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Autore: Whatadaph    16/09/2015    4 recensioni
Nel centro di Londra, un clamoroso furto di opere d’arte dal valore inestimabile avviene in circostanze misteriose. Gli Auror brancolano nel buio e Scorpius Malfoy c’è dentro con tutte le scarpe.
Nel frattempo, a Hogwarts, Lizzie Dursley è alle prese con una cotta impossibile e Fred Weasley ne combina una dopo l’altra.
Sono passati sei anni e i nostri eroi si muovono nelle loro nuove vite, tra il Ministero della Magia, l’ospedale San Mungo, il Caffè Nero di Trafalgar Square e un certo castello in Scozia.
Come sempre, se i Potter-Weasley e compagnia non vogliono guai… Sono i guai che li vanno a cercare!
Con la partecipazione straordinaria di quattro squadre di Quidditch, alcune vecchie conoscenze e un grosso gatto peloso.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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CAPITOLO PRIMO
Lesioni da Incantesimo
 
 
16 settembre 2027
Notturn Alley, Londra magica
Primo mattino
 
Il sole sarebbe sorto da un minuto all'altro su Notturn Alley.
Il percorso labirintico dei vicoli era ancora immerso nel buio, ma il cielo visibile tra le case alte e strette già cominciava a schiarirsi. Le stelle sbiadivano lentamente, appannate, mentre la volta sfumava verso un brillante azzurro cupo.
Ci sarebbe stato bel tempo, almeno per un paio d'ore, prima che le nuvole fitte che opprimevano il Nord della Scozia calassero fin sull'Inghilterra a ingrigire i cieli di Londra.
Gwyneth Parkinson aveva l'impressione che il vicolo stretto e serpeggiante che stava percorrendo le  precipitasse letteralmente incontro. Camminava silenziosa, pigiando furtivamente i piedi sul lastricato umido della strada, gli occhi che osservavano guardinghi le case tutto intorno per poi tornare a fissarsi sulla schiena dell'uomo che procedeva davanti a lei e che si arrestò di scatto, all'imbocco di un vicolo perpendicolare a quello che stavano già percorrendo.
Lo imitò nel restare immobile, a ridosso del muro, mentre i suoi sensi allenati coglievano la presenza di Scorpius, fermo dietro di lei allo stesso modo. Sentiva il cuore martellare contro le orecchie ma si impose di mantenere la calma, emettendo cauti, profondi respiri finché le pulsazioni non si furono nuovamente regolarizzate.
Il cielo sopra le loro teste andava schiarendosi ancora, sciogliendosi in un azzurro più chiaro; non appena il sole fosse sorto sarebbe stata un'alba trionfale.
“State pronti,” mormorò serissimo Louis Weasley nel silenzio, rotto solamente dal lontano schiamazzo di un ubriaco.
Gwyneth annuì semplicemente e lo stesso fece Scorpius.
Tirò un sospiro profondo, concentrata. Mancava poco. Davvero poco.
“Andiamo.”
Non ebbe un istante di esitazione prima di seguire Weasley lungo il vicolo a bacchetta tratta. I suoi pensieri sembravano essere stati del tutto sopraffatti dalla lucidità del momento presente, azzerati dall'adrenalina che le percorreva le vene a rotta di collo.
“Questo è l'edificio.”
Si appostarono ai lati del malridotto portone di una casa fatiscente: Gwyneth serrava le dita attorno alla bacchetta magica, gli occhi che saettavano da una parte all'altra, attenti e vigili.
Poi Scorpius, ad un cenno di Louis, si fece avanti e spalancò la porta con un calcio.
Gwyneth sentì la mano di Weasley serrarsi attorno al suo braccio per trascinarla via e per un momento si domandò cosa diavolo stesse accadendo e perché mai l'altro l'avesse tirata indietro così.
Almeno finché la porta non esplose, facendola cozzare con la schiena dalla parte opposta del vicolo. Nell'impatto il suo braccio scivolò via dalle dita di Weasley, invisibile nel fumo provocato dallo scoppio... Poi udì un lamento provenire da alcuni metri più in là.
Dannazione... Scorpius!
 
