! E questo qui chi sarebbe?!’, uno di quelli gli puntò il dito contro urlando verso l'apatico Tetsuya.
 “Un amico mio e di Lei-san.”, la ragazza dai lunghi capelli neri sorrise nel sentire il suo nomignolo storpiato dai tempi dell'infanzia.
 “Ciao Ryuu-chan, ti trovo cresciuto.”, lo salutò felice di rivederlo dopo due anni. Il ragazzo si avvicinò e le fece un buffetto sulla testa.
 “Sei te che rimani piccola, Reiko-chan.”, anche lui sorrise rimettendosi dritto. Notò così un quattrocchi dagli occhi smeraldini che, in piedi di fianco alla ragazza, lo guardava costernato dal basso.
 “Vedo che c'è anche Akari-chan.”, le lanciò uno sguardo carico d'affetto, dopotutto era, insieme a Reiko, la migliore amica di Seiko. All'appello mancavano solo i due ragazzi dalla Rakuzan, i due della Yosen, Aomine e Momoi.
 “Com'è la scuola a Osaka?”, domandò Kuroko con il suo tono cortese di sempre.
 “Un inferno, ma perlomeno ho Nijimura-kun che mi aiuta.”, nel sentire quel nome un ragazzo biondo seduto sul divano e quello dagli occhi verdi sbiancarono.
 “N-Nijimura hai detto?”, balbettò quello che aveva la faccia più idiota fra i due.
 “Sì, siamo buoni amici io e lui. Era l'ex capitano della Teiko, giusto?”, disse il tutto con una nonchalance tale da sembrare fasulla.
 “Già.”, rispose secco il quattrocchi chiudendo lì l'argomento.
 
La prima classe era qualcosa di nuovo per Seiko, lei non aveva mai assaporato i privilegi dell'essere schifosamente ricchi e perciò tante cose erano a lei sconosciute. Tutto era stato fatto in modo che anche una sola ora di viaggio potesse essere il più confortevole possibile. Le hostess non erano invadenti e ogni passeggero aveva il suo spazio, l'ideale per chi non amava stare troppo vicino alle persone.
Per passare quell'ora senza annoiarsi Seiko si guardò attorno catturando i dettagli che caratterizzavano quello spazio. Lei e Akashi non erano vicini e per quel motivo Shiroko non aveva nessuno con cui chiacchierare; pensiero che stava passando anche per la mente del rosso che, assorto, non smetteva di osservare la complicata ragazza, rispetto a lei sedeva dalla parte opposta del corridoio due file più indietro.
L'atterraggio non fu niente di eccezionale, Seiko si ricordò di una volta che era stata in Italia dove tutti i passeggeri avevano applaudito non appena il maledetto mezzo aveva toccato terra; al solo ricordo le scappò un risolino che curò bene di nascondere:
 “Ora da che parte dobbiamo andare, Aka-san?”, chiese gentilmente Shiroko.
 “Aspettiamo che Murasakibara e il suo amico ci trovino, dopodiché dovrebbe arrivare il fratello di Akari per darci un passaggio.”, spiegò brevemente l'ex-capitano della Teiko.
 “Va bene.”, Seiko venne poi distratta da una mail che le fece squillare il cellulare. Non appena lesse il contenuto ebbe una parvenza veloce di stupore dipinta sul suo volto.
 
L'ennesimo colpo al clacson e l'ennesimo insulto del malcapitato autista davanti a lui annunciarono la sua fretta. Era in ritardo e l'idea di rimanere anche solo un minuto in più senza sapere cosa stesse facendo sua sorella gli faceva tremare le mani strette al volante. Avrebbe potuto chiamarla, ma guidare e parlare al telefono erano cose sconsigliate da fare in contemporanea. Digrignò i denti mentre, finalmente, prese la stradina che l'avrebbe condotto agli Arrivi dell'aeroporto.
Al suo arrivo notò con un certo disappunto che mancavano due persone all'appello:
 “Dove sono Seiko-san e Akashi?”, sbottò rivolto ai due giocatori più forti di Akita.
 “Dovrebbero arriv- oh! Eccoli là!”, Himuro alzò lo sguardo verso Masaru sorridendo perché sapeva cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
 “Ragazzi! Scusateci!”, la ragazza dagli occhi di perla sventolò il braccio mentre con la mano sinistra teneva il suo trolley, corse verso di loro seguita a ruota dal rosso.
Masaru, dopo una lunghissima lamentela circa l'affidabilità degli aerei, indirizzò i quattro ragazzi verso la sua auto facendo da guida. Il tragitto non fu tanto pesante, a parte forse Murasakibara che a ogni chilometro pretendeva del cibo, si intrattennero aggiornandosi sulle ultime novità. Giunti a destinazione ed effettuato lo sbarco dei bagagli a mano a Kuroko - avevano portato quanto necessario per due o tre giorni - non vennero fatti entrare in casa perché incaricati di andare a prendere Aomine e Momoi. Si offrì Seiko di accompagnare il fratello di Akari vista la poca confidenza che aveva il ragazzo per i due vecchi amici della sorella:
 “Shiro-chin, Kuro-chin mi ha detto che c'è anche tuo fratello.”, disse tutto d'un tratto il gigante dai capelli viola.
 “Sì, si chiama Ryuu.”, disse la ragazza agitando la mano con fare vago, in quel momento era alle prese con una crisi esistenziale dovuta alla vista del seno di Satsuki.
 
