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Autore: ___Ace    14/09/2015    4 recensioni
Germania, 1945.
L’M4 Sherman era una specie di leggenda, tanto quanto il Sergente Eustass Capitano Kidd, il genere di americano con i contro coglioni dicevano molti. Aveva combattuto in Africa, in Norvegia e, in quel periodo, in Germania, continuando ad essere un grandissimo stronzo intrattabile e incontentabile, ma sempre un guerriero rispettato.
Ovvio che un giovane intelligente e attento come Trafalgar Law ne avesse sentito parlare, infatti non aveva avuto problemi a trovarlo, obbligandosi ad avanzare passo dopo passo verso la sua rovina.
Lui non si era arruolato per quel genere di cose, dannazione. Aveva fatto domanda ed era stato accettato come medico del campo, invece cosa avevano fatto quei bastardi? Lo avevano scaricato alla prima occasione e solo perché all’Intoccabile Eustass Kidd serviva un altro uomo dal grilletto facile. Lui non aveva mai tenuto in mano una pistola, figuriamoci se sapeva sparare.
“E questa mezza sega chi sarebbe?”
Era solo l’inizio, se lo sentiva nelle viscere.
Genere: Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass, Kidd, Killer, Trafalgar, Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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RED FURY
II.

Il risveglio fu brusco e per niente piacevole.
Aveva dormito poco e male, ecco quindi spiegate le occhiaie scure che gli segnavano visibilmente gli occhi e, come se ciò non fosse stato abbastanza, Ace aveva passato la notte a vomitare tutta la birra che aveva bevuto, svegliandolo più volte e, avendo lui una morale medica da seguire, aveva pure aiutato il corvino a rimettersi in sesto. Il risultato era stato un caricatore fresco come una rosa, mentre lui si sentiva uno straccio.
E poi Kidd aveva fatto pure lo stronzo.
“Tutti a bordo. Tu no Trafalgar, mi servi in forma, perciò farai un tratto a piedi. Prendilo come un corso di allenamento avanzato.”
Almeno mezzo plotone aveva imparato nuovi insulti e brillanti minacce, visto che aveva dedicato più di mezz’ora ad augurare le peggiori sorti al Sergente del Red Fury, non preoccupandosi di parlare ad alta voce. La cosa più bella era stato vedere Ace spanciarsi dalle risate e la faccia pallida e sconvolta di Wire di fronte alle sue bestemmie.
Nonostante tutto, però, le sue gambe, raggiunta la prima tappa, avevano ceduto, dando forfait, ed era stato un miracolo se era riuscito a trascinarsi all’interno del carro per prendere posto alla sua postazione di copilota. Wire si era fatto il segno della croce e gli aveva schizzato addosso un po’ d’acqua da una piccola boccetta che aveva estratto da una tasca fonda dei pantaloni, borbottando un ‘acqua santa’ come spiegazione.
“Ehi, novellino, com’era quella delle viscere?” gli chiese Ace bisbigliando, tentando di imprimersi nella memoria quelle perle.
“Ace, piantala.” lo freddò Killer, che aveva sentito tutto.
Il giovane tornò a rigirarsi i pollici, lanciando comunque occhiate furtive a Law, il quale gli sussurrò a bassa voce la risposta che stava attendendo, facendolo sghignazzare.
“Userò le tue budella per impiccarti.”
La risata cristallina del corvino, il quale rovesciò la testa all’indietro, fu un toccasana per tutti, anche se non lo avrebbero mai ammesso. Solo uno pazzo e spensierato come Ace poteva alleggerire ogni pressione.
La continuazione del tragitto, ad ogni modo, passò in maniera piuttosto indolore, liscia come l’olio, senza agguati, attacchi a sorpresa dei nazisti e morti impreviste. Avevano raggiunto il punto d’incontro stabilito alla partenza e si erano ricongiunti con il resto del plotone a sera inoltrata, perciò avevano avuto solo il tempo di spegnere i motori e coricarsi, stanchi, sporchi e provati, mentre i Sergenti avevano fatto rapporto al caporale, il Generale Edward Newgate, il quale fu felice di contare così tanti uomini ancora in vita.
La guerra ormai era agli sgoccioli, lo sapevano tutti gli eserciti di tutte le fazioni in disputa, ma ancora imperversava in quelle terre e i nazisti non davano segno di voler cedere, non ancora. Ciò era molto frustrante per i soldati, ma ancora di più per coloro che ricoprivano i gradi superiori, come Newgate. Per lui la guerra era praticamente vinta, ma nessuno aveva ancora gettato la spugna e dover continuare a rischiare le vite dei suoi sottoposti lo irritava e lo preoccupava moltissimo. Tanta gente si sarebbe potuta salvare, invece ogni giorno che passava le vittime aumentavano.
“Credete che si arrenderanno mai?” domandò il Sergente Apoo, stiracchiando le lunghe braccia e sbadigliando per la stanchezza.
“Certo che lo faranno! Li costringeremo con la forza!”
“Non così in fretta Monkey, abbiamo ancora molte città da smantellare.” sbuffò Eustass. Anche lui tendeva ad essere sempre molto impulsivo come Rufy, il giovanissimo Sergente del Sunny, ma aveva imparato a sue spese che per agire serviva prima avere un piano. Un buon piano, per la precisione.
“Lo sanno di essere alle strette, ma ciò non sembra turbarli. Il loro leader sa essere fin troppo persuasivo.” sibilò Marco, fissando il tavolo con aria truce. Tra tutti era quello che Kidd detestava meno semplicemente perché aveva la testa sulle spalle e due palle grandi come un carro armato. Insomma, uno che non scappava davanti al pericolo. Inoltre si faceva gli affari suoi, non come Apoo, che era sempre in mezzo, o Rufy, il quale doveva sempre fare di testa sua senza seguire uno schema.
“Che marcisca all’Inferno!”
“Apoo!”
“Che ho detto?”
“Cerchiamo di restare concentrati.” disse Newgate, zittendo tutti. “Innanzitutto, ora andate a riposare, sono stati giorni impegnativi e avete fatto un ottimo lavoro. Domani pomeriggio partirete per la cittadina di Essen e toglierete di mezzo le truppe tedesche che si sono stabilite lì. Ci aggiorneremo via radio una volta messi al sicuro il paese e i cittadini.”
Si congedarono, uscendo dalla tenda e dirigendosi verso i rispettivi gruppi, chi sbadigliando, chi fumando una sigaretta per rilassare i nervi. Rufy aveva fame ed era schizzato via tutto sorridente, blaterando qualcosa a riguardo della carne secca che un suo sottoposto, ricoprente anche la carica di cuoco, gli aveva tenuto da parte.
Kidd e Marco si erano fermati a fumare, scambiandosi lo zippo del rosso per accendere i filtri e osservando il campo avvolto nel buio, contenti che tutti potessero dormire tranquilli per una notte.
“Hai saputo nulla di Hawkins?” domandò Kidd, pacato.
Marco inspirò il fumo. “La squadra di Drake ha recuperato lui e i suoi uomini. Si trovano tutti al confine con l’Austria. Li rimanderanno a casa, credo.” soffiò.
“Nelle bare?”
“Nelle bare.” annuì il biondo, apatico e all’apparenza impassibile. Non era indifferenza la sua, semplicemente gli anni di servizio militare gli avevano insegnato che certe cose bisognava accettarle e superarle senza troppi se e senza troppi ma.
Eustass scosse il capo, un po’ rassegnato, un po’ dispiaciuto, ma se ne era fatto una ragione ormai, perciò finì la sigaretta, la spense gettandola a terra e diede la buonanotte al compagno, marciando verso la tenda che condivideva con Killer.
A volte sperava di addormentarsi e di non risvegliarsi più.
 