 
*
 
 
16 settembre 2027
Reparto Lesioni da Incantesimo, San Mungo, Londra
Neanche un'ora dopo
 
“Un giorno mi spiegherai cosa ci trovi nel rischiare quotidianamente di farti saltare in aria.”
Dalle finestre del San Mungo si poteva vedere un cielo azzurro tenue, ancora venato di rosa. Nubi spugnose simili a garza avevano gia cominciato ad addensarsi sopra i tetti di Londra.
Jacob Greengrass, in piedi accanto al carrello medicinali, diede un colpo di bacchetta ad un unguento già pronto perché raggiungesse la temperatura adeguata.
Ma dove sono i Medimaghi quando servono?!
Scorpius, disteso sul lettino da ospedale, roteò gli occhi – praticamente l'unica superficie del suo corpo libera da bende e lozione per bruciature.
“E soprattutto mi chiedo come fai a rischiare le penne sempre quando io sono di guardia.” Rincarò Jake, spalmando con la bacchetta magica l'ennesimo unguento sul braccio dell'amico, praticamente ridotto a carne viva esposta dalle scottature. Decisamente: ci voleva uno stomaco robusto per lavorare al Reparto Lesioni da Incantesimo.
“Ahia,” si lamentò Scorpius flebilmente. “Brucia.”
“Non fare il bambino,” lo riprese in tono neutro. “L’hai deciso tu di rischiare di bruciare vivo.”
L'altro accennò un sorrisetto che deviò ben presto in una smorfia dolorante. “Davvero lodevole il modo in cui ti preoccupi per me.”
“Sai com’è, è il mio lavoro,” replicò Jake, prima di dare un colpo di bacchetta alle bende che attendevano sul carrello; quelle si sollevarono e iniziarono ad avvolgere il braccio di Scorpius in una complessa fasciatura. Concentrato, prese la cartella clinica del paziente, decisamente fitta, considerando che ormai era di casa in Reparto...
Ci finisce quantomeno a settimane alterne... Ha perso definitivamente il cervello nel momento in cui è entrato in Accademia.
“Dov'è finito il tuo spirito di autoconservazione, Scorpius?” borbottò distrattamente, dopo aver tracciato in uno scarabocchio pressoché incomprensibile – la grafia da Guaritore gli riusciva tutta – la cura somministrata sulla cartella, che rimise poi al suo posto sul comodino.
L'altro aprì la bocca per ribattere, senza curarsi di camuffare l'ennesima smorfia di dolore che gli aveva distorto il viso; tuttavia non fece in tempo prima che la porta della stanza si aprisse. Tra le file di lettini bianchi si fece strada una figura familiare, con capelli scuri e un'uniforme verde da Guaritore identica a quella che indossava Jake, salvo per il cartellino che lo identificava come Psicomago tirocinante.
Quando Bernie giunse accanto al lettino, riposato e fresco come una rosa, Jake preferì non pensare a quale potesse essere l'aspetto della propria faccia.
Odio le guardie notturne.
Non appena avesse finito con Scorpius sarebbe tornato a casa per dormire qualche ora, prima di recarsi di nuovo al San Mungo per il turno pomeridiano.
“Cosa ti è successo stavolta?” chiese Bernie, accomodandosi sulla sedia accanto al letto.
Scorpius scrollò le spalle. O meglio: tentò di farlo, ma il risultato fu un movimento indistinto delle bende che gli immobilizzavano il torace. “Un edificio in cui stavamo facendo irruzione,” rispose in tono noncurante. “È esploso.”
“Gwyneth sta bene?”
“Non si è fatta nulla,” borbottò Jake al suo posto. L'ex compagna di scuola – ed ex-ragazza, come gli ricordava talvolta Lily in tono assai eloquente – era stata portata in ospedale assieme a Scorpius per un rapido controllo. “Sembra che il Capitano Weasley le abbia evitato la stessa fine di Scorpius per un pelo...”
Anche Louis Weasley era stato lì, con un lieve trauma cranico, che tuttavia non gli aveva impedito di sfoderare tutto il suo fascino da mezzo-Veela con la Medimaga Viviana Davis. Era incredibile come i Medimaghi, terribilmente bravi a volatilizzarsi quando Jake aveva bisogno di loro, riuscissero a convergere tutti nella stessa stanza quando c'era Weasley come paziente.
“Non chiamarla fine,” protestò Scorpius. “Sono ancora tutto intero.”
“Già, sei solo un po' abbrustolito.”
Bernie sollevò brevemente le sopracciglia. “È incredibile. Hai già rischiato di farti ammazzare prima che io finissi di fare colazione.” Sorrise leggermente, un brillio fugace negli occhi castani.
Jake faticò a soffocare uno sbadiglio. “Io ero qui a lavorare, mentre tu eri a casa a farti coccolare da Alice,” gli fece notare.
All'udire il nome della fidanzata, il sorriso di Bernie si fece più largo.
Improvvisamente, Jake percepì la stanchezza dovuta alla nottata insonne crollargli addosso. Gettò un'altra occhiata all'orologio. “Io vado.” Sospirò, rimettendo la bacchetta in tasca. “Vedi di essere ancora tutto intero quanto tornerò, uhm?”
 
