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Autore: ikonovel    18/09/2015    0 recensioni
L'ultima conquista del Primo Cittadino, il mutante padrone di metà della Galassia. L'incontro nella sala del trono di una città conquistata. Julius sarà il nuovo maggiordomo dell'uomo più temuto da tanti e amato da pochi, con un destino tutto da scoprire. Come la passione per la caccia ai Vopos.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Primo Cittadino dell’Unione Galattica sfiorò il braccialetto di neurano prima di salire sullo Zanzi. Intorno a lui si alzavano i muri verdi della foresta pluviale di Kalgan, disboscati nel raggio di trecento metri. L’armatura che lo avvolgeva scomparve e saltò agilmente nel piccolo abitacolo, irto di strumenti di rilevazione animale. 

Il Mulo avviò il motore e tirò la cloche per decollare. Mentre si alzava dritto nell’aria, avvolto dal fischio del potente motore a reazione, accese il rilevatore a raggi infrarossi a largo raggio e la camera termica di settore. 

Il suo attendente lo aveva informato che erano stati avvistati un gruppo di Vopos tre giorni prima, molto lontano da lì, nel settore 3A -999H, distante più di duecentocinquantatre chilometri. Lo Zanzi poteva esserci in mezz’ora. 

Nella sua mente si rincorsero le facce di coloro che aveva affrontato due giorni prima: il governatore di Polko, il suo Primo Ministro e il Capo Ingegnere Astronavale della Fondazione, Worjo.

Li avrebbe voluti far soffrire, si sarebbe voluto liberare. Ma non era possibile. La cura delle faccende del suo Impero era diventata una prigione.

Il Mulo inserì le coordinate e lasciò che il pilota automatico impostasse la rotta. Prese il rilevamento sulla bussola giroscopica e disinserì l’automatico passando in manuale. Sapeva che non c’era niente di meglio di un volo radente sulla foresta di Klanarie per alzare l’adrenalina ed entrare nel vivo della caccia. 

Si concentrò progressivamente, scendendo sempre più in basso, lo sguardo avanti, fisso sulla rotta; obbligava lo Zanzi a cacciarsi in veri e propri budelli verdi, irti di spine lunghe come corni vegetali, nascoste dalle larghe foglie verde smeraldo delle Klanarie.

Volò sempre più basso a sfiorare rami e spine per un quarto d’ora, mentre il battito del cuore accelerava e il sudore inumidiva il casco sulla fronte e il palmo dei guanti in pelle.

Sapeva che non poteva esagerare. Quel volo radente sarebbe stato sentito molto lontano. 

Guardò lo specchietto retrovisore.

Dietro di lui seminava la tempesta di fuoco dei postbruciatori lanciati a oltre la velocità del suono. Troppo rumore per iniziare una caccia fatta di astuzia e primitivi istinti.

Di scatto tirò la cloche e lo Zanzi si proiettò verso le nuvole rosa e viola dell’ora prima dell’alba su Kalgan, la capitale del suo Impero. 

I suoi sensi adesso erano accesi fino allo spasimo, la tensione alle stelle. Finalmente si sentiva vivo, l’adrenalina scorreva copiosa nelle vene fino al cervello, nessuna conquista di un grande regno poteva eguagliare quell’emozione così rapida e intensa.

Se l’avesse saputo, molti anni fa, avrebbe scelto di fare il pilota di Zanzi per i turisti, è partecipare alle gare nei tunnel. Era magro abbastanza.

Salì fino a 8000 metri e iniziò l’analisi dei dati. 

C’era un gran movimento quel giorno nella foresta.

Vide molte tracce rosse sul rilevatore termico, disposte intorno ad un punto preciso della foresta. Potevano essere Horni, i grossi uccellacci che si cibavano di carne morta, ripulendo tutta la foresta. Loro giungevano subito, appena un animale si accasciava al suolo. Poi venivano i Vopos a finire l’opera. 

