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Autore: claws    19/09/2015    1 recensioni
E dopo le speranze la sua immaginazione cominciava a volare tra le gocce di pioggia, schivandole come se i suoi pensieri avessero l’Ambizione – e quale ambizione: Ace cercava di immaginare come fosse diventato Sabo, da grande. Non come sarebbe diventato, ma come fosse diventato, perché la sua fantasia veniva subito dopo la sua speranza, che gli lasciava desiderio soltanto di pensare al meglio.
[ASL][Più Ace e Sabo che Rufy][≈900 parole]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: ASL, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'ASL & FOB'
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They got those Jet Pack Blues



When the crew goes silent the ringing in my ears gets violent











 

 

Sapete, ci sono momenti in cui anche uno come Portuguese D. Ace si sente perso, triste e arrabbiato con se stesso. In realtà, queste sensazioni non gli lasciano mai molta tregua: però è diventato bravo nel respingerle. Quando è entrato nella ciurma di Barbabianca ha capito che non è tutta colpa sua, se lui è figlio di Roger, se ha disubbidito a Garp e il vecchio non l’ha mai perdonato, se uno dei suoi fratelli è morto.

Forse non è tutta colpa sua, eppure prova odio nei confronti di se stesso quando pensa a Sabo, e alla propria impotenza quando lo vide cadere in acqua e rivoltarsi nelle onde e il suo cappello finire per aria e poi giù e—

Ace si passa una mano sulla faccia per levare la pioggia dagli occhi: perché quella è pioggia, e lui non sta piangendo. Per questo non sa se volersi del male o del bene. Prende la propria collana rossa tra le mani e comincia a strofinare le dita su di essa come se fosse un rosario (non che Ace abbia mai pregato in momenti simili).




 

 

 

Le sue non erano mai state preghiere; erano state speranze, quello sì. E dopo le speranze la sua immaginazione cominciava a volare tra le gocce di pioggia, schivandole come se i suoi pensieri avessero l’Ambizione – e quale ambizione: Ace cercava di immaginare come fosse diventato Sabo, da grande. Non come sarebbe diventato, ma come fosse diventato, perché la sua fantasia veniva subito dopo la sua speranza, che gli lasciava desiderio soltanto di pensare al meglio.

Ecco: Sabo era là in fondo, sospeso sulla nebbia del mare prima dell’alba. Aveva i capelli corti, biondissimi sotto al cappello scuro; per magia aveva il viso lucido e asciutto sotto l’acquazzone; gli occhi scuri e grandi, o forse no, non erano più i suoi occhi da bambino, si erano fatti più sottili, come se gli eventi avessero assottigliato la sua migliore espressione felice. C’era il suo cappello a cilindro, c’era un mantello scuro su cui rimbalzava la pioggia – e le gocce producevano un suono che rimbombava nella testa di Ace come se fosse il ritmo di un enorme tamburo celeste –, c’era un sorriso storto ma affettuoso, sul viso di Sabo, sul viso che Ace immaginava appena sopra le onde e dentro la pioggia.

Appena Ace guardò sotto i piedi di Sabo e vide le onde sollevarsi sopra la testa bionda del suo fratellone, Sabo venne inghiottito dai cavalloni come un piccolo pesce da una balena. Ace trattenne un grido: si stava odiando di nuovo follemente, come se si fosse punto con un ago enorme su quella S che lo torturava e lo salvava ogni volta.






 

 

 

 

[Our hands were just that close]


 

Durante quel temporale, stavano dormendo tutti e tre nello stesso letto. Rufy era tra loro e dormiva a pancia in su con le braccia spalancate: sembrava una stella marina. I suoi scogli erano i suoi due fratelloni, e Rufy vi si era abbarbicato per bene. Nel sonno, Ace aveva inconsapevolmente cercato di allontanarlo con un paio di piedi freddi infilati tra le ginocchia di Rufy, mentre Sabo aveva accolto il braccio di Rufy tra i propri e dormiva beatamente.

Per colpa di un tuono mostruoso, Ace si era svegliato per primo. Rufy ronfava sonoramente; Sabo aveva aperto un occhio, poi l’altro, e aveva dato un’occhiata a Ace.

«Tutto bene?»

«Sì, tutto a posto,» rispose Ace, facendogli una piccola linguaccia.

«Avvicinati a Rufy. Manda un sacco di calore.»

«Mh.» Ace non era per nulla convinto. Sabo dovette strattonarlo con un braccio perché fossero tutti e tre più vicini e più al sicuro.

«Sai, sono molto felice, Ace.»

Ace non fece in tempo a guardar male Sabo che il suo fratellone biondo s’era già riaddormentato.


 

[The sweetness never lasts, you know]






 

 

 

 

E quel sakè che avevano condiviso – Ace avrebbe voluto che ce ne fossero stati altri, oltre a quello. Altri tre bicchierini, in altri luoghi, su altre rotte, con altri equipaggi ad attenderli.




 

 

 

Sabo non beveva alcolici. Koala lo aveva preso in giro dicendo che l’acqua è per i perversi: eppure non riusciva ad assaggiare neanche il miglior alcolico in circolazione. Lo stomaco gli si chiudeva e non c’era nulla da fare per rimediare.

Tempo dopo si sarebbe ricordato di tutto e avrebbe capito il motivo per cui non era in grado di bere: la sua mente aveva dimenticato, mentre il suo corpo aveva da sempre ricordato i loro tre bicchierini e il loro essere fratelli.

Il corpo ricordava, ma la testa, quella—quella gli aveva fatto un male del diavolo, quando aveva ricordato ogni singola cosa.




 

 

 

Prima di dissolversi nella schiuma delle onde, l’immagine di Sabo aveva detto ad Ace: «Non andare così presto nella luce. Torna da me.»


 

Guardando Rufy negli occhi a Marineford, prima di morire, nella testa di Ace quelle parole finalmente ebbero un significato—ma ormai era tardi, e non aveva abbastanza fiato per raccontare la verità. Quella verità che la luce di un altro mondo gli aveva svelato.


 

Nel morire, Ace ringraziò tutte le persone che lo avevano amato (e che lo avrebbero amato ancora, fino alla loro morte): ma rimpianse tanto la luce del suo mondo, quella che ancora illuminava i begl’occhi dei suoi due fratelli.






















Note Autrice:

I FEELS. Datemi un recipiente per i miei feels, io non so più dove tenerli.

Mi spiace, vi ho rovinato il sabato sera con un’altra storia triste. Per l’amor del cielo.

Le due citazioni a metà storia sono dalla canzone Jet Pack Blues dei Fall Out Boy e mi son servite per dividere il flashback dal resto. Grazie, FOB, per tutte le vostre canzoni felici, mannaggiavvoi.

Spero che vi sia piaciuta e non so – questa è la prima storia che scrivo che quasi m’ha fatto piangere al finale. L’ho scritta in così poco tempo che non sono riuscita ad affezionarmici – o forse sì. No, decisamente mi ci sono già affezionata. Per carità del cielo.

Grazie per aver letto.

claws_Jo




Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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