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Autore: Drop_the_world    13/09/2015    0 recensioni
Un ragazzo e una ragazza si conoscono per caso al pronto soccorso e scoprono così il primo vero amore. Un mix di passioni tra sport , adolescenza e amore. In parte ispirata alla mia realtà.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era pronto, carico, la sua mente era già scesa in campo. Il suo sguardo era fisso fuori dal finestrino del pullman. Niccolò , ragazzo di 16 anni, capitano della squadra di rugby della sua regione cercava la concentrazione nel paesaggio grigio e nuvolo in quella giornata di fine novembre. Era alto un metro e ottanta, ben messo fisicamente, muscoli definiti ma non esagerati, veloce e potente. In testa aveva una bella chioma di capelli castani leggermente mossi che gli arrivavano fin sotto all'orecchio. I suoi occhi, molto espressivi, erano un po' più scuri del color nocciola. Aveva inoltre un sorriso contagioso che spesso irradiava tutti. Estroverso e pieno di voglia di vivere e divertirsi sapeva come trattare le persone.
Quella trasferta era importantissima, bastava un pareggio per guadagnare il primo posto in campionato prima della pausa invernale. Scesi dal pullman i giocatori si dovettero coprire per bene, la pioggia cadeva davvero molto fitta. Il campo era una pozza di fango a tal punto che l’erba non si poteva più neanche distinguere. Il freddo di novembre pungeva le guance. Sapevano già che sarebbe stata una partita dura. Negli spogliatoi c’era un silenzio quasi assoluto, disturbato da qualche lieve rumore dei compagni di Nico che si preparavano a giocare. Calzettoni, pantaloncini corti, maglia termica a maniche lunghe, maglia della divisa a maniche corte, scarpe con tacchetti in ferro e fasciature varie. Erano pronti. Fu necessario un riscaldamento lungo e graduale, il freddo fa brutti scherzi hai muscoli e ai tendini.

L’arbitro fischiò e dopo pochi attimi partì il calcio di inizio. Niccolò grintoso e cattivo corse verso il portatore di palla e lo atterrò con un ottimo placcaggio. Ancora uno e uno ancora. Non lo si poteva fermare. Prima mischia della partita. Il capitano si posizionò al suo posto e guardò dritto negli occhi il suo avversario. La partita andava avanti, ma a un certo punto successe una cosa, un piccolo incidente. Nico cercò di placcare un avversario mentre questo calciava, prendendosi così una gomitata sull’occhio. Probabilmente grazie al freddo e all’adrenalina non sentì quasi nulla e continuò a giocare. Poco dopo, appena prima di un’altra mischia l’arbitrò fermò il gioco.

- Capitano sta sanguinando, non può proseguire la partita.

-Cosa?

-Il suo sopracciglio sanguina. Si faccia vedere dal medico in panchina.

Si guardò la maglia e vide che effettivamente era macchiata di sangue. Non doveva succedere quel giorno, in quella partita così importante in cui la squadra necessitava del suo aiuto. In collera si diresse imprecando verso la panchina.

-Doc sistemami che devo rientrare subito.

-Vedo cosa posso fare.

Appena il dottore ebbe disinfettata e pulita la ferita dal fango cambiò la sua espressione da serena a terrorizzata. Questo improvviso mutamento preoccupò un po’ il capitano. Sentiva che qualcosa non andava e che probabilmente non sarebbe potuto rientrare.

-Cosa c’è Doc? Tutto apposto?

-Hai un bello squarcio sul sopracciglio… è lacerato. Mi sa che hai vinto dai 3 ai 5 punti.

-Beh, cosa aspetti? Prendi ago e filo, fai la tua magia e fammi tornare in campo.

-Lo farei, ma c’è un piccolo problema… non ho punti di sutura. Mi dispiace, la tua partita finisce qua. Vai pure a farti la doccia. Ah e fai attenzione a non bagnarti la ferita. Naturalmente quando arriviamo a casa vai in pronto soccorso.

Senza dire nulla Niccolò si alzò e rassegnato si diresse verso gli spogliatoi. I suoi compagni persero di due punti allo scadere del tempo.

Quando il pullman si fermò buona parte dei genitori era ferma nel parcheggio ad aspettare ognuno il proprio figlio. La madre del capitano infortunato era tra questi, le si poteva leggere in faccia l’ansia e la preoccupazione a parecchi metri di distanza. Niccolò le andò in contro senza dire nulla, con ancora David Gilmour chitarrista dei Pink Floyd che suonava il suo assolo negli auricolari.

-Tutto bene? Fa tanto male?

-Mamma sto bene, andiamo al pronto soccorso così mi mettono sti cazzo di punti e ce ne torniamo a casa.

