Film > La spada nella roccia
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Autore: Lumos and Nox    14/09/2015    9 recensioni
Una oneshot su un probabile passato tra Merlino e Magò.
Perchè il confine tra odio ed amore è spesso labile, troppo labile.
Genere: Malinconico, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Maga Magò, Mago Merlino
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Senza un Lieto Fine'
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Vita creata per essere spezzata



Il villaggio in cui viveva Merlino era piccolo e un po' sperduto, tanto da non avere nemmeno un nome preciso, circondato dalle foreste. Lo attraversava una strada che a tratti si perdeva nell'erba e nelle sterpaglie e la gente diceva che volgendo le spalle al pozzo e andando sempre dritti si arrivava al castello di Guglielmo Botteforte, mentre seguendo il pozzo e andando sempre dritti si rischiava molto, perché da quelle parti viveva un vecchio mago, che aveva salvato anni prima addirittura un intero villaggio da un orso con le sue magie.
Ma a Merlino questo non importava granché: insomma, di norma sarebbe stato un tipo piuttosto curioso, ma era giunto alla conclusione anni prima che quelle erano soltanto dicerie della gente per non addentrarsi troppo nel bosco. La paura era un'abitudine costante in quel periodo.
I suoi genitori avevano dei campi nel lato ovest del villaggio: una parte del raccolto doveva essere portata a Guglielmo Botteforte che li proteggeva dai nemici- Merlino non ne aveva mai visto uno, in sedici anni di vita, e questo era uno dei tanti motivi per cui il raccolto totale che dichiaravano agli esattori risultava sempre decisamente meno di quello che poi era in realtà. Merlino non era totalmente d'accordo con il metodo elaborato dai suoi genitori, ma almeno così rimanevano loro un bel po' di sementi, che potevano addirittura vendere al mercato- se così lo si poteva chiamare- in mezzo al villaggio. Molta gente, a dire il vero, non poteva nemmeno permettersi di osservare ciò che vendevano e questo era il caso di Magò, quella ragazzina dai capelli talmente scuri che, di tanto in tanto, al riflesso del sole, parevano quasi viola e dagli occhi verdissimi e chiarissimi, come il colore della menta appena sbocciata. Certo, c'erano dettagli che un po' stonavano nel suo viso, come il naso all'insù e il visetto un leggermente più tondo rispetto al resto del corpo. Il tutto la faceva assomigliare vagamente ad un folletto, o comunque ad uno di quei tanti esserini dei boschi di cui tutti parlavano e che tutti temevano.
Questa caratteristica, unita alla spiacevole abitudine di Magò di ciondolare avanti e indietro per il villaggio alla ricerca di un pezzo di cibo, faceva sì che fosse abbastanza malvista. Si vociferava perfino che suo padre non fosse uno dei tanti viandanti di passaggio ormai scomparsi dal villaggio, ma lo stesso stregone che viveva dalle parti del bosco più fitto e che sua madre non fosse morta anni prima, ma fosse uno spirito delle sorgenti. Merlino credeva a quelle storie più o meno a come credeva allo stregone del bosco. Baggianate.
Magò probabilmente era una ragazzina nata da una delle contadinelle o delle cameriere dell'osteria e da un viandante di passaggio. Non c'era nient'altro dietro di lei, apparte un carattere troppo sfacciato.
A quei tempi, come avrebbe definito lui stesso molto, molto più tardi, Merlino era un ragazzino che si riteneva superiore agli altri, alla massa di bifolchi che credeva davvero in tutti quegli spiriti e nel fatto che il grande- più che altro grosso- Guglielmo Botteforte li avrebbe protetti. Guglielmo Botteforte si sarebbe rinchiuso nel suo castello e anche in una botte se ci fosse stato un cavaliere a minacciarlo, figurarsi poi un fantomatico stregone.
Eppure, la gente ci credeva, come credeva che Magò derivasse da chissà quali esseri magici.
