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Autore: Barbara Baumgarten    19/09/2015    2 recensioni
Edward Cullen è un vampiro, non nel senso epico ma in quello strettamente umano. E' proprio questa doppia natura, della quale lui non ha alcuna coscienza, che ho voluto far emergere. Lui si odia. Lui vorrebbe morire. Lui ha bisogno di Alice, più di quanto creda, fino a quando incontrerà Bella.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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~~Diario di Edward Cullen


Negli ultimi ottant’anni di esistenza - perché di questo si tratta, di esistere e non vivere - l’unico contatto con la mia parte umana, se ancora ve ne è un barlume, è questo diario. Un’abitudine che mi è stata tramandata da mia madre e che mi tengo stretta, come un salvagente nel mare in tempesta. Si pensa che vivere in eterno possa essere una benedizione. Le strade sono ricolme di esseri umani che festeggiano l’arrivo del nuovo anno, augurandosi ogni bene. Ogni anno, è la medesima festa, ogni anno le aspettative si costruiscono e, immancabilmente, vi è chi ne rimane deluso. Ma per me, l’anno precedente è e sarà identico a quello che lo seguirà. Non ho più contatto con il tempo. Non so cosa significhi guardare un orologio che, ticchettando, segna il trascorrere inesorabile della vita. La mia è un’eternità, vuota come un fazzoletto bianco, ben piegato e risposto nel taschino. Senza pieghe che ne declamino l’usura, senza macchie ne raccontino la storia. Bianco. Il vuoto. L’eterno.

La notte. Trascorro la mia ascoltando musica, scrivendo su questo diario. Ho un armadio pieno di piccoli libri scritti da me, dove ogni pagina segna la mia sofferenza, giorno dopo giorno. Non ho mai riletto ciò che ho scritto, perché non ne ho bisogno. Il diario rappresenta il momento di quiete che, faticosamente, riesco ad ottenere. Perché non bastava l’eternità, non era sufficiente perdere la mia anima. No, la mia punizione doveva essere più irrompente di un fiume in piena che spezza gli argini, inondando la vallata. Dovevo sapere cosa pensa la gente, leggere nelle loro menti e faticare, giorno dopo giorno, nel mantenere la pace nella mia.
Sono stanco. Più volte ho pensato di porre fine alla mia sventura, ma non ci sono riuscito. Medito, fin nei particolari, ma qualcosa finisce, sempre, col fermarmi. Penso a Carlisle, a quanto la sua intenzione fosse nobile, il giorno che mi ha trasformato. Penso alla sua sofferenza e non potrei mai dirgli quanto, in realtà, avrei preferito morire quel giorno. Non ho mai chiesto l’immortalità: mi fu offerta da un uomo che credeva, e crede ancora, che qualcosa di buono un vampiro possa farlo. Lui è stato capace di donare nuova esistenza a tutti noi, ma non credo che potrò mai pagare il fio di ciò che ho fatto, di quello che sono. Carlisle aiuta la gente, giorno dopo giorno, salvando vite. Io? Io ho dissanguato esseri umani, ho goduto nel gesto, mi sono smarrito nel dolce sapore che inebriava la mente, dissetando la gola. Sono riuscito a cambiare, lo so, ma non potrò mai avere il perdono da Dio, perché solo un’anima può essere salvata e la mia l’ho persa il giorno in cui mi fu donata l’eternità. Carlisle ha pareggiato il conto. Io no. So di essere condannato, lo leggo nella mia esistenza. Non potrò avere perdono, perché non mi viene concessa nemmeno la possibilità di amare e di essere amato. Guardo la mia famiglia: Carlisle e Esme, Rose ed Emmett, infine Alice e Jasper. Sono felici, hanno ciò che io non potrò mai avere: l’amore di una compagna, di un eterna anima gemella con la quale confidarsi e trascorrere l’esistenza. La mia unica amica è la possibilità di sapere i desideri degli altri, le loro sofferenze. Trascorro ore ad ascoltare i futili pensieri delle persone e non per curiosità, ma per condanna.
Solo Alice riesce, in qualche modo, a capirmi. Anche lei ha un dono particolare e, forse, è proprio questo ad unirci. Sa quanto sia dura, per me, la solitudine. La osservo mentre con amore si prende cura di Jasper, stando attenta alle situazioni più difficili da gestire per un vampiro, da poco convertito alla dieta animale. La guardo mentre mi sorride, cercando di aiutare anche me. Io sono e rimarrò senza speranza alcuna se non quella di poter, un giorno, farla finita. I Volturi…
Quante notti trascorse a pensare, in ogni dettaglio, il modo più rapido per porre fine alla mia esistenza. Volterra è in tal senso, la mia Terra Promessa dove potrei, finalmente, trovare la pace. Basterebbe poco. Basterebbe avere il coraggio.

