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Autore: releuse    17/09/2015    5 recensioni
"Makoto aprì la bocca, ma non disse niente. Sapeva che ogni volta che rientrava in Giappone dopo essere stato con Napoleon e dormiva nel proprio letto a Osaka, negli istanti immediatamente successivi al risveglio provava una sensazione di malessere e vuoto. Come se gli mancasse qualcosa. Avido di un sentimento senza nome"
Intermezzo di DisSimile dove a interagire sono Makoto Soda e Gakuto Igawa.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Luis Napoleon, Makoto Soda/Ralph Peterson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rieccomi qui dopo qualche mese di assenza… a causa di vari motivi (matrimonio in primis <3) sono stata un po’ lontana dalla scrittura… non sono più produttiva come un tempo, ma la passione è rimasta e anche la voglia di portare avanti le idee. Quindi sarò più lenta, ma produrrò comunque!!

Per quanto riguarda questo capitolo… non aspettatevi grandi cose XD Nel senso… è un capitolo molto pieno di riflessioni e dialoghi. È un confronto fra Makoto e Gakuto Igawa (personaggio che io adoro!) e le loro riflessioni serviranno per il seguito effettivo della storia, che sarà molto più movimentato e complesso. Tramite Gakuto, Soda farà delle riflessioni alle quali mi aggancerò in seguito. Per Igawa ho in mente una storia parallela, che spero di scrivere più avanti. Qui presento il personaggio e parlo tanto di lui… tanto XD Magari potrà sembrare un capitolo noioso, ma è essenziale ai fini della trama.  Lettrici avvisate…. XDDD

Non avremo Louis in questo capitolo, ma nel prossimo ci sarà un extra su lui e la madre che vi farà capire numerose cose!! ^_^

 

Per chi non lo sapesse Gakuto Igawa è un giocatore che appare nel Golden 23, ha 22 anni, è giapponese ma ha vissuto per anni in Argentina, dove aveva una moglie che però è morta dando alla luce la loro figlia Lisa. Spronato da Minato Gamo, torna in Giappone per giocare in Nazionale per le Olimpiadi insieme ai ragazzi della Generazione d’Oro. Ha un carattere apparentemente arrogante e aggressivo, si infervora facilmente e per questo liga spesso con Makoto Soda. In verità nasconde una grande fragilità e sente il peso del confronto col Fratello Hayato Igawa, capitano della Nazionale Maggiore.

 

Grazie a chi mi segue ancora e a chi mi seguirà <3 Grazie a voi che amate i due testoni di Makoto&Louis <3 Grazie a Soltanto una Fenice per il betaggio <3

Vi voglio bene!!!

 

Releuse

 

 

 

 

DisSimile: Intermezzo

 

 

 

 

 

Il traversone scavalcò la linea di metà campo invadendo l’area di rigore avversaria. Gakuto Igawa seguì la parabola disegnata dal pallone, cercando l’istante giusto per intercettarlo. Purtroppo il vento non soffiava a suo favore, ma il sole alle sue spalle, a quell’ora particolarmente fastidioso, sarebbe stato sicuro ostacolo per i giocatori avversari.  All’improvviso Igawa staccò da terra e, con un’ottima elevazione, realizzò un potente dangan clear*, che però non raggiunse mai il compagno al quale era destinato. Makoto Soda aveva stoppato la palla, frenando l’azione partita da un contropiede.

 

“Di qui non si passa, tuttocampista*.”

 

Il ghigno soddisfatto del kamisori fighters fece ardere il desiderio di rivalsa di Igawa, il quale sarebbe stato pronto ad avventarsi sull’altro per recuperare il pallone se il suono forte e prolungato di un fischietto non lo avesse deconcentrato.

 

“Soda, Igawa!” Uno dei terzini dei Gamba Osaka raggiunse i due giocatori “L’allenatore vi sta chiamando da un pezzo!”

 

Makoto e Gakuto si guardarono intorno, notando che i compagni avevano rotto le righe e stavano eseguendo lo stretching. “È solo una partita di allenamento, la prendete troppo sul serio!” Li rimproverò il ragazzo, in maniera bonaria. Soda e Igawa esibirono la stessa aria perplessa, poi scoppiarono a ridere.

 

“Via, a rinfrescarci!” Esclamò il kamisori fighter, scambiando un cinque con l’amico.

 

 

 

Makoto uscì dalla doccia totalmente rinato.  Era incredibile come il getto dell’acqua riuscisse a rilassarlo e a placare l’adrenalina ancora in circolo. Entrato nello spogliatoio, notò Gakuto scherzare animatamente con i compagni di squadra e sorrise sollevato. Nonostante il loro nuovo ingaggio si mostrasse un vero compagnone, Soda sapeva che il suo cuore era attanagliato da diverse angosce che solo lui e pochi altri conoscevano. Inoltre, non era il caso di farlo arrabbiare, visto che era in grado di cambiare umore in una frazione di secondo e aggredirti come una belva inferocita.

 

In questo si somigliavano. Era la prima volta che in Giappone conosceva uno come lui, con un carattere così vicino al suo. Fino a pochi mesi prima, solo in Napoleon aveva trovato un’indole tanto affine. Ora che ci pensava, anche fra lui e Igawa era nato tutto da una scazzottata. Come poterlo dimenticare? Era stato durante gli allenamenti per le eliminatorie asiatiche, qualche giorno dopo la partita contro la Nigeria. Kozo Kira aveva schierato Gakuto in difesa e dopo pochissimi minuti si stavano già prendendo a pugni.