*
 
Law si svegliò di soprassalto, con la pelle d’oca e l’inquietante sensazione di stare annegando. Si dimenò tra le coperte, sedendosi e aprendo gli occhi, sbattendo freneticamente le palpebre e mettendo a fuoco la faccia, a detta sua di merda, di Ace che, chinato su di lui, gli sorrideva come un bambino, mentre, alle sue spalle, Wire non si preoccupava nemmeno di nascondere le risate che gli uscivano dalla bocca. La risposta di tanto divertimento diventò chiara quando, voltandosi di lato, si accorse di Eustass Kidd che, con un sorrisetto da schiaffi, si allontanava tranquillo con un secchio vuoto stretto in una mano.
Diede uno spintone ad Ace e lo fece cadere col sedere a terra, alzandosi di scatto e fregandosene di non indossare gli stivali e la divisa. Anche se l’erba era umida e la temperatura piuttosto fresca a quell’ora del mattino, corse dietro al rosso, arrivandogli alle spalle e caricando un pugno, perdendosi le facce non più divertite ma stupite dei due ragazzi che erano rimasti indietro.
Gli occhi di Wire erano spalancati a dismisura, mentre Ace sembrava aver subito un blocco facciale.
L’intento di Law di prendere a cazzotti il Sergente, comunque, sfumò nell’esatto momento in cui Kidd lasciò cadere il secchio, voltandosi per afferrare al volo il suo braccio, torcendoglielo con una mossa fulminea dietro la schiena e intrappolandolo contro il suo petto.
“Volevi qualcosa, Trafalgar?” lo schernì, facendolo innervosire ulteriormente.
“Liberami, vedrai poi cosa ti faccio.” ribatté a denti stretti il moro. Se Kidd pensava di poterlo intimidire si sbagliava di grosso. Più veniva provocato, peggio diventava.
Sentì il rosso ridacchiare sulla sua spalla prima di ricevere una risposta. “Credimi, sono proprio curioso di scoprirlo.”
Poi lo lasciò andare e Law si ritrovò di nuovo capace di muoversi, così si girò e si preparò ad affrontare il suo superiore. Mezzo campo ancora dormiva, quindi aveva tutto il tempo che voleva per fargli il culo.
“Fossi in te non lo farei.” gli consigliò Kidd, mentre cercava di capire se quel moccioso aveva davvero la seria intenzione di battersi contro di lui. Era largo almeno il doppio e alto quasi altrettanto.
Law si mise in posizione d’attacco, alzando i pugni davanti al viso. “Hai paura, stronzo?”
“Che cazzo!”
L’imprecazione isterica di Ace lo fece sorridere. Evidentemente lo avevano giudicato troppo presto, credendolo solo un debole. La verità era che, anche se odiava la violenza e la sua vocazione era la medicina, oltre che a mettere le mani dentro le viscere di qualcuno, sapeva anche difendersi, e voleva dimostrarlo a quegli imbecilli.
Kidd si schioccò le nocche, assecondandolo. Se ci rifletteva, aveva proprio voglia di sfogare la tensione e, dato che di scopare non se ne parlava, almeno si sarebbe svagato in un altro modo sempre soddisfacente e costruttivo.
“Sei pronto, novellino?”
Trafalgar sogghignò e il suo ghigno per niente amichevole gli accese lo sguardo per l’eccitazione e la voglia di rivincita che aveva. “Ti faccio il culo.”
 
*
 
Ruzzolò a terra per l’ennesima volta, sputando un grumo di sangue misto a saliva e muovendo le braccia affaticate e indolenzite per rialzarsi. Di nuovo.
Davanti a lui, col fiatone e un occhio pesto, Kidd ansimava, stanco morto, ma determinato a non cedere.
Era rimasto sinceramente sorpreso quando Law aveva schivato con maestria i suoi attacchi micidiali, rispondendo a tono e rendendo quell’incontro improvvisato interessante e stimolante fin da subito. Non c’erano state esclusioni di colpi e si poteva anche dire che non avevano giocato pulito, ma gli unici due spettatori che avevano non si erano lamentati, continuando ad osservarli più allibiti che mai.
Già, perché Ace e Wire non avevano mai visto nessuno sfidare il Sergente Eustass in quel modo sfacciato, ne tantomeno avevano creduto possibile che qualcuno fosse tanto in gamba da resistere così a lungo in uno scontro corpo a corpo con lui.
Law aveva dimostrato di sapere il fatto suo, muovendosi agilmente e velocemente, abbassandosi e schivando calci e pugni, incassando bene i primi attacchi andati a segno e rispedendone indietro altrettanti.
Quando poi aveva evitato una ginocchiata, riuscendo in quel modo ad assestare un pugno in faccia al rosso, Wire aveva temuto di essere colto da un infarto, compreso Ace.
In ogni caso, in quel momento, dopo più di venti minuti di lotta, il ragazzo era ridotto ad uno straccio. Aveva la nausea e la vaga sensazione di avere qualche costola incrinata. Le labbra erano spaccate, sentiva una fitta lancinante al fianco e il sapore ferruginoso del sangue lo percepiva fino in gola. Quel bastardo lo aveva massacrato, nonostante gli avesse fatto sudare ogni colpo.
Ignorò ugualmente il dolore e si rimise in piedi sotto gli occhi attenti di Kidd, che non l’aveva perso di vista un secondo, studiando ogni centimetro del suo corpo.
Quel mattino si era svegliato più stanco del giorno precedente e la cosa lo aveva innervosito parecchio, poi si era aggiunto quel dannato moccioso saccente che aveva deciso di voler fare l’eroe e la giornata aveva preso totalmente una piega storta. Per cui era stanco, incazzato e voglioso di spaccare la faccia di qualcuno. Pazienza che, aggiunto al suo umore nero, ci fossero anche le emozioni represse che gli erano pesate sulle spalle in quell’ultimo periodo, partendo dalla morte di Heat e aggiungendoci quella di Hawkins. In qualche modo, doveva pur liberarsi di quei pesi e rivoltare Trafalgar come un calzino si era rivelato un bel modo.
Arginò nella sua mente la lunga lista di modi più piacevoli che conosceva per stendere i nervi e si concentrò sul presente. Di sicuro, non era il momento di fantasticare su altro. Il culo che Trafalgar si ritrovava glielo avrebbe sfondato in ogni caso, anche se a suon di pedate.
Gli si avvicinò, conscio che a malapena si reggeva sulle gambe magre e, con un ultimo sforzo, gli piazzò un destro in mezzo allo stomaco, facendolo piegare in avanti e sputare una bella dose di sangue, tenendolo stretto per la maglia sottile in modo da non lasciarlo cadere, non prima di avergli impartito l’ultima lezione.
Trafalgar lo sentì avvicinarsi e si accorse con una certa sorpresa che i loro volti erano particolarmente vicini, così come le loro labbra, tanto che sembrava quasi che Kidd avesse intenzione di baciarlo.
Spalancò gli occhi al quel pensiero e trovò la forza di ritrarsi di qualche centimetro, accorgendosi troppo tardi del sorriso tirato che aveva preso forma sulla bocca del rosso.
“La prossima volta non sarò tanto gentile.” mormorò ansante, mettendo finalmente fine a quella scenata e voltandosi verso Ace e Wire. “Non avete altro da fare voi?”
I due scattarono sull’attenti, balbettando frasi scoordinate e lasciate poi a metà che gli fecero alzare gli occhi al cielo prima di andarsene, massaggiandosi una spalla dolorante.
“Cosa diavolo ti è saltato in mente?” strillò Wire non appena Kidd si fu allontanato, correndo a sostenere Law che, stramazzato al suolo, sembrava aver perso tutte le energie. Proprio non si capacitava di quello che aveva visto. “Razza di incosciente! Cosa speravi di dimostrare?”
Il moro respirò pesantemente, tentando di girarsi su un fianco, quando la voce di Ace sovrastò quella di Wire.
“Wow, sei stato grande!”
Law aprì gli occhi, stupito tanto quanto Wire, e fissò il corvino che li guardava dall’alto con l’aria raggiante ed entusiasta. Sempre sorridendo, si accovacciò alla sua altezza, porgendogli il pugno e incitandolo a far cozzare il suo. “Gli hai fatto un occhio nero.” ammiccò infine, sollevando un pochino il suo stato d’animo.
Come inizio era abbastanza.
 