 


La scuola mi uccide. Non lo dico come se fossi realmente un ragazzo di diciassette anni, ma come vampiro. Fatico a fingermi interessato a qualunque attività mi venga proposta e, soprattutto, fatico a rimanere saldo nel principio della mia famiglia. Non devo bere sangue umano, ma non è sempre facile. Guardo Jasper, l’ultimo arrivato, e mi rendo conto di quanto la nostra scelta di vita, sia difficile da seguire. Sento i suoi pensieri, avverto la sua sete. Ci sono giorni in cui la sua brama di sangue mi contagia. Un vampiro alle scuole superiori: luogo colmo di giovani in pieno sviluppo ormonale, ognuno con il suo odore, ognuno con il suo sapore. Avverto l’aumentare della saliva nella mia bocca e lo stomaco contorcersi per il desiderio di sangue umano. Ma io non sono un mostro. Non voglio essere un mostro.
Durante il giorno, fingiamo di essere adolescenti qualunque, ma il travestimento non funziona. Tutto, in noi, è stato creato per attirare le prede, come la corolla di fiore attrae l’ape. La nostra voce, il nostro profumo e il nostro aspetto. Sento i pensieri delle ragazze. Bramerebbero avermi, ma non sanno quanto io brami loro. Evito qualunque contatto non richiesto, ma i loro sguardi e i loro pensieri mi seguono, instancabili.
Alice, ancora una volta, mi stupisce con la sua fermezza. Lei riesce a infondere la tranquillità necessaria affinché né io né Jasper, abbandoniamo la retta via. Alice è la mia forza, la mia speranza.   


Un altro giorno è trascorso, una tacca in più della mia esistenza. Mi vengono in mente i segni che i prigionieri tracciano sui muri per non perdere la cognizione del tempo. Le pareti di camera mia dovrebbero essere ricoperte di tacche. Per questo non metto date nel diario; che senso avrebbero? Eppure, noi, come famiglia, festeggiamo il tempo. Carlisle ritiene che sia una cosa giusta, una cosa umana che ci permette di andare avanti. Lo testimonia la grande collezione di cappelli dei diplomi che troneggia sulla parete delle scale. L’anno prossimo prenderò il mio ennesimo diploma, mentre per Rose ed Emmett, questo, sarà l’ultimo anno.  Poi ci trasferiremo tutti, di nuovo. È come una tradizione: rimaniamo qualche anno, nello stesso luogo, giusto per fingere il ruolo di famiglia felice, finché il nostro aspetto ci consente di passare per adolescenti, poi ci spostiamo. Anche questo, come tutto il resto, comincia a pesare nel mio cuore morto. Vorrei fermarmi, mettere radici, ma non è possibile. Soprattutto qui, a Forks. Carlisle ha faticato molto per avere una tregua con i Quileute, ma non siamo mai ben accetti. Mi chiedo dove mai lo saremmo? Siamo dei mostri. Dei succhiasangue. Noi uccidiamo, è la nostra natura, ma non mi perdonerò mai abbastanza per questo.

