Ordunque…questa raccolta di drabble nasce dall’esigenza di rispondere alla sfida che la
talentuosissima e malefica Pucchyko_Girl
ha lanciato tramite la sua A nach Be ~ Alphabet (a pochi poteva venire un’idea tanto assurda
quanto interessante).
Leggendo la
sua opera, l’ispirazione mi ha colpito dritto in mezzo
agli occhi. Ovviamente non sono all’altezza di un simile compito, e il
risultato fa abbastanza schifo, ma…c’ho provato
xD
- Ho scelto
una coppia a cui sono molto legata, e che è in assoluto la mia preferita tra
le coppie canon di CT,
presentandone la mia personale visione.
Benché non abbia
un animo spiccatamente romantico e non riesca a scrivere cose struggenti o
eccessivamente melense, ho cercato di dare a queste drabble
una parvenza di storia d’amore. Credo sia il mio massimo…e chissà
che un minimo non ci sia riuscita.
- Come
nell’idea originale, anche qui ogni lettera dell’alfabeto ripercorre una
tappa della loro relazione. Naturalmente sono in ordine sparso, ci mancherebbe solo che avessi provato a creare un ordine
cronologico.
Non mi odio
mica cosí tanto.
- Non ho mai scritto drabble in vita mia e la prima volta che lo faccio inizio
con ben 26 di fila, e per giunta tutte da 100 parole l’una, non
una in piú non una in meno. Devo essere malata in
testa. Ma lo è ancora di piú la persona che ha
pensato a una cosa simile per prima xD
Inutile dire che ho sclerato per far
quadrare i conti, ma devo ammettere che è stato un esperimento
davvero molto, molto divertente.
Che non credo ripeteró
per un bel po’, comunque.
- Ho scelto un titolo giapponese
facendomi trascinare dal fatto che i protagonisti siano appunto giapponesi, cosí come Pucchyko_Girl ne
ha scelto uno tedesco per protagonisti tedeschi. Questo
mi è piaciuto fin da subito, e richiama il titolo originale della sfida,
essendo traducibile anche con qualcosa di simile a “Dalla
A alla Z”.
Bene, ho terminato gli sproloqui. Non
vi resta che leggere questo obbrobrio, io la
mia parte l’ho fatta *stramazza al suolo stremata*
☆ 初めから終わりまで ☆
(Hajime
kara Owari made – Dal Principio Alla Fine)
~ The Ordinary
Love Story of Yoshiko & Hikaru ~
~ 初め
(The beginning)
Aeroporto, il luogo dove tutto era
cominciato.
Dopo la disfatta contro la Nankatsu, aveva letto casualmente quelle tre paroline
semi-invisibili ricamate a filo bianco sulla sua hachimaki.
Ed aveva aperto gli occhi,
maledicendola sottilmente perché essendo di quel colore le aveva viste proprio
per culo.
Quella volta fece una corsa contro
il tempo e si era mezzo ammazzato per arrivare prima che il suo aereo
decollasse, ma col senno del poi avrebbe anche potuto prendersela un po’ piú comoda, dato che lei era
passata in albergo a cambiarsi.
Avevano iniziato cosí la loro storia, con una relazione a distanza.
Bollette astronomiche, come quelle
che raggiungevano spesso casa dei Matsuyama e dei Fujisawa.
Lui e Yoshiko
non abitavano molto distanti, ma quando per un motivo o per l’altro non
potevano vedersi si attaccavano al telefono, restando ore ed ore a parlare di
cazzate, come era
consono a due ragazzi della loro etá.
Specie quando lui era in trasferta
con la squadra e, per errore, addebitava le chiamate al ricevente.
Cosa di cui la famiglia
di lei si rendeva conto solo all’arrivo della fattura telefonica.
In quei frangenti, ringraziava di
non essere nel campo visivo del padre di Yoshiko.
Caldo, ovvero la cosa che Hikaru
sopportava di meno al mondo.
“Andiamo in vacanza a Okinawa?” Miagoló
Yoshiko al suo orecchio, tra un bacio e l’altro.
“Mhm?” Biascicó lui scettico,
alzando un sopracciglio senza smettere di lambirle il collo, desideroso in quel
momento di avventurarsi verso ben altri lidi.