Merlino non aveva nemmeno avuto ben presente il viso della ragazzina, finché lei non aveva attirato la sua attenzione in un giorno qualunque del mercato. Il mulo che di solito usava per trasportare aveva completamente dato di matto e sua madre sospettava che si stesse ammalando, perciò gli aveva dato il loro secondo asino, quello più stupido e inesperto. Era solo colpa sua, se le sementi continuavano a cadere nella strada che portava da casa sua al mercato. Certo, c'era una remota possibilità che lui le avesse caricate un po' di fretta, ma comunque quell'asino restava un incapace. Merlino aveva dovuto distrarsi dai suoi importanti pensieri, fermare asino e carro e chinarsi a raccogliere i sacchi già dieci volte, e non era nemmeno giunto a metà della strada.
Quella era perlomeno la decima volta che succedeva e Merlino, dopo aver regalato all'asino una pacca sulla testa per sfogare la sua impazienza, si era chinato un'altra volta al lato sinistro del carro, con la gente che lo superava borbottando e sbatacchiando qua e là i loro polli.
Si stava davvero innervosendo e per poco non gli sfuggì un'imprecazione quando un paio di bambini gli sfrecciarono accanto, facendolo cadere malamente a terra. Si massaggiò la guancia osservando i due mocciosi con il forte desiderio che scivolassero con la faccia in una grande cacca di mucca.
Urtandolo, i due gli avevano fatto anche cadere il sacco, che ora si era aperto, vomitando sementi ovunque, compreso sotto il carro. Si rimise a raccoglierle, sbuffando.
Fu proprio in quel momento che quella vocetta fece capolino nella sua giornata. «Serve aiuto?»
Merlino portò di scatto gli occhi a fissare chi fosse dotato di tanto intelletto per notare che si trovava in difficoltà, una risposta piuttosto sarcastica già pronta sulla lingua. A parlare era stata proprio quella ragazzina, quella Magò che tutti evitavano e che ora lo osservava con un mezzo sorriso dall'alto approfittando del fatto che fosse chinato, anche se probabilmente non gli arrivava nemmeno sopra le spalle.
Merlino l'aveva guardata torvo, alimentando solo il sorriso sbarazzino della ragazzina, che rivelava uno o due denti mancanti. Forse lei si aspettava che la scacciasse con un borbottio, ma Merlino, dopo aver lanciato uno sguardo al migliaio di sementi ai suoi piedi, con un sospiro aveva annuito, accenando anche lui un sorriso. La ragazzina aveva riso e si era chinata a raccogliere le sementi.
Nessuno dei due aveva fatto caso agli sguardi stupefatti dei passanti e ai loro bisbigli. Quando erano riusciti a raccogliere tutte le sementi, Merlino si era alzato con grazia per spolverarsi la tunica, mentre Magò era balzata in piedi e si era avvicinata all'asino traditore con aria critica. «È per colpa sua che le sementi sono cadute» commentò Merlino mentre la ragazzina accarezzava piano il muso indignato dell'animale. Magò ridacchiò, per poi incrociare il suo sguardo. «Scommetto la mia gonna nuova che non è così! In realtà hai caricato male il carro!»
Merlino aveva sgranato gli occhi. I suoi genitori, i suoi amici, la gente del villaggio... tutti sapevano che lui odiava essere contraddetto, specie in quel modo così sfacciato. Come sapevano che era molto, molto intelligente e che non tollerava che qualcuno senza la sua stessa capacità intellettiva cercasse di ostacolarlo. Ma ciò che disse poi Magò lo bloccò. «La strada è in leggera pendenza rispetto sinistra e, siccome hai messo troppi sacchi a destra, è normale che spingano gli altri e cadano».
Magò si godette un attimo il silenzio stupefatto di Merlino e ridacchiò della sua espressione. Stranamente, lui non si sentì poi così offeso. E ancora più strano fu il sorriso che gli nacque spontaneo sulle labbra.
Nei tempi successivi, si era ritrovato molte volte a pensare a Magò, e anche, ogni tanto, a fermarla per parlare con lei. Magò era intelligente, davvero e sapeva analizzare la situazione vera e propria, senza cadere in folletti, maghi e altre baggianate. Magò era come lui.
Come lui.
Non c'era poi voluto molto prima che le cose tra loro cambiassero. Erano simili- per fortuna loro non uguali- e nelle loro spigolature cercavano come di ammorbidirsi l'un l'altra- Magò moderava i suoi modi arroganti e lui moderava la sfrontatezza di Magò. Stavano bene insieme e in quei tempi ci si sposava sempre piuttosto presto, nella speranza di riuscire a fare qualcosa prima che la morte- carestia, pestilenza o guerra- falciasse qualcuno.
