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Autore: LyaStark    18/09/2015    5 recensioni
Nel regno di Viride far parte della Corporazione degli Assassini è un privilegio, e Marcus ne è più che mai consapevole. Lui e i suoi amici vivono per obbedire, per soddisfare i desideri della famiglia reale. Ma cosa fare quando è la figlia del Re a chiedere aiuto, andando contro la sua stessa famiglia? Cosa fare quando il nemico è la Regina stessa, implacabile e pericolosa?
Marcus e i suoi amici dovranno capire in chi riporre la loro lealtà, ma hanno poco tempo perché la guerra incombe, su di loro e su tutto ciò che conoscono, pronta a distruggere ogni cosa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO I

 

MARCUS

 

    “Meno male che gli Assassini del Re sono un gruppo d'élite!” pensai, mentre correvo, inseguito da un gruppo di persone molto grosse, molto armate e soprattutto molto, molto arrabbiate.
    Mi ero fatto sorprendere come un pivello nel bel mezzo della mia missione, che ovviamente non sono nemmeno riuscito a completare, e adesso rischiavo pure il capestro. Non un pensiero che mi riempisse di gioia, devo ammetterlo, ma chi cavolo avrebbe mai potuto pensare che un banale signorotto di un banale paese sul limitare della foresta avesse delle guardie del corpo così attente e ligie al dovere? Ero andato lì a Hale tranquillo, senza preoccuparmi troppo di come avrei ucciso Sir William, rilassato come per una scampagnata. Ero entrato di soppiatto nel piccolo castello, avevo trovato le stanze del padrone della baracca e avevo sguainato la spada. E lui a quel punto che ha fatto? Ha tirato un cordone appeso al muro. Sul momento devo aver persino riso. Insomma, chi cavolo tira un cordone quando sta per morire? E invece quel cordone era un sistema semplice ed efficace per richiamare le guardie, che si sono precipitate nella stanza per fare il loro dovere, ovvero uccidere me.
    Quel Sir William dei miei stivali doveva aver avuto il sentore che il suo trattenere parte delle tasse destinate al Re non fosse passato inosservato e quindi doveva aver assunto una cinquantina di mercenari per fare la festa a chiunque avesse cercato di farla a lui, la festa. Accidenti a me e alla mia arroganza! Già mi immaginavo le prese in giro dei miei amici, quando gli avrei raccontato tutto, sempre SE fossi sopravvissuto abbastanza per raccontargli tutto.
    Ero scappato dal primo piano di quel castello dalla finestra, saltando per terra in mezzo a pezzi di vetro e legno, senza pensare nemmeno a quante probabilità avrei avuto di rompermi qualcosa. Una volta toccata terra avevo zigzagato per le vie del mastio prima e della cittadina poi, saltando carri, spingendo persone e scavalcando muretti, il tutto ovviamente inseguito da un mucchio di tipi che volevano la mia testa. Ero uscito da Hale come un uragano, correndo come un forsennato verso il bosco. Ogni tanto il sibilo di qualche freccia mi arrivava all'orecchio e devo ringraziare la mia fortuna (o forse la loro scarsezza, non so) se non sono finito come un simpatico puntaspilli. Se fossi stato catturato niente mi avrebbe tirato fuori dai guai, e non avevo nessuna voglia di morire in una sudicia prigione in una città ancora più sudicia. Proprio non esisteva. E poi non sembra, ma sono affezionato al mio collo, visto che è l'unico che ho.
    Smisi di pensare alle mie disgrazie quando finalmente iniziai a intravedere i tronchi degli alberi, mentre i miei inseguitori erano a poco più di quaranta metri da me. Di ingaggiare battaglia non se ne parlava, visto che io ero uno e loro venti, e per quanto io sia bravo -e sono bravo- non avrei mai potuto resistere per più di quattro minuti. Quindi mi fiondai senza esitazione nel bosco, nella speranza di seminare i miei inseguitori, incurante di tutte le brutte storie che lo riguardavano e che comprendevano briganti, ribelli, fantasmi e chi più ne ha più ne metta. L'autunno è una stagione bellissima, e notai distrattamente i colori della foresta nella mia corsa. Le foglie erano scivolose sotto le suole dei miei stivali, e sperai con tutto me stesso di non fare una caduta che mi sarebbe stata fatale.