“Eddai.
Mi piacerebbe abbronzarmi un po’.” Davanti alle sue armi di persuasione,
fu costretto a capitolare.
Ma, come prevedibile, fu una palla
al piede.
Rimase quasi
sempre barricato in albergo con l’aria condizionata a manetta, facendo
sfiorare alla stanza temperature artiche.
Decisamente, il caldo smorzava i suoi glaciali
spiriti.
Determinazione, come quella di Yoshiko.
Forse non si sarebbe detto, ma aveva un bel caratterino. E di solito riusciva ad ottenere
sempre quello che voleva, specialmente se la persona che puntava per un
tentativo di estorsione era il suo Hikaru.
Che naturalmente non le sapeva mai
dire di no, come quella volta che lo aveva convinto a partecipare ad un’uscita
di shopping con lei e altre quattro sue amiche.
Un suicidio annunciato.
Come naturale epilogo della
vicenda, il fiero capitano aveva quasi perso l’udito per il loro starnazzare
incessante e si era ridotto a fare da umile facchino.
Esagitato, come spesso lo accusava di essere Yoshiko.
Non era possibile che appena la
vedesse parlare con un ragazzo andasse quasi in
escandescenze.
Le aveva fatto
fare delle figure barbine a volte, perché magari il tale era un parente o un
vecchio amico, insomma qualcuno che la conosceva bene e che aveva fatto tanto
d’occhi nel vedere l’invasato con cui si era messa.
Rimasti soli, lo guardava
scuotendo la testa declamando che occorreva giusto la sua pazienza per
sopportarlo.
Al che lui ricambiava l’occhiata e
replicava stizzito che non ci poteva fare niente se l’amava troppo.
Furano, come la squadra in cui Yoshiko aveva militato in veste di manager per anni.
Fu la loro occasione per imparare
a conoscersi.
Lei non poté
farci niente, la schiantata per il bel capitano fu subitanea e
stordente.
Quel suo piglio deciso e la sua forte
predisposizione alla leadership la turbavano piacevolmente, anche se a
volte avrebbe voluto prenderlo a randellate sui denti perché sembrava che non
lo interessasse null’altro a parte il calcio.
Ragion per cui aveva accuratamente
evitato di dichiararsi per parecchio tempo, sentendosi demotivata a farlo.
Era proprio vero che le ragazze
maturavano prima dei ragazzi.
Guanciotte, come quelle di lui che Yoshiko adorava mordicchiare.
Esercitavano su di lei un notevole
ascendente, tanto da spingerla a razziarle appena se ne presentava l’occasione.
Oppure creandola, nel caso in cui l’occasione non ci
fosse.
Il poverino era costretto a non
abbassare mai la guardia per far fronte ai suoi attacchi, o rischiava di ritrovarsi
con un pezzetto di faccia in meno.
Era inutile farle presente che
quella era una parte del suo corpo che gli sarebbe servita
ancora in futuro e a cui non era disposto a rinunciare, perché le sue suppliche
cadevano puntualmente nel vuoto.
Hachimaki, come quella da cui Hikaru non si
separava mai.
Le tre semplici parole con cui era ricamata sintetizzavano i sentimenti che Yoshiko provava per lui, e di cui lui non si era accorto
fino al giorno della sua partenza.
Quando non la indossava in campo, la
teneva in tasca o annodata al polso.
Gli amici a volte si divertivano a
prenderlo in giro, e fra di loro la celeberrima
fascetta era meglio nota come “La Reliquia”.
Si chiedevano se se la portasse
dietro anche in bagno, o se ci dormisse.
Ma non erano sicuri di voler
conoscere la risposta.
Incidente, come quello che rischió di portargliela via per sempre.
Gli venne quasi un infarto quando
lo seppe e rinunció a giocare nei quarti contro la
Svezia, correndo al suo capezzale.
Si sentí
in colpa verso la squadra, ma lei veniva prima di tutto, anche se non
resistette ad ascoltare la partita da una radiolina, dalla sua stanza
d’ospedale.