Ovviamente i suoi genitori avevano posto problemi alle sue intenzioni- sposare la figlia di alcuni spiriti, per quanto anche loro ci credessero poco, avrebbe potuto danneggiare il commercio di famiglia con il resto del villaggio, ma a quel punto Magò si era fatta furba, ancora più del solito.
Si era sfilata gradualmente di dosso i panni della ragazzina vagabonda del villaggio, distribuendo modi cortesi, quasi da gran dama. Si era improvvisata aiutante di una vecchia erborista e ben presto tutti erano rimasti conquistati dalle erbe buone che straordinariamente non uccidevano mai nessuno, ma anzi, sembravano guarire la gente. Merlino la osservava mentre lavorava e ridacchiava, per tanti motivi. Le erbe che Magò propinava alla gente erano le stesse della vecchia erborista e le stesse, più forse alcune che lui le aveva indicato. Il resto lo faceva Magò, o meglio, i suoi presunti parenti spiriti, che tutti ora credevano benigni e guaritori. Quella gente si ingannava da sola, attribuendo poteri magici a persone più furbe di loro, quando in realtà era soltanto la natura ad aiutarli. Non c'era nient'altro di magico, come non c'era nessun mago ad abitare dalle parti del vecchio sentiero che portava nel bosco.
Il matrimonio si era potuto celebrare dopo soltanto tre mesi dall'inizio della nuova attività di Magò e soltanto un anno dopo il loro incontro su quel carro e su quelle sementi.
Magò... aveva avuto quattordici anni, forse.  E lui sedici, quasi diciassette, con solo un accenno di barba a sfiorargli il mento e i capelli ancora neri e ancora folti.
Di quel giorno, Merlino, più che tutti i dettagli, ricordava le sensazioni, sprazzi di immagini.
Aveva piovuto tutta la notte e l'acqua gocciolava dai rami del bosco in piccole cascatelle... i piedi erano freddi, quasi sempre bagnati e l'odore di fango era fastidioso, ma si dimenticava quando si sentiva il calore del sole sulla pelle.
Magò era stata bellissima nel suo abito, con sul viso il sorriso che le faceva arricciare il naso un po' simile a quello di un maiale, lo stesso di quel loro primo incontro, e Merlino si era sentito davvero impacciato e goffo nella sua semplice tunica, che continuava a scivolargli.
I giorni successivi si erano accalcati tra di loro senza alcun peso, erano scivolati via veloci come il lieve vento sull'erba del prato e Merlino ricordava le risate, le sue e quelle stridule di Magò, un letto di paglia più grande e il calore di un altro corpo accanto al suo, ricordava le erbe raccolte insieme nel prato dietro casa, le loro mani che si sfioravano subito seguite dai loro sguardi... il calore del sole, lo stesso che nel giorno del loro matrimonio aveva seppellito l'odore del fango, sembrava essersi stabilito nella casa in cui un tempo Merlino aveva vissuto da solo con i suoi genitori- sembrava molto più vuota quando la pensava senza Magò. Così la perdita dei suoi genitori di lì a poco, anche se piuttosto prevedibile ma comunque dolorosa, quella perdita, era stata più facile da digerire, specie con la logica utilizzata da entrambi. Le nuvole di quelle morti erano state spazzate via con lentezza e sicurezza e alla fine, Merlino ne poteva essere certo, alla sua intelligenza si era unito qualcosa che in molti chiamavano saggezza.
E con i mesi che passavano, Magò aveva cominciato a farsi sempre più tonda, tanto che a volte, con la testa che a malapena arrivava al petto di Merlino- non più nemmeno alle spalle- sembrava una piccola noce, di quelle che i bambini del villaggio usavano per giocare. Merlino la trovava buffa, anche se questo contribuiva ad aumentare l'irritazione della gravidanza di Magò, che di norma alternava saltelli, canzoncine sciocche e risatine a scatti di rabbia che facevano scappare via i ragazzini che giocavano con le noci davanti casa.