 

“A causa del tuo gioco difensivo di merda avete subito sia due goal dalla Danimarca, sia dalla Nigeria, che neanche attaccava!”*

 

Quelle parole gli avevano fatto salire il sangue al cervello e, col senno di poi, sapeva di dover ringraziare i compagni per averlo fermato in tempo, dato che difficilmente la sua furia si sarebbe placata prima di aver visto Gakuto in terra e col setto nasale spaccato. All’inizio non lo sopportava, si beccavano di continuo. Quel nuovo arrivato aveva giudicato il suo modo di giocare e questo lo aveva fatto incazzare. Che ne poteva sapere, lui, degli sforzi e dell’impegno che ci stava mettendo per la qualificazione alle Olimpiadi?

 

Quelle erano state le sue prime impressioni. Inoltre… aveva avuto paura di perdere il posto di titolare. In fondo, Igawa era l’all round player, il mister avrebbe potuto assegnargli un qualunque altro ruolo… perché aveva scelto proprio quello di difensore? Vedendo vacillare il proprio posto in squadra, si era sentito una forte pressione addosso. Lui voleva assolutamente partecipare alle Olimpiadi. L’aveva promesso anche a Louis.

 

 

 

Sì. La sua vera paura era stata quella di vedersi escluso da una possibile partita fra Giappone e Francia, incontro che aspettava da anni. Voleva la sua rivincita contro Napoleon. Per questo non avrebbe ceduto il suo ruolo con tanta facilità.

 

 

 

Quando poi aveva capito che le intenzione di Kira non erano quelle di tagliarlo fuori, ma semplicemente di dargli un supporto nella difesa, Makoto si era prima rilassato, poi sentito un perfetto stupido. Ancora una volta i sentimenti contrastanti nei confronti del cannoniere francese lo avevano condizionato... e questo lo spaventava.

 

Alla fine, però, dissipati i dubbi, aveva cominciato a provare simpatia per Igawa e ad ammirare il suo coraggio di rimettersi in gioco dopo la morte della moglie e con una figlia piccola da accudire.

 

Terminate le Olimpiadi, Gakuto era stato ingaggiato da diverse squadre della J League, e Makoto si era sorpreso quando aveva saputo che il compagno aveva scelto proprio gli Osaka, che di certo non era fra i club più famosi del campionato.

 

“In una squadra di alto livello sentirei troppo il peso delle aspettative nei miei confronti. E questo mi destabilizzerebbe.” Gli aveva detto Gakuto, una sera che erano usciti a fare una bevuta. “Sarei circondato dalle ansie e dalle speranze dei dirigenti, dell’allenatore, del presidente, e potrei non reggere… qui, invece, sento di poter crescere e affrontare le mie paure con maggiore tranquillità.”

 

Già. Makoto si era scordato del limite psicologico del compagno*.  Quello che lo faceva scappare ogni volta che si sentiva sotto pressione. Quello che lo aveva frenato sul campo alla sua partita d’esordio contro il Paraguay, facendogli tremare le gambe come quelle di un bambino di fronte a un mostro che di spaventoso aveva solo ciò che lui ci voleva vedere.  Durante le eliminatorie e le Olimpiadi, Gakuto aveva affrontato le sue paure e agli occhi di tutti le aveva anche superate. “Invece ho ancora tanto da lavorare per cancellarle definitivamente. Non è semplice, ma sono sulla buona strada.” Era stata la sua confidenza, sempre la stessa sera. “Posso parlarne solo con te…” E Makoto si era sentito onorato. Certo, anche nei Gamba Osaka aveva avuto qualche difficoltà a integrarsi, soprattutto all’inizio. Questo perché Igawa, come lui, non era il tipo che normalmente si mostrava gentile con le persone solo per il fatto di averle di fronte. Anzi. Di solito sfoggiava un atteggiamento provocatorio. Piano piano, però, era riuscito a farsi accettare e a rivelare la persona gentile che fondamentalmente era.

 

 

 

“Allora, sei pronto?” Gakuto si avvicinò. Aveva già il borsone sulle spalle.

 

“Certo!” Esclamò Soda, caricandosi il proprio. Indossava una tuta bianca e nera che gli ricordava la squadra italiana dove militava Hyuga. Salutarono i compagni e uscirono insieme.

 

“Prima voglio passare a prendere dei dolci per Lisa.” Lo avvertì Makoto

 

“Ehi, non viziarla troppo! Che poi le donne diventano esigenti!” Scherzò Igawa.

 

“Hahaha, figurati. È solo un pensiero, anche per l’ospitalità.”

 

Quella sera Gakuto lo aveva invitato a cena. E, quando accadeva, lui portava sempre a Lisa i dolci della sua pasticceria preferita. 

 

“Makoto nii-san!*” Esclamò raggiante la bambina, non appena Gakuto aprì la porta. “Ah, che bello essere accolti con tanto amore dalla propria figlia!” Sospirò Igawa, dopo essere stato bellamente ignorato. Ma il suo era finto rammarico, in verità sorrise alla scena di Lisa che saltava al collo dell’amico. La bambina aveva un’adorazione per Makoto, se non una vera e propria cotta. Su questo Gakuto scherzava spesso, avvertendo Soda che avrebbe dovuto sudare sette camicie prima di averla in moglie.