*
 
Erano in viaggio da un’ora, diretti verso Essen, e tutti sembravano pieni di energie. Tutti, eccetto il Sergente Eustass e il copilota Trafalgar.
Il primo sembrava avere un diavolo per capello, nel senso letterale del termine, visto e considerato che quel giorno la sua chioma fulva pareva avere vita propria, tanto era disordinata. Inoltre, cosa non meno importante, il suo occhio sinistro era contornato da un chiaro livido violaceo e lo zigomo gli si era un po’ gonfiato e gli faceva male. Ciò, ovviamente, contribuiva ad aumentare il suo malumore.
“Ehi, testa rossa, chi ti ha preso a pugni?”
Se poi ci si metteva anche il Sergente Apoo la situazione andava di male in peggio, soprattutto perché Kidd era un uomo dal grilletto facile, facilissimo.
Puntò la rivoltella contro l’ufficiale, mirando alla testa in pochi secondi e tenendosi pronto a sparare, allarmando il diretto interessato e buona parte dei soldati presenti negli altri due carri. “Un’altra parola e ti faccio saltare il cervello.” lo minacciò, guardandolo con odio e facendolo impallidire.
Alla fine, ripose la pistola soddisfatto. Almeno non avrebbe avuto altre scocciature da parte sua e si sarebbe potuto godere il resto del viaggio in pace. Le occhiate sfuggenti e il sorrisetto appena accennato di Killer poteva sopportarle, ma la linguaccia di Apoo no, quella mai.
Il secondo, invece, si sentiva come se un carro armato gli fosse passato sopra più volte.
Aveva appurato, grazie anche all’aiuto di Wire, che non aveva niente di rotto, ma solo dei brutti ematomi e gli arti distrutti, più un polso slogato, il prezzo che aveva dovuto pagare per l’occhio pesto del rosso. Per la precisione, se lo sarebbe slogato mille volte perché ne era valsa la pena. Vedere gli sguardi sconvolti di tutti davanti alla sua agilità era stata la soddisfazione più grande, sperava che avrebbero quindi smesso di sminuirlo o prenderlo di mira con battutine e scherzi di pessimo gusto, anche se nutriva ancora forti dubbi su Ace. Dio, quello era davvero imprevedibile, ma sopportabile se messo a confronto con Eustass Kidd, il Sergente sadico e psicopatico. Certo, non era l’unico ad avere seri problemi, tutti in quel plotone dovevano farsi visitare da uno bravo, ma i tempi erano duri e Law sapeva che avrebbe dovuto stringere i denti e portare pazienza, facendo appello a tutta la sua forza d’animo per rimanere calmo e non impazzire.
Era bastato veramente poco tempo perché capisse che lui e quegli idioti erano incompatibili. Forse l’unico che si salvava era Wire, ma ciò succedeva quando non aveva i comandi del carro tra le mani, allora si trasformava ed era impossibile fermarlo. Killer era taciturno, ma una vera macchina da guerra, mentre con Ace bisognava avere le rotelle fuori posto per comprenderlo.
Il tutto tralasciando Kidd.
Trafalgar represse un ringhio, tornando a concentrarsi sul paesaggio che vedeva dallo spioncino. Se ci pensava gli saliva un istinto omicida, giusto il comportamento che stavano tutti cercando di risvegliare in lui. Riflettendoci, avrebbe volentieri sparato al Sergente, con vero piacere dato che rappresentava pienamente il tipo di persona che Law tendeva ad evitare, ovvero ignorante, esaltato e spaccone. Non aveva niente a che vedere con lui e sopportarlo diventava ogni ora più complesso. Quasi sperava di infortunarsi ed essere rispedito a casa, sarebbe stato meglio per tutti.
L’antipatia era totalmente reciproca e si notava a vista d’occhio.
Killer aveva ben capito che la rabbia di Kidd aveva come fulcro il novellino. Lo aveva intuito dalle occhiate assassine che il rosso rivolgeva ad intervalli regolari alla testa di quell’ultimo, come se avesse voluto perforarla o vederla saltare in aria.
Booom!
Ci aveva visto giusto. Il Sergente Eustass, infatti, non riusciva a pensare ad altro.
Da quando il moccioso aveva preso il posto di Heat era andato tutto a puttane. Prima Hawkins, poi il suo umore già di suo tendente all’impazienza. Aveva costantemente voglia di uccidere qualcuno ed era arrivato a maledire i tedeschi, dato che non si erano più fatti vivi, mentre lui desiderava solo potersi sfogare. Il corpo a corpo di quella mattina gli aveva lasciato l’amaro in bocca e non lo aveva rilassato per niente, anzi, forse lo aveva reso ulteriormente teso.
Gettò via il mozzicone di sigaretta e ne accese subito un’altra. Stava fumando come una ciminiera, ma non gliene fregava nulla, al diavolo anche la salute.
Si era sempre imposto di essere imparziale e di tenere da conto tutti i suoi sottoposti, che fossero disciplinati e non. L’unico che in quegli anni gli aveva dato qualche problema era stato Ace, ma lo aveva rimesso in riga nei primi sei mesi e gli scatti improvvisi che aveva di tanto in tanto erano sopportabili.
Trafalgar, invece, aveva tutte le carte in regola per diventare la sua spina nel fianco costante.
Era un perfettino di prima categoria, tutto attento a non fare nulla di sbagliato, preoccupato di sporcarsi le mani e schizzinoso pure. Per non parlare dell’incapacità di fare come gli veniva detto. Cazzo, non c’era niente di difficile, bastava solo che eseguisse gli ordini. Gli diceva di sparare? Premeva il grilletto e fine. Invece no, doveva complicare la vita a tutti.
E quell’atteggiamento da superiore proprio non lo sopportava. Li guardava come se fossero stati dei rifiuti, come se solo lui fosse intelligente perché aveva studiato, mentre loro si erano arruolati senza nemmeno finire la scuola. La verità era che la sua cultura non gli sarebbe servita a salvargli il culo, non gli avrebbe risparmiato di beccarsi una pallottola o di perdere un braccio o una gamba. La sua schifosa sapienza non lo avrebbe reso immortale.
E quel cazzo di ghigno doveva levarselo dalla faccia, o ci avrebbe pensato lui stesso a farlo sparire.
Kidd lo stava giusto fulminando con lo sguardo, quando Law girò la testa, sentendosi osservato, e cogliendolo in flagrante. Non si preoccupò delle conseguenze e sogghignò più apertamente, soffermandosi un attimo di troppo sul livido che aveva procurato al rosso e poi tornò a prestare attenzione a Wire che aveva iniziato a parlare.
Se Killer non avesse poggiato una mano sul petto di Kidd, il rosso avrebbe compiuto una mancanza che lo avrebbe fatto congedare con disonore dall’esercito.
 