Fece un largo giro intorno, allontanandosi a spirale, fino a dieci chilometri dal pasto degli Horni. Ed eccoli lì. I Vopos comparvero sullo schermo. Erano in tre. Due più piccoli dietro e il più grosso davanti. Dietro di loro altri cinque, più distanti. Si dirigevano lentamente verso gli Horni.

Se qualcosa era morto nella foresta doveva essere grande, molto grande. E produrre un gran fetore.

Spinse alla sua destra il pulsante di navigazione silenziosa e scrutó la foresta intorno a lui, tenendo d'occhio lo schermo del localizzatore: voleva scendere a metá strada tra i Vopos e gli Horni.

Quando si sentí sicuro, tiró la leva di espulsione. Lo zanzi si bloccó in aria, emettendo un leggero sibilo. Sotto l'abitacolo si aprí la botola e il campo di forza lo fece scendere verso la foresta, come se fosse su un ascensore dalle pareti blu traslucide e brillanti. Quando il fondo del sedile raggiunse terra il campo svaní e lui restó solo, seduto nel bel mezzo della foresta, nella penombra, ascoltando il sibilo dello Zanzi che si allontanava senza di lui.

Scese dal sedile e aprì il cassetto. Conteneva il suo fucile Wellstern MU1, a pallettoni e polvere esplosiva, e una daga d'acciaio nel suo fodero d'argento.

Odiava andare a caccia con le pistole atomiche. Non davano nessuna chance all'avversario. Non c'era alcun piacere nel puntare a casaccio una pistola che sparava mirando da sola. Non solo la bestia non aveva nessun'arma paragonabile, ma non aveva nessuna chance di sfuggire, visto che la pistola analizzava la scena e individuava la vittima, fulminandola all'istante. Non era sportivo. Non era leale. 

Per questo si era fatto costruire un fucile a pallettoni, riprendendo la tecnologia vista su Sayshell in un museo.

Certo, la Fondazione aveva insistito per introdurre vari sistemi sofisticati di puntamento, ma lui aveva ordinato che fossero eliminati dal suo personale Wellstern. Dovettero fare un modello apposito, il MU1. Alla fine vendettero piú MU1 di tutti gli altri sedici modelli con tutte i possibili e diabolici sistemi di difesa e offesa. La pubblicità diceva che il MU1 era il modello posseduto dal Mulo e che usandolo piú di centocinquanta cacciatori erano stati sbranati dai Vopos. Era una cosa che affascinava tutti gli appassionati.

Adesso, finalmente, c'erano solo lui e i Vopos. 

La creatura con il cervello più primitivo di tutta la Galassia, l’unica mente (ammesso che potesse chiamarsi cosí) che lui non riuscisse ad individuare a distanza nonostante i suoi poteri mentali da mutante. Per sentirla, doveva arrivarci vicino, a non meno di dieci metri. A quella distanza d'improvviso avvertiva l’emozione primitiva, infernale e obnubilante di un cervello ammantato di uno spesso strato di tenace determinazione: far scorrere il sangue e accoppiarsi. 

Una lucertola di cinque metri, con due poderose zampe posteriori e una coda grossa e muscolosa. Un muso lungo e affilato come una spada si apriva mostrando una fila di denti aguzzi come coltelli davanti e poderosi come macine dietro. Impossibile sfuggire. Poteva tranciarti in due con un solo morso, qualunque fosse la corazza indossata. 

Dalle narici non sentiva niente, ma il Mulo era in grado di percepire nella mente dei Vopos le emozioni intermittenti scaturite dalla lunga lingua biforcuta che ne usciva a scatti, scandagliando l'aria alla ricerca del suo unico obiettivo: litri di sangue. Preferibilmente fresco. 

La sua tattica d'attacco era molto semplice. Cercava di ferire la sua preda con i denti anteriori, lacerandone le carni. A quel punto la vittima perdeva copiosamente sangue e tentava di fuggire. Il Vopos poteva raggiungere i sessanta chilometri orari durante la corsa, ma preferiva seguire lentamente la sua preda, leccando accuratamente il sangue da terra, aspettando il boccone piú grosso. 