 

“Quanto sei deficiente!” Gli rispondeva Makoto ogni volta.

 

“Bentornato Igawa-kun” Dalla cucina si affacciò una signora anziana, che Gakuto salutò con un inchino di reverenza. “Grazie Kyoko-san, spero che Lisa si sia comportata bene.”

 

La signora sorrise dolcemente. “Certo, come sempre. È una bambina molto educata.”

 

Makoto salutò a sua volta. La signora Kyoko Aomine abitava al piano di sotto di quella palazzina e si prendeva cura di Lisa al rientro da scuola, nei giorni in cui Gakuto non era in casa. Era una maestra delle elementari in pensione molto conosciuta e rispettata nel quartiere.

 

“Papà, oggi Kyoko-san mi ha insegnato a memorizzare le tabelline!” Esclamò Lisa con soddisfazione.  “Brava la mia piccola!” Igawa aprì le braccia e la bambina tese le proprie per farsi prendere dal padre, il quale, nel cingerla, le stampò un bel bacio sulla fronte. Poco dopo la signora si congedò, salutando Lisa con estrema dolcezza. Makoto era rimasto immobile, stordito. D’un tratto, aveva avvertito una strana sensazione pesargli sullo stomaco, correre su per il torace e scuotergli il cuore, fino a raggiungere le orecchie dove sembrò sussurrargli un nome: Simone. Già, i modi di fare di quella donna e il suo sorriso gli ricordavano moltissimo quelli della mamma di Napoleon.

 

“Ehi, ti sei imbambolato?” Lo chiamò Igawa e Makoto tornò in sé. Scacciò quei pensieri dalla testa, cercando di non dare il nome di nostalgia al turbamento provato.

 

La carbonada* preparata da Igawa era ottima come sempre. Di solito Makoto non apprezzava l’agrodolce, ma il suo palato non sapeva resistere al sapore particolare di quel piatto tipico argentino. In casa propria Igawa e Lisa usavano posate occidentali e per Soda non era di certo un problema, visto che andava spesso in Francia.

 

“Evviva, evviva, la torta alle fragole!” Lisa batté le mani contenta quando, a fine cena, il padre mise sul tavolo il dolce portato da Soda. “Grazie, Makoto nii-san!”

 

Il kamisori fighter rise di fronte allo sguardo radioso della piccola. “Ma grazie a voi della cena!” Esclamò con sincerità. Ormai erano mesi che frequentava la casa di Igawa, ma ogni volta si stupiva delle capacità culinarie dell’amico: in pochissimo tempo era in grado di preparare delle ottime pietanze. Ma non era solo quello. Guardandosi intorno, Soda poteva intuire che anche l’ordine in casa era frutto del suo impegno, visto che non aveva qualcuno che se ne occupava. Era tutto in ordine e nel suo ambiente Gakuto assumeva un atteggiamento rilassato, ma non svogliato. La cosa che più lo stupiva, poi, era che lui e Lisa vivevano da soli, ma la piccola non sembrava affatto soffrirne. Era una bambina serena.

 

“Il mio tempo libero cerco di dedicarlo esclusivamente a lei.” Gli aveva detto Igawa più di una volta. “Non voglio essere un padre assente. Certo, non potrò mai sostituire del tutto Caterina, ma voglio evitare che per lei la mancanza della mamma diventi un peso insopportabile.”

 

Comunque, aveva anche suo fratello Hayato e la moglie Noriko. Spesso, infatti, soprattutto quando la scuola era chiusa, i due ospitavano Lisa nella loro casa a Saitama e questo rincuorava tantissimo Gakuto. Makoto pensò che l’amico era stato davvero sfortunato a perdere la moglie così presto. Avevano la stessa età, ma lui aveva già un lutto doloroso alle spalle e una figlia di cui occuparsi e lo stava facendo nel miglior modo possibile. Nonostante il carattere fragile, di fronte agli occhi della piccola le debolezze di Igawa sembravano volatilizzarsi. Per questo Makoto lo ammirava moltissimo.

 

“… è davvero buona!” Lisa era già alla seconda fetta di torta.

 

“Finisci questa e poi basta, eh? Altrimenti ti viene il mal di pancia!” Le disse Gakuto, impiegando un tono pacatamente severo.

 

“Va bene!” S’imbronciò Lisa.

 

“Però, papino, non finirla tutta tu. Altrimenti il male al pancino viene a te!” Lo prese in giro Soda, ammiccando alla terza fetta dell’amico, il quale fece finta di non averlo sentito.

 

D’un tratto, un miagolio richiamò l’attenzione di tutti.

 

“Ehi, Kira, brutta palla di pelo, eri a ronfare in giro, vero?”  Gakuto puntò la forchetta verso il loro gatto, un certosino di poco più di tre anni che cominciò a fare le fusa zampettando fra i piedi del padrone, alla ricerca di attenzioni. Makoto allungò il braccio e il micio lo raggiunse subito, felice di farsi accarezzare. I gatti gli piacevano proprio tanto.

 

“Ah, papà!” Lisa sembrò ricordarsi di una cosa importante. “Oggi ho visto la mamma di Teppei con Rocky, il loro akita inu.” Teppei era un compagno di classe con cui Lisa aveva fatto amicizia. “Possiamo prendere anche noi un cane? Daiiii!”