 
*
 
16 settembre 2027
Sala Grande, Hogwarts, Scozia
Otto del mattino
 
La mattina del sedici settembre, Elizabeth Dursley entrò in Sala Grande qualche minuto più tardi rispetto al solito, veramente di umore nero... E il non aver ancora fatto colazione di certo non aiutava. Non sapeva bene cosa fosse successo quel giorno: fatto sta che non aveva sentito il fischio della Magisveglia sul suo comodino; quando finalmente aveva aperto gli occhi le altre ragazze avevano già cominciato a vestirsi e nella stanza c'era un disordinato viavai. Le compagne di casa le erano parse così riposate e graziose, mentre lei si sentiva la faccia pesante e sapeva di avere gli occhi gonfi e i capelli in uno stato pietoso.
Dovrei proprio tagliarmeli. Non le era sfuggita l'occhiata che le aveva lanciato Bernice... Di solito non dava retta a quell'imbecille classista, ma era costretta a riconoscere che su certe cose avesse un metro di giudizio abbastanza valido. Come i capelli... Dio, sono inguardabili.
Elizabeth era abituata ad alzarsi presto, e soprattutto prima delle sue compagne di stanza. Non avrebbe saputo dire perché, ma ridestarsi quando le altre erano già sveglie e in piedi le risultava destabilizzante.
Le piaceva aprire gli occhi quando tutto era ancora immerso nel buio e nel silenzio, approfittare del bagno senza paura che finisse l'acqua calda, vestirsi furtiva in dormitorio e poi salire nella Sala Comune deserta, già carica dei libri per la giornata, rimanendo poi in contemplazione del fuoco – e in beata solitudine – finché non fosse arrivata Lucrezia, per avviarsi con lei alla volta della Sala Grande.
Quella mattina non aveva neanche avuto il tempo di farsi una doccia come si deve e lo stato dei suoi capelli ne aveva decisamente risentito: ne ebbe la conferma gettando una rapida occhiata al proprio riflesso su una caraffa piena di succo di zucca, lasciandosi cadere seduta al tavolo di Serpeverde.
Al suo fianco, Lucrezia scavalcò con grazia la panca e si accomodò a propria volta, scuotendo la testa per rigettare dietro le spalle i folti capelli castani. Le rivolse un sorriso, sporgendosi in avanti per servirsi di uova e pancetta. A Elizabeth non sfuggì il modo in cui Ramsey Goyle – una sorta di scimmione brufoloso del Quinto seduto proprio di fronte a loro – fissava il davanti della camicetta dell'amica.
“Ehi, Goyle,” buttò lì con voce distratta. “Asciugati la bava.”
Il ragazzo dapprima parve non capire la battuta: dopo qualche secondo la guardò malevolo, diventando paonazzo per la rabbia. Non disse nulla, tornando a dedicarsi alla montagna di uova fritte che aveva nel piatto.
Lizzie gli sorrise placida e si servì di una tazza di tè, sentendosi leggermente meglio. Prese un paio di toast e si voltò verso Lucrezia, preparandosi allo sguardo di rimprovero che – lo sapeva – la stava aspettando.
Non si era sbagliata: Lucrezia la stava osservando, con una forchettata di uova come pietrificata a metà strada fra il piatto e la bocca. Le sue sopracciglia erano aggrottate e gli occhi chiari erano tinti di una vena accusatoria.
Elizabeth sospirò. “Avanti,” la esortò, sbocconcellando un toast ricoperto di burro e marmellata di fragole. “Criticami.”
L'altra roteò gli occhi. “Perché devi sempre sfogare sugli altri il tuo cattivo umore?” la redarguì. “Non è colpa sua se è brufoloso e vorrebbe avere una ragazza.”
“Non è colpa mia se è stupido,” replicò Lizzie in un'alzata di spalle, continuando a mangiare come se nulla fosse.
Lucrezia non trattenne un sospiro e finalmente completò il tragitto delle sue uova, masticando con sguardo pensieroso. “Comunque non è corretto prendersela con i più piccoli.”
“Non è più piccolo. È grosso il doppio di me.”
“Sai cosa intendevo. Non far finta di essere stupida.” Suo malgrado era divertita, Lizzie poteva vederlo benissimo: un angolo della sua bocca si contraeva verso l'alto, come se stesse cercando di trattenersi dal sorridere.
Cosa che probabilmente sta facendo.
Le sorrise a propria volta, accogliendo il consueto moto d'affetto nei confronti dell'amica. “Come farei senza la mia coscienza?” recitò in tono teatrale, poggiandole una mano sulla spalla.
Lucrezia non si trattenne e ridacchiò. “Come se servisse a qualcosa... Non mi dai mai retta!”
Elizabeth roteò gli occhi. Adorava l'amica, nonostante il suo perenne tentativo di farle la predica: non era una sciocca e sapeva riconoscere una critica costruttiva quando ne vedeva una.
Poi se dare ascolto ai consigli o meno, quella era un'altra storia.