       “Mai più missioni organizzate così a caso” mi ripetevo mentre continuavo a fare lo slalom tra i tronchi. “Mai più nella vita. D’ora in avanti almeno due giorni buoni di programmazione, lo giuro!”. Inutile dire che sapevo già che il mio proposito non sarebbe mai stato mantenuto. Quando le missioni sono, o almeno sembrano, facili, trovo completamente inutile stare a perdere tempo quando farsi guidare dall'istinto è una soluzione molto più comoda. È un mio difetto, lo so, ma non trovo niente di stimolante nello studiare e pensare e riflettere su cose che anche uno scemo potrebbe progettare al volo. Però a volte va a finire così, o come quella volta a Imarilla che... va beh, lasciamo perdere. Basti sapere che non è stata una vicenda di cui vado particolarmente orgoglioso.
    Finalmente i rumori dei miei inseguitori si fecero distanti ed attenuati, e dopo pochi minuti ancora erano stati completamente coperti dai rumori della foresta. Rallentai il passo, sollevato, mantenendo comunque la corsa, più per sicurezza che per altro. Quando alla fine mi fermai avevo il fiatone ed ero arrivato alla riva di un fiumiciattolo. Riuscii a guardarmi intorno con attenzione: la foresta, mi ricordavo dallo studio delle mappe -ebbene sì, quelle almeno le avevo studiate- era la Foresta della Luce. Era grande parecchie migliaia di ettari, praticamente inesplorata, cosa che aveva dato origine alle leggende che venivano narrate su di essa. La luce del pomeriggio filtrava leggermente dalle chiome degli alberi, decine di metri sopra di me. Era una foresta molto antica e tra i vari racconti al riguardo uno narra di alberi che negli anni avrebbero preso vita. Sono sempre stato molto scettico su queste storie di magia però, una volta dentro al bosco, non sembravano poi così insensate. Sarà stata l'aura di maestosità, la luce, non lo so... fatto sta che per coronare la giornata mi mancava solo finire spiaccicato da una gigantesca quercia dotata di vita propria.
    Scacciai il pensiero con un gesto della mano e preferii concentrarmi su altro. I colori dell'autunno, che non avevo potuto fare a meno di notare anche durante la mia rocambolesca fuga, erano splendidi. Giallo, arancione, rosso e marrone erano dappertutto, circondandomi e dando all'aria un colore dorato. Era senza dubbio un bellissimo posto. Il rumore cristallino dell'acqua non era disturbato da niente e non c'era la solita puzza delle città attorno a me, ma l'odore di terra smossa e di erba bagnata. Un paradiso insomma, se non fosse che non sapevo dove accidenti mi trovavo.
    Avevo corso a caso, cercando di inoltrarmi il più possibile nel folto del bosco, e devo dire che ci ero riuscito pienamente. Non sapevo dove fosse il nord e fidatevi, quella storia di guardare il muschio sui tronchi è una cavolata. Il muschio cresce dove gli pare, senza preferenze per uno dei punti cardinali, e conosco decine di persone che si sono perse a causa di questo trucchetto. L'unica cosa che potevo fare era sedermi, riposarmi un attimo, e poi pensare a come tirarmi fuori dalla foresta. Avrei anche dovuto cercare di capire come portare a termine la mia missione, perché altrimenti sarei stato severamente punito una volta tornato alla sede della Confraternita, e non è mai una cosa piacevole. Ma ogni cosa a suo tempo. In fondo ero stanco, avevo passato buona parte della notte precedente a cavallo per arrivare a Hale, e la giornata era stata quasi tutta occupata a scalare muri, ad abbattere porte e a scappare. Non propriamente riposante. Quindi mi sedetti contro un albero, sguainai la spada e me la misi di traverso sulle ginocchia, poi chiusi finalmente gli occhi. In meno di tre secondi già dormivo.