 

A quella domanda, Makoto sbiancò. Sì, amava i gatti, ma lo stesso non lo si poteva dire dei cani. Era risaputo. “Ma nooo, Lisa-chan. I cani sono brutti cosi…”

 

“Rocky non è brutto…”

 

“Non ora, ma poi lo diventerà. I cani sono… ahem, antipatici.”

 

“Ma io lo voglio!”

 

“Suuu, hai Kira, che è tanto carino…”

 

Gakuto ridacchiò. Quando si trattava di cani, Soda perdeva proprio la testa. Si metteva pure a discutere con una bambina piccola. “Tesoro, se vuoi il cane possiamo prenderlo…”

 

A Lisa si illuminarono gli occhi, mentre Makoto spalancava i propri, terrorizzato.

 

“… ma…” Il padrone di casa poggiò una mano sulla testa della figlia, accarezzandola piano. “Dovresti rinunciare a Makoto nii-san. O Makoto, o il cane!”

 

“Igawa!” Lo riprese Soda, rosso in viso. Non gli piaceva essere messo sullo stesso piano di un cane. “Che diavolo stai dicendo? Non sparare queste creti-”

 

“Scelgo Makoto nii-san!” Affermò la bambina con sicurezza, guadagnandosi lo sguardo soddisfatto del padre. Soda rimase di stucco, poi si passò una mano sulla fronte, indirizzando un’occhiataccia all’amico. “Barattato con un cane…”

 

“Io preferisco Makoto nii-san. E poi anche Kira potrebbe rattristarsi.” La genuina spontaneità di Lisa placò lo sdegno del difensore. “Grazie Lisa-chan. Sei sicuramente molto più coscienziosa di tuo padre!”

 

Gakuto scoppiò a ridere di gusto.

 

****

 

 

 

“Facciamo piano...” Sussurrò Makoto, mentre uscivano dalla camera di Lisa. L’ultima colonna di luce proveniente dal corridoio s’ assottigliò sul viso della piccola accovacciata sotto le coperte, fino a scomparire non appena il padre chiuse la porta. “Non preoccuparti, mia figlia ha il sonno pesante.”

 

Andarono a sedersi in soggiorno, dove Igawa aveva già preparato una bottiglia di sakè.  Makoto accarezzò la testa di Kira che si era addormentato su una sedia e poi sprofondò nella poltrona, buttando giù il primo bicchierino. Sollevò lo sguardo sulle Cascate dell’Iguazù, immortalate in quella enorme foto incorniciata alla parete. Le trovava davvero affascinanti. Diverse cose, in quell’abitazione, richiamavano l’Argentina: un quadro rappresentante Buenos Aires, i cristalli di quarzo o ametista usati come soprammobili, le maschere etniche appese alle pareti che rievocavano antiche civiltà dell’America Latina, il poster di Maradona all’ingresso… l’unica cosa giapponese era il sapore del sakè che avvertiva sul palato. Tutto il resto richiamava la terra della donna tanto amata da Gakuto.

 

 

 

“So che non ami sentire il peso delle aspettative degli altri sulle tue spalle…” Makoto puntò gli occhi in quelli dell’amico. “Ma sei davvero convinto di aver fatto la scelta giusta nel venire ai Gamba Osaka? Hai anche avuto un ingaggio agli Urawa Red dove milita tuo fratello…”

 

Igawa sembrò sorpreso da quella domanda. “Tsk. Hayato…” Disse, abbozzando un sorriso. Con uno scatto si sollevò dal divano, aprì l’anta di un mobiletto alle sue spalle e tirò fuori un pacchetto di sigarette. “Usciamo?” Chiese, avvicinandosi al terrazzo senza aspettare la risposta dell’amico. Gakuto non era un fumatore. In un anno che lo conosceva, Makoto l’aveva visto mettere in bocca una sigaretta sì e no una decina di volte. Però aveva imparato che lo faceva quando stava per affrontare un discorso che di norma lo avrebbe messo in difficoltà. Lui avrebbe invece buttato giù un paio di birre. Il bicchiere di sakè di Gakuto era ancora sul tavolo, intatto.

 

 

 

“Non fraintendere. Voglio molto bene ad Hayato e non abbiamo mai litigato seriamente.” Esordì Gakuto, dopo aver inspirato un po’ di fumo. “Ma essere paragonato a lui è la cosa che odio di più.” Nel suo tono c’era una punta di rassegnazione. “Lui è un vero campione. Un uomo che in campo dà tutto se stesso, senza se e senza ma.”

 

“Beh… non per nulla è il capitano della Nazionale Maggiore…” Gli ricordò Makoto.

 

“Io non sono come mio fratello.” Sospirò Igawa, dando le spalle alla ringhiera che usò come appoggio per la schiena, espirando il fumo verso il cielo. Era una serata non troppo fredda, l’ideale per concedersi uno scambio di parole all’aperto, invece che rinchiusi dentro quattro mura. Il terrazzo era rischiarato non solo dalla luce dei lampioni, ma anche dalla luna piena e ciò permetteva ai due amici di cogliere ogni piega espressiva nei rispettivi volti. Makoto aveva la sensazione di sentirsi più leggero e non sapeva se fosse merito del sakè oppure della brezza piacevole sul viso.

 

“Io ho sempre avuto paura del confronto con Hayato.”