La Sala Grande era immersa in un quieto chiacchiericcio e nel tintinnio di bicchieri e posate. Le vivande sui tavoli erano in continuo autorifornimento e il cielo rappresentato nel soffitto sopra le loro teste andava sempre più ricoprendosi di fitte nubi grigie, in parallelo con il clima all'esterno. Si ritrovò a sorridere nel sorseggiare il suo tè: il suo umore stava prendendo una piega leggermente più positiva, grazie al cibo e all'elastico prestatole da Lucrezia per legare quello schifo di capelli. Per fortuna, Bernice e Candida si erano sedute come sempre il più possibile lontano da loro, mentre Adelaide Nott ovviamente era da sola, presa a fissare il suo caffè con aria omicida.
… Sì, mi piace fare colazione in santa pace.
Un momento dopo si maledì di averlo pensato troppo presto.
Mai, Lizzie, si disse, mentre le sue orecchie venivano raggiunte da un improvviso frastuono. Mai dare giudizi prima che la colazione sia finita...
Sollevò lo sguardo: l'aria divertita di Lucrezia confermava la sua ipotesi. Sentendosi improvvisamente abbattuta si decise a guardare verso il tavolo dei Grifondoro, dove l'allegra combriccola – come la chiamava sempre Stanley Warrington inarcando un sopracciglio – ovviamente non poteva sedersi tranquillamente senza risultare molesta per tutti gli occupanti della Sala.
Aveva appena deciso di tornare a concentrarsi sull'ennesimo toast – al mattino sapeva essere estremamente vorace – quando Fred Weasley iniziò a improvvisare un concertino suonando la batteria sui piatti dorati.
Guardò verso Lucrezia, sconsolata: “Come fanno a essere così–”
Buongiorno, sorella!” esclamò qualcuno dietro di lei, battendole robustamente una mano sulla spalla e facendola quasi schizzare giù dalla panca.
“Maledizione, Max...” borbottò cercando di non cadere sotto al tavolo, supportata da una tempestiva Lucrezia che l'aiutò a tirarsi su. Suo fratello non era mai stato in grado di rendersi conto di essere grosso il triplo di lei, e di conseguenza non riusciva a bilanciare le proprie dimostrazioni d'affetto alle sue proporzioni. Ogni volta che l'abbracciava – un po' troppo spesso per i suoi gusti – rischiava di spaccarle un paio di costole e comunque finivano sempre in una colluttazione di un qualche tipo.
Max sorrideva a trentasei denti, ben dritto nella sua divisa da Tassorosso, con la spilla da Prefetto a brillargli sul petto. Aveva preso la stazza dal loro papà, ma temperava la tendenza a mettere su pancia con attività sportiva già dal secondo anno.
“Buongiorno, Lucrezia!” lo udì proseguire, prima di aggiungere con la consueta aria euforica: “Oggi è un grande giorno! Ci sono le selezioni! Spero che mi riconfermeranno in squadra!”
Lizzie inarcò le sopracciglia. “Come mai riesci a parlare solo per frasi esclamative?” replicò piatta.
L'altro sorrise allegramente. “Sono un tipo entusiasta!”
“Dovresti bere meno caffè.”
Lucrezia scoppiò a ridere e lei le gettò un'occhiataccia, fingendosi infastidita.
Riuscì a scansare un'altra pacca fraterna sulla spalla per un pelo.
“Ehi, Max!” gridò Bastien Leclerc dal tavolo di Grifondoro. “Quanto ci metti?”
“Arrivo!” tuonò l'idiota di rimando. “Buona giornata!” aggiunse rivolto a loro, prima di defilarsi con molta poca discrezione verso i suoi amici altrettanto idioti.
Lizzie sospirò, mascherando un sorrisetto. Adorava suo fratello, anche se non lo avrebbe mai ammesso con anima viva.
“Come fa ad avere tutta quell'energia prima ancora di aver fatto colazione?” osservò Lucrezia.
“Di certo non è di famiglia,” replicò acida Elizabeth.
D'un tratto si udì un fischio acuto e frotte di gufi presero a irrompere nella Sala, descrivendo larghi cerchi sopra i quattro tavoli alla ricerca del loro destinatario. Lizzie non distolse neanche lo sguardo dalla sua colazione: non aspettava posta, visto che i genitori avevano scritto a lei e Max giusto un paio di giorni prima.
Non si accorse che una grossa civetta era planata proprio verso di lei, atterrando in mezzo al tavolo di Serpeverde. O meglio: se n'era accorta benissimo ma la ignorò, dando per scontato che fosse per Lucrezia.
Tuttavia pochi istanti dopo l'amica le diede di gomito. “Penso sia per te, Lizzie...” mormorò.
Aveva ragione. Elizabeth sollevò la testa, sorpresa, e tese la mano al volatile, che a propria volta allungò la zampa artigliata per permetterle di slegare un piccolo rotolo di pergamena, su cui qualcuno aveva scritto rapidamente il suo nome.
La civetta tuffò il becco nella caraffa di succo di zucca prima di tornare a decollare in direzione delle finestre.
Perplessa, sotto lo sguardo incuriosito di Lucrezia, Lizzie si affrettò a srotolare la pergamena, per poi darsi della stupida un istante dopo: avrebbe dovuto capirlo che quella era la civetta di zio Harry... Si apprestò comunque a leggere, chiedendosi quale fosse il contenuto della lettera: non accadeva così spesso che Harry Potter le scrivesse, dopotutto.
 