*
 
Avevano raggiunto la periferia di Essen nel tardo pomeriggio. I carri si erano allineati uno dietro l’altro per passare più facilmente lungo le vie della cittadina silenziosa e dall’aria spettrale. Non c’era nessuno per strada, solamente i corpi impiccati ai balconi che sfoggiavano cartelli con su scritto la causa della morte, spesso inflitta per punizione dai nazisti.
Law li guardava penzolare, pallidi come fantasmi e piuttosto inquietanti. Non capiva il tedesco, perciò non sapeva il motivo che aveva portato i soldati ad uccidere delle donne e dei bambini, ma la risposta gli giunse alle orecchie ascoltando la conversazione ai piani alti tra Ace e Killer.
“… e così l’hanno impiccata.” stava dicendo il biondo, seduto sul carro con mezzo busto fuori e le gambe dentro.
“Solo perché aveva parlato con gli americani?”
“Nel cartello si riferivano a una relazione, ma in poche parole si.”
“Bastardi.”
“Non preoccuparti. Ormai ci siamo, basta solo stanarli.”
Quindi i cittadini non erano nemmeno liberi di condurre la loro vita in pace a causa di quella stupida guerra iniziata senza senso e fondamenta, solo per le grandi manie di protagonismo del Partito Nazista.
Puntò i suoi occhi sulla strada di ciottoli, Law, evitando accuratamente di guardare il resto dei corpi che davano il benvenuto ai nuovi arrivati, sentendo per la prima volta l’impazienza di entrare in azione. L’odio per quelle stragi compiute senza pietà stavano lentamente prendendo il sopravvento sulla sua coscienza ed era come se volesse vendicare quegli innocenti. Per farlo, la mitraglietta che gli stava davanti gli sarebbe tornata molto utile.
Mano a mano che entravano nella città incontravano qualche passante che li superava velocemente scomparendo in qualche casa o edificio per nascondersi o ripararsi per non diventare l’ennesima vittima che sarebbe giaciuta in mezzo alla strada.
Sbucarono in una piazza dove i quattro carri si divisero, prendendo due vie opposte. Con loro c’era Foxtrot, con sommo dispiacere di Kidd, che si tenne ugualmente per sé i suoi commenti per non scatenare il malcontento generale.
La tensione era alle stelle. Regnava il silenzio, interrotto solo dal rumore dei cingoli. Killer era rientrato, prendendo posizione, pronto per direzionare la torretta, mentre Wire era diventato tesissimo. Ace pareva saltellare sul sedile, rigirandosi tra le mani dell’esplosivo, e Law stringeva convulsamente la mitragliatrice.
“Fermo, Bible.” disse Kidd nella ricetrasmittente. Lo sentirono poco dopo chiedere indicazioni ad un vecchietto che stava camminando lungo il marciapiede, il quale mosse un braccio per indicare un edificio davanti a loro giusto un attimo prima di cadere a terra senza vita.
“Mirate alla biblioteca.” ordinò Eustass una volta scivolato all’interno del carro in fretta e furia per non rischiare di venire colpito come era capitato al passante. Poi si attaccò ad impartire indicazioni alla radio per mobilitare anche i ragazzi del Foxtrot intanto che Ace caricava i colpi.
La facciata dell’edificio resse per cinque minuti prima di crollare a pezzi nella strada, portando con sé anche qualche tedesco. Seguì un faccia a faccia col fuoco nemico, ma avendo due carri, più altri due in arrivo per dare man forte, non c’era confronto.
“Apoo, manda i tuoi in avanscoperta. Attenti al canale di scolo accanto all’entrata. Sembra una cantina dove potrebbero essersi nascosti.”
“Ricevuto!”
“Killer, mira lì sotto. E Trafalgar?” lo chiamò, aspettando che il moro rivolgesse tutta la sua attenzioni su di lui per inculcargli il messaggio in testa correttamente. “Spara a tutto quello che si muove.”
Nascose la sua sorpresa quando lo vide annuire seriamente, sistemandosi nella postazione del copilota e puntando la mitraglietta. Magari con qualche altro pugno allo stomaco sarebbe riuscito a farlo rigare dritto.
Quando i primi uomini di Apoo iniziarono a cadere a terra con le gambe tranciate dai fucili provenienti dalla cantina, Killer fu lesto a prendere la mira, facendola saltare in aria, mentre Wire e Law aprivano il fuoco assieme al supporto dei carri armati Sunny e Blue Flame, arrivati giusto in tempo dopo un giro di ricognizione.
Erano tutti concentrati nel loro compito. Anche Trafalgar guardava dritto davanti a sé, scaricando una pioggia di proiettili su ogni nazista che intravvedeva nel fumo prodotto dal crollo parziale dell’edificio. Aveva nelle orecchie il ronzio delle mitragliate e la gola secca. Le mani gli sudavano, ma non perse la presa e continuò a sparare senza sosta fino a quando non arrivò l’ordine di cessare il fuoco e una bandiera bianca di resa venne esposta sul tetto.
Si trovarono di fronte ad un ufficiale tedesco grassoccio e con i baffetti che sventolava un fazzoletto per fermare quel massacro e prendere parola. Parlò direttamente con Kidd, il quale lo aveva guardato con disgusto dall’alto del Red Fury e si era goduto la faccia disperata che il nazista aveva fatto quando Killer, giusto per giocare un poco, aveva piazzato la torretta proprio contro di lui.
Si erano arresi e vennero tutti fatti uscire per essere presi come prigionieri. Molti si stupirono quando videro uscire per primi dei bambini in divisa, tanto che i Sergenti non tollerarono bene la cosa, chiedendo che venisse consegnato loro l’artefice di ciò e delle impiccagioni.
Fu Monkey che, non appena lo ebbe visto, gli piazzò una pallottola in testa a dispetto degli ordini, non avendo nessuna intenzione di aspettare e lasciare respirare ulteriormente quell’assassino. “Impulsivo come sempre.” mormorò Kidd, mentre guardava il giovane sputare sul cadavere ancora caldo, sussurrando un comprensibile ‘pezzo di merda’ con gli occhi spiritati e accesi per il disgusto e la rabbia.
“Rendete sicura l’area. Aspettiamo l’arrivo del convoglio di Newgate e poi ripartiamo.” urlò a gran voce il Sergente Phoenix. Dovevano impartire gli ordini principali al più presto, soprattutto prima che gli uomini iniziassero a pretendere di fare festa, ubriacarsi e andare a puttane, come succedeva in ogni città che liberavano. Non si facevano troppi problemi, dopotutto la guerra era diventata un business, dai rivenditori di armi ai piccoli commercianti locali e, se qualche famiglia era sul lastrico, più di qualcuno era disposto a fare qualsiasi cosa per campare.
Kidd tornò dai suoi uomini appena scesi dal carro, dando ordini precisi e raccomandando a tutti di non fare cazzate.
Parole gettate al vento, visto e considerato l’umore euforico di chiunque. Killer si era attaccato ad una bottiglia di liquore offertagli da un soldato della squadra di Monkey, mentre Wire aveva iniziato a conversare con due signorine dall’aria decisamente poco casta, indicando il carro armato alle sue spalle e invitandole a fare un giro. Ace, invece, se la stava dando a gambe, allontanandosi da loro.
“Ehi, Flame, dove vai?” gli urlò dietro Bible.
“Cazzi miei!” gli rispose il corvino, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo e affrettando il passo.
“Bah, pazienza.” fece Wire con un’alzata di spalle, parlando poi a Killer. “Vecchio mio, più fica per noi!”
Kidd roteò gli occhi al cielo, rivolgendosi infine al moccioso, guardandolo gettare a terra con stanchezza la mitragliatrice e prendendo nota del piccolo miglioramento che aveva notato. Almeno non c’erano state scenate e piagnistei.
“Trafalgar, con me.” gli disse, incitandolo a seguirlo e poggiandosi in spalla un fucile carico.
“Dove andiamo?” chiese Law, colto alla sprovvista, chiedendosi cosa diavolo aveva sbagliato quella volta da meritare un tête à tête col Sergente.
“A darci una ripulita.”
 
