Complainte de
Premiere
Chapitre : Mon rêve épanoui
Parigi, 2004.
Seduto sul letto, la schiena
contro la testiera lignea del letto, il ragazzo fissava i suoi piedi nudi, che
spuntavano dalle lenzuola
stropicciate. Mosse le dita, come per testarne la sensibilità.
Poi sospirò, gettando la testa castana all’indietro.
Un filo di luce filtrava
dalla porta del bagno, attraversava il corridoio, e si gettava contro il muro
della camera. Il ragazzo la fissò per qualche istante, attendendo che il filo
di luce divenisse uno spicchio e che proiettasse
quel’ombra così familiare. Quel’ombra che attendeva, e che allo stesso tempo,
quasi, temeva.
Ci stava mettendo tanto, come
al solito.
Perse lo sguardo alla
finestra, in quella fetta di cielo notturno che la tenda verde non riusciva a
coprire mai.
E che lui non voleva affatto
coprire. Non gli piaceva il troppo buio, come non apprezzava la troppa luce,
nella sua stanza. Perché il buio
celava ai suoi occhi la bellezza di quel corpo, muscoloso e abbronzato, che si
mescolava accanto a lui, tra le lenzuola.
Ma la luce era anche peggio,
perché mostrava cosa realmente fosse: una mera illusione.
Sospirò nuovamente, gli occhi
che vagavano tra la stoffa della tenda. Vedeva il palazzo di fronte, le
finestre tutte buie, chiuse. Nessun altro amante malinconico su un letto vuoto,
con cui scambiarsi qualche incoraggiamento.
Sentì la porta del bagno
aprirsi cigolando, e non poté fare a meno di guardare l’ombra che, come aveva
previsto, si stagliava contro la parete, per una frazione di secondo, prima che
il click dell’interruttore facesse spegnere la lampadina.
Un’ombra maschile, non molto alta, ma dai
lineamenti ben marcati, muscolosi.
Udì i suoi passi scalzi sul
pavimento e poi varcare la soglia della stanza da letto in penombra.
Incrociò le gambe, rizzandosi
a sedere, cercando di cancellare qualsiasi espressione negativa dalla faccia. Che
stupido che era, a costringersi nella parte dell’amante spensierato e
soddisfatto della situazione. Eppure non poteva fare a meno. Lo vide raggiungere
i suoi vestiti, gettati a terra a fianco del letto, e a raccoglierli, posandole
sulle coperte aggrovigliate. Poi si sedette, dandogli la schiena, infilandosi
uno ad uno, lentamente, gli indumenti.
“Vai di già Bankotsu?” chiese, avendo cura di inserire una nota di
infantile dispiacere nella voce. Allungò un piede nella sua direzione,
accarezzandogli la schiena, scostandogli la treccia di capelli corvini che gli
scendeva tra le scapole. “Avevi detto che ti saresti fermato in città anche
domani…”
Lui non reagì al contatto. Si
infilò la maglietta e poi la camicia, abbottonandola. “Domattina dovrò
svegliarmi presto, e non dovrò mostrare di aver avuto una serata movimentata.” Si alzò per infilarsi il paio di stretti blue jeans che
l’altro aveva apprezzato così tanto.
“Domani sera? Posso invitarti
a cena?” domandò, fingendo indifferenza.
“Ho il volo domani
pomeriggio.” Rispose Bankotsu.
“Ah. Torni presto a Lille, questa volta. E’ stata proprio una toccata e fuga.”
Il tono acido della frase non riuscì proprio a trattenerlo.
L’altro sospirò, sedendosi
nuovamente sul letto, vicino a lui. Lo coprì con le lenzuola, come se fosse un
bambino riluttante ad andare a dormire. “Jakotsu…”
sospirò nuovamente, alzando lo sguardo verso il suo volto.
Gli occhi, quei due opali iridescenti che lui non avrebbe mai
smesso di ammirare, brillavano nella semioscurità. “Devo dirti una cosa.”
“Fai pure.” Disse il ragazzo
castano, cercando disperatamente di
darsi un tono noncurante. Quando Bankotsu usava
quella frase, per lui significava qualcosa di tremendo. “C’entra la tua
ragazza?”
Bankotsu annuì, distogliendo lo sguardo dall’altro. “Ti ho
sempre detto che ti avrei fatto soffrire.” Iniziò.
“Eppure tu non hai smesso di cercarmi.”
“Beh, nemmeno tu l’hai
fatto.” Si sforzò di allargare le sue labbra nel suo sorriso più genuino.
Doveva ringraziare la penombra, o Bankotsu avrebbe
notato che le sue labbra erano tirate nervosamente. “Avanti, spara, non
lasciarmi sulle spine!”
“Mi sposo.”
Questa non se l’aspettava.