Akari non stava un attimo ferma, continuava ad andare in giro per la casa del fantomatico sesto uomo. Era emozionata perché avrebbe potuto rivedere la sua amica dopo tanto tempo:
 “Rei-chan, credi che Sei-chan sarà contenta di vederci?”, trillò correndo ad abbracciare la mora.
 “Perché non dovrebbe? Aka-san, Sei-san sarà sicuramente felice.”, disse bonaria la più grande con un piccolo sorriso a fior di labbra. Alzò la mano quel tanto per poter raggiungere la resta dell'amica e per farle un breve gesto d'affetto.
Allora si misero ad aspettare pazientemente, Reiko decise d'intrattenersi con Kuroko e Midorima parlando di libri, Kagami sparì in cucina assieme a Ryuu e Sakura si mise a ridere e scherzare con Takao e Kise.
Solo verso le dieci di sera i ragazzi sentirono un lieve bussare, la castana si precipitò alla porta spalancandola:
 “Masa-nii!”, esclamò Akari saltando praticamente in braccio al ragazzo che non rifiutò il contatto.
 “Imooto, devo far del male a qualcuno?”, disse lui serissimo guardandola negli occhi.
 “Eh? No affatto!”, Sakura agitò le braccia e scosse la testa, sapeva bene che Masaru sarebbe stato veramente capace di uccidere qualcuno. Dietro la ragazza apparve una figura e persino Murasakibara dovette alzare lo sguardo.
 “Erufu-chan.”, un sorriso dolce accompagnò quel nomignolo, Ryuu si avvicinò a Seiko.
 “Ryuu-nii.”, anche lei sorrise, ma lo fece appena anche se i suoi occhi presero a brillare.
I due fratelli dai capelli bianchi si misero una di fronte all'altro, gli occhi perlacei di lei si puntarono in quelli eterocromi del fratello, ma la differenza sostanziale stava nell'altezza; se Seiko poteva sembrare una piccola elfa, Ryuu era da considerare una montagna che cammina, un metro e quarantanove contro gli impossibili due metri e ventidue. Nonostante l'altezza spropositata, il ragazzo non aveva alcun problema di salute o movimento e ciò era ancora più sorprendente.
 
Essendosi finalmente riuniti, i quattrocchi ragazzi si spostarono nel salone del piano superiore; era abbastanza spazioso da poter ospitare anche venti futon e per quel motivo, su obbligo di Masaru, dedicarono una piccola area ad esclusivo utilizzo per le ragazze:
 “Se qualcuno tenta di aggredirti durante la notte devi urlare, intesi?”, il castano mise le mani sulle spalle della ragazza dagli occhi smeraldini guardandola con lo sguardo di chi desidera uccidere ogni essere vivente di sesso maschile al mondo, a parte lui ovviamente.
Dopo essersi sorbita le mille e una preoccupazioni del ventenne, anche Akari si unì al gruppetto formato da Reiko, Satsuki e Seiko. Parlarono molto di cose come la scuola, i loro nuovi interessi e, ovviamente, di ragazzi; si divertirono molto anche se la riservata Shiroko non rise apertamente, ma anche Hatsune fu piuttosto riservata:
 “Rei-chan e Sei-chan non ridono mai, sono noiose!”, disse per scherzare Sakura facendo ridere Momoi e guadagnandosi una doppia occhiataccia.
Quando fu troppo tardi sia per loro che per i ragazzi - loro avevano passato tutto il tempo a parlare di basket, ragazze e cibo - decisero di spegnere le luci e di dormire almeno quelle otto ore necessarie alla corretta funzionalità delle facoltà celebrali. Nonostante l'euforia dell'essere in gruppo, la stanchezza fece presto a farsi sentire, tutti caddero uno dietro l'altro fra le braccia di Morfeo.
 