Alla fine la vittima, spossata, si accasciava a terra. Il Vopos si avvicinava e mordeva ancora. Poi poggiava la bocca sulle ferite e con una poderosa contrazione delle costole succhiava tutto il sangue che poteva, ingoiando grandi sorsate. Di solito si appisolava per riprendere il pasto dopo, con comodo. A meno che, nel frattempo, non fossero giunti altri Vopos, per partecipare alla festa.

E poi c’era la caratteristica più importante di tutte, quella che gli appassionati chiamano “l’esplosione”. 

Era una faccenda curiosa.

Il Vopos è in cima alla catena alimentare delle foreste di Kalgan. Non ha nulla da temere da altri animali, tranne quelli della sua stessa specie. Ma se un gruppo di Vopos si mette in testa di fare fuori un proprio simile c’è veramente poco che possa fare la vittima prescelta. L’evoluzione quindi ha escogitato un deterrente: lo stesso poderoso meccanismo di suzione viene utilizzato al contrario. Il Vopos, prima di morire, esplode. E nel farlo spara tutt’intorno un migliaio di piccoli aghi cornei gialli, nascosti sotto le squame del dorso, tanto duri e veloci da penetrare nella pelle dei Vopos intorno e farli sanguinare copiosamente. Nessuno di avvicina ad un Vopos morente, e ogni cacciatore se ne guarda bene.

Il Mulo sentiva le menti degli Horni poco distanti, tutti molto eccitati dal pasto della carogna e dalla difesa del proprio spazio alimentare. Doveva esserci un bella baruffa lì intorno.

Attivò il sistema di visione a infrarossi e subito riuscì a distinguere le calde lingue di tre Vopos che camminavano spediti verso la sua posizione. Si concentrò sulle loro menti, ma non ne sentiva l’aura, non ancora.

Da dove soffiava il vento? I Vopos l’avevano già individuato?

Certamente. 

Nella sua posizione tra gli Horni al pasto e i Vopos era sopravvento agli ultimi, e sentivano il suo odore, di sicuro.

Improvvisamente riuscì a percepire la mente del primo. 

Era impegnata a discernere i tre odori che sentiva: sangue di Calle, il grande erbivoro della foresta, Horni e … e … un altro, non sapeva cosa. La mente era concentrata sull’odore del sangue di Calle.

Dietro strisciavano due Vopos, più piccoli. Seguivano quello grosso, ma a distanza.

Qualcosa infastidiva il primo. Il terzo odore. Il suo.

Il Vopos grugnì, per stanare l’intruso.

Era il momento di farsi vedere.

Saltò fuori dal cespuglio. Non lo vedeva ancora, ma il fogliame si muoveva a scatti, frustato dalla coda. 

Adesso era in grado di vedere la sua mente.

Una densa crema rossa, un muro elastico di semplice determinazione animale. Non c’erano spazi apparenti, nessun sentimento, nessuna ragione. Solo crema rossa. Era sempre una sensazione affascinante per il Mulo. Un mente monocromatica. Straordinario. 

Ci aveva messo mesi a capire come penetrare in quella mente, rischiando tre volte la pelle. Poi aveva notato che c’erano due sfumature diverse, create dai due emisferi del cervello; una cremisi, l’altra più rossa. In mezzo c’era un’area sottilissima, gli unici pochi neuroni capaci di un qualche comportamento oltre la forza bruta più semplice. Entrando dalla fessura trovò solo due monoliti assoluti, vivi e pulsanti: il desiderio di sangue e di accoppiamento. In mezzo, l’istinto di conservazione, e un briciolo di paura per l’esplosione di altri Vopos. Nient’altro.

Una mente così semplice è impossibile da condizionare. I Vopos erano quasi le uniche creature dotate di cervello che il Mulo non potesse dominare: niente sentimenti, nessun “forse”, nemmeno un “chissà”, niente storie da raccontare, nessuna bugia.

Non poteva neanche fermarli. Ci riusciva in parte con altri animali, ma la sua formidabile arma mentale, quella che gli aveva fatto conquistare la Galassia, era inutile con i Vopos: nessuna emozione, nessuna paura, niente controllo.