*
 
Capitava spesso che nelle città assediate dai nazisti, i cittadini abbandonassero le loro case per arruolarsi o, semplicemente, cercare la salvezza altrove. Di ciò, Kidd ne era ben consapevole e sfruttava la questione a suo vantaggio, approfittando delle abitazioni altrui ogni volta che poteva, diventando in quel modo il proprietario di numerosi appartamenti dove poteva rilassarsi per qualche ora mangiando qualcosa, dormendo o, semplicemente, buttandosi a letto senza pensare a nulla.
Ecco cosa fece anche in quell’occasione, solo che, a differenza dei suoi precedenti, non era più solo.
Non sapeva spiegare nemmeno a se stesso perché si fosse trascinato dietro quello stronzetto di Trafalgar. Forse perché, per una volta, aveva obbedito agli ordini; forse per premiarlo di avere finalmente ucciso quei cani dei tedeschi; o, semplicemente, perché voleva evitare la solitudine. Qualunque fosse stata la risposta, non se ne era ancora pentito, perciò gli fece strada dentro un edificio a qualche strada di distanza dalla piazza, sfondando la porta di una delle abitazioni all’ultimo piano e trovandola rigorosamente abbandonata, ma funzionale.
Prima di concedersi il suo agognato riposo, indicò al ragazzo di ispezionare le stanze, controllando che non ci fosse davvero nessuno e che la via fosse libera, sospirando sollevato quando ebbero la conferma di essere soli.
Appoggiò il fucile al muro, guardandosi attorno come faceva Law, osservando i mobili semplici, gli ambienti un po’ disordinati, segno che chi se ne era andato lo aveva fatto in fretta e alla rinfusa, gli oggetti, i quadri, un pianoforte, il piccolo soggiorno con due poltroncine rosse, uno scaffale con dei libri e due camere da letto.
“Fa come se fossi a casa tua.” disse Kidd, una volta sondato tutto l’arredamento, iniziando a riordinare le idee per trovare il tempo di lavarsi, mangiare e dormire. Il tutto in quell’esatto ordine.
Law sbatté le palpebre, incurvando le sopracciglia che formarono delle leggere increspature sulla sua fronte dandogli un’aria quasi infantile e curiosa come quella di un bambino.
“Abbiamo il permesso di intrufolarci in casa di altri?” chiese, giusto per sicurezza e per conferma. Aveva notato che il rosso si era già tolto gli stivali e si stava mettendo comodo e a suo agio. Lui, d’altronde, non vedeva l’ora di fare altrettanto, ma c’era sempre da tenere conto che i proprietari sarebbero potuti rientrare da un momento all’altro.
“Certo che ce l’abbiamo.” rispose con ovvietà Eustass, slacciandosi la cintura dei pantaloni della divisa.
L’ironia che celava la menzogna non sfuggì al moro, ma smise di farsi troppi problemi quando Kidd gli assicurò che quelle erano tutte abitazioni abbandonate a causa della guerra e che l’intero plotone avrebbe anche potuto stabilirsi lì in modo permanente senza incappare nelle ire di nessuno.
“Te l’ho detto: fa come se fossi a casa tua.”
E Law lo fece, fanculo tutti.
Depose le armi e si liberò subito di quell’odiosissimo cappello col frontino che doveva indossare, gettandolo in un angolo della stanza e rimpiangendo il suo amato copricapo invernale, morbido e caldo. Slegò i lacci degli anfibi neri e si appoggiò con una spalla al muro per toglierseli senza dover saltellare come un coniglio, addossandosi alla parete. Non faceva tanto freddo, si stava abbastanza bene con le finestre chiuse e volendo avrebbe anche potuto farsi un bagno decente. Inoltre, sembrava che Kidd avesse trovato una tinozza e dell’acqua da poter usare.
“Vedi se riesci a trovare un rasoio.” gli disse il Sergente, dandogli le spalle e scomparendo in cucina.
Trafalgar avrebbe tanto voluto obbligarlo a riformulare la frase aggiungendo un semplice e conciso ‘per favore’, ma rinunciò all’idea quasi subito, preferendo non sprecare energie con un idiota e imponendosi di rilassarsi e godersi quel momento di calma.
Gironzolò un po’ nel bagno, lavandosi nel frattempo le mani e sciacquandosi il viso, approfittando dell’occasione per passarsi le dita umide tra i capelli scuri per rinfrescarsi, prima di recuperare il fottuto rasoio per il rosso e tornare nel salone con l’aria decisamente più contenta.
Stato d’animo che scomparve nell’esatto istante in cui i suoi occhi si posarono sulla schiena nuda di Kidd, imprimendogli nella mente l’immagine di tutte le cicatrici che la solcavano, rendendola uno spettacolo perfetto.
In confronto, quella di Ace era un graffietto.
Era pelle pallida quella che stava fissando, sfregiata da uno strato deturpato, forse il risultato di una mina o delle migliaia di esplosioni e battaglie a cui aveva assistito. Il braccio sinistro era attaccato alla spalla per miracolo, solcato da una profonda cicatrice rossastra e in rilievo, che saliva fino al collo, fino ad allora rimasta nascosta dalla divisa da Sergente. Peccato, perché per Law quella era la cosa più bella che avesse mai visto.
Non si era nemmeno reso conto che si era avvicinato con l’intento di passare la mano su quella superficie fino a che non si ritrovò faccia a faccia con Kidd, il quale lo aveva sentito arrivare grazie agli scricchiolii del pavimento.
“Hai visto qualcosa di interessante, moccioso?” lo schernì, consapevole di essere una specie di fenomeno da baraccone.
Contrariamente a quello che si era aspettato, Trafalgar rispose in maniera altrettanto diretta e concisa, senza troppi giri di parole. “Si, la tua schiena. Posso toccarla?”
Fu tanto sconvolgente quanto il pugno che aveva incassato quella mattina. D’accordo, aveva capito fin dall’inizio che quel ragazzino sarebbe stato un piantagrane, ma non lo aveva ancora etichettato come uno dalle manie suicide. Insomma, chi mai si sarebbe azzardato di domandargli il permesso di toccare le sue cicatrici?
“No, col cazzo!” sbottò infatti, allibito e indietreggiando, sbattendo contro il bordo del tavolo della sala da pranzo. “Sei pazzo?”
Non aveva programmato di mostrargli le sue vecchie ferite, era successo per caso. Non l’aveva più visto tornare e aveva creduto che si fosse fermato a fare una doccia, perciò aveva approfittato per cambiarsi la maglia e lavarsi un po’. Di certo non si era aspettato che il bastardo fosse stato tanto silenzioso da riuscire a non farsi sentire prima di arrivare nel soggiorno.
Law rimase perfettamente immobile e serio, non trovandoci nulla di assurdo in tutto ciò. Cosa aveva detto di male? Era la cosa più complessa che avesse mai visto, soprattutto su una persona ancora viva. La maggior parte della gente sarebbe morta per sfregi di quel calibro. Lui voleva davvero poterli guardare ancora, studiarli, passare le dita su quei solchi fino ad impararli a memoria. Erano talmente belli su quello sfondo chiaro e definito dai muscoli delle spalle ampie e della schiena dritta e slanciata. Ci stavano alla perfezione e, in qualche modo, era qualcosa che da uno come Kidd ci si poteva aspettare.
“Per favore.” fece tranquillo, sollevando una mano in segno di pace, come si faceva per dimostrare ad un animale impaurito che non si avevano cattive intenzioni.
Si faceva degli scrupoli, ovviamente, ma Kidd aveva già deciso di acconsentire non appena si era sentito rivolgere quelle due parole. Dio, finalmente gli chiedeva il suo parere, un si o un no.
Sbuffò come una locomotiva, ma non disse nulla. Si voltò e riprese ad intingere un asciugamano nella tinozza, passandoselo sulle braccia e lasciando a Law la possibilità di curiosare tra i suoi ricordi di guerra ormai cicatrizzati.
Si bloccò un solo istante, irrigidendosi, ovvero quando percepì i polpastrelli del ragazzo appoggiarsi quasi con timidezza sulla scapola sinistra, dove la sua cicatrice più profonda e recente iniziava, ma poi continuò a fare finta di niente, lasciandolo vagare lungo i segni delle suture, alcuni più visibili di altri, mentre una seconda mano si aggiungeva.
Law era estasiato, colpito, inquieto. Era tante cose assieme.
Da una parte era interessato perché quella era la sua passione, il suo lavoro, e avrebbe tanto voluto essere stato lui a ricucire al meglio quegli squarci, ma dall’altra si sentiva quasi dispiaciuto. Un fianco pareva essere stato strappato e di certo aveva causato molto dolore, per non parlare della spalla sinistra, dell’ampia cicatrice fra le scapole, del foro di una pallottola e dell’impronta di un’arma da taglio. Kidd aveva affrontato tutto quell’orrore e continuava ad andare avanti, mentre lui aveva paura anche solo di premere il grilletto e si impressionava per un nonnulla.
Continuò a far scorrere le dita sulla pelle, piano, senza fretta, quasi con tenerezza, tanto che Kidd smise di strofinarsi le braccia, godendosi quei leggeri movimenti che gli stavano alleggerendo la testa e liberando la mente dai brutti ricordi. Si stava rilassando, lasciando le sue preoccupazioni fuori, in strada, permettendosi di tornare ad essere il vecchio se stesso per pochi istanti, il ragazzo che prima di quell’Infermo era spensierato, testardo e indisciplinato.
Fu il respiro accelerato di Law e la pelle d’oca che affiorò lungo i suoi fianchi al passaggio di quelle mani non ancora screpolate e ruvide a riaccendere la scintilla della sua giovinezza repressa troppo presto.
Si voltò di scatto, bloccando i polsi del moro e trascinandoselo addosso, appoggiandogli una mano dietro la nuca per spingere il suo viso contro il suo e far cozzare le loro labbra per rubargli, e concedersi, un bacio rude, bisognoso e disperato. Non era il tipo da gesti gentili, voleva solo dimenticare la sua esistenza per un po’, lo voleva tanto da arrivare a fare una cazzata colossale.
Non aveva perso del tutto la testa, però, perché aveva calcolato che sarebbe stato tutto breve, anche se intenso, doveva ammetterlo, ma la sua convinzione andò in mille pezzi quando, una volta abbandonata la bocca di Trafalgar, fu lui stesso a cercare la sua per ricreare il contatto, rendendolo ancora più profondo.