Era stata difficile quella gravidanza, anche se di fatto era la prima per entrambi. Ma ne era valsa la pena, anche se Merlino aveva rischiato di vomitare e di essere scacciato dalla sua stessa casa quando si era giunti al capolinea, anche se aveva passati ore intere a pregare qualcosa di non ben definito- l'antico Dio dei tempi passati, o forse le stesse forze magiche che reputava baggianate- perché tutto andasse bene. Ne era valsa la pena anche solo per vedere quel cosetto rosa sporco di sangue che strillava e si dimenava e che piangeva pur restando tra le braccia ora della mamma, ora del papà. Era magro, molto magro, e Magò aveva perso sangue, molto sangue, ma erano entrambi vivi e per un attimo Merlino aveva creduto davvero che qualcuno o qualcosa di benigno li avesse protetti.
Quel bambino che era nato dopo un anno di matrimonio era bello come Magò, aveva pensato in seguito spesso Merlino. Era uno scricciolo e i capelli che gli coloravano la testa erano gli stessi capelli di Magò, gli stessi che al sole si coloravano di riflessi violetta e gli occhi che aveva aperto tempo dopo erano stati azzurri e un poco neri come quelli suoi e di sua madre. Per quanto lui e Magò- Magò soprattutto, ovviamente- gli dessero da mangiare, rimaneva sempre con un fisico un poco gracile, con le caviglie magrissime e le braccia che parevano sul punto di spezzarsi ogni minuto. Ma questo non importava, perché era vivo.
Perché Merlino e anche Magò, ne era certo, avevano sempre pensato che il loro Marrec fosse meraviglioso. E che avrebbe reso fieri sia lui, sia Magò, diventando un cavaliere.
Un vero cavaliere che avrebbe aiutato la gente, unendo intelligenza e forza.
Avevano amato Marrec e l'idea di lui cavaliere più di qualsiasi cosa.
Forse era stato quel pensiero, alla fine, la causa di tutto.
Marrec era cresciuto bene. Magro, e con le braccia e le caviglie sempre troppo fini, ma era cresciuto, era vivo ed era cresciuto, non come tutti i fratelli dopo e prima di Merlino. Le prime parole, gli strilli e le piccole corse di Marrec erano dolci da sentire e da vedere e aiutavano a reprimere quel gusto amaro in bocca al pensiero che lui sarebbe stato l'unico bambino in quella casa, l'unico che i corpi di entrambi avrebbero potuto dare alla luce. L'ostetrica che aveva aiutato Magò lo aveva detto in modo lampante. Un altro bambino, e Magò se ne sarebbe andata. Ma non importata più, quando i suoi occhi si posavano su Marrec. Marrec era il bambino perfetto.
Era intelligente, stupiva sempre i suoi amici con osservazioni sulla realtà che non avevano nulla a che vedere con stregoni e spiriti, amava i racconti e si allenava con spade di legno perché diceva che sarebbe sul serio diventato un cavaliere.
Merlino, e con lui Magò, era felice.
Entrambi erano orgogliosi di lui. Troppo orgogliosi di lui.
Marrec aveva da poco compiuto i dieci anni e il villaggio era avvolto nel freddo bozzolo di neve dell'inverno. A casa loro faceva caldo, il grande fuoco dentro il camino scoppiettava allegro e Magò di tanto in tanto aggiungeva qualche pezzo di legno. Marrec se ne stava lì seduto vicino a lui, ad ascoltare i suoi racconti e sorrideva, sorrideva... poi ad un tratto, Merlino aveva scambiato un'occhiata complice con Magò, e gli avevano portato una nuova spada, migliore, più resistente della sua precedente.
Marrec si era illuminato, illuminato davvero, era balzato in piedi e aveva brandito quella spada come un qualcosa di un unico, un trofeo... Merlino si era sentito scoppiare il cuore d'orgoglio.
E poi Marrec aveva voluto provare la spada fuori, colpiva avversari immaginari e rideva, correva qua e là e si divertiva, anche se aveva iniziato a nevicare, anche se aveva cominciato a scendere la sera e faceva freddo, davvero freddo, troppo freddo.
Era stato fuori casa troppo tempo Marrec, lui e Magò non avevano avuto la forza necessaria a trascinarlo fuori e dicevano «Adesso basta!», ma non lui non riusciva a smettere, si divertiva un mondo, diceva che sarebbe diventato un vero cavaliere.