Ma c’era di più. L’assoluta impermeabilità dei monoliti era affascinante, lo emozionava fin nell’intimo. Era straordinaria, non aveva mai provato una sensazione simile. E per di più era pericolosa.

Gli riusciva così facile ridurre un uomo ad un vegetale dolorante, con la sola forza della mente. Bastava un tocco qui e là e il poveretto finiva in ginocchio biascicando pietà.

Il Vopos no.

Se aveva deciso di attaccarlo per succhiarne il sangue, passava al galoppo e lo puntava, e non c’era niente che lui potesse fare.

Adesso il Vopos più grosso lo guardava, apertamente. Forse non aveva mai visto un essere umano. Forse uno o due neuroni si stavano chiedendo che razza di cosa fosse e perché facesse quell’odore così strano. Ma alla fine avrebbe sentito il sangue. 

Vide la sua lingua muoversi come se avesse una vita propria. Analizzava. Cercava il sangue. Lo avrebbe trovato. 

Anche quel Vopos aveva due monoliti nella mente. Grandi come palazzi. Quello dell’accoppiamento era gigantesco, forse aveva davanti un maschio Alfa. 

Attenzione!

Gli altri due!

Adesso li aveva alle spalle. Erano più vicini. Avevano molta più paura del Vopos maschio che di quella figura strana che avevano davanti. E avevano l’occasione di fare un pasto veloce, prima che il maschio Alfa decidesse di attaccare. 

Uno dei due si lanciò.

Il Mulo si voltò e prese la mira, appena sotto il muso che sobbalzava nella corsa. Attese che la mente del Vopos fosse ormai spenta nella foga e sparò. Il Vopos fece ancora due passi e poi cominciò a gonfiarsi, nell’ultimo terribile respiro. Fece appena in tempo a buttarsi a terra mettendo il fucile sopra la testa che gli aghi gli sibilarono sopra la schiena, veloci come frecce. 

Il secondo piccolo Vopos ne fu preso in pieno. Il Mulo alzò la testa e lo vide gonfiarsi a stento e poi scoppiare.

Il Vopos grosso era stato colpito anche lui, ma non gravemente. E adesso, per terra, c’era tanto sangue. Persino il Mulo ne era ricoperto. 

Guardò affascinato il grosso Vopos avvicinarsi al corpo di quello più piccolo e succhiarne il sangue. Vedeva la sua mente semplice illuminarsi di piacere, un piacere intenso. Si mise in ginocchio, indifferente al sangue che gocciolava dai suoi vestiti e si concentrò su quella mente. Girava e girava attorno a quel monolite senza potersene staccare, affascinato dalla potentissima intensità di quell’emozione ancestrale: il godimento del cibo. La sua mente godeva del sangue, con una potenza irraggiungibile da qualsiasi essere più evoluto. Un’universo totalizzante di piacere.

Quando il Vopos passò alla carcassa del secondo, nella mente del Mulo il monolite cremisi divenne enorme, si alzò verso il cielo, come una gigante rossa che esplode avvolgendo il suo sistema solare. Il Mulo non aveva mai vissuto un’esperienza simile, la sua mente si era fusa con quella del Vopos per trarne il più grande godimento che avesse mai vissuto.

C’era del dolore, ma l’odore del sangue era più forte, dolore e godimento si acuivano a vicenda. 

Nessun essere umano poteva godere così tanto. 

Lo odiò.

Odiò l’immenso piacere che invadeva quella mente primitiva mentre beveva a grandi sorsi il sangue nei resti esplosi del piccolo Vopos, odiò il dolore che accompagnava il godimento, odiò persino il sangue che scorreva lento dalle ferite su suo dorso. E quell’odio che montava nel suo cervello si avvolse intorno ai monoliti cremisi della mente dell’animale. Il Vopos si volse a guardarlo e fece danzare la lingua verso di lui. Anche lì c’era sangue. Adesso lo sentiva. 

Il grosso Vopos lasciò la sua preda e si volse verso di lui. La sua mente era ottenebrata dal piacere, e tuttavia ancora vigile, per averne di più.