 

“Lo so bene.” Makoto era il tipo che preferiva essere schietto, piuttosto che tirare fuori smielate parole di conforto che probabilmente non era neppure in grado di formulare. Ricordava benissimo che durante la partita contro il Paraguay, Gakuto era stato presentato a tutto lo stadio come il fratello del capitano della Nazionale Giapponese di calcio. ‘Sono sicuro che buon sangue non mentirà’, aveva detto il cronista. ‘Questo ragazzo sarà bravo come suo fratello maggiore?’ Aveva poi aggiunto. Soda poteva soltanto immaginare il macigno che l’amico si era sentito piombare addosso. Quando l’aveva visto tremare, immobile sul prato, si era sentito in pena per lui.  “Però mi è parso di avertelo già detto che se sei sceso in campo alle eliminatorie e alle Olimpiadi è stato grazie al ruolo che ti sei guadagnato. Grazie al tuo talento. E non di certo per via di tuo fratello o per qualche favoritismo di Kira. Imbecille!*” Sbuffò, puntando i gomiti alla ringhiera.

 

“Accidenti, credo che siano esattamente le stesse parole di allora. Con insulto annesso!” Rise Gakuto. Poi fece un altro tiro. “Ammetto che prima di conoscere voi ragazzi della Generazione d’Oro avevo sempre pensato che qualsiasi cosa avessi fatto non mi sarebbe mai riuscita. Ero convinto di non combinare nulla di buono. Sì, la mia vita poteva essere riassunta in questo modo. Dopotutto sono andato in Argentina con la scusa della gravidanza di Caterina perché non volevo giocare il calcio di mio fratello, sputandogli contro che io avevo il mio calcio personale. Di fronte agli altri cercavo di dimostrare più di quello che sapevo fare, pavoneggiandomi come un genio del calcio, non volendo mostrare i miei punti deboli, visto che avevo paura del confronto con lui. La bravura di mio fratello mi faceva perdere la fiducia nei miei mezzi, ma la verità è che ero solo un debole. E forse lo sono tutt’ora.”

 

“Smettila di dire cazzate! Vuoi che ti pigli a cazzotti?” Makoto lo fronteggiò, sventolandogli il pugno sotto il naso. “Sei un calciatore molto in gamba e allo stesso tempo ti prendi cura di una bambina piccola. Vuoi dirmi dov’è che sei debole?”

 

Gakuto scansò la sua mano con la propria. “Lo so, lo so. Ce la posso fare anch’io. Sei tu che mi hai convinto, anche quella volta sul campo, no? E tutte le altre volte… è stato grazie a te che mi hai spronato che sono riuscito a combinare qualcosa in squadra! Alla fine ho scelto i Gamba Osaka perché c’eri tu. Sei l’unico con cui abbia davvero legato fra i ragazzi.”

 

“Davvero?” Makoto lo guardò meravigliato.

 

Gakuto scrollò le spalle. “Beh, sì. Che poi detta così… sembra una dichiarazione, non fraintendermi, eh!” Scherzò l’all round player, facendo sobbalzare l’amico.

 

“Tsk. Figurati se penso a una stronzata del genere!” Rispose seccato Makoto, nascondendo il disagio causatogli da quella battuta. Dopotutto, Gakuto era all’oscuro di quel lato della sua vita.

 

Igawa sospirò. “Mi hai sempre dato ottimi consigli. Anzi, sei proprio il primo a cui abbia mai chiesto un consiglio, lo sai?*”

 

Il kamisori fighters sorrise compiaciuto e divertito dall’ironia della situazione. Uno in apparenza tutto d’un pezzo come Igawa che gli stava parlando in quel modo. Gli parve di aver già vissuto qualcosa di simile e così ancora una volta gli venne in mente Louis. Anche lui era un tipo diretto e impulsivo come Gakuto, solo che, i discorsi strani e più o meno profondi li faceva alla fine di una scazzottata. Come quella volta sul Pont Au Change, di fronte allo spettacolo della Senna che risplendeva come la superficie di un lago*. Quella scena si riavvolse nella sua testa provocandogli le medesime sensazioni di allora.

 

“Sarà perché siamo simili…” Disse atono Makoto. Così come lui lo era con Napoleon, con la sola differenza che non si sarebbe mai sognato di portarsi a letto Gakuto. Con Louis, invece, succedeva ogni volta. Alla fine il debole era lui, non di certo Igawa.

 

“Già. Può darsi. Anche se tu non parli mai seriamente di te.”

 

Makoto trasalii. Si sentì stordito come l’istante dopo a un brusco risveglio: non si trovava a Parigi, bensì a casa di Gakuto e ciò che vedeva sotto il balcone non era il flusso della Senna, ma l’intenso traffico di Osaka.

 

“Perché non c’è nulla da dire.” Era abituato a negare. “La mia vita è quella classica di un calciatore famoso: donne, notorietà, soldi da spendere. Che volere di più?” Ormai da tempo ripeteva quegli automatismi: il sorriso o la battutaccia per evitare l’argomento, tutte le volte le stesse bugie. Talvolta si sentiva come dentro una boccia di vetro. Era difficile per uno come lui che aveva sempre detestato le imposizioni e che mai si era interessato del giudizio altrui, mantenere un tale comportamento fittizio.

 

“E dove sarebbero queste donne, scusa? Non ti vedo uscire con una da mesi. Ho come l’impressione che tu esca solo con me perché ho una vita tranquilla e senza casini… in quel senso.”