Cara Elizabeth,
come stai? Sono andate bene le prime settimane di scuola?
Devi sapere che il prossimo finesettimana sarà in Inghilterra Charlie Weasley, uno dei fratelli di zia Ginny. Quello che studia i draghi in Romania, per intenderci – tu non lo hai mai conosciuto, ma di certo ne avrai sentito parlare da qualcuno della famiglia.
 
Lo zio Harry aveva ragione: Lizzie aveva sentito parlare di Charlie più di una volta, in particolare da Fred, che nutriva per lui un'ammirazione profondissima.
Ma trattandosi di Fred Weasley, pensò, c'era proprio da preoccuparsi.
 
Molly ha deciso di organizzare una grande festa alla Tana per l'occasione e le farebbe molto piacere la presenza tua e di Max. Ho già parlato con la Preside, che si è detta disponibile a darvi il permesso di trascorrere la notte fuori per l'occasione.
Per favore, parlane con Max e fammi sapere cosa deciderete di fare. Spero davvero che sarete dei nostri, sarà proprio una bella festa.
Stammi bene. Un abbraccio anche da zia Ginny.
Harry
 
“Allora?” le domandò Lucrezia, curiosa. “Che cosa dice?”
“È un invito a cena,” rispose serissima.
L'altra fece tanto d'occhi. “Un invito a cena... Ma chi–”
“... Da parte di zio Harry,” concluse Elizabeth, prima di scoppiare a ridere mentre l'altra roteava gli occhi.
“Quanto sei stupida,” iniziò a redarguirla. “Poi dici tanto di Fred Weasl–”
Non osare paragonarmi a quel cretino,” minacciò lei. Ma sorrise.
 
*
 
 
16 settembre 2027
Londra, Inghilterra
Dieci del mattino
 
Hugo Weasley si svegliò di colpo al ribattito costante di qualcosa contro la finestra. Si tirò a sedere tra le lenzuola sfatte, stropicciandosi gli occhi ancora appannati e assottigliando le palpebre per distinguere la sagoma di un gufo che agitava le ali contro i vetri.
Ancora mezzo addormentato, recuperò a tentoni la bacchetta dal comodino, puntandola verso la finestra; quella si aprì di scatto, lasciando entrare il volatile, che planò nella sua direzione, depositandogli una pergamena arrotolata in grembo prima di precipitarsi di nuovo a volare per i cieli di Londra. Rabbrividendo alla brezza settembrina che si insinuava nella stanza, Hugo richiuse la finestra con un altro colpo di bacchetta.
Solo allora, passandosi una mano tra i capelli arruffati, si guardò intorno.
Il sole grigio di quel mattino coperto illuminava la sua stanza solo parzialmente. Era piccola, ingombra di pochi mobili anonimi da studente, con pile di libri dappertutto. Sulla scrivania prendeva posto un tomo di Aritmanzia Comparata con il segnalibro più o meno a metà. Lo stava studiando la sera precedente, prima di...
Ecco.
Guardò alla propria destra. Metà del letto ad una piazza e mezzo era occupato dalla figura di un ragazzo che dormiva a pancia in giù, la schiena coperta per metà dalle lenzuola. I riccioli biondo scuro solitamente perfetti erano schiacciati contro il cuscino e avevano preso una piega strana. Una bella soddisfazione per Hugo, che quei capelli così perennemente ordinati glieli aveva sempre invidiati parecchio.
Nonostante il sonno si ritrovò a sogghignare, osservando Herman ancora per una manciata di istanti, prima di sbadigliare e grattarsi di nuovo la testa, mentre cercava di schiarirsi il cervello.
Gettò un'occhiata al rotolo di pergamena ben stretto che il gufo gli aveva lasciato cadere sulle gambe. Riconobbe il nastro rosso cupo e il sigillo dell'università... Poteva trattarsi solo di una cosa. Tuttavia, non aveva ancora la mente abbastanza lucida per leggere quella lettera.
Caffè. Ho bisogno di caffè.
Buttò le gambe giù dal letto, lasciando scivolare la bacchetta nella tasca del pigiama. Prese il cellulare dal comodino e indossò i confortevoli calzettoni sferruzzati da nonna Molly, per poi alzarsi in un cigolio di molle.
Alle sue spalle, Herman emise un lamento nel sonno e si voltò a pancia in su, iniziando a russare leggermente.
Hugo uscì in corridoio chiudendosi con cura la porta alle spalle. L'appartamento era immerso nel silenzio, segno che i suoi coinquilini dovevano essere già usciti; tanto meglio: poteva usare la magia senza rischiare una violazione dello Statuto di Segretezza.
… I lati positivi del venerdì mattina libero.
Entrò in cucina: le sagome dei mobili lo attendevano statiche, nella stessa luminosità spenta che aveva lasciato dietro la porta chiusa della sua camera. Con un colpo di bacchetta fece scattare il pulsante del bollitore elettrico, già ricolmo d'acqua.
Accio biscotti.” Le prime parole della giornata suonarono rauche, come al solito. Il pacco di biscotti al burro spinse sulle ante della credenza, spalancandole, per schizzare nella sua direzione; Hugo lo acchiappò al volo, con le prestazioni da Cercatore che riusciva a dedicare solamente al cibo.
Un fischio leggero lo avvisò che l'acqua stava bollendo. La versò nella sua tazza preferita, aggiungendo del caffè solubile e diversi cucchiaini di zucchero. Si sedette in tavola e iniziò a mangiare i biscotti mentre aspettava che il caffè raggiungesse una temperatura sufficientemente bassa da non ustionargli il palato. Nel frattempo, i gomiti poggiati sul tavolo, accese il cellulare; trovò cinque messaggi, tutti da persone diverse.
 