Era crollato sulla neve proprio quando lui e Magò erano corsi fuori per trascinarlo in casa, era crollato lì, con il naso e le orecchie a sventola tutte rosse e i denti che si battevano fortissimo.
«Non farai mai più nulla del genere!» aveva strillato Magò allarmata. «Non importa se non diventi proprio ora un cavaliere!»
Marrec non aveva detto nulla e si era lasciato depositare davanti al fuoco, tra le coperte e con in mano una ciotola di minestra di erbe speciali, che lo aveva fatto stare un po' meglio. Sembrava stesse un po' meglio, aveva chiacchierato e sorriso durante la cena insieme a loro, aveva mangiato, aveva bevuto ed aveva sorriso.
Quella notte, quella notte... quella notte, tutto era cambiato. Merlino non ricordava nemmeno come fosse successo, ma ad un tratto Marrec era matido di sudore sul suo letto, tra la febbre, e vomitava e diventava ora gelido, ora bruciante.
Magò aveva provato di tutto, ogni erba, ma nulla cambiava, nulla cambiava, nulla... Marrec stava malissimo, si era ammalato e quel suo corpicino sembrava sul punto di spezzarsi. Lui e Magò avevano chiamato tutti i guaritori del villaggio, chiunque fosse in grado di fare qualcosa, ma al mattino Marrec era pallido come un cencio, bianco come la neve, e voleva andare ancora fuori a giocare con la sua nuova spada, ma non riusciva, non riusciva ad alzarsi, non... se si alzava, cadeva a terra, le gambe non reggevano.
Magò era rimasta accanto al suo letto a bagnargli la fronte con una pezza ed a ascoltare i mormorii del loro bambino, perché ancora diceva cose sensate, raccontava della neve che gli era parsa così bella il giorno prima... i ricordi di quella mattinata sfociavano in immagini. Magò era rimasta lì accanto a Marrec, alla luce grigiastra che filtrava dalla finestra, mentre Merlino si recava al castello da Guglielmo Botteforte. Lo aveva supplicato, Merlino, di aiutarlo, gli aveva offerto tutto e alla fine, dopo tre botti di vino buono e più di metà del loro raccolto, il medico del castello era sceso giù fino alla loro casa ed aveva visitato Marrec.
«Non si può far molto» aveva sussurrato il medico a lui e a Magò, appena fuori dalla stanza di Marrec. «Non si può far molto. Ha una forma di epidemia strana e gli restano tre giorni» aveva detto e qualcosa aveva pugnalato Merlino dentro, squarciando più di qualsiasi altra ferita che mai avesse avuto. Si era sentito prigioniero, come se quella realtà, come se tutto ciò che gli stava accadendo attorno non fosse poi così reale.
«No!» aveva urlato Magò, le lacrime copiose che bagnavano il naso un po' troppo all'insù. «No, no, no, no, no! Ci deve essere qualcosa, qualsiasi cosa, pezzo d'idiota!»
Il medico aveva scosso la testa ed era tornato vicino al letto di Marrec, che con un filo di voce gli raccontava che sarebbe diventato un bravissimo cavaliere.
«Andiamo nel bosco» aveva detto Merlino, con la voce rotta che per qualche motivo gli aveva ricordato il rumore di un vaso che si infrangeva. Aveva posato una mano sulla spalla di Magò. «Andiamo nel bosco, nel sentiero che porta dallo stregone».
Erano andati nel bosco, distruggendo tutto ciò che avevano sempre pensato sugli spiriti in una frase alimentata dalla disperazione. Non avevano badato ad una vicina, alla moglie del mugnaio che si era affacciata a guardarli dalla sua casa. «Pare che qualcuno stia male... che bellezza!» aveva urlato loro prima di rinchiudere con un soggiorno la finestra, gioiosa che quei due tanto più ricchi di lei ora subissero qualcosa. Magò si era irrigidita accanto a Merlino, ma lui le aveva stretto una mano, e la disperazione era tornata di nuovo. La neve cadeva fitta, dalle parti del bosco, volteggiava nel vento, e le loro gambe sprofondavano fino al ginocchio mentre avanzavano.