Poi, lei aprí
gli occhi e gli diede il suo benestare: non correva rischi, poteva entrare
almeno nei supplementari che tanto “non moriró, per
stavolta”.
Le diede della
scema e, con la fida hachimaki annodata
in fronte, scese in campo.
Jun, il Santo.
Di carattere molto piú compassato di Hikaru, era il consigliere ideale, e le
volte in cui lui gli si era rivolto piagnucolando per uno pseudo-problema
con Yoshiko ormai non si
contavano. Anche se nella maggior parte dei casi non
si trattava di problemi veri e propri, ma solo di sue seghe mentali.
Misugi non riusciva a
capacitarsi di come una persona tanto apparentemente sicura di sé stessa
potesse trovarsi in preda a tutte quelle paranoie di fronte ad un messaggino o una chiamata senza risposta.
Poi si rispondeva
da solo, l’amore giocava proprio brutti scherzi.
Kojirō, colui che
inaspettatamente era diventato un caro amico.
Se gliel’avessero
predetto non ci avrebbe mai creduto, eppure quel ragazzo riottoso nascondeva
anche un lato affabile.
Successe in Germania.
Kojirō passó a lui la sua fascia di capitano, dopo il violento
scontro verbale con Wakabayashi. Non a
uno dei due componenti del Triangolo Toho, bensí a lui.
Ricordava ancora quando la sera le
aveva comunicato la notizia al telefono, durante un festino alcolico della
Nazionale.*
Della sbronza che si era preso
dopo, vittima di una violenta crisi di nostalgia, si ricordava un po’ meno.
Ma forse era meglio cosí.
Libro aperto, come la sua faccia.
Hikaru era patologicamente
incapace di nascondere le proprie emozioni, e si ritrovava ogni pensiero stampato
a caratteri cubitali sul volto.
Perciò, quando finse di non ricordarsi
del loro primo anniversario per poi farle una sorpresa, la pantomima non resse
cinque secondi.
Le pantomime di
lei, invece, reggevano eccome, ed essendo molto piú
portata per la recitazione, se si impegnava un po’ riusciva sempre ad
infinocchiarlo alla grande.
-Non ti ho preso
nessun regalo, me ne sono scordata- gli aveva detto, facendo spallucce. Alla
sua espressione frustrata aveva poi aggiunto, maliziosa –niente di materiale,
intendo.-
Mani fredde, come quelle di Yoshiko.
Lo erano quasi perennemente perché
spesso e volentieri la ragazza si dimenticava di mettersi i guanti, o piú semplicemente li ometteva di sua spontanea volontá perché, asseriva, “mi danno noia.”
Hikaru la rimbrottava
sempre per questa brutta abitudine, redarguendola con la tipica frase “ma cosí ti si screpoleranno tutte!” e poi, ostentando un’aria
fintamente seccata, con fare paterno gliele prendeva fra le sue per
riscaldargliele.
Al premuroso capitano
il pensiero che potesse trattarsi solo di un puro e semplice espediente per
farsi coccolare un po’ non sfioró mai neppure
l’anticamera del cervello.
Neve, come quella che cadeva
copiosa in quelle terre dal clima assolutamente infido.
Tanto che, per potersi allenare
nel campetto da calcio della scuola, la formazione della Furano
era costretta a spalarla via un giorno sí e l’altro
pure.
Spesso Yoshiko
dava una mano alla squadra nello svolgimento della noiosa operazione,
pregustando la cioccolata calda che dopo lei e Hikaru
avrebbero bevuto insieme per ritemprarsi.
Anche se, come ci teneva a ricordarle
lui ogni volta, esistevano altri “metodi” ben piú
appaganti per vincere il freddo, e che oltretutto non facevano neanche
ingrassare.
Era un’ottima argomentazione,
difficile da confutare.
“Oracolo”, come il nome della
sua rivista preferita di oroscopi e profezie celesti.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso con
anima viva che saltuariamente la leggesse.
Tanto meno con Yoshiko,
che da sempre aborriva simili “cretinate” ed aveva minacciato piú volte di bruciargli quegli insulsi giornaletti.