    Dopo quelli che a me parvero pochi minuti, un rumore mi svegliò. Per fortuna ho un orecchio fino e mi risveglio di solito molto in fretta, capacità che mi ha salvato la vita in più di un'occasione. Girai la testa verso la fonte del rumore e vidi un gruppo di quattro guardie attorno a me. Quella alla mia destra aveva, fortunatamente, pestato un rametto, che spezzandosi mi aveva svegliato. Mi tirai in piedi tranquillamente, con la spada nella mano.
    – Volete davvero farlo? – chiesi, cercando di sembrare il più rilassato possibile. Cosa che non mi venne neanche troppo difficile visto che io sono un Assassino e mi addestro da anni in vista di queste occasioni.
    – Niente di personale amico, ma Sir William vuole la tua testa. –
    Feci un sospiro. Non che non mi piaccia menare le mani, ma quel giorno sinceramente avrei voluto evitare. I quattro intanto continuavano a muoversi lentamente attorno a me e quello che aveva parlato mi stava davanti, la spada risplendeva debolmente nelle sue mani. Notai distrattamente che dovevo aver dormito un paio d'ore, visto come era calata la luce e come attorno a noi iniziasse a farsi scuro.
    Mi misi in guardia, con la spada davanti a me, perfettamente a mio agio. Gli altri tre inseguitori mi si avvicinarono ai lati, accerchiandomi. L'uomo di fronte a me si fece avanti e aveva appena iniziato a tirare su l'arma che sentii il rumore di una corda d'arco che veniva rilasciata.
    Le frecce volarono nell'aria e due si andarono a infilare nel petto della guardia più vicino a me, che cadde con un lamento e un'espressione esterrefatta sul viso. Gli arcieri dovevano essere tutto attorno a noi, perché gli altri uomini morirono colpiti da frecce che arrivavano da ogni direzione. Non abbassai la mia spada, nemmeno per un momento, e mi feci ancora più guardingo quando una quindicina di persone saltarono giù dagli alberi. Ognuno di loro portava un arco ed erano vestiti tutti di marrone e arancione, per mimetizzarsi tra il fogliame. Avevano un cappuccio in testa che non mi permetteva di vedere chi fossero. Ero sicuro che non fossero lì quando ero arrivato, nel pomeriggio, perché nonostante tutto mi ero guardato intorno con attenzione. Dovevano avermi raggiunto mentre dormivo.
    – Grazie, ma avevo tutto sotto controllo – dissi, rivolto a nessuno in particolare. Gli arcieri si avvicinarono a me, circondandomi.
    – Così come avevi tutto sotto controllo a Hale? – mi schernì una voce.
    Mi girai dalla parte di chi aveva parlato, con aria offesa. Va bene che non era stata una missione molto discreta ma cavoli, di solito sono uno bravo.
    – Direi che questi non sono affari tuoi, – replicai stizzito. – Ora, se per voi non è un problema, io avrei delle cose da fare. Quindi, grazie del favore e buona giornata. –
    Abbassai la spada e feci per allontanarmi, ma all'improvviso mi ritrovai a fissare quindici frecce che puntavano esattamente verso di me.
    – Si può sapere cosa volete? – chiesi, improvvisamente guardingo. Il tipo che mi aveva parlato si tirò giù il cappuccio. Aveva una faccia normale: occhi castani, capelli lunghi raccolti in un codino, bocca sottile, quarant'anni circa. Niente di memorabile insomma, ma ero sicurissimo di non averlo mai visto prima in vita mia e di solito ho una buona memoria per le facce.
    – Devi venire con noi – ordinò freddamente.
    So riconoscere una causa persa quando la vedo e vi assicuro, quella lo era. Rinfoderai la spada e alzai le mani.