 

Il kamisori fighter provò qualcosa di simile a una secchiata di acqua gelida.  Da quando aveva cominciato a frequentare Louis non aveva più avuto alcuna storia fissa con una donna. C’era stata solo Meiko nella sua vita. Da lei in poi aveva avuto solo incontri e rapporti occasionali, senza un vero e proprio coinvolgimento. Solo che, nell’ultimo periodo, aveva cominciato a non avere più interesse nemmeno in quella direzione, uscire con le donne era diventato un fastidio, come se l’unico fosse… odiò se stesso per quel pensiero e lanciò un’occhiata risentita a Gakuto, il quale aggiustò il tiro. “Non fraintendermi. So che ti trovi bene con me, è reciproco. Se non avessi te, qui, non saprei come fare. Solo che penso che tu stia evitando di proposito le uscite con gli altri nei locali… per non imbarcarti in relazioni sporadiche o di una sera e via.” L’all round player piegò le ginocchia per spegnere la sigaretta nel portacenere abbandonato in terra. “A Natale sei andato a Parigi. Eri strano al rientro. Hai qualcuno lì? Oltre ai tuoi parenti, intendo.”

 

Era vero, cazzo. Era tutto vero. Per un istante Makoto provò l’istinto di sbattergli in faccia ogni cosa, ma l’orgoglio lo frenò ancora. Intanto una collera incontrollata gli salì al cervello e il difensore non poté far altro che incanalarla in quella domanda azzardata, fatta apposta per colpire l’amico nel suo punto più debole. “Chissà.” Disse con marcato cinismo. “E che mi dici di te? Parli tanto di me… ma hai mai pensato di risposarti e sostituire Caterina?”

 

Molto meglio prendersi a pugni e lasciare cadere lì i discorsi troppo personali.

 

“Quanto sei stronzo, Makoto.” Rispose Gakuto rimettendosi in piedi. Soda si preparò a ricevere il colpo ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, Gakuto non reagì con violenza. “Comunque la tua è una domanda scontata. Sostituire Caterina?” Ripeté, mettendosi le mani in tasca. “Non ci penso neppure. E sposarmi con la prima che capita per dare una mamma a Lisa sarebbe un’azione degna di un film strappalacrime. Peccato che non siamo in un film e che io mi ritenga in grado di crescere mia figlia anche da solo. Non sono così vigliacco.” Gakuto scrollò le spalle, facendo pochi passi per rientrare in casa. Makoto lo seguì in silenzio. Vide poi l’amico fermarsi al centro della stanza, ripercorrere con lo sguardo la foto delle Cascate dell’Iguazù mentre un’espressione contrita gli deformava i lineamenti del viso. “Ovviamente spero di non rimanere da solo in eterno. Ma prima dovrei superare il senso di colpa che mi divora ogni qualvolta penso di volermi trovare una compagna.”

 

Makoto rimase immobile alle sue spalle. “Scusa.” Sospirò disarmato. La franchezza con cui Gakuto gli aveva parlato lo ferì nel profondo. “Non le mancheresti di rispetto… hai il diritto di rifarti una vita. L’hai amata così tanto…” Disse non privo d’incertezza nella voce. A essere incerta non era l’autenticità dei sentimenti di Gakuto, ma la scarsa conoscenza di una situazione così delicata e difficile, che lui aveva avuto la presunzione di tirare in gioco.

 

“Sì. Lo so. Ma devo superare anche questo scoglio. Sono pieno di limiti psicologici, eh?” Gakuto si voltò finalmente nella sua direzione. Le labbra disegnavano un sorriso forzato. “Ora dimmi come stanno le cose.”

 

Il difensore si sentì con le spalle al muro e il suo silenzio prolungato suscitò in Igawa uno strano sentore. “Ho l’impressione che ci sia sotto qualcosa di grosso. Non avrai una relazione con una donna sposata?”

 

“Che diavolo dici, no!” Reagì subito Makoto.

 

“Una minorenne! Soda!” Gakuto si portò le mani alla testa.

 

“Ma per chi mi hai preso?”

 

“Una carcerata!”

 

“Smettila!”

 

“Una suora!”

 

“Vaffanculo, Igawa!”

 

 

 

“Puoi parlarmene…” Gakuto si sedette su uno dei due divanetti singoli. “Sono o non sono il tuo migliore amico?”

 

Migliore amico?

 

Makoto strinse i pugni. Quelle due parole insieme lo avevano sempre irritato molto. E anche in quel momento lo infastidirono. Ogniqualvolta udiva quel termine, gli venivano in mente Louis, Juliet, Pierre e il loro fottutissimo legame di amicizia. Quei tre sapevano sempre tutto l’uno dell’altro e questo legame gli aveva sempre dato fastidio. Lui non aveva mai creduto in un’amicizia così totalizzante. Non si era mai fidato di qualcuno in quel modo. In quell’istante provò rabbia nei confronti di Igawa che si fregiava di un simile titolo con tanta leggerezza. E quella stessa rabbia fece a brandelli gli indugi di lunghi anni, cosicché Makoto parlò senza più alcun freno, pronto a giocarsi tutto. La maschera che aveva costruito con tanta cura sarebbe presto scivolata via mostrando le sue debolezze.

 

Se Igawa era davvero il suo migliore amico, le avrebbe accolte senza pregiudizi, no? Le parole gli vennero alle labbra ancor prima di rendersi conto del cinismo che animava i suoi ragionamenti.

 

“Vado a letto con un uomo.”