Si erano addentrati tanto che la luce del sole non filtrava nemmeno e il mondo pareva così buio, così cupo... il vento ora ululava e la neve si incastrava in qualunque spiraglio che riuscisse a trovare nei loro corpi e nelle loro vesti. Le mani di Merlino, sotto ai guanti, erano divenute blu. Magò si stringeva invano al suo mantello e le sue sopracciglia erano due piccoli ghiaggioli.
Marrec, Marrec, Marrec, Marrec pensava Merlino, un mantra nella sua testa. Marrec, Marrec vivrà.
Né lui né Magò avevano perso tempo a stupirsi quando una catapecchia aveva fatto capolino nella tormenta, adagiata sui rami di una grossa quercia. Non avevano detto nulla, anche se Merlino aveva avvertito uno spasmo di incredulità dentro di sé, si erano avvicinati e lui aveva bussato, bussato forte, e Magò aveva urlato di aprire, aprite, il mio bambino muore!
La porta, forse sotto i colpi di entrambi, si era aperta con un cigolio sinistro e la stanza che li aveva accolti era stata grande e vuota. Vuota.
Per un attimo, tutto non aveva avuto più senso.
Poi un vecchio si era fatto avanti, quasi comparendo dal nulla e aveva chiuso la porta con un gesto della mano. Era seduto per terra, sulla semplice erba del bosco, che però lì dentro era verde e morbida e calda, e un viso rugoso incorniciato da capelli bianchastri fino alle spalle scrutava Merlino e Magò severo. «Non dovevate insistere con questa fissazione del cavaliere» aveva mormorato il vecchio mago, senza che loro dicessero nulla, le palpebre pesanti calate sugli occhi. «Se la morte ha deciso di prenderlo a sé, la Magia Bianca non può far molto».
Merlino era rimasto a fissarlo, con gli occhi sgranati e la bocca semichiusa, come se ciò che avesse detto non fosse sul serio arrivato al suo cuore, come se ciò che avesse detto fosse... fosse...
«Falso!» Magò si era riscossa e aveva puntato l'indice contro lo stregone. «Tu menti! Tu... mio figlio sta male, tu puoi curarlo! Lo puoi fare!»
Gli occhi del mago si erano spostati su di lei vuoti come il tono della sua voce. «Non posso far nulla. Il destino ha decretato la morte di quel bambino. E così sarà».
«No! No!» Magò si era gettata tra le braccia di Merlino e aveva seppellito il viso tra la sua tunica e lui l'aveva tenuta stretta, sperando di riuscire a non spezzarsi, a non morire per quel dolore.  «Se tu non puoi farlo» aveva detto all'improvviso, fissando lo stregone negli occhi. «Possiamo farlo noi. Insegnaci come curarlo».
«La magia è un sentiero lungo e difficile, giovane Merlino, non garantisco che potrebbe salvarlo. Entrambi ne siete destinati, ma non è certo che...»
«Mia nonna era una strega!» aveva gridato Magò. «Dicevano che curava i malati e portava in vita i morti e...»
«Ciò che la tua antenata faceva con la Magia Oscura non è di mio interesse». La voce dello stregone aveva avuto un inflessione di disgusto.
«Merlino, Merlino...» Magò singhiozzava e cercava i suoi occhi. «Merlino, mia madre non era una strega, ma so che mia nonna lo era e so anche che la sua magia è rimasta incanalata nella sua tomba nel bosco, ti prego, Merlino, ti prego...»
«La Magia Oscura renderà vostro figlio soltanto un abominio. Un cadavere strappato alla morte!» decretò lo stregone, ora in piedi e gli occhi socchiusi.
«Servirà a salvarlo!» strillò Magò. Tirò Merlino per una manica. «Merlino, Merlino, ti prego...»
Merlino guardò Magò, guardò il suo viso rosso e disperato con gli occhi gonfi e i capelli arruffati. La strinse. «M-Magò, io... non voglio che Marrec soffra e...»
Magò non lo ascoltò e quando si sbarazzò della sua presa, lo squardò con... con odio. La porta si spalancò ed uscì nella tormenta. Merlino le corse dietro, provò a chiamarla, la richiamò, urlò il suo nome, ma ciò che rimase con lui fu soltanto, alle sue spalle, l'odore dell'erba fresca all'intero di una catapecchia ed uno stregone che, chinando il capo, lo rinvitò ad entrare.