Qualcosa le pizzicò il naso, un odore pungente di chiuso la fece quasi starnutire, una sensazione fastidiosa, granulosa e calda su tutto il lato sinistro del corpo. Istintivamente cercò una posizione migliore, ma appena il palmo della sua mano premette contro il suolo venne percorsa da una sensazione di calore, ma non era piacevole, si sentì bruciare, con un sibilo ritirò la mano e perse all'istante il tepore del dormiveglia. Spalancò gli occhi e di scatto si mise a sedere, i suoi lunghi capelli corvini ondeggiarono appena e le sue iridi viola presero a vagare nervosamente tutt'attorno; un moto di tensione l'avvolse mettendola in guardia da qualcosa, ma nemmeno lei seppe dire con certezza il motivo, dopotutto poteva anche essere un sogno, no?
Cercando di abituarsi alla luce giallognola che la circondava, Reiko cominciò ad esplorare con lo sguardo lo spazio attorno a sé. Notò per prima cosa la presenza degli altri e si sorprese nel vedere che erano tutti nelle stesse posizioni con cui erano andati a dormire, Akari e Seiko erano una di fianco al lei mentre Satsuki si trovava invece ad un metro circa da loro. I ragazzi ronfavano, chi più e chi meno composto o silenzioso; tutto sarebbe sembrato tranquillo e normale se non fosse stato per il luogo in cui si trovavano.
Si alzò con una lentezza degna di un bradipo, ogni minima percezione era estremamente reale e la convinzione di sognare andò scemando di secondo in secondo. Ogni dettaglio era vivido, dal pavimento polveroso cosparso di piccole macerie alle pareti metalliche ricoperte di ruggine; tubature dalla vernice scrostata correvano lungo il soffitto ed erano costellate di piccole stalattiti di calcare giallastro. La puzza di chiuso era misto a quello della muffa, i granelli di polvere volteggiavano nitidi nei raggi di luce filtrata da un'unica finestra in stile fabbrica sul muro alla sua destra; era composta da tanti piccoli quadratini di vetro resi opachi dalla sporcizia, alcuni erano rotti e altri mancanti. La ragazza mosse qualche passo nella speranza di capire dove si trovasse, ogni movimento era accompagnato da uno scricchiolio sommesso sotto i suoi piedi nudi, sulle sue gambe scoperte avvertì subito il calore del sole e il solleticare dei suoi capelli. Giunta alla finestra schiuse le labbra dalla sorpresa, ma non ne uscì alcun suono.
Oltre il velo unto e polveroso, l'unica cosa che Reiko riuscì a scorgere fu una distesa di case dall'apparenza abbandonata e, in lontananza, grattacieli ridotti quasi totalmente distrutti. Lei ebbe la sensazione di essere in qualche modo in un posto pericoloso, dove non bisogna affidarsi a nessuno se non a sé stessi. Dopo qualche attimo passato a divorare i dettagli di quel paesaggio inquietante, la ragazza si ritrasse e riprese a girare per l’opprimente stanza; la porta che le avrebbe permesso di uscire era stata sfondata e i pezzi di legno mariti giacevano attorno allo stipite mangiato da tarli e, probabilmente, altri insetti.
Hatsune non se la sentì di abbandonare lì i suoi amici e decise di svegliarli. Fu un'impresa riuscire a destare Aomine e Seiko i quali passarono i primi secondi a lanciare insulti incomprensibili verso chiunque.
Dopo la confusione generale, si misero in qualcosa che sarebbe dovuto essere un cerchio, ma che in pratica era una forma indefinita. Nessuno osò fiatare, nessuno mosse un muscolo a parte gli occhi che saettavano da una persona all'altra, tutti pensarono di star sognando e tutti ebbero la convinzione che, presto o tardi, si sarebbero svegliati. Fu la ragazza dagli occhi color ametista a rompere il silenzio divenuto soffocante:
 “La faccio breve così persino Aomine-san la capisce, ok? In tre parole siamo nella merda.”, fu schietta, più del solito e si notava il suo nervosismo dal suo continuo giocherellare con le punte dei capelli.
 “Non serve che la fai più facile per me Hatsune, ci arrivo benissimo da solo.”, disse il ragazzo serio, anche lui doveva aver avvertito il senso di pericolo imminente.
 “Qualcosa qui non va Rei-chan, Dai-chan.”, sospirò Akari appoggiando la testa sulla spalla destra del fratello.
 “Questo lo so, Aka-san, fuori di qui è totalmente desolato, non so che razza di sogno sia questo, ma mette i brividi.”, persino lei, grande amante delle storie horror, era angosciata da quel senso di realtà.
 “Noi non abbiamo ancora controllato com'è fuori, te sei uscita?”, domandò Akashi prima di lanciare uno sguardo pensieroso alla sua sinistra dove Seiko sedeva raggomitolata su sé stessa.
 “Ho solo visto dalla finestra - indicò con un cenno del capo la parete alla sua destra - e ho solo visto i tetti di qualche casa.”, poterono dunque dedurre di trovarsi relativamente in alto.
 “Cosa credete sia meglio fare?”, Kagami, seduto fra Himuro e Kuroko, si strinse le caviglie fra le mani dondolandosi appena.
 “Non lo so, ma di sicuro non possiamo rimanere qui in eterno, nanodayo.”, Midorima si risistemò gli occhiali che andavano via via ricoprendosi di micro granelli di polvere.
 “Shin-chan ha ragione, ma che facciamo se fuori è troppo pericoloso? Insomma, siamo pur sempre ragazzi e per di più in pigiama.”, Takao aveva ragione e la sua ultima affermazione scatenò un breve istante d'ilarità.
La parte critica dell'intera, per così dire, riunione, fu decidere se era meglio dividersi in due o più gruppi o se era meglio restare tutti assieme. Alla fine l'accordo fu quello di rimanere uniti fin quando la situazione fosse rimasta tranquilla, se le cose si fossero aggravate si sarebbero divisi in due gruppi:
 “Bene, usciamo da questa topaia.”, disse Ryuu, fianco a fianco con la sorella, già sull'uscio seguito dagli altri dodici ragazzi.
   
 
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