-Non essere volgare… Dai Sali in macchina.

 

Quando entrarono nell’ala dell’ospedale consona al pronto soccorso erano le 8:23. Niccolò lesse l’ora sull’orologio digitale che segnava con dei led rossi, a intermittenza di 5 secondi l’orario, la data e la temperatura esterna e capì subito che sarebbe stato il suo compagno per tutta la sua permanenza lì. Lui e sua madre si sedettero su una delle serie di sedie della sala d’attesa. Pensò di non aver mai provato una sedia così scomoda. Iniziò a guardarsi intorno e ad esplorare con gli occhi la fauna di quel luogo così triste. In fondo alla stanza un signore sui 50 anni si lamentava del dolore alla testa; accanto a lui una vecchia donna teneva compagnia al marito decrepito seduto su una carrozzina e dotato di un tubicino di silicone trasparente che gli usciva dalle narici e gli portava l’ossigeno. Di fronte all’anziana copia un’intera famiglia di tunisini occupava l’intera serie di sedie. Nell’angolo opposto al cinquantenne, che si lamentava in continuazione, una ragazza con i con la gamba immobilizzata era sdraiata su una barella.

Ad un certo punto un ragazzo con non più di trent’anni entrò e dopo essere andato all’accettazione si sedette tra il lamentone e la coppia di decrepiti. Come il suo vicino si lamentava, lui però accusava un forte male alla schiena e reclamava un antidolorifico. Dopo mezzora si alzò infuriato.

-Non è possibile che dopo mezzora neanche mi avete visitato. Ho un dolore incredibile alla schiena, non riesco a stare in piedi, seduto e sdraiato e su sto braccialetto vedo scritto “codice bianco”. Codice bianco un cazzo! Il servizio sanitario fa schifo, tutto fa schifo. È questo il problema del nostro paese! Andatevene tutti al diavolo.

E sen uscì sbattendo la porta. Nico fu divertito da quel bizzarro episodio, ma capì che effettivamente ne avrebbe avuto per parecchio tempo la dentro. Un altro evento gli fece dimenticare il precedente. Una ragazza con il polso legato al collo con un foulard entrò accompagnata dalla madre e si sedette di fronte a lui. Il ragazzo alzò gli occhi dal cellulare e la osservò molto attentamente.

Non era molto alta, circa un metro e sessanta contro il metro e ottanta di Niccolò. Il fisico era molto ben equilibrato, le gambe una giusta formula di muscoli e curve, i fianchi non troppo esagerati, i glutei sodi e molto ben definiti e una buona terza di seno. I suoi capelli erano color biondo cenere, mossi e lunghi abbastanza da arrivarle a metà schiena. La guardò per la prima volta in faccia e notò le guance coperte da un accenno di lentiggini. Ma la cosa che colpì davvero Niccolò fu il suo sguardo, il modo in cui per la prima volta si guardarono. Riuscì dopo neanche qualche minuto a perdersi nei suoi occhioni verdi. Non potette far altro che sorriderle. Sapeva, anche se non lo ammetteva mai, di aver un bel sorriso capace di ottenere molte cose. La ragazza rispose con un sorriso ancora più fatale. Lui ne rimase sconvolto, crebbe per un attimo di essersi addormentato durante l’attesa e di stare sognando. Non poteva essere vero, era bellissima.

Iniziarono a scambiarsi sguardi, prima di rado e senza molto significato, poi sempre più frequentemente. Era come se conversassero con gli occhi. Niccolò passava dall’orologio digitale alla ragazza senza sosta.

Erano le 22.07 quando venne chiamato per una visita veloce. L’infermiera gli misurò la pressione, chiese cosa fosse successo e lo rimandò in sala d’attesa dicendo che sarebbero serviti dei punti di sutura e che avrebbe dovuto aspettare qualche ora. "Fantastico! Non lo avrei mai saputo dire che mi servono dei punti, che perspicace che sei..." Pensò di rispondere, ma si limitò a un sorriso. Poco dopo essere tornato nella sala di attesa venne chiamata la ragazza per la visita.
Stette via per meno di dieci minuti e quando tornò al posto del foulard aveva una fascia. 
Passò un'ora e Niccolò non ne poteva già più, gli faceva male la testa era stanco e deluso dall'esito della partita. 
- Non è possibile, tutto questo tempo per quattro punti! Mi viene voglia di prendere una graffetta e lo spago che c'è al banco accettazione e cucirmi da solo...
Disse rivolgendosi alla madre che lo guardò dispiaciuta.
-Dopo che ti sei cucito ingessi anche il mio polso?
Quella risposta era arrivata dalla ragazza che lo guardava sorridente e divertita. Lui annuì sorridendo a sua volta. 
   
 
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