 

È accaduta una cosa strana, della quale mi vergogna anche il solo ricordarla. Eppure, sento che mi farà bene rileggerla, fra molti anni, per cui la metto qui, nero su bianco, in bella grafia come ci si aspetta da me. I Volturi sono un pensiero fisso nell’oceano di pensieri che non mi appartengono, l’unica cosa davvero mia. Ho visto Volterra, ho visto me stesso al cospetto di Aro, come un sogno ad occhi aperti. So, quasi per certo, che i Volturi non mi permetterebbero mai di morire, almeno senza giusta causa. Aro è un collezionista e sarei di grande aiuto fra la sua Guardia. Non mi ucciderebbe mai, senza essere obbligato. È da questo che ho cominciato a pensare, seriamente, al modo più semplice per convincere i Volturi a dare forma alla mia richiesta, vagliando diverse opportunità, scandagliando vari scenari alla ricerca di quello ottimale. Non potrei mai uccidere, non così, non per me. Ma l’aggressione non è l’unico modo per annunciare al mondo degli umani la nostra esistenza: noi abbiamo doti evidentemente mostruose. Ho pensato di rilucere in piena piazza, davanti a centinaia di persone, lasciando che i raggi solari risaltino il cristallo della mia pelle. Sarebbe un modo fantastico, sarebbe ottimale. Ero, e sono convinto, che fosse la soluzione migliore: ecco perché Alice l’ha visto e perché mi vergogno. Mi sorella è entrata come una furia nella mia stanza, con gli occhi sgranati per la paura. Aveva visto tutto, aveva assistito alla mia morte. Dapprincipio fui quasi sollevato, perché significava che ce l’avrei fatta, che sarei riuscito nel mio intento. Ma, subito dopo, l’abbraccio terrorizzato di Alice mi ha fermato.
“Dimmi che non è vero” mi ha detto, a fil di voce vicino all’orecchio “Dimmi che non hai intenzione di farlo”
Era una supplica, una preghiera sofferente rivolta ad un demone troppo egoista per pensare al dolore che avrebbe inflitto alla propria famiglia. Varie volte, nella mia esistenza, mi sono trovato abbracciato ad Alice, ma mai in quel modo. Lei si era aggrappata a me, per fermarmi, per rallentarmi. Per amore. Siamo rimasti vicini a lungo, per la durata dell’intera notte.
“Non sei un mostro, Edward” mi ha detto “Sei la persona più bella che io abbia mai incontrato, da vampira e da umana”
Quanto amore in quelle parole e sebbene io non creda fino in fondo a ciò che mi ha detto, ho compreso l’affetto con cui le ha pronunciate. Non sono riuscito a dire molto, ho solo mostrato la mia sofferenza a lei.
“Sono solo, Alice. Terribilmente solo. Non ero adatto ad una vita mortale e non lo sono nemmeno per l’eternità. Vi amo, tutti, ma vi invidio” ho detto, abbassando lo sguardo. “Che razza di amore è, un amore invidioso? Vedi? Nemmeno nei sentimenti riesco ad essere più nobile del mostro che sono”
“Riuscirai a trovare la tua compagna, Edward, credimi. E credimi quando ti dico che sei migliore di quanto tu pensi”
Avrei voluto crederle. Avrei voluto con tutto me stesso.
Un’altra tacca del tempo, un altro giorno è trascorso. Ma se ancora sono vivo, è per merito di Alice: la mia forza, il mio coraggio.

 

 Sembra che ci sia una novità, in questo sperduto paese. La gente non parla e, soprattutto, non pensa ad altro. Isabella Swan. Questo è il nome che sento pronunciare più spesso nelle ultime ore. Lo sento a scuola, lo sento per strada. Un’altra anima sta per aggiungersi alle altre tremila e seicento, nella contea di Clallam. Sembra che sia la figlia dello sceriffo Swan e che arriverà domani. Già avverto l’emicrania del turbine di inutili pensieri che mi invaderà a scuola.
Che esistenza vuota e triste, la mia. Aspettare, giorno dopo giorno, che non accada nulla in modo da sentire solo il silenzio intorno a me. Vana speranza. Solo nei boschi ho la libertà di stare da solo con i miei pensieri. La caccia: unico momento di silenzio. Sono andato con Alice e Jasper, per loro richiesta. Sapevo il motivo, ma non mi sono opposto: forse mi avrebbero fatto bene. In effetti, Jasper è riuscito a farmi sentire bene: sapevo che era un artificio, ma ho goduto del momento, della pace interiore che è riuscito a donarmi. È trascorsa più di una settimana da quella battuta e miei occhi sono nuovamente affamati, eppure sto meglio.