 

Gakuto spalancò gli occhi. “Stai scherz-” reagì di rimando, ma immediatamente capì che era la verità. “Questa non me l’aspettavo.” Disse con franchezza.  Cominciava a capire perché l’amico gliel’avesse tenuto nascosto e si sentì in colpa per averlo forzato. “Beh, dai. Non è la fine del mondo. Guarda che per me non è un problema, eh?”

 

Le parole di Gakuto erano sincere e questo a Makoto bastò per placare la tensione avvertita poc’anzi. Si dette mille volte del cretino per aver dubitato di lui. Dentro di sé era felice.

 

“… è francese quindi?” Domandò Gakuto in tono curioso, come a voler spettegolare per alleggerire la tensione. A Makoto venne da sorridere. E allo stesso tempo gli affiorarono alle labbra tutte le parole che aveva tenuto dentro per anni. Quel nome che non era mai riuscito a pronunciare, nemmeno con una persona fidata come Vivianne.

 

“Si tratta di Louis Napoleon.”

 

Per un attimo Gakuto rimase interdetto, avendo focalizzato l’immagine di un uomo a cavallo con un mantello rosso al vento, intravisto di sicuro in un libro di scuola. Poi qualcosa lo scosse e lo sguardo da confuso si fece sgomento. “Il bomber della Nazionale Francese? Stai scherzando?!”

 

Makoto si versò un altro bicchierino di sakè. Poi si sedette su un bracciolo del divano, come a non volersi rilassare troppo. “Pensi che possa scherzare su una cosa simile?”

 

Igawa sentì il desiderio di accendersi un’altra sigaretta, ma per il momento cercò di trattenersi. “… e da quando voi due…”

 

“Ma non lo so!” Rispose Soda di getto. “Dal World Youth… no anzi, da prima… il Mondiale Giovanile… non ha importanza… dura da anni, cazzo!” Makoto realizzò che era passato tanto tempo da quella scazzottata al Parco Montsouris a Parigi. Troppo tempo.

 

“Sono sorpreso. Lo ammetto. Non me lo sarei mai aspettato.”

 

“Lo so.” Rispose Soda, ingoiando insieme al sakè anche la frustrazione che provava.

 

“No, senti, non fraintendere. Te lo ripeto: non ho nulla contro i gay…”

 

“Io non sono gay!” Stavolta Makoto alzò lo sguardo, cercando quello dell’amico nel quale lesse una sincera confusione. “Il fatto è… che mi sento attratto solo da lui…” Provò a spiegare, non privo di difficoltà. Non era abituato ad aprirsi in quel modo con qualcuno. “Non mi era mai successo prima. Le donne mi piacciono. Ma in questo momento… ho in testa solo lui. Eppure non guarderei mai un altro uomo e nemmeno mi interessa. Sembra assurdo, vero?” Terminò con un sorriso, come a volersi deridere.

 

“Oh, no. Assolutamente. Anche Caterina diceva la stessa cosa.”

 

“Eh?” Con enorme stupore, Makoto capì che Igawa stava per rivelargli qualcosa che non aveva mai detto a nessuno. Ricordò per un istante il viso di sua moglie che aveva visto in una foto nella camera dell’amico. Indossava un bikini dalla fantasia tropicale e stava seduta sulla sabbia di una spiaggia argentina. Sorrideva all’obiettivo. Gli era sempre sembrata una persona dolce, ma allo stesso tempo decisa.

 

“Quando l’ho conosciuta, Caterina stava con una donna. Erano venute qui a studiare insieme.*”

 

“Che… dici?” Makoto si stupì non poco, così Gakuto gli rivolse un sorriso che diceva chiaramente: ‘non te l’aspettavi, eh?’. Poi l’all round player continuò. “Avevano preso in affitto un appartamento vicino al nostro e i primi giorni ci salutavamo con un formale ‘buongiorno’, nulla di più. Litigava spesso con la sua compagna, molte volte i loro strilli arrivavano fino a noi. All’ennesima lite, Caterina uscì di casa. Ci incrociammo sulla strada, aveva gli occhi rossi. Riuscì a trattenere le lacrime, ma non a celare l’espressione esasperata e stanca. Volevo fare qualcosa per lei e così, senza riflettere, le chiesi se voleva venire a fare un giro in moto. Lei annuì, senza rispondere. Quella era la prima volta che le rivolgevo seriamente la parola.” Gakuto fece un grosso respiro e in un attimo alleggerì il tono. “Beh, da lì è cominciata la nostra storia. Ed è stata una bellissima storia. Certo, lei era più grande di me di sei anni e all’inizio i miei non l’avevano presa bene, ma col suo carattere espansivo Caterina riuscì a conquistare tutti.”

 

Makoto non apriva bocca. Non sapeva cosa dire, quelle rivelazioni lo avevano gettato in uno stato di confusione.

 

“Ci amavamo, Makoto. E tanto. Il fatto che a Caterina normalmente piacessero le donne non m’importava. Mi amava, me lo ripeteva spesso e io ne avevo la certezza. Mi amava come persona, a prescindere dal fatto che fossi un uomo. E quando l’ho persa…” Gakuto s’afferrò un lembo della felpa all’altezza del torace, stringendola con forza. “Ho provato un dolore dilaniante qui, nel cuore. Come se avessi un coltello conficcato dentro.”

 

Soda fissò quel ‘qui’, dove stava la mano di Gakuto. Ma la domanda successiva dell’amico lo costrinse a guardarlo dritto nel viso.