Aveva sempre creduto –sperato – che la ragazza di Bankotsu fosse una copertura, o
che fosse una storiella passeggera, con cui riempire il tempo che era costretto
a passare a Lille.
Non riuscì nemmeno a tenere
il sorriso sforzato. “Ah.” Ripeté. “Così giovani?” si sforzò di parlare,
cercando in tutti i modi di mantenere un tono neutro. “Senza convivere prima?”
Non gli stava riuscendo bene.
“Quindi è… un addio?”
Bankotsu rispose che era meglio di si.
“Già, in effetti. E’ meglio
così. Sai… il matrimonio è molto importante, è una cosa che… che ti cambia la
vita. Ed è molto impegnativo… perciò… si, è meglio lasciar perdere le
avventure.” Decise di smettere di tentare di parlare.
La voce gli tremava troppo.
L’altro si alzò, prendendo la
giacca abbandonata su una poltrona ed infilandosela. Gli si avvicinò,
sfiorandogli nuovamente la guancia pallida. “Mi dispiace, non volevo che
finisse così.” Sembra serio, e sincero. Come era
sempre sembrato. Ma lo era mai stato davvero?
“Non hai mai voluto che
finisse in modo diverso. O che le cose si evolvessero” si, questo doveva almeno
dirglielo. Si voltò di scatto verso il comodino, aprì il cassetto e ne estrasse
un pacchetto di sigarette. Le lunghe dita affusolate lo aprirono e ne
estrassero una. Se la infilò tra le labbra, poi prese dal cassetto anche
l’accendino e l’accese. La fiammella illuminò per un
istante anche il volto di Bankotsu, così vicino ora
al suo. Sembrava che i suoi occhi fossero lucidi. Si tolse la sigaretta dalla
bocca, espirando il fumo sulla sua faccia. Lo vide chiudere le palpebre e
soffocare un colpo di tosse. Salutista com’era, aborriva il vizio del fumo,
detestava l’odore di tabacco e non sopportava sentirlo su di lui. Per questo,
quando lo veniva a trovare, Jakotsu si sforzava di
non accenderne neanche una. E di arieggiare la casa, di cambiare le lenzuola.
Di usare quel bagnoschiuma al muschio bianco che a lui dava il mal di testa, ma
che a Bankotsu piaceva tanto.
E di cucinargli al quelle polpette alle verdure, tutte filamentose ed
insapori, che lui doveva mangiare ad occhi chiusi per non vomitare.
Ma ora non aveva più
importanza. Ora non occorreva più nessuno sforzo, nessun sacrificio da parte
sua.
Quando la nuvola di fumo si dissolse dal suo viso, Bankotsu
non si era mosso di un millimetro. Aveva solo aperto gli occhi. “Mi dispiace”
ripeté. “Tu non sai quanto… avrei dovuto starti alla
larga.”
Per quanto ora si sentisse in
bilico sull’orlo del precipizio, Jakotsu ponderò i
momenti che aveva passato insieme a lui. Quattro anni
di incontri, prima assidui poi sempre più rari, anelati, sospirati. E sempre
segreti.
Perché Bankotsu
aveva una reputazione da difendere. Lui era un leader nello sport, lui era la
medaglia d’oro della nazione agli ultimi mondiali di Karate.
Lui aveva aperto una palestra, grande e famosa, a Parigi. Ed un’altra, sempre grande, nella sua città natale, Lille. Dove aveva anche una
ragazza. Una fidanzata.
Jakotsu in tutti quegli anni l’aveva ammirato, capito,
supportato. Aspettato. Si era comportato prima di tutto da amico, e poi da
innamorato. C’era però da riconoscere che Bankotsu
non aveva mai cercato di illuderlo. Gli aveva sempre detto la verità in faccia.
Non nuda e cruda, questo era vero. Ma non l’aveva mai nascosta.
“Sei stato leale con me. A
tuo modo.” Mormorò, un colpo alla sigaretta per far cadere la cenere. Per
terra. Ma ora il disordine in camera non aveva importanza. Poi aspirò un’altra
boccata.
Bankotsu gli spostò, con delicata forza, le dita e la
sigaretta dalla bocca, e le sostituì con le sue labbra. Sembrò prendere in sé
il veleno del fumo, a toglierlo, insieme al respiro, ai battiti del cuore e
all’ultima illusione, da Jakotsu.
Un bacio d’addio.
Si staccò e si allontanò,
camminando lentamente verso l’uscita. Sembrò quasi tentennare. Poi riprese
decisione ed uscì dalla stanza. Pochi passi nel corridoio ed era giù uscito
dall’ingresso, chiudendo la porta alle sue spalle.
Jakotsu chiuse gli occhi con decisione. Quel momento doveva
tenerlo per sempre con sé, come monito alle relazioni future.
