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Autore: RebelVale    19/09/2015    0 recensioni
Una ragazza, una famiglia un po' troppo perfetta e la voglia di scoprire la propria personalità. è la storia di Allison che cerca di conoscere se stessa affrontando LA PROVA della sua vita. Un viaggio che non ha mai compiuto da sola. Ma ci sarà qualcuno ad aiutarla in questo viaggio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Possenti, come solo la nuda roccia può essere, le montagne della mia infanzia si stagliano nel cielo piatto, dove nemmeno una candida nuvola increspa la sua superficie. Gli alberi cantano la melodia del vento mentre l’astro più luminoso cerca di accecarmi agli occhi. Distesa su un soffice prato all’ombra di una vecchia quercia non posso fare a meno di pensare a quanto questa scena possa sembrare idilliaca ai limiti della sopportazione. In realtà l’intera mia vita è un susseguirsi di scene sdolcinate al pari di una soap opera vecchio stile. È questo che ho sempre odiato della mia vita. Sono nata da una famiglia ricca, dannatamente ricca, talmente ricca da darmi la nausea. I miei primi anni di vita sono passati da una scuola di buone maniere alle lezioni private di storia, di lingue, portamento, equitazione, insomma avete capito una lunga lista. Tutto grazie a mia madre e al suo motto: “Tieni alto il nome della famiglia; studia, studia, studia e diventa qualcuno”. Ma lei lo ha sempre saputo, io l’ho sempre saputo. Io sono diversa. Ci racconta sempre del giorno in cui sono nata, della prima volta che vide la mia testa perfettamente castana. Si rammaricò di quella testa che da allora avrebbe rovinato le foto di famiglia: sbiadendo i loro sorrisi accecanti con i capelli scuri e lo sguardo serio. Mentre io crescevo con la consapevolezza di rovinare, anno dopo anno, le loro foto. Da sempre mia madre cercò di “adattarmi” alla famiglia e io piccola e insicura la lasciavo fare, seguendo scrupolosamente tutte le sue regole, tutti i sui consigli, tutte le sue lezioni. Diventando così la bambina perfetta che aveva sempre desiderato. Ma come in una chitarra non bene accordata in me c’era qualcosa che stonava. La colpa andò nuovamente imputata ai miei folti capelli castani, tagliati in un perfetto caschetto, ma di un colore troppo scuro. Per far fronte anche a questo problema mia madre decise che in un modo o nell’ altro la sua figlia minore sarebbe diventata bionda. Ma si sarebbe anche accontentata di un castano chiaro. Iniziò così un periodo in cui i miei capelli subirono la frustrazione di mia madre, mentre io da brava figlia modello sopportavo in silenzio. Ogni giorno i miei capelli venivano ricoperti di strani intrugli con camomilla, miele e limone. Tutto usò e con una costanza da invidiare, ma alla fine dell’anno i miei capelli erano rimasti immutati tranne per alcuni riflessi che viravano al biondo. Mia madre rinunciò. Ma quello che non sapeva era che anche io rinunciavo. Rinunciai a essere la figlia perfetta e feci una promessa. Da quella notte sarei stata me stessa. Scrissi la mia promessa su un foglietto di carta e la chiusi dentro un ciondolo regalato da mia nonna e aspettai per sotterrarlo in un posto che solo io conoscevo. Aspettai, per quelle che mi parvero un infinità di vite, guardando dalla finestra la Luna che lentamente disegnava un arco nella volta del cielo. Una perla iridescente che la Terra donò alla sua amata Cielo. Me la immagino ancora, bellissima nel suo lungo abito color notte spruzzato di stelle, mentre sfoggia la sua perla più preziosa ai balli di gala. Venni svegliata all’improvviso dallo scoccare di mezzanotte. L’inizio di un nuovo giorno. L’inizio di una nuova vita. Usci di soppiatto dalla mia camera con la promessa in mano e scesi le scale cigolanti di mogano, attraversai un intricato labirinto di corridoi immersi nell’oscurità. Quando arrivai alla porta di ingresso esitai un momento. Uscire di nascosto nel cuore della notte con indosso solo una vestaglietta andava contro ogni regola, non l’avevo mai fatto e questo mi spaventava. Stavo per fare marcia indietro quando il ciondolo freddo tra le mie dita mi ricordò il motivo per cui ero la. Spalancai la porta che dava al giardino e la brezza serale mi investì in pieno viso giocando con la mia leggera camicia da notte. Armata di nuovo coraggio mi incamminai nella notte rischiarata dalla flebile luce della Luna. In pochi minuti arrivai al posto che avevo scelto e senza perdere tempo cominciai a scavare la terra calda a mani nude mentre le stelle vegliavano il mio lavoro. Quando la buca fu abbastanza grande e profonda lasciai scivolare il pendente e rivolsi il viso alla Luna, affidando la mia promessa al vento, custode dei segreti da tempo immemore. La mia vita cambiò. Il sottile strato di nebbia che mi offuscava la vista si dissipò e ogni cosa acquistò un nuovo valore. Mi lanciai in un ballo sfrenato e potevo quasi sentire le stelle che lanciavano sonori “Hurrah!” incitandomi a continuare. Quando mi sentii esausta mi inchinai e ridendo corsi a casa verso la mia nuova vita. Quando fui nuovamente al calduccio sotto le coperte parlai. Parlai per delle ore, dissi tutto quello che non avevo detto in 6 anni: a me piacciono i capelli lunghi non corti, amo il gelato alla menta, non mi piace giocare a palla ma a nascondino, i mostri non esistono ma gli alberi parlano e conversano tra loro e così via fin che non mi finì la voce e le prime luci dell’alba non fecero capolino dalla finestra aperta della camera. Guardai estasiata il sole che minuto dopo minuto, centimetro dopo centimetro, si faceva strada squarciando il manto nero blu della notte. Quando il sole era ormai alto, con un sospiro mi addormentai. Quella mattina non mi svegliai come il mio solito alle 8:30 precise e inutile dire che non mi feci trovare alle mie solite lezioni mattutine. Quando penso alla faccia di mia madre all’ora di pranzo mi scappa ancora un sorriso, con i capelli arruffati, le mani sporche di fango e una salopette logora trovata chissà dove. Da allora non seguì più alcuna lezione, mi feci crescere i capelli e finalmente fui libera. Ma, si perché c’è un ma, c’è sempre un ma, non mi sentii davvero libera. In fin dei conti ho sempre sentito gravare su di me il giudizio di una famiglia troppo perfetta. Una sorta di libertà vigilata in un carcere bello grande, con tanto di giardino e divertimento super lusso, ma pur sempre un carcere. Ho sempre vissuto cercando quella chiave che mi avrebbe permesso di scappare, a volte cercandola insistentemente a volte cercando di accontentarmi della mia libertà vigilata. È da qualche giorno che l’ho trovata. Non ci credevo ad averla pronta per aprire il cancello della gabbia. La userò. Domani l’uccellino spiccherà il volo.

   
 
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