Forse anche lui era disperato, forse sentiva lo stesso bisogno di evadere dal mondo, o forse aveva la sua stessa voglia di scopare e basta, ma quando Kidd si sentì mordere le labbra decise che si, avrebbe mandato tutto a puttane.
Strinse tra le dita i capelli neri e lo allontanò pochi centimetri per parlargli ad un soffio dal viso. “Comando io, quindi non ci provare.”
Ricevette un ghigno abbagliante che fece crescere in lui la rabbia, oltre che a qualcos’altro nei suoi pantaloni che stavano iniziando a diventare stretti. Troppo stretti.
Non aveva più voglia di pensare alle conseguenze che ci sarebbero state. Sarebbe bastato non farne parola con nessuno e fingere che nulla fosse successo e, consapevole di ciò, Kidd non ci mise molto a trascinare senza grazia Trafalgar nella camera da letto più vicina, sbattendolo sul letto e salendo sopra di lui senza smettere un attimo di baciarlo, affondare la lingua nella sua bocca e lasciando morsi su ogni lembo di pelle che trovava.
I loro copri rispondevano così bene l’uno al tocco dell’altro che l’eccitazione e l’aspettativa crebbero in poco tempo, scollegandoli completamente dalla realtà e facendoli concentrare unicamente sulle loro sensazioni e su se stessi.
Kidd aveva le braccia forti e il petto ampio su cui Law si aggrappava, passando le mani sul collo per arrivare ai capelli rossi che tirava con forza ogni qual volta che Kidd lo mordeva, lasciandogli lievi impronte dei denti. Si lasciò sbottonare la giacca, separandosi dalle labbra del rosso giusto il tempo per togliersela di dosso e godersi il contatto delle loro pelli bollenti. Decisamente non faceva freddo lì dentro, non con Kidd così vicino e con le loro labbra tanto unite.
Per Eustass, Trafalgar era una continua sorpresa. Era più giovane e più piccolo, ma non era smilzo e denutrito come aveva creduto fino ad allora. Certo, il suo fisico non era allenato e sviluppato come quello della maggior parte dei soldati, ma era in salute e si notavano i risultati dell’allenamento base che ogni arruolato doveva affrontare per entrare nell’esercito, qualunque fosse il ramo scelto.
Ma voleva vedere altro, perciò armeggiò con la chiusura dei pantaloni per sfilarli con movimenti veloci, facendo scorrere le mani lungo le gambe magre e infinite, dalle caviglie fino al sedere che afferrò saldamente, strappando un sospiro di aspettativa al moro che, con gli occhi chiusi, registrava tutte quelle nuove sensazioni, venendone completamente investito.
Non si era mai trovato in una situazione simile, anzi, forse era il caso di dire che non aveva mai fatto sesso, punto. Quindi stava lasciando volentieri le redini a Kidd che, di certo, ci sapeva fare. Non gli sembrava il caso di parlarne, comunque, non aveva intenzioni di mettersi a frignare e a crearsi complessi come una ragazzina. Prima o poi avrebbe dovuto passarci anche lui, anche se non si era immaginato la sua prima volta esattamente in quel modo, con un tizio dai capelli rossi sopra di lui e le sue mani a sondare ogni centimetro del suo corpo. Ad essere sincero, era quasi meglio di quello che si era aspettato e dell’idea del sesso che aveva avuto fino ad allora.
E poi, lui imparava in fretta, dunque fu con sicurezza che circondò i fianchi di Kidd con le gambe, avvicinandolo di più a sé e prendendo a giocare con i suoi capelli mentre con la lingua esplorava quella bocca tanto offensiva, crudele e attraente.
Eustass, invece, si stava divertendo da matti.
Inizialmente aveva avuto l’idea di prendere Trafalgar, sbatterlo da qualche parte, addosso al muro o sul tavolo non avrebbe fatto differenza, e fotterlo di cattiveria, ma il suo piano era andato a monte quando si era reso conto che temporeggiare non era poi tanto male. Il corpo di Law rispondeva in maniera perfetta al suo, le mani fremevano, la schiena si inarcava e da quelle labbra sfacciate e derisorie uscivano tanti gemiti che lo incitavano a continuare, a fare di più, sicuro che quando avrebbe deciso di prenderlo, avrebbe potuto farlo.
Interruppe il bacio solo per spogliarsi, finendo di svestire anche Trafalgar e gettando i loro vestiti alle loro spalle, tornando a concentrarsi su di lui e sul suo piacere. Rimase piuttosto stupito quando il moro fece leva sulle braccia per cambiare posizione e farlo sdraiare sulla schiena. Ancora di più si sorprese non appena intuì le vere intenzioni del ragazzo, osservandolo con gli occhi pieni di aspettativa inginocchiarsi tra le sue gambe per fargli un pompino.
Con i fiocchi, aggiunse mentalmente, reclinando il capo e godendosi il momento. Se solo avessero scopato invece di fare a pugni quella mattina, sarebbe stato tutto molto più producente e indolore.
Dal canto suo, Law era curioso. Curioso e deciso a non lasciare che la sua inesperienza rendesse quel momento meno intenso. Soprattutto, voleva vedere fino a che punto poteva spingersi e cos’altro avrebbe potuto fare per vedere il grande Eustass Kidd contorcersi sotto di lui. Avrebbe mentito se avesse negato di provare un senso di onnipotenza nell’essere l’artefice di tanto piacere.
Trovò il ritmo giusto e si abituò all’idea di averlo in bocca, respirando di tanto in tanto e ascoltando gli ansimi di Kidd. Sul più bello, però, decise di spostarsi, ghignando euforico.
Peccato solo che il rosso non condivise i suoi piani.
Gli afferrò la nuca, guardandolo storto e riconducendolo dov’era prima. “Che cazzo fai? Finisci il lavoro.”
Law quasi digrignò i denti in risposta. “Non darmi ordini.”
In altre occasioni, Kidd avrebbe riso davanti a tanta cocciutaggine, ma le sue esigenze erano altre, perciò non demorse e riuscì ad ottenere ciò che voleva: un maledetto orgasmo.
Da quanto non gli succedeva? Parecchio e, da quello che aveva potuto constatare negli ultimi minuti, la bocca di Trafalgar riusciva a fare miracoli.
Puntellò i gomiti sul materasso, sollevando di poco il busto che si alzava e si abbassava velocemente, esattamente come quello del moccioso che, davanti a lui, si puliva la bocca con un lembo del lenzuolo, asciugandosi anche le mani. Sorrise a quella visione, inarcando un sopracciglio chiaro e osservando il viso concentrato del moro, determinato a non alzare lo sguardo, apparendo piuttosto in imbarazzo quasi come una ragazzina alle prime armi.
Assottigliò gli occhi Kidd, mentre un dubbio leggero si insinuava tra i suoi pensieri e un sorrisetto maligno faceva capolino sul suo volto. Si mise a sedere e passò un braccio attorno alle spalle del moro, afferrandogli il collo per voltargli la testa in modo da essere faccia a faccia con lui per poi baciarlo, con calma, senza fretta, forzandogli le labbra con la lingua e trovandovi libero accesso. Gli morse il labbro inferiore, piano, decidendo che si sarebbe preso la prima volta di Trafalgar e avrebbe vantato il diritto sul suo culo più di chiunque altro.
Gli sfiorò una guancia, scendendo lungo il collo, passando per il petto e raggiungendo lo stomaco, scivolando sempre più giù fino ad arrivare ad accarezzare la sua erezione, lasciandosi scappare un sorriso vittorioso quando sentì Trafalgar gemere senza trattenersi.
Poi smise semplicemente di pensare e fu se stesso.
Lasciò il segno dei suoi denti su quella pelle abbronzata ogni volta che poté; lo baciò talmente a lungo e con tanto ardore e bisogno da sembrare quasi famelico e togliendogli il respiro; gli concesse un minimo di preparazione prima, invece che pensare solo a se stesso e al suo bisogno di fotterlo e basta; scoprì persino che torturare Trafalgar era più divertente che svegliarlo con una secchiata d’acqua gelida; si lasciò toccare, accarezzare e affondare le unghie nella pelle mentre si davano piacere a vicenda e solo quando furono entrambi al limite della sopportazione lo penetrò con un unico movimento, lasciandogli qualche istante di tregua e imprimendosi nella testa gli occhi grandi e chiari, i capelli scuri disastrati e il suo nome intrappolato tra le labbra umide di baci di Trafalgar.
Lo scopò guardandolo in faccia, senza abbassare mai gli occhi, sostenendo quello sguardo trasparente e limpido che gli ricordava tanto il mare vicino alla sua casa, in America. Molto, molto lontano da lì, dalla Germania, da Essen, da quella casa e da quella stanza ormai calda, piena di gemiti.
Law, invece, non riusciva a pensare ad altro, se non a volere di più. Era come se tutto il suo corpo avesse deciso di fottersene della guerra, dei problemi del mondo, dell’antipatia verso quel bastardo e dei lividi violacei causati dalle botte di quella mattina, concentrandosi solo sul calore che provava, del bisogno d’aria, del lieve dolore al fondoschiena attutito dall’immenso piacere che gli stava sciogliendo ogni paura o preoccupazione, facendolo sentire leggero e prossimo al limite, pronto ad esplodere.
Serrò le labbra per non lasciarsi sfuggire nulla, nemmeno una sillaba sbagliata che avrebbe potuto metterlo in difficoltà dopo, reprimendo la voglia matta e isterica che aveva di gemere come una puttana qualsiasi, di implorare di più, perché non voleva altro, solo… di più. E più forte. E ancora. E ancora. E ancora.
E Kidd sembrava leggergli nel pensiero perché aveva aumentato il ritmo, spingendo il lui sempre di più, più forte, più a fondo, senza smettere, arrivando a poggiare la fronte contro la sua, corrugando le sopracciglia per lo sforzo e chiudendo gli occhi nell’esatto istante in cui lo fece anche lui, smettendo di opporre resistenza e liberando un gemito che aveva trattenuto troppo a lungo, raggiungendo l’apice con la vaga consapevolezza che anche per Kidd era stato lo stesso.
 