    – Ricevuto amico. Dove andiamo? – commentai, conciliante. L’uomo mi si avvicinò con una corda e mi legò le mani. Non opposi resistenza, non con della gente attorno a me armata.
    – Dove andiamo non deve interessarti. Non mi fido di te, Assassino. Fai un solo movimento che non mi convince e finirai i tuoi giorni in questa foresta. E non sono tuo amico. –
    Insomma, un omino simpatico e accattivante, ma decisi che lo odiavo veramente quando mi calò sulla testa un sacco di iuta. Mi presero la spada, poi mi perquisirono e trovarono tutti i miei pugnali, portandomeli via. Fantastico. Quella schizzava immediatamente tra le prime cinque giornate più schifose di sempre, anche senza essere stato calpestato da una quercia. Ma visto come stava andando, per quello c'era ancora tempo. Mai dire mai.
Come da programma dopo poco iniziammo a muoverci. Il sacco che avevo in testa puzzava in modo terrificante e ipotizzai che in tempi migliori lo avessero usato per tenere il pesce, visto l'odore. Qualcuno poi doveva tenere in mano un capo della corda che mi legava le mani, perché ogni volta che mi fermavo ero obbligato a riprendere il cammino con uno strattone. Inciampavo continuamente. Quella foresta, come tutte le foreste d'altronde, era piena di radici per terra e sembrava che i miei rapitori facessero apposta a passare dove ce n'erano di più. Un paio di volte presi anche dei rami in faccia. Non era decisamente uno di quei viaggi che in genere si definisce piacevole.
Attorno a me sentivo il bisbiglio degli uomini che mi avevano rapito, ma non riuscii a captare nulla di interessante. Decisi di sfruttare il tempo che mi era stato dato per ragionare. Non avevo mai visto quegli uomini prima d'ora, e non capivo cosa potessero volere da me. Se speravano in un riscatto, cascavano decisamente male. La Confraternita non ha soldi da sprecare per riavere uomini talmente incapaci da farsi catturare, cosa che per fortuna capita abbastanza raramente. Se volevano che compissi una missione per loro diciamo che non mi stavano mettendo nella migliore predisposizione d'animo possibile, e comunque mi sembravano tutti più che capaci di risolvere i propri problemi da soli.
    Decisamente non capivo. È inusuale rapire un Assassino e il mio probabilmente era un caso più unico che raro. Cercai anche di orientarmi per un primo periodo, ma poi rinunciai. Potevo sentire da com'era il terreno sotto i miei stivali che non stavamo percorrendo un sentiero e di sicuro i miei rapitori stavano facendo attenzione a non fare una strada troppo lineare per rendermi ancora più difficile capire dov'ero. Non so quanto tempo camminammo, probabilmente un paio d'ore abbondanti, quando finalmente ci fermammo e un urlo ruppe il silenzio di quella che ormai presumevo essere notte.
    – Chi va là? – urlò qualcuno.
    – Sono Thomas. Aprite – rispose il capo della nostra combriccola. Dopo pochi secondi, sentii il rumore di una porta che girava sui cardini. I miei rapitori probabilmente decisero che ormai non ero più un pericolo per loro, perché mi tolsero il sacco dalla testa. Strizzai gli occhi un paio di volte e rimasi stupefatto. Eravamo in una radura, larghissima, che conteneva un villaggio. Case di legno, separate da sentieri puliti e ordinati, erano disposte a formare una griglia precisa. Dietro di noi un'alta palizzata sorvegliata teneva lontani i pericoli della foresta, fiaccole erano accese ad ogni incrocio per permettere di vedere bene anche nel buio più totale. Nonostante fosse già calata la notte persone camminavano ancora nel villaggio. Dei bambini giocavano a rincorrersi e dei ragazzi parlottavano e ridacchiavano vicino a una casa in un angolo. Degli uomini, e anche delle donne, armati facevano la ronda camminando vicino alla palizzata, osservando tutto quello che capitava con attenzione. Il mio gruppo avanzò all'interno del villaggio e Thomas ogni tanto faceva un segno della mano o del capo per salutare qualcuno. Sembrava decisamente benvoluto. Arrivammo dall'altra parte del villaggio, vicino a quelle che identificai come stalle, dove si trovava una casa solitaria con le sbarre alle finestre. Ahia. Non mi piacciono le prigioni, proprio per nulla. Per un folle istante sperai che non fosse quella la nostra meta finale, ma a quanto pare mi sbagliavo. Thomas entrò per primo, mentre altri due mi presero per le braccia e mi portarono nella casupola, che all'interno era divisa in due da una parete fatta di sbarre. Da un lato c'era una scrivania con un uomo seduto dietro, dall'altro un materasso mezzo rotto buttato per terra. Thomas iniziò a parlottare con il mio carceriere, che dopo poco alzò lo sguardo verso di me e mi venne incontro.
