They got those Jet Pack Blues
When
the crew goes silent the ringing in my ears gets
violent
Sapete,
ci sono
momenti in cui anche uno come Portuguese D. Ace si sente perso, triste
e
arrabbiato con se stesso. In realtà, queste sensazioni non
gli lasciano mai molta
tregua: però è diventato bravo nel respingerle.
Quando è entrato nella ciurma
di Barbabianca ha capito che non è tutta colpa sua, se lui
è figlio di Roger,
se ha disubbidito a Garp e il vecchio non l’ha mai perdonato,
se uno dei suoi
fratelli è morto.
Forse
non è tutta
colpa sua, eppure prova odio nei confronti di se stesso quando pensa a
Sabo, e
alla propria impotenza quando lo vide cadere in acqua e rivoltarsi
nelle onde e
il suo cappello finire per aria e poi giù e—
Ace
si passa una
mano sulla faccia per levare la pioggia dagli occhi: perché
quella è pioggia, e
lui non sta piangendo. Per questo non sa se volersi del male o del
bene. Prende
la propria collana rossa tra le mani e comincia a strofinare le dita su
di essa
come se fosse un rosario (non che Ace abbia mai pregato in momenti
simili).
Le
sue non erano
mai state preghiere; erano state speranze, quello sì. E dopo
le speranze la sua
immaginazione cominciava a volare tra le gocce di pioggia, schivandole
come se
i suoi pensieri avessero l’Ambizione – e quale
ambizione: Ace cercava di
immaginare come fosse diventato Sabo, da grande. Non come sarebbe
diventato, ma
come fosse diventato,
perché la sua
fantasia veniva subito dopo la sua speranza, che gli lasciava desiderio
soltanto di pensare al meglio.
Ecco:
Sabo era là
in fondo, sospeso sulla nebbia del mare prima dell’alba.
Aveva i capelli corti,
biondissimi sotto al cappello scuro; per magia aveva il viso lucido e
asciutto
sotto l’acquazzone; gli occhi scuri e grandi, o forse no, non
erano più i suoi
occhi da bambino, si erano fatti più sottili, come se gli
eventi avessero
assottigliato la sua migliore espressione felice. C’era il
suo cappello a
cilindro, c’era un mantello scuro su cui rimbalzava la
pioggia – e le gocce
producevano un suono che rimbombava nella testa di Ace come se fosse il
ritmo
di un enorme tamburo celeste –, c’era un sorriso
storto ma affettuoso, sul viso
di Sabo, sul viso che Ace immaginava appena sopra le onde e dentro la
pioggia.
Appena
Ace guardò
sotto i piedi di Sabo e vide le onde sollevarsi sopra la testa bionda
del suo
fratellone, Sabo venne inghiottito dai cavalloni come un piccolo pesce
da una
balena. Ace trattenne un grido: si stava odiando di nuovo follemente,
come se
si fosse punto con un ago enorme su quella S che lo
torturava e lo
salvava ogni volta.
[Our
hands were just that close]
Durante
quel
temporale, stavano dormendo tutti e tre nello stesso letto. Rufy era
tra loro e
dormiva a pancia in su con le braccia spalancate: sembrava una stella
marina. I
suoi scogli erano i suoi due fratelloni, e Rufy vi si era abbarbicato
per bene.
Nel sonno, Ace aveva inconsapevolmente cercato di allontanarlo con un
paio di
piedi freddi infilati tra le ginocchia di Rufy, mentre Sabo aveva
accolto il
braccio di Rufy tra i propri e dormiva beatamente.
Per
colpa di un
tuono mostruoso, Ace si era svegliato per primo. Rufy ronfava
sonoramente; Sabo
aveva aperto un occhio, poi l’altro, e aveva dato
un’occhiata a Ace.
«Tutto
bene?»
«Sì,
tutto a
posto,» rispose Ace, facendogli una piccola linguaccia.
«Avvicinati
a
Rufy. Manda un sacco di calore.»
«Mh.»
Ace non era
per nulla convinto. Sabo dovette strattonarlo con un braccio
perché fossero
tutti e tre più vicini e più al sicuro.
«Sai,
sono molto
felice, Ace.»
Ace
non fece in
tempo a guardar male Sabo che il suo fratellone biondo s’era
già
riaddormentato.
[The
sweetness never lasts, you know]
E
quel sakè che
avevano condiviso – Ace avrebbe voluto che ce ne fossero stati
altri, oltre a
quello. Altri tre bicchierini, in altri luoghi, su altre rotte, con
altri
equipaggi ad attenderli.
Sabo
non beveva
alcolici. Koala lo aveva preso in giro dicendo che l’acqua
è per i perversi:
eppure non riusciva ad assaggiare neanche il miglior alcolico in
circolazione.
Lo stomaco gli si chiudeva e non c’era nulla da fare per
rimediare.
Tempo
dopo si
sarebbe ricordato di tutto e avrebbe capito il motivo per cui non era
in grado
di bere: la sua mente aveva dimenticato, mentre il suo corpo aveva da sempre ricordato i loro tre
bicchierini e il loro essere fratelli.
Il
corpo
ricordava, ma la testa, quella—quella gli aveva fatto un male
del diavolo,
quando aveva ricordato ogni singola cosa.
Prima
di
dissolversi nella schiuma delle onde, l’immagine di Sabo
aveva detto ad Ace:
«Non andare così presto nella luce. Torna da
me.»
Guardando
Rufy
negli occhi a Marineford, prima di morire, nella testa di Ace quelle
parole
finalmente ebbero un significato—ma ormai era tardi, e non
aveva abbastanza
fiato per raccontare la verità. Quella verità che
la luce di un altro mondo gli
aveva svelato.
Nel
morire, Ace
ringraziò tutte le persone che lo avevano amato (e che lo
avrebbero amato
ancora, fino alla loro morte): ma rimpianse tanto la luce del suo
mondo, quella
che ancora illuminava i begl’occhi dei suoi due fratelli.
Note Autrice:
I
FEELS. Datemi un
recipiente per i miei feels, io non so più dove tenerli.
Mi
spiace, vi ho
rovinato il sabato sera con un’altra storia triste. Per
l’amor del cielo.
Le
due citazioni a
metà storia sono dalla canzone Jet Pack Blues dei Fall Out
Boy e mi son servite
per dividere il flashback dal resto. Grazie, FOB, per tutte le vostre
canzoni
felici, mannaggiavvoi.
Spero
che vi sia
piaciuta e non so – questa è la prima storia che
scrivo che quasi m’ha fatto
piangere al finale. L’ho scritta in così poco
tempo che non sono riuscita ad
affezionarmici – o forse sì. No, decisamente mi ci
sono già affezionata. Per
carità del cielo.
Grazie
per aver
letto.
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.