Da: Lily
 
Oggi sono in BMB tutto il giorno, scrivi quando arrivi. E comunque sappi che l'ho VISTO BENISSIMO  Hessler aggirarsi nei pressi di casa tua, ieri sera!
 
Hugo sollevò brevemente le sopracciglia, sorridendo leggermente: dopo sette anni in cui a Hogwarts non aveva fatto altro che campare di rendita, da quando era entrata nella facoltà di Magisprudenza Lily svernava nella Biblioteca Magica Britannica di Londra – siglata BMB – e studiava quasi più di lui. Quasi.
Ma non aveva certo smesso di essere una tremenda ficcanaso.
Provò a sorseggiare con cautela il caffè. Era ancora troppo caldo: si cacciò in bocca un altro biscotto, scorrendo verso il messaggio successivo.
 
Da: Mamma
 
Buongiorno Hugo, come va? Il prossimo finesettimana verrà zio Charlie dalla Romania. Siamo tutti invitati dai nonni. Buona giornata, poi fammi sapere se stasera vieni a cena.
 
Il caffè aveva raggiunto finalmente una temperatura decente. Buttò giù qualche sorsata, sentendosi improvvisamente più sveglio.
 
Da: Rose
 
Hugo, ha detto mamma che sabato prossimo verrà zio Charlie, quindi saremo tutti alla Tana. Domani mattina lavoro, ma se vogliamo vederci il pomeriggio va bene. A Piccadilly alle 4?
 
Digitò un laconico Okay prima di recuperare l'ultimo biscotto dal fondo della scatola.
 
Da: Cindy
 
È finito il detersivo per piatti, lo compri tu? Ricordati che questa settimana è il tuo turno per le pulizie.
 
Roteò gli occhi, dando un colpo di bacchetta per spedire la scatola vuota dei biscotti nella pattumiera. Cindy – la ragazza della stanza accanto alla sua – a volte si rivelava veramente petulante... Decise che avrebbe pulito in tarda mattinata, approfittando dell'assenza dei coinquilini per fare tutto con la magia.
Si fa davvero prima, e poi odio pulire i sanitari a mano...
Bevve l'ultimo goccio di caffè e decise di essere ormai sufficientemente sveglio per leggere la lettera dell'università. Armeggiò cautamente con il sigillo di ceralacca, facendo attenzione a non romperlo, e finalmente aprì la pergamena.
Sapeva perfettamente quale fosse il contenuto della missiva, ma il suo cuore mancò comunque un battito mentre faceva scorrere lo sguardo sulle prime righe.
 