    – Benvenuto, Assassino. Spero che ti godrai il soggiorno. –
    Sogghignava, il bastardo. Avrei tanto voluto rompergli tutti i denti e fargli sparire quel ghigno dalla faccia, ma purtroppo non mi avevano ancora slegato le mani. Poi mi prese, aprì con una chiave la porta della cella e mi ci spinse dentro. Mi girai a guardarli.
    – Quando uscirò di qui, verrò a cercarvi. Tutti quanti, dal primo all'ultimo. È una promessa. –
    – Non fare promesse che non puoi mantenere, ragazzo – mi disse Thomas, voltandosi. Dopodiché salutò il carceriere, che a quanto pareva si chiamava Barry, prese i suoi due compari con sé e uscì.
    Dire che ero arrabbiato probabilmente è riduttivo. Me ne rimasi in piedi, muto, a guardare fuori dalla finestra della mia cella per circa mezz'ora, cercando di sbollire. Non mi sarebbe servito a nulla urlare e fare confusione, già lo sapevo. Quando mi fui un po' calmato decisi di provare ad attaccare bottone.
    – Mi potresti slegare le mani? – chiesi, porgendo a Barry i polsi dalle sbarre. Non avevo molte speranze in proposito ma, come si dice, tentar non nuoce. Invece l'uomo si avvicinò con un coltello in mano e tagliò la corda. Si guadagnò un bel po' di punti con il suo gesto. Forse non era poi così male. Mi strofinai le mani, che erano notevolmente indolenzite e formicolavano, e notai distrattamente che mi sarebbero rimasti i lividi sui polsi per un po'. Decisi di continuare a sfruttare la momentanea disponibilità del mio carceriere, cercando di capirci qualcosa. Tornai alla finestra e mi rimisi a guardare fuori.
    – Sembra un bel posto qui. Dov'è che siamo precisamente? –
    – Non allargarti troppo, Assassino. Quelli come te mi fanno schifo. Mettiti lì in un angolo e fai quello che ti pare. Dormi, guarda il muro, impiccati se vuoi, a me non interessa. Basta che stai zitto, non voglio sentire una parola. –
    Mi rimangiai tutto quello che avevo pensato prima: quell'uomo era terribile. Però aveva detto, incredibilmente, una cosa giusta: potevo dormire. Ero stanco morto, e forse un po' di sonno mi avrebbe permesso di capirci qualcosa in più, la mattina seguente. Quindi mi sdraiai sul materasso, cercai di non pensare troppo alle pulci e ai pidocchi che con ogni probabilità stavano lì sopra, e chiusi gli occhi.
    Quando li riaprii era giorno, ed ero finalmente riposato. Mi tirai a sedere e mi guardai attorno, notando che la cella era ancora più sudicia di quello che sembrava la sera prima. Macchie di muffa chiazzavano i muri e il terreno che fungeva da pavimento puzzava. Una parte del tetto avrebbe dovuto essere riparata, perché l'acqua gocciolava da lì sulla parete, lasciando strisce umide. Un paio di scarafaggi correvano per terra e in un angolo c'era una struttura che a quando pareva era il gabinetto. Sono un Assassino, va bene, e non è che di solito noi dormiamo in ville di marmo, però quella cella era davvero schifosa. Unica nota positiva la finestra, che faceva passare la luce del giorno e da cui potevo vedere un pezzo di strada e la palizzata.