Il Mulo non poteva sopportarlo, il suo odio, la sua frustrazione crebbe a dismisura. Intollerabile. 

Alzò il fucile e mirò alla coda. Voleva che soffrisse, nessuno poteva godere così tanto nella sua Galassia. Sparò uno, due colpi. Il Vopos si rigirò due volte, poi il Mulo sentì la rabbia devastare la sua mente e il Vopos attaccò.

In un attimo sentì che il monolite cremisi stava entrando nel suo cervello, provocandogli un dolore atroce e dietro di esso il piacere, l’immenso godimento di un pasto enorme e la certezza del prossimo accoppiamento.

Il Mulo barcollò. In tutta la sua vita non aveva mai nemmeno immaginato che simili emozioni potessero esistere.

Il Vopos adesso era al galoppo e la lingua sibilava. Pericolo. La mente del Mulo si scosse, un barlume di paura si fece largo nell’immenso godimento che la invadeva. Dovette fare uno sforzo sovrumano per tornare in sé.

Prese la mira sul muso e sparò due colpi in rapida successione, a sei metri dalla preda. Vide i denti spezzarsi e la bocca esplodere per i colpi del suo fucile, e dietro di essa aprirsi un varco grande quanto un pungo. Doveva averlo colpito al cuore. Il Vopos si accasciò ma continuò ad avanzare per inerzia. Poi cominciò a gonfiarsi. 

Il Mulo non aveva altro scampo. Col Vopos a due metri che si gonfiava, aveva un’unica possibilità di salvezza, buttarsi sotto di lui. 

Il Vopos esplose e il Mulo fu ricoperto da una cascata di sangue caldo che puzzava di carogna, il sangue di tre Vopos, tutti morti.

Stordito, sgusciò dalla carcassa del Vopos e ne guardò i resti, la mente ancora piena dell’immenso godimento.  Si inginocchiò e morse la carne morta bevendone il sangue a fiotti. 

Bevve e bevve, fino a non poterne più. I monoliti cremisi ronzavano ancora nel suo cervello, roteavano, lanciando lampi di piacere intensi, in mezzo a voragini di dolore, orgasmi primitivi di esseri viventi primordiali. Si stese sull’erba fra gli alberi, in mezzo alle carcasse dei Vopos, continuando a godere e a gemere.

Un dolore lancinante lo scosse.

Sulla gamba, sulla gamba.

Un Horni aveva cominciato a mangiarlo.

La sua mente esplose in un urlo di dolore e lanciò un’emozione di paura mortale sul volatile che si immobilizzò terrorizzato fino a morire. 

Il Mulo si mise in ginocchio e cominciò a vomitare tutto il sangue che aveva bevuto, a pezzi grossi come uova, e mentre la nausea cresceva continuava a vomitare finchè lo stomaco non fu di nuovo vuoto, stretto nella morsa dei suoi muscoli addominali. 

Il sangue della ferita aperta dall’Horni si mischiava al sangue di cui era intrisa la foresta. E tuttavia la sua mente non riusciva a liberarsi dei monoliti. Continuavano a occupargli la mente, avvolgendola nella crema rossa in cui affondavano, turbinando come in un maelstrom.

Rischiava di morire per semplice risonanza.

Con un supremosforzo di volontà premette il pulsante di richiamo sul braccio sinistro e in trenta secondi lo Zanzi fu sopra di lui. Il tubo antigravità lo avvolse e si trovò seduto nello Zanzi, a trecento metri d’altezza, appena sopra le chiome della foresta. 

Aprì il tettuccio dello Zanzi per respirare l’aria pura in quota, prese la cloche e la tirò, lasciando che il vento portasse via quel puzzo immondo di sangue putrido.

Adesso la mente era più lucida, fra poco la risonanza mentale con quella bestia sarebbe svanita, sarebbe diventata solo un ricordo, il ricordo più sconvolgente della sua vita. E si sarebbe trasformato in desiderio.

Tornare a cacciare i Vopos.

   
 
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