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Autore: il truzzo    18/09/2015    0 recensioni
Breve racconto ispirato dai discorsi che i rievocatori fanno attorno al fuoco
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un anno.
Un anno e le cose erano cambiate cosi tanto.
Tornavano su quelle strada che avevano percorso da vincitori, tornavano da sconfitti e da reietti di un regno scomparso.
Silenziosi camminavano lungo la via che li doveva riportare a casa, anche se solo in una decina erano sopravvissuti. Davanti stava, come sempre, il vecchio capo villaggio, sul quale gravava il rimorso per i giovani che erano morti. Aveva già combattuto e sapeva che per i soldati di una guerra persa non era una buona cosa attraversare terre nemiche.
Si guardava attorno e riconosceva i luoghi che avevano conquistato e perso in pochi mesi. Vedeva ciò che restava dei villaggi che, come conquistatori avevano saccheggiato. Perché era un loro diritto farlo, anche se lui e i suoi non avevano voluto prenderne parte. Non che ciò fosse importante, loro erano parte del esercito invasore,quindi colpevoli.
Sguardi nascosti pieni d’odio li sentiva osservarli dalle tenebre frondose dei boschi che attraversavano. Parole bisbigliate da mucchi di carne ed ossa che ancora abitavano i ruderi delle città e dei villaggi distrutti davano un cupo realismo ai suoi pensieri.
Ma erano ancora forti abbastanza per far paura a quei reietti disorganizzati. Sperava di poter raggiungere le sue terre, al sicuro al di là della frontiera del paese  natio, ma c’era  ancora una grande città da attraversare ed era quello il pericolo maggiore.
Sapeva che i suoi “uomini” erano stanchi e malconci, a tal punto che ad un attacco organizzato non avrebbero resistito.
E poi….. erano solo ragazzi…..
Alla chiamata alle armi erano partiti in trenta, tutta la gioventù delle sue terre. Li aveva guidati cercando di tenerli lontano dalle situazioni peggiori, ma allo sfaldamento del esercito, tale fu  la confusione che furono investiti in pieno dal nemico. Ne aveva salvati quanti poteva, ma anche dopo un anno di guerra, continuava a vedere solo dei ragazzi che avevano perso ogni allegria. Si, erano cresciuti ed avevano perso la loro spensieratezza, ma sotto lo sporco dei loro visi restavano ancora i tratti di chi da poco aveva superato la pubertà.
Dentro di sé piangeva la morte dei suoi “uomini”, perché erano un po’ anche i suoi figli. Li aveva visti crescere e sperava di morire prima di loro.
Passo dopo passo continuava a vedere quei visi che si erano svuotati di ogni vitalità, e temeva quello che li aspettava nella notte che stava per arrivare.
La notte li colse  ai piedi dell’ultima città che dovevano attraversare. Sapeva che non era un luogo per loro ospitale, ma erano stanchi .
C’era un ponte, che avevano distrutto quando avevano preso la città. Una delle arcate era rimasta in piedi, ed era abbastanza lontana dalla città da far sperare di farla franca.
Un piccolo fuoco cercava di dar calore al freddo dei cuori che gli stava attorno. Il silenzio era assordante, perché ancora riecheggiava l’eco del dolore che avevano causato.
Un semplice rumore, un fischio seguito da un tonfo sordo, ed il vecchio capo villaggio seppe che un altro dei suoi “uomini” era morto..
I loro corpi stanchi reagirono con un ritardo che ne decretò la morte ancora prima che il loro cervello se ne rendesse conto. Furono investiti da demoni pieni d’odio, che volevano ottenere la loro vendetta per quanto subito un anno prima. Villici armati di scure e bastoni diventati mostri.
 Cercavano di resistere, combattevano con tutta la forza che gli restava, ma presto, molto presto incominciarono a cadere per mano di quei sconosciuti.
Il vecchio capo villaggio era l’unico che sapeva combattere. Vecchie guerre lo avevano visto sopravvivere a nemici ben più capaci nel combattimento. Menava colpi che andavano a segno spaccando teste, aprendo cuori e falciando nemici.
Ogni volta che cadeva un nemico gli si apriva uno spiraglio nella follia di quei momenti, ed ogni volta vedeva i uno dei suoi “uomini” accasciarsi a terra nel proprio sangue. Ogni volta urlava il loro nome, senza mai avere risposta. Disperato continuava a colpire, ma ormai sapeva quello che sarebbe successo.
Sentiva il suo corpo che iniziava ad abbandonarlo. Sempre meno forti e veloci erano i suoi colpi, e le ferite incominciavano ad aumentare. Si sentiva le membra calde dalla fatica e dal sangue che perdeva sempre più copioso.
Non sentiva più nessun rumore di battaglia attorno a sé, e non vedeva più nessun altro combattente tener testa agli attaccanti. Sapeva che ormai erano tutti morti.
Solo la disperazione lo faceva ancora lottare come un leone.
Mani.
Mani che come artigli lo brancavano alle spalle, e cercavano di bloccarlo.
Si dimenava fendendo l’aria con la spada, cercando di rispondere agli attacchi. Ma ormai erano troppi e le mani che lo stringevano si facevano sempre più numerose e forti. Strinsero i suoi polsi fino a quando riuscirono a disarmarlo. Senti la rabbia che aveva reso lupi quegli uomini sollevarlo di peso e trascinarlo fino agli alberi poco distanti. Scalciava e si dimenava e chiamava i suoi “uomini”, ognuno con il suo nome, ed impazziva perché non sentiva le loro risposte. 
Non sentiva la corda attorno al collo che gli smorzava il fiato e gli faceva dolere la pelle. Non sentiva il vuoto sotto i suoi piedi, ne le grida di blasfema gioia dei suoi aguzzini.
In quegli ultimi istanti cercava con lo sguardo i suoi  “uomini”, e li vedeva per quei bambini che aveva fatto giocare sulle sue gambe.
   
 
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