Merlino non ricordava molto ciò che era successo dopo. Era stato una giornata intera ad apprendere i rudimenti della Magia Bianca da quel vecchio stregone che aveva compreso chiamarsi Gaius, e poi era tornato a casa, alla casa sua e di Magò e di Marrec, sperando che la morte avesse ancora aspettato, sperando che Marrec fosse seduto davanti al camino, a giocare con la spada e che Magò fosse con lui, ad aspettarli. Sperava davvero che accadesse, ma una parte di sé, quella parte dove la Magia aveva scavato diceva qualcos'altro, qualcosa che lui non voleva accettare e che era un boato, una voragine di dolore al ricordo del mantello di Magò che si allontanava con lei nella tormenta, lasciandolo...
La stanza di Marrec era in penombra e tutti erano usciti, quando lui era entrato, e Marrec lo guardava dal letto con un sorrisino sulle labbra. «Ciao, padre» aveva mormorato e Merlino aveva nascosto le lacrime con un sorriso, sedendosi sul letto. Gli aveva accarezzato i cappelli, uguali a quelli di Magò, neri come i suoi, e non era riuscito a dire nulla, perché se avesse aperto la bocca, ne era certo, sarebbero usciti solo singhiozzi e lacrime.
«Siete strano, padre» aveva continuato Marrec, lo sguardo fisso sul soffitto. «Quei signori blu che ogni tanto vengono qua hanno ragione, sapete?»
«Q-quali signori blu, Marrec?»
Il bambino sembrò non sentirlo nemmeno. «Hanno detto che siete destinato a tante cose e io ci credo, perché quando siete entrato ho visto quella nuvola bianca attorno a voi e ho capito che è la magia... io non ve l'ho mai detto che la vedevo, perché sapevo che non vi piaceva e che sognavate un cavaliere, voi e la mamma...» Marrec girò piano la testa per guardarlo e il cuore di Merlino mancò più di un singolo battito. «Dov'è mia madre, padre?»
«M-Marrec, io...»
«Non l'avete lasciata uscire da quella porta, vero? Gaius si è sbagliato?»
Una delle lacrime di Merlino cadde sulla guancia di Marrec, che l'asciugò lentamente. Merlino si nascose il viso tra le mani, scosso dal pianto. «M-mi dispiace, Marrec, mi dispiace...»
All'improvviso, con uno schianto, la finestra si aprì e una piccola figura scivolò dentro. Richiuse la finestra con un singolo gesto della mano e tornò in forma umana con dei sobbalzi. Si inchinò esagerata, fino a sfiorare il pavimento con i capelli. Capelli che non erano più neri dai riflessi viola, ma viola chiaro, stinto. Quando Magò alzò il capo a guardare lui e Marrec, Merlino faticò a riconoscere ciò che era rimasto di lei. Anche gli occhi chiari erano divenuti folli e sgranati. Magò aveva sacrificato il suo corpo per ottenere la Magia Oscura della sua antenata.
«Marrec, Marrec, Marrec, sono qui per curarti!» strillò, correndo al suo letto.
«Mamma...» Marrec la fissò, chinando la testa di lato. «Mamma, cosa... cosa hai fatto?»
«Non badarci, piccolo mio, e guarda, guarda che so fare! Posso gonfiar fino al camino, sai? O farmi piccina come un topin!» Si avvicinò ad un vaso di vecchi fiori ormai che secchi che Merlino, un tempo, le aveva regalato. «Posso rifarli vivere con un singolo gesto ma se con un ditin io tocco un fior, si spampana e... muor!»
Merlino si alzò di scatto, ponendosi davanti al bambino. «Smettila, Magò! Smettila! Subito!»
La strega gli si mise davanti, fronteggiandolo. «Altrimenti che farai, mi abbandonerai di nuovo, Merlino? Io ora ho la cura, curerò Marrec e potrà vivere felice e diventare un cavaliere!»
Un respiro tremante mise fine a quella discussione. Merlino e Magò corsero ai lati del letto dove Marrec si era disteso. «No, mamma, non lo farai» sussurrò. «Io lo so, lo vedo... non potrò più guardare più altri fiori portati da mio padre per te,  nemmeno il sole... ma dopotutto non importa...»