 

“Sei innamorato?”

 

Il silenzio che seguì, fu sempre Igawa a romperlo. “Ok, non picchiarmi!” Esclamò, mettendosi sulla difensiva, cogliendo rabbia nell’espressione del kamisori fighter. Ma la rabbia di Makoto era rivolta a se stesso.

 

“Talvolta… ho l’impressione che lui lo sia.” Soda strinse i pugni sulle ginocchia, sentiva chiaramente lo sguardo di Igawa su di sé. “E questa cosa non la so gestire.”

 

Durante quegli istanti di silenzio, Gakuto si alzò per avvicinarsi alla camera di Lisa. Aprì lentamente la porta e si soffermò sul viso disteso della sua bambina avvolta fra le braccia di Morfeo. Sorrise nel richiudere la porta. Makoto lo seguì nel movimento e pensò che Igawa era davvero un buon padre.

 

“Cambierò domanda, visto che non mi hai risposto.” Disse poi il padrone di casa, mentre tornava a sedersi. “Io per Caterina ho abbandonato tutto: famiglia e Giappone stesso. Ok, l’ho fatto anche per scappare dal confronto con mio fratello, nella speranza che in Argentina potessi cominciare da zero la carriera calcistica. Ma, soprattutto, l’ho fatto per stare al suo fianco. Del resto non m’importava nulla. Tu saresti disposto a fare lo stesso?”

 

Makoto aprì la bocca, ma non disse niente. Sapeva che ogni volta che rientrava in Giappone dopo essere stato con Napoleon e dormiva nel proprio letto a Osaka, negli istanti immediatamente successivi al risveglio provava una sensazione di malessere e vuoto. Come se gli mancasse qualcosa. Avido di un sentimento senza nome. Soda rifiutava di dargliene uno, non era capace di misurarsi con simili sensazioni. Nonostante questo visualizzò due risposte opposte e, pur non essendo certo di quella giusta, scelse la via più facile: “No, non sarei disposto.” Disse serio, mostrandosi deciso. Ma dentro di sé era stanco. Stanco delle sue debolezze, di quella storia che si trascinava da anni. “Mentirei se ti dicessi che non mi piace stare con lui. Ma solo occasionalmente. Non cerco altro. Né provo altro. Potrei chiudere con Napoleon anche oggi stesso.”

 

E mentre Gakuto gli versava un ultimo bicchierino di sakè senza commentare, Makoto pensò che era arrivato il momento: presto avrebbe dovuto telefonare a Louis per mettere una volta per tutte la parola fine a una storia che non sarebbe mai dovuta iniziare.

 

 

 

FINE (I parte)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Dangan Clear , il tiro di testa di Gakuto, realizzato con un salto da terra.

- All round player, o tuttocampista. Soprannome dato a Igawa per via della sua capacità di giocare in ogni ruolo, anche in quello di portiere.

- Questa frase Gakuto l’ha pronunciata nel Golden 23, quando inveisce contro Makoto.

- Il ‘limite psicologico’ di Gakuto viene espresso più volte nel manga. E come dico su, è la sua paura di non essere all’altezza, il suo senso di inferiorità verso il fratello. La paura di essere un perdente. Gakuto stesso nel Golden, dice che scappava sempre, ogni volta che si trovava di fronte alla difficoltà. Io adoro Gakuto proprio per il suo essere così tremendamente umano <3

- nii-san, cioè fratello maggiore.

- Carbonada argentina: piatto tipico dell’Argentina, con riso, carne e pezzi di frutta.

* Volume 8. Gakuto durante la partita d’esordio con il Paraguay va in panico e gli tremano le gambe. Makoto gli dice esattamente le parole citate sopra: “Non sei sceso in campo per via di tuo fratello o per qualche favoritismo di Kira, ma perché ti sei guadagnato il ruolo grazie al tuo talento. Sii degno di essere un membro della Nazionale. Imbecille!” XD

* “Ammetto che prima di conoscere voi ragazzi della Generazione d’Oro avevo sempre pensato che qualsiasi cosa io facessi non mi sarebbe mai riuscita. Ero convinto di non combinare nulla di buono. Sì, la mia vita poteva essere riassunta in questo modo. Sono andato in Argentina perché non volevo giocare il calcio di mio fratello, sputandogli contro che io avevo il mio calcio personale. Cercavo di dimostrare più di quello che sapevo fare. Non volevo mostrare i miei punti deboli. La verità era che avevo paura del confronto con lui. Anzi la verità è che ero solo un debole. E forse lo sono tutt’ora.”. Questa specie di riassunto, è una rielaborazione fatta da me di ciò che Gakuto dice davvero di se stesso in varie parti del Golden 23.

*È vero. Makoto è il primo a cui Gakuto chieda consiglio. Lo dice lui stesso, nel manga, quando domanda a Makoto come riuscire a mantenere la linea difensiva.

* Scena sul Pont Au Change… si trova in “DisSimile- Fil Rouge”

* Nel Golden 23 viene detto chiaramente che Caterina era in Giappone per studiare ed è lì che lei e Gakuto si sono conosciuti.

 

 *******

 

E così abbiamo lasciato Makoto col desiderio di telefonare a Louis per chiudere una volta per tutte la faccenda… ci riuscirà? E Louis che starà facendo intanto? Nel prossimo capitolo lo scopriremo ^_^

 

Grazie <3 La vostra Rel <3

  
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