Era un tipo piuttosto scaramantico
lui, come testimoniava anche il fatto che volesse indossare sempre la hachimaki nelle partite piú importanti, ma non per questo credeva a quei responsi
astrali ingenuamente e ad occhi chiusi.
Peró, si diceva guardingo, era sempre
meglio dare una sbirciatina di tanto in tanto.
Cosí, giusto per scaramanzia.
Pattinare, quello che lei gli aveva
proposto nel loro primo appuntamento “ufficiale”.
Curiosamente, Hikaru sembrava abilissimo in
ogni sport sul ghiaccio tranne il pattinaggio, e dopo aver rischiato quattro
volte di lasciare l’impronta del proprio muso sulla pista, avevano optato per fare un salto a casa di lui.
-Toh, siamo soli, i miei devono
essere usciti- aveva detto con una falsissima aria noncurante,
abbracciandola e affondandole il viso fra i capelli per nascondere il ghigno da
depravato.
Lei aveva mangiato la foglia e l’aveva
guardato circospetta.
Peró, alla fine, valse la pena fingere
di essere un totale imbranato.
Quattro volte al
giorno, come il numero di telefonate che Hikaru le faceva nell’arco delle
ventiquattro ore quando erano lontani a causa degli impegni calcistici di lui.
Alla quarta chiamata era solita
rispondere in tono vagamente insofferente.
“Sono ancora viva, Hikaru.”
“Lo so, ma mi mancavi, avevo voglia di sentirti. Ti amo.”
“Anch’io...mi
amo molto, sí.” Era la classica risposta fetente che
adorava dargli per farlo infumanare un po’.
Il carismatico leader della Furano, abituato ad infondere fiducia agli altri, aveva
bisogno di costanti rassicurazioni e certezze da parte della sua bella per poter dormire sonni tranquilli.
Riposato, ció
che Hikaru non poteva mai dire di essere.
Tra scuola ed allenamenti la sua
giornata era veramente molto lunga.
Meno male che ci pensava Yoshiko ad alleviargli la fatica, con amorevoli massaggi
nelle zone indolenzite per sciogliere i muscoli tesi.
Manco a dirlo, le energie gli
tornavano seduta stante, anzi talvolta pure troppo.
Come quando gli sarebbe piaciuto
approfondire il “contatto”, peccato solo che si trovassero ancora negli
spogliatoi.
E che ci fosse l’intera squadra in
modalità voyeur a spiarli con i musi
schiacciati contro il vetro della finestra.
Yoshiko se ne era
accorta in zona Cesarini.
Sfiga, come quella innegabile avuta
nelle due semifinali contro la Toho prima, e la Nankatsu poi.
Vittoria sfiorata con la punta
delle dita.
Ai tempi della partita contro la Toho ancora non facevano coppia fissa, e guardandolo negli
occhi le sembró lampante il
suo sforzo titanico per apparire il capitano ottimista di sempre, quello che
sapeva perdere con dignità; neanche sdrammatizzare con qualche battutina era
servito, l’umore della squadra era sceso ai minimi storici.
Lei si era sentita davvero inutile
in quel frangente, e si era dovuta fare violenza per resistere e non stringerlo
a sé in un abbraccio.
Tamburellare, quello incessante
delle sue dita quando la aspettava per uscire insieme.
Yoshiko ci metteva una vita a prepararsi,
e non era strano che perdessero l’inizio del film in programmazione o arrivassero
tardi al ristorante dove avevano prenotato.
Hikaru non era un tipo
particolarmente paziente.
Per questa ragione, una volta che
dovevano andare al cinema ed erano giá in un
mostruoso ritardo, aveva fatto irruzione nella stanza dove lei si stava cambiando,
minacciando di passare alle “vie di fatto” se non si fosse
data una mossa.
Alla fine c’erano passati.
E senza troppi rimpianti per il
film perso.
Ululato, come quello che lui aveva
lanciato quella sera.
Erano in “intimitá” sdraiati sul letto, il momento era topico. La loro prima volta.
Hikaru aveva preparato tutto il
necessario per creare l’atmosfera giusta: candele, luci soffuse, essenze,
petali di rosa sparsi in giro.
Aveva meticolosamente messo in
pratica i preziosi consigli di quella rivista “di settore”.