*
 
Erano rimasti stesi su quel letto per ore.
Law ne era certo perché si era reso vagamente conto del cambiamento di luce presente nella stanza che, dal colore del tramonto era diventato lentamente buio come la notte. Vagamente, perché era certo di aver preso sonno ad intervalli irregolari di tempo, stravaccato nel materasso e coperto parzialmente dal copriletto chiaro.
Anche Kidd non si era mosso, non aveva nemmeno parlato a dire il vero, e aveva finito per sonnecchiare pure lui, russando di tanto in tanto in modo pacifico, forse rilassato per la prima volta dopo tanto.
Sentiva provenire dalla strada le voci miste a risate del plotone, rimasto a fare festa e a godersi quella meritata pausa dopo giorni di tensione e marcia. Qualcuno aveva persino trovato una chitarra perché era certo di aver riconosciuto della musica in mezzo a tutto quel chiasso attutito dalla finestra.
Sarebbe rimasto fermo tra le coperte per tutta la notte, ma il suo stomacò brontolò e gli ricordò che non metteva qualcosa sotto ai denti da quel mattino.
“Hai fame?” si sentì domandare, ottenendo la conferma che Kidd si era svegliato. Da quanto, però, non lo sapeva dire con certezza.
Sospirò, spostando il braccio sotto la testa per usarlo come cuscino. “Un po’.” Ammise, certo che il suo stomaco lo avrebbe tradito di nuovo.
Notò con la coda dell’occhio la testa rossa di Eustass annuire lievemente prima di sentirlo alzarsi, inspirando profondamente e sbattendo le palpebre per scacciare la sonnolenza. Non represse un ghigno quando vide l’aria sfatta che aveva, con la chioma fulva disordinata, gli occhi assonnati e la faccia stravolta.
Ignorò l’occhiataccia che ricevette per la sua sfacciataggine e si preoccupò più per il commento del rosso che per il pericolo che comportava farsi beffe di lui. “Alzati in piedi, poi vediamo quanto ridi.”
Aspettò che Kidd uscisse dalla stanza, dopo che ebbe recuperato i suoi pantaloni da sotto al letto, per fare come aveva detto, mettendo con lentezza i piedi a terra e facendosi forza per alzarsi. All’inizio non provò nulla e pensò che quell’idiota avesse solo voluto spaventarlo, ma dovette ricredersi dopo il primo passo, mordendosi un labbro per non imprecare ad alta voce.
Muoversi e vestirsi sarebbe stato un calvario, se lo sentiva.
Stava ancora rimuginando su come evitare il dolore che Kidd ricomparve nella stanza, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto e l’aria divertita, mentre un ghigno vittorioso gli dipingeva le labbra. Fece finta di nulla davanti all’occhiata omicida che il ragazzo gli rivolse, fissandolo con astio e vagliando le varie possibilità che aveva di ucciderlo sul serio.
“Te l’avevo detto che ti avrei fatto il culo, Trafalgar.” disse, gongolando dentro di sé per quel momento di gloria.
Lo sguardo assassino di Law prese una piega ancora più minacciosa. “Parla quello a cui basta un pompino per venire.” sbottò, prendendosi una rivincita personale.
Fu il turno di Kidd con le occhiatacce. Per chi lo aveva preso? Lui era un animale a letto, mica uno alle prime armi, che cazzo.
Arricciò le labbra indignato, pensando a qualcos’altro da dire che avesse un bell’effetto. “Almeno sono stato il primo a fotterti.”
Law ghignò, lo stesso ghigno che Kidd aveva deciso di odiare, quello che gli aveva rivolto sul carro armato quasi con superiorità. E, ciò che più lo infastidiva, era il fatto che nella loro battaglia privata nessuno dei due l’aveva ancora spuntata. “Siamo sentimentali adesso, Eustass-ya?
Il mondo si fermò, Law continuò a ghignare e a Kidd sembrò di ricevere un secondo pugno in faccia.
“Eustass-ya sto cazzo!”
 
*
 
“Non puoi vantare diritti sul mio culo, Eustass-ya.”
“Certo che posso, Trafalgar. E smettila di chiamarmi in quel modo!”
“In quale modo, Eustass-ya?”
Kidd per poco non piegò a metà la forchetta con cui stava mangiando. “Che stronzo.”
Si erano dati una ripulita, lui si era fatto la barba, Law aveva potuto finalmente lavarsi decentemente e poi si erano messi a rovistare nella dispensa alla ricerca di qualcosa di commestibile, cucinando infine delle uova strapazzate e un po’ di pancetta. Il rosso aveva pure scovato del pane, ma non appena lo aveva piazzato sopra la tavola, il moro aveva lanciato il cestino contro il muro, giustificando quel gesto imprevisto con un’alzata di spalle e una frase del tipo: ‘Odio il pane’. Al che, Kidd aveva annuito, fregandosene altamente, e prendendone una pagnotta solo per sé, in barba allo sguardo schifato dell’altro ragazzo.
Avevano quindi iniziato la cena, pensando inizialmente a riempirsi lo stomaco, lasciando perdere la conversazione, ma al momento di riordinare si erano ritrovati a fissarsi attraverso il tavolo, sentendosi obbligati ad un certo punto a dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di spezzare quell’attimo di stallo che si era creato e che aveva dato modo ad entrambi di realizzare perfettamente quello che era successo poche ore prima.
Kidd aveva parlato per primo, essendo uno a cui non piaceva non avere nulla da dire, anche se l’argomento che aveva scelto non era stato dei migliori, ma la cosa gli era balenata per la testa troppo a lungo per non lasciarsela sfuggire accidentalmente.
Ecco perché Trafalgar, in quel momento, stava intrattenendo quel dibattito con l’ombra di un sorrisetto beffardo sul viso, ascoltando le scemenze del Sergente e tentato di coprirsi teatralmente il volto con una mano.
Ancora non ci credeva a quello che il bastardo aveva detto; il suo culo non era di sua proprietà e il fatto che non l’avesse mai fatto prima con nessun altro non contava.
“La voce della verità, suppongo.” lo sfotté.
Kidd gli puntò contro il coltello che aveva accanto al piatto. “Esatto. Se dico che sei uno stronzo, lo sei e basta. E pure vergine eri! Che cazzo!”
“Se l’idea ti faceva tanto schifo potevi benissimo evitare di scoparmi.” gli ricordò Law con una punta d’ovvietà nella voce. Il suo unico intento era far innervosire quella testa rossa.
Infatti, il Sergente tentennò qualche istante prima di trovare una risposta da dare, ma ormai l’effetto era sparito ed era chiaro che Trafalgar lo aveva fregato. “Sei tu che hai iniziato.”
La risata di Law riempì la stanza e sembrò spazzare via, anche se per un momento, il pensiero della guerra che imperversava ancora fuori da quelle mura. Fu una specie di toccasana, tanto che anche a Kidd stesso venne voglia di mandare tutto a fanculo e ridere a crepapelle. Si trattenne solo perché Law stava ridendo di lui e quella cosa era capace di mandarlo in bestia come poche.
Assottigliò gli occhi e assunse la sua faccia più minacciosa. “Bada, Trafalgar, non farmi incazzare.”
“Altrimenti che fai, Eustass-ya?”
“Oh, penso che tu lo sappia già.” sogghignò il rosso, inclinando il capo con fare allusivo.
“Non ti è dispiaciuto poi così tanto, ammettilo.” ammiccò l’altro.
“Nemmeno a te, a quanto pare.”
 