E sarà difficile che decida di averne una seria, dopo
questa esperienza. Si disse. Si alzò
e si diresse verso la finestra, aprendola un poco per fare uscire il fumo. La
strada sotto casa era vuota. Alle due di un martedì notte (o di un mercoledì
mattina, che dir si voglia), anche le grandi arterie della città erano vuote.
Figurarsi una delle poche viuzze anonime di Montmartre.
Gli prese improvvisamente la
foga di uscire, di distrarsi, di dimenticare.
Pensò di perdersi tra qualche
locale a Pigalle, di conoscere un uomo – un uomo qualsiasi che lo trovasse almeno un poco attraente – e di portarlo in
quella camera dove, solo mezz’ora prima, aveva gridato di piacere il nome del
suo (ex) amante.
Ma poi desistette. Chi lo
avrebbe aperto poi, il negozio, l’indomani mattina?
A proposito, doveva trovarsi
un’assistente. Ormai iniziava ad avere un discreto giro di conoscenze, che lo
trattenevano per ore fuori dal negozio per servizi
fotografici di vario genere. Era meglio assumere qualcuno che stesse al banco e che svolgesse le mansioni più elementari.
Bene, ottima idea.
Domani avrebbe cercato
subito. Avrebbe messo fuori un bel cartello.
Si staccò dalla finestra, e
fissò il letto. Tra quei cuscini l’aveva baciato, accarezzato, amato. Che
stupido idiota che era stato a sprecare tempo e giovinezza rincorrendo un sogno
che scappava con fermezza da lui.
E adesso c’era ancora
l’impronta del suo corpo sul materasso! E il suo odore sul cotone delle
lenzuola! Se avesse controllato, probabilmente avrebbe trovato anche uno dei
suoi lunghi, lucenti capelli neri su uno dei cuscini.
Spense la sigaretta con
rabbia nel posacenere. Poi raccolse le lenzuola spiegazzate, tolse le federe
dei cuscini e ne fece fagotto. Si diresse al bagno e gettò il tutto, con forza,
dentro la lavatrice. Impostò il programma, riempì la vaschetta di detersivo e
l’avviò.
Rimase per qualche istante
incantato dall’oblò. Poi si diresse dentro la doccia.
I suoi vicini di casa non
sarebbero stati contenti, ma questo era un problema secondario. Attese in un
angolo del box che l’acqua calda scorresse, poi si
tuffò completamente sotto il getto confortante.
Quasi sorrise, scuotendo la
fradicia chioma ribelle. Suonava strano soffrire d’amore (Si, perché il suo era
amore – quello di Bankotsu no, forse. Ma il suo lo era eccome!) a Parigi, la città dove ci si innamorava per
antonomasia.
Gli venne in mente uno dei
suoi film preferiti, ambientato proprio in quella città. Sotto l’acqua
scrosciante, cantilenò a mezza voce il motivetto con cui si apriva la scena
iniziale, una strofa che aveva sempre sentito sua:
“There was a boy...
A very strange enchanted boy.
They say he wandered very far, very far
Over land and sea,
A little shy and sad of eye
But very wise was he.
And then one day,
One magic day, he passed my way.
And while we spoke of many things,
Fools and kings,
This he said to me,
"The greatest thing you'll ever learn
Is just to love and be loved in return."
C’erano ancora tante cose là
fuori. Stolti e Re.
Tra le tante cose per cui valeva la pena vivere, ce n’era una in particolare: Le sorprese.
Arieccomi, prima del previsto!!!
In realtà non riuscivo a staccarmi
completamente dalla storia che avevo appena terminato… Continuavo a pensarci, e
nonostante avessi anche altri soggetti (sicuramente più interessanti di questo)
da prendere in considerazione per scrivere, non ho potuto fare a meno di
partorire questa…idiozia.
Questa FanFiction
è da considerarsi uno Spin-Off di This
Time Around. Sono gli anni di Kagura (e di Jakotsu! – Numi del Cielo, com’è OOC) in Francia.
Ciò vuol dire che non dovete per forza
leggervi il mio precedente lavoro. Cercherò di rendere le due cose il più
indipendenti possibili l’una dall’altra. Purtroppo temo che qualche
collegamento tra le due sarà inevitabile, ma cercherò di circoscriverlo il più possibile
NOTE: il titolo deriva da una canzone
della colonna sonora di MOULIN ROUGE! (uno dei miei
film preferiti), così come il titolo del capitolo ne è un verso. Complainte de
Ed è proprio a Moulin
Rouge che Jakotsu pensa
sotto la doccia, canticchiando la prima strofa di Nature Boy, con cui si apre
il film.
Spero di fare un buon lavoro.
Grazie intanto per aver letto almeno
questo capitolo.
E.C.