«Marrec! No, che dici?»
Marrec aprì leggermente gli occhi, senza riuscire però a mettere i genitori ben a fuoco. Abbozzò un sorriso. «È da tanto che ho la magia e che posso vedere le cose del futuro, anche se solo quello più distante... non sapevo quando me ne sarei andato, ma so che voi farete tanto, perché questo posto» allargò le braccia, come a voler abbracciare tutta la stanza, «ha tanto bisogno di voi...»
Merlino portò una mano a stringere la destra di Marrec, mentre Magò faceva lo stesso con la sua sinistra. «Marrec, no, no, ti prego...»
«Mi dispiace, sarei voluto diventare un cavaliere, alla fine...» Il bambino donò un ultimo sguardo ad entrambi i genitori.
Gli occhi di Marrec si spostarono in un altro luogo, via da loro, si persero nell'alto, in un punto imprecisato del soffitto.
Le mani che tenevano Merlino e Magò scivolarono via e nella stanza crollò il silenzio.

Il villaggio in cui aveva vissuto Merlino era piccolo e un po' sperduto, tanto da non avere nemmeno un nome preciso, circondato dalle foreste. Lo attraversava una strada che a tratti si perdeva nell'erba e nelle sterpaglie e la gente diceva che volgendo le spalle al pozzo e andando sempre dritti si arrivava al castello che un tempo era appartenuto a Guglielmo Botteforte- ed ora ai suoi discendenti, ma prima di tutto al Regno d'Inghilterra di Re Artù-, mentre seguendo un'altra strada del villaggio, più a destra, si rischiava molto, perché si incontravano le rovine di una vecchia casa. La gente aveva raccontato che vi avevano vissuto dei maghi, ma quelle dicerie avevano perso credito da tempo e quei ruderi erano diventati soltanto delle pietre ad un lato della strada. Solo un vecchio stravagante, con una lunga barba bianca, una tunica blu e un gufo che molti avevano giurato sentir parlare, si fermava ad osservarli.
Se qualcuno lo avesse osservato più attentamente, avrebbe notato una lacrima nascosta, incastrata nell'angolo dell'occhio, e magari anche le risate di un bambino che giocava con una spada di legno, risate che si perdevano nel vento. Ma che non venivano mai dimenticate.



N.d.A.
Salve a tutti.
L'idea di questa shot mi frullava in mente un'infinità di tempo, ma solo ultimamente ho avuto occasione di scriverla. Credo sia stata in assoluto una delle mie più tristi #viaconl'angst
Se per caso qualcuno non avesse capito, chiarisco alcune parti. Il piccolo Marrec è dotato del dono della profezia, ma soltanto a lungo termine. Non sapeva, ad esempio, che sarebbe morto, ma poteva vedere il futuro che aspettava i suoi genitori. Le "persone blu" che vede non sono altro che i fuochi fatui (piccolo richiamo a Ribelle- The Brave).
La nonna di Magò è l'unica vera strega della sua famiglia, ma lei l'ha rinnegata, credendo fino all'ultimo che fosse una cialtrona. Andando però nel bosco per salvare Marrec, si reca nella tomba della nonna e accoglie dentro di sé la magia da lei utilizzata. Gran parte delle ultime frasi che lei rivolge a Marrec a fine storia sono sue dirette citazioni del film, in quanto la poveretta vive continuamente nel rimpianto del passato.
Merlino è aiutato all'inizio della sua carriera magica da Gaius, personaggio che ho in parte copiato dall'omonimo mago della serie tv Merlin. Ovviamente, non ha imparato molto in un solo giorno d'apprendistato, al contrario di Magò, che è stata letteralmente posseduta dalla Magia Oscura della nonna- magia che ha anche sfigurato il suo aspetto.
Magò è inoltre convinta che Merlino abbia voluto aiutare Artù perché quest'ultimo assomiglia fisicamente molto a Marrec (so che di questo non ve ne fregava molto, ma volevo comunque dirlo).
Bene, credo che questo sia tutto. A breve dovrei tornare qui con una shot su Jafar e il suo passato, a cui sto lavorando da molto.
Ringrazio chiunque legga o avrà il coraggio di lasciarmi una recensione. Baci e a presto,
Nox      

  
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