*
 
Il viso di Marco era vicino. Talmente vicino che Ace poteva notare anche con la poca luce che c’era le sfumature di blu che avevano i suoi occhi. Aveva sempre desiderato di avere gli occhi chiari perché i suoi gli sembravano troppo scuri, quasi neri. Ogni volta che poteva sospirava e guardava verso il cielo, inscenando una conversazione privata e silenziosa con Dio e domandandogli perché mai gli avesse dato degli occhi così comuni.
Da quando Marco gli aveva fatto un complimento diretto proprio alle sue particolari iridi, però, Ace aveva smesso di voler cambiare qualcosa del suo corpo.
“Ehi, che stai facendo?” chiese ingenuamente al biondo, continuando a guardarlo mentre gli si avvicinava e gli sfiorava il naso con il suo, facendogli il solletico. A volte si comportava in quel modo, magari scompigliandogli i capelli, abbracciandolo da dietro o stringendogli la mano. Tanti piccoli gesti che al moro facevano piacere; gli ricordavano un senso di famiglia, di casa, di buono.
E Marco faceva tutto senza cattive intenzioni. La maggior parte delle volte, almeno.
Si, perché ogni tanto, come in quel momento, gli capitava di volere andare oltre e far aprire gli occhi a quel ragazzino indisciplinato che quegli abbracci non gli bastavano. Gli stavano stretti e qualcosa di più non gli sarebbe dispiaciuto, anche se fosse stato solo per una volta.
Però poi Ace se ne usciva con quelle domande accompagnate da quello sguardo tanto infantile quanto tenero e lui non ce la faceva a mandare in frantumi quell’adorazione che gli leggeva negli occhi.
Così sospirò ad un soffio dalle sue labbra, scuotendo il capo con un sorriso arrendevole. “Sei così innocente, Ace.”
Il ragazzo corrugò le sopracciglia, osservandolo confuso. “Ma se ho ucciso più nazisti io che tutto il tuo plotone messo assieme!”
“Oh, non dirlo a Thatch, ti prego. Non posso sopportare un’altra gara su chi ne abbatte di più.” sbuffò il Sergente Phoenix, lasciando scivolare sul suo fianco il braccio che aveva messo attorno alle spalle del moro.
Ace si animò a quelle parole e scattò in piedi con una rinnovata energia, scendendo gli scalini della gradinata davanti alla chiesa di Essen dove si erano seduti a chiacchierare, avviandosi a passo spedito verso la piazza, più precisamente in direzione del carro armato Blue Flame.
“Ace, ma dove vai?” lo richiamò Marco, alzandosi per seguirlo con un brutto presentimento.
“A proporre una sfida a Thatch, ovvio!”
Si passò stancamente una mano tra i capelli corti e rasati ai lati, stringendone qualche ciocca per calmarsi.
Ovvio, dove sennò? pensò, preparandosi ad una lunga serata.
 
*
 
Era tutto molto imbarazzante a dire il vero.
Law non sapeva spiegarsi perché Wire si fosse rasato solo mezza barba e non riusciva proprio a capire per quale ragione Killer stesse indossando una maschera a strisce bianche ricavata da un elmetto crivellato di colpi. Perché poi Ace avesse un labbro spaccato, un occhio nero e l’aria da ubriaco non voleva nemmeno saperlo. L’unica cosa, però, di cui era certo era la situazione in cui si trovava.
Fortunatamente, lui e Kidd avevano avuto la brillante idea di rivestirsi dopo… insomma, dopo, almeno i loro compagni non li avevano trovati a letto nudi, ma solamente addormentati con le lenzuola impigliate tra le gambe e la testolina mora di Law adagiata dolcemente sul petto del rosso. Ace aveva descritto in quel modo poetico la scena appena li aveva visti.
“E allora…” iniziò Wire, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
“Voi due, eh?” aggiunse Killer, lasciando in sospeso la frase, felice che il suo sorriso fosse nascosto dalla ferraglia che si era messo sul viso.
Un luccichio sinistro balenò negli occhi di Kidd. “Noi due cosa?
La risata mal trattenuta e quasi sguaiata di Ace attirò l’attenzione di tutti, i quali si voltarono a guardarlo come se i suoi problemi mentali fossero improvvisamente peggiorati. “Sai, é solo che ci risulta difficile credere che non stavate facendo niente.
“Portgas D. Ace,” sillabò il Sergente Eustass che, per la precisione, quando chiamava i suoi sottoposti con il nome completo era solo per infliggere una dura punizione, “Vuoi farti la strada a piedi, o chiudi quella cazzo di bocca ed esci di qui?”
“Sissignore.” rispose il giovane con convinzione, girando i tacchi e precipitandosi fuori dalla stanza.
“Lo stesso vale per voi.” precisò il rosso, guardando Killer e Wire che si spintonavano per passare attraverso la porta.
Una volta rimasti soli, Law si schiarì la voce, scivolando giù dal letto con l’aria di chi vorrebbe essere altrove, mentre Kidd sembrava avere la seria intenzione di sotterrarsi vivo per la vergogna.
“Quindi,” tentennò il moro, trattenendo il divertimento e sforzandosi di rimanere pacato. Avrebbe preso in giro per molto tempo il povero Sergente, ricordandogli quella storia. “Noi due…”
“Trafalgar, un’altra parola e finisci appeso.”
“Come non detto.”
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Buongiorno! ^^ stamattina mi sono resa conto che è lunedì e che ieri non ho aggiornato, LOL. Quindi eccomi qui, anche perché domani parto e vado a Londra, yeee. Festone.
Io ancora mi chiedo come diavolo avrei potuto ridurre tutto questo e farne uscire una One Shot. Non me ne capacito, davvero. Beh, pazienza, sono quasi alla fine.
QUASI PERO’.
Anyway, passiamo all’argomento a cui tutti state pensando.
Si, hanno scopeto, mlmlml. E forse dovrei mettere il rating rosso, ma poi tutti mi venite a dire che non lo potete leggere .-. quindi vabbé, fino a che non mi becco qualche rimprovero lascio l’arancione, così vi potete divertire tutti.
Umh, che altro dire? Avete visto il film? Cosa ne pensate?
Ah, ma Kidd che vuole il culo di Law tutto per lui? **
Ok, chiusa parentesi, da qui in poi il rapporto si farà sempre più stretto, con tanti unicorni e arcobaleni. In mezzo alla guerra, ovvio.
Volevo ringraziarvi per le recensioni dolcissime e per seguire questa ‘MINI LOL LONG’.
Ora scappo, la valigia mi attende e io non so cosa ci butterò dentro.
 
See ya,
Ace.
  
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