Gentile signor Weasley,
la informiamo che, dopo aver preso visione dei suoi risultati accademici, è stato deciso di accogliere la sua domanda di tirocinio come Assistente presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. È stato assegnato al docente di Aritmanzia, il professor Wilbur Fortebraccio.
La invitiamo a presentarsi lunedì 19 settembre alle ore 15 presso l'Ufficio competente, per discutere di ulteriori dettagli circa il suo prossimo trasferimento a Hogwarts.
Cordiali saluti,
Thomas Appleton, Responsabile dell'Ufficio Collocamento
 
Non poteva dire di non esserselo aspettato. Sapeva perfettamente di essere in assoluto il migliore studente della Facoltà di Arti Magiche Avanzate, che il tirocinio sarebbe stato suo anche solo per aver fatto domanda, eppure... Eppure.
Gli parve che il cuore si stesse gonfiando nel suo petto; le sue labbra si incurvarono spontaneamente in un sorriso. L'idea di tornare a Hogwarts, di imparare a fare il professore, di avere di nuovo a disposizione quell'enorme Biblioteca...
Sembrava quasi troppo bello per essere vero.
“Buone notizie, Weasley?”
Senza smettere di sorridere – perché mai avrebbe dovuto? – Hugo si voltò verso Herman, in piedi sulla soglia della cucina, intento a sbadigliare e a stropicciarsi gli occhi. I capelli rialzati dal cuscino stavano già cominciando a ricadere al loro posto, in riccioli ordinati sulla fronte.
“Eccome,” si limitò a dire. “Vuoi un caffè?”
Conoscendo già la risposta, puntò subito la bacchetta verso il bollitore elettrico, mentre di sua iniziativa l'altro prendeva una tazza dalla dispensa e il barattolo del caffè solubile.
Hugo arrotolò la lettera e riannodò con cura il nastro rosso scuro, mentre Herman si lasciava cadere su di una sedia, dal lato del tavolo adiacente al suo.
“Allora?” lo udì dire. “Ti hanno preso per il tirocinio?”
“Naturalmente,” assentì fiero, concedendogli un'occhiata. Non riusciva a smettere di sorridere: stava rischiando un crampo alle guance, lo sapeva. Miseriaccia, era così felice da ritrovarsi a fare uso persino delle espressioni più tipiche di suo padre.
Herman roteò gli occhi. “Non sembri molto sopreso, eh?”
Hugo sorrise ancora, felice che l'altro fosse lì con lui a condividere il suo trionfo. Lo osservò di sottecchi versarsi il caffè, rigorosamente non zuccherato.
Erano amici. Dopo quasi sei anni di reciproca conoscenza poteva proprio dirlo: Herman Hessler era il primo, vero amico che avesse mai avuto. Il che poteva apparire ironico, viste le circostanze che avevano portato a questo: ricordò come avesse sospettato di lui per mesi, cinque anni addietro, prima di rendersi conto di aver preso un colossale granchio e che l'altro aveva un'altrettanto colossale cotta per lui.
Per fortuna l'infatuazione era stata sopita in fretta, pensò, o adesso le cose sarebbero state certamente diverse. La sbandata adolescenziale era sfociata in un'amicizia salda; nonostante talvolta finissero per andare a letto insieme.
Un po’ come stanotte, insomma.
“Non sono sorpreso, infatti,” sogghignò in direzione di Hessler, che adesso era intento a sorseggiare il suo caffè.
L'altro alzò lo sguardo, sollevando un sopracciglio. “Sono contento per te.”
Anche io sono contento per me, pensò Hugo.
Tornerò. Tornerò a Hogwarts.
 