Peccato solo che Yoshiko, tesa come una corda di violino, fece una mossa
brusca e, senza volerlo, nel girarsi lo colpí con una ginocchiata in pieno inguine, in perfetto
stile “manuale di sopravvivenza alle aggressioni”.
E l’incantesimo, per qualche
minuto, si spezzó.
Volontà, come quella che
sicuramente non mancava al buon Matsuyama,
consapevole di non possedere un talento innato per il calcio.
Perciò, si allenava strenuamente ogni
giorno per colmare il divario esistente fra lui e fenomeni del calibro di Tsubasa o Kojirō, talvolta
infortunandosi pesantemente ma rialzandosi senza un lamento.
In quei frangenti lei era al suo
fianco. Il suo sostegno morale da sempre.
Quando fra gli spalti la scorgeva a fare
il tifo durante una partita, si gasava ancora di piú,
diventando pressoché inarrestabile.
E la vittoria era assai piú dolce, sapendo che dopo l’avrebbe
potuta condividere con lei.
Walkabout, come una delle band preferite di Yoshiko.
Piacevano anche a lui, tanto che
non esitava ad esibirsi spavaldamente al karaoke.
Ma Hikaru era negato per cantare.
Anzi, usare tale parola per
descrivere il suo talento da vocalist era un eufemismo.
Lo sapeva bene lei, lo sapeva bene
la squadra con cui si ritrovavano negli “ameni” ritiri musicali al locale di
fiducia.
E ogni volta strappargli il
microfono dalle mani per evitare i conati era un’impresa ardua; l’unica
soluzione era tappargli la bocca con un
bacio, cosa che Yoshiko non indugiava a fare per il
bene della collettivitá.
X-Files, ebbene sí,
anche nel loro sperduto paesino fra i monti lo trasmettevano.
Hikaru ne era
un grande appassionato, al contrario della sua bella che invece lo odiava
cordialmente.
Per questo ingaggiavano chiassose lotte
a suon di zapping quando guardavano la TV assieme, nelle sere in cui tale serie
era in programmazione.
I genitori di
lui, richiamati dalla gazzarra, si affacciavano in salotto e li spiavano
divertiti, lanciandosi sguardi di intesa e chiedendosi se il figlio avrebbe
ceduto anche quella volta.
Ma certo che sí.
Bastavano una sua occhiata supplichevole e un po’ di sbattere di ciglia
per convincerlo.
Yakitori, il suo piatto preferito.
Tutti pensavano che una come Yoshiko fosse abile tra i
fornelli.
Invece non era poi cosí
abile.
Se la cavava, ma era una gran
confusionaria e affrontava le “gioie” del cucinare con un piglio degno di Attila.
La volta in cui provó a preparargli i suoi adorati spiedini di pollo, la
cucina, che per inciso era quella della casa di lui,
si tramutó in un autentico campo di battaglia.
Infine la spuntó
lei, ottenendo un piatto dall’aspetto per niente invitante, ma dal sapore decisamente buono.
Il capitano doveva
riconoscerlo, non finiva mai di sorprenderlo.
Zerbinaggio, l’impertinente accusa che solevano muovergli gli amici, riferendosi al fatto che
sopprimesse una buona dose di dignità quando c’era di mezzo lei.
Risentendosi di questa
invettiva gratuita si vendicava pestando qualcuno a caso di quegli
imbecilli, perché non era mica cosí che stavano le
cose.
O meglio, solo
quando lei non lo guardava con quegli occhi. O
quando non gli carezzava i capelli con quel tocco gentile,
depositandogli poi un delicato bacio fra lobo e collo.
In quei momenti capitava che
dimenticasse perfino il proprio nome ed effettivamente diventava piú arrendevole del solito.
Ma soltanto un po’.
~ 終わり
(The End)
NOTE
*Il festino alcolico a cui mi riferisco è
liberamente tratto dalla mia fanfiction, “Certe
cose non cambiano mai.”
Se volete saperne di piú andate a leggerla, a
vostro rischio e pericolo ;-)
BONUS
Potevo io esimermi dal fare un disegnino esplicativo? Non sia mai, cosí ecco QUI.