Non è possibile! Quanto a lungo ho combattuto contro la mia natura da predatore? Per quanto tempo sono riuscito a trarre la forza necessaria per non cadere nella tentazione di uccidere un essere umano? Oggi ho rischiato di mandare tutto in fumo! Non trovo le parole per scrivere ciò che ho provato, non ci riesco. Ho trascorso l’intero pomeriggio a parlare con Alice. Lei dice che non farò del male alla ragazza, che la mia forza di volontà è superiore all’istinto predatorio. Ma non ci credo. Oggi ci è mancato poco, troppo poco. In un attimo, ho pensato a trenta modi diversi per ucciderla, per portarla via e bere il suo sangue. Non mi era mai successo prima. Ho pensato di mettere tutta la mia famiglia nei guai, solo per assaporare il suo sangue. Ancora adesso, pensandoci, aumenta la salivazione e il mio corpo reagisce, tendendo tutti i muscoli. Non avrei mai creduto di potermi sentire così male, eppure l’esistenza alla quale sono condannato non smette mai di piegarmi, sempre di più, in basso, schiacciandomi col peso del rimorso. Mi odio, con ogni fibra del mio essere. Ho preso un coltello, oggi pomeriggio, e lo passato con violenza sul mio polso. Inutile dire che la lama si è spezzata. Ho sentito la Morte ridere di me, del mio vano tentativo. Sapevo che non avrebbe funzionato, ma se solo avesse potuto scalfire la mia pelle ne avrei goduto. Non posso tornare domani a scuola, non potrei resistere un altro minuto di fianco a quel profumo. Bella Swan. Quella ragazza non fa che arrossire, richiamando il sangue sulle sue guance e facendomi ribollire dentro. Inoltre è una tabula rasa, per me. Ora che ci penso, non sono mai riuscito a leggerle nei pensieri. Perché? Di certo a qualcosa avrà pure pensato, ma non l’ho sentito. Frustrazione. Devo parlarne con Alice, sapere se anche per lei la ragazza non ha pensieri.

Più tardi…

Ho finito ora di parlare con Alice. Le ho chiesto se fosse possibile non avvertire i pensieri di una persona. Lei sostiene che la sete, probabilmente, mi ha offuscato il dono, ma non ne sono convinto. Se ciò non fosse già frustrante, Alice ha aggiunto che Bella ha intenzione di parlarmi. Lei vede Bella, perché io non la sento? Non posso affrontare la ragazza, non ora che sono giorni che non mi nutro. Se Alice ha visto le intenzioni di Bella, devo fare di tutto per essere sazio e non farmi prendere dalla sete. Domani andrò a caccia. Qualcuno sta giocando con i fili della mia esistenza. E si sta divertendo un mondo.
Non trovo conforto se non nella presenza di Alice. Ho paura. Per la prima volta nella mia nuova esistenza, tremo di fronte a quello che sono. Ho uno strano presentimento, che mi assale ogni volta che penso a Bella: quella ragazza finirà per essere uccisa da me, in un modo o nell’altro. Eppure, sento che potrebbe essere una salvezza. Quanta confusione, in me.
Ho sete.
Quale novità…

NdA: Innanzitutto, questa OS è stata scritta per il concorso di love137063, indetto sul forum. Dovevo far piangere, far commuovere. Spero di essere riuscita, almeno, a trasmettere la tristezza di Edward, la sofferenza che, secondo me, doveva avere il suo personaggio. Mi farebbe molto piacere, sapere se ci sono riuscita o se ho deluso le aspettative. So che molte lettrici amano Edward. Non ho voluto renderlo debole, ma solo umano. Quell'umanitá che ha colpito tutti noi.
   
 
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