 
*
 
16 settembre 2027
Westminster, Londra
Ora di pranzo
 
La filiale di Caffè Nero in Trafalgar Square a quell'ora era sempre al pieno.
I tavolini di plastica erano affollati di gente di tutte le nazionalità, principalmente turisti appena usciti dalla National Gallery, il cui monumentale ingresso era visibile dalla grande vetrata del locale. Non mancava neanche qualche londinese in pausa pranzo, alcuni in piccoli gruppi e altri invece da soli, presi ad armeggiare con i loro smartphone con aria assente.
Babbani, pensò Gwyneth con un mezzo sorriso. Che cosa avranno da fare, poi, con quei feletoni...
Era seduta presso un piccolo tavolo in un angolo, presa a osservare il continuo viavai di camerieri dalle braccia cariche di tazze di caffè e fette di torta. Dal lato opposto del locale scorse una familiare testa rossa, che di lì a poco l'avrebbe come sempre raggiunta per prendere la sua ordinazione.
Fece una smorfia quando un improvviso dolore la colse a metà della schiena. Al San Mungo le avevano fatto un rapido controllo e somministrato una pozione lenitiva, ma comunque non si era ancora del tutto ripresa dalla botta causata dall'esplosione di quella mattina.
Finalmente Rose riuscì a liberarsi di un gruppetto di turisti giapponesi e virò dritta nella sua direzione, blocchetto alla mano e la solita espressione scocciata in volto.
“Ehi, Gwyn,” la salutò non appena ebbe raggiunto il tavolo. “Che fine hai fatto stamattina?”
Gwyneth fece un gesto vago con la mano. “Sono uscita presto, missione all'alba,” replicò. “Mi sa che avrei dovuto avvisarti.”
“Fa nulla,” borbottò Rose di rimando. Si guardò attorno guardinga prima di sedersi di fronte a lei. I suoi colleghi sapevano che erano amiche e avrebbero chiuso un occhio con il capo, come al solito. “Non sono mica tua madre.”
… Di buon umore oggi, eh, Rosie?
Decise di stuzzicarla un po'. “L'edificio in cui stavamo facendo irruzione è esploso.”
Rose sembrò non fare una piega, ma a Gwyneth non sfuggi la rapida contrazione della sua bocca. Avevano condiviso il dormitorio per sette anni e adesso ne erano passati tre da quando avevano iniziato a vivere nello stesso appartamento: poteva dire di conoscerla bene, e sapeva che Rose Weasley non era poi così brava a nascondere le proprie emozioni come avrebbe voluto.
Così come sapeva che non sarebbe riuscita a porle la domanda che tanto le stava a cuore.
“Scorpius sta bene,” l'anticipò quindi. “Ha un po' di ustioni ma entro domani lo dimetteranno dal San Mungo.”
Rose annuì senza cambiare espressione, anche se dai suoi occhi trapelava un palese sollievo. Non commentò, alzandosi invece di nuovo in piedi. “Che cosa prendi?”
“Il solito,” replicò Gwyneth. “Una fetta della torta più grassa che c'è e un cappuccino.” Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo davanti a sua madre, ma i Babbani avevano proprio delle invenzioni geniali.
Rose aggrottò le sopracciglia, appuntando tutto sul suo quadernetto, prima di levare lo sguardo su di lei e sorriderle in quel modo che significava chiaramente Grazie, Gwyn, per avermi comunicato che il mio ex-ragazzo di cui sono ancora follemente innamorata non è esploso.
Gwyneth scosse la testa, osservando l'amica andar via. Ultimamente Rose stava ricominciando a prendere quella sua brutta piega apatica. Pensò che avrebbe dovuto organizzare una serata con la loro coinquilina Cecilia e con Christine, che più o meno da sempre aveva messo le tende a casa loro. Chi l'avrebbe mai detto, eh, che Christine De Bourgh soffrisse la solitudine!
Rose probabilmente si sarebbe lagnata, ma Gwyneth sapeva benissimo che era tutta una posa.
Un'altra fitta alla schiena la distolse dai propri pensieri. Si morse il labbro per il dolore, pensando che quella mattina davvero l'aveva scampata bella.
Se non fosse stato per Weasley, avrei rischiato di esplodere anche io.
 
 
*
 
 
 
“È tutto pronto, mago?”
Si lasciò sfuggire dalle labbra una boccata del suo sigaro aromatico, allungando le gambe sul tavolino davanti al caminetto. Accanto a lui, il Babbano sedeva piuttosto rilassato, almeno in apparenza, rigirandosi tra le mani un bicchiere di Firewhiskey.
“Mi hai sentito?” Ancora, la voce del Babbano rimase calma, immutata in quella sua inflessione melliflua.
“Tutto pronto,” confermò, distogliendo lo sguardo da lui per posarlo sul caminetto acceso, dove le fiamme danzavano vivaci.
Il Babbano, al suo fianco, buttò giù un altro sorso di Firewhiskey. “Non male questa roba,” commentò. “Ti mette il fuoco dentro.”
Sospirò. Anche suo socio in affari non era male, dopotutto, e si dimostrava estremamente sicuro di sé nel rapportarsi con la magia – curioso, in un Babbano. Se solo non avesse avuto tutta quella voglia di chiacchierare...
“Sarà tutto come l'altra volta?” continuò infatti.
“Tutto come l'altra volta,” gli fece eco. Stava cominciando a stancarsi e per fortuna l'altro parve capirlo, perché non disse altro, perdendosi anche lui a osservare il fuoco.
Fuori dalle finestre, la pioggerella che cadeva su Londra ormai da qualche ora iniziò a trasformarsi in un diluvio.
 
 


 

 
Note dell’Autrice
Salve a tutti! Spero che il capitolo precedente vi sia piaciuto. Vi ringrazio per le recensioni, ma soprattutto un grazie speciale a coloro che seguono questa saga fin dall’inizio e non mi hanno mollato mai, nonostante i ritardi e le assenze. Vi amo.
Baci, Daph
PS: risponderò alle recensioni che mi mancano quanto prima!
   
 
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