    Barry non c'era più, se ne doveva essere andato durante la notte, e la stanza adiacente alla mia era vuota. Sul pavimento davanti alle sbarre c'era un piatto con dentro del cibo grigiastro non meglio identificato e, visto che avevo fame, mangiai. Presi il cucchiaio che mi avevano dato con il pasto e decisi che potevo provare ad usarlo per forzare la serratura. Mentre trafficavo, pensai al da farsi. Dovevo uscire da lì, assolutamente. Non potevo passare la mia vita in una schifosa prigione di un villaggio sperduto nella foresta e in più dovevo capire cosa volevano da me. Se magari fossi riuscito ad aiutarli mi avrebbero lasciato andare. Non potevo nemmeno sperare nel soccorso da parte dei miei amici, perché non mi avrebbero mai trovato. Non avevo mai sentito parlare di paesini in mezzo al bosco, ed ero sicuro che quello non fosse un villaggio segnato sulle mappe che avevo studiato prima della missione.
    Dall'occhiata rapida che avevo potuto dare la sera prima mi sembrava troppo ben organizzato per essere un paese comune. Le palizzate, la ronda, le guardie al cancello... decisamente non un villaggio normale, dove di solito è già tanto se ti notano quando entri. Anche le precauzioni che avevano preso con me Thomas e la sua banda. Sembrava avessero paura che potessi in qualche modo rivelare la posizione di questa radura. Va bene che sono un Assassino, ma in linea di massima non uccido persone a caso e tanto meno denuncio villaggi che non dovrebbero esistere alle autorità, sebbene questo più per una mia predisposizione personale che per altro.
Intanto, quella dannata serratura non voleva saperne di cedere. Dovevano decisamente avere dei bravi fabbri lì. Se mai fossi riuscito ad uscire, avrei rubato qualche spada: se erano di altrettanta buona fattura, sarebbero state delle ottime armi. “Quando torno alla Confraternita mi faccio insegnare da Jared a fare lo scassinatore” pensai. Ecco un altro buon proposito da aggiungere alla mia lista. Lui era un mago con le serrature, forse per il suo passato da ladro. Ci fosse stato lui con me saremmo usciti da lì in quattro secondi netti. E dire che da quando ci conosciamo si è offerto di insegnarmi più di una volta, ma io gli ho sempre detto “non ne ho bisogno”. Certo. Fosse qui si starebbe tenendo la pancia dalle risate.
    Mentre imprecavo, sentii che la porta di ingresso veniva aperta. Tolsi in fretta l'inutile cucchiaino dalla serratura e me lo misi in tasca mentre mi alzavo in piedi. Quando la porta si aprì, mi bloccai riconoscendo la persona che era entrata.
    Era cresciuta dall'ultima volta che l'avevo vista e devo dire che all'epoca non avrei mai pensato che sarebbe potuta sopravvivere per così tanto tempo da sola. I capelli rossi che ricordavo erano stati tinti di un più discreto castano, ma gli occhi verdi erano rimasti gli stessi, grandi e luminosi. I lineamenti si erano fatti più precisi e decisi, il fisico si era modellato e rafforzato. Da ragazza che era, era diventata una donna. Una donna molto bella, aggiungerei. Era vestita da uomo, con pantaloni, stivali, camicia e un corpetto di cuoio a proteggerle il torace. Mi stupii di vedere che portava una spada al fianco.
    Sorrisi mio malgrado e mi scoprii felice di rivederla viva.
    – Ciao, Camille. –
    Lei mi sorrise di rimando.
    – Ciao, Marcus. –

   
 
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