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Autore: domjnjk    20/09/2015    0 recensioni
Inventare personaggi originali (ed affezionarsi ad essi) è una delle attività principali di un artista. Spesso sotto forma animale, antropomorfa, umana o sovrannaturale, e basati su temi quali modi di vestire, festività o particolari "stili", e inseriti in disegni o talvolta storie, vengono creati per esprimere la propria creatività ed eventualmente un po' di se stessi. I disegnatori danno spesso vita ai propri personaggi attraverso le animazioni, e la maggior parte di essi si sarà chiesto almeno una volta "Che succederebbe se i miei personaggi esistessero davvero?" È la stessa domanda che si pone il protagonista di questa storia, Ethan, giovane fumettista americano, che si ritroverà poi a convivere con le sue stesse creazioni ovunque si trovi, e che lo porteranno ad un susseguirsi di sfortunati ma anche bizzarri eventi.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Venni bruscamente svegliato da una voce acuta e femminile, più simile ad uno strillo.
E nonostante provenisse dal piano di sotto, risuonava nelle mie orecchie come se avesse direttamente colpito i miei già sensibili timpani.
Alzando, con molta fatica, la testa dal morbido e candido cuscino che voleva a tutti i costi riavere la mia testa, ebbi l'occasione di risentire ancora una volta il mio nome richiamato con prepotenza.

«Arrivo!!»

Urlai a mia volta, ricorrendo a tutte le mie forze per lasciare il pavimento che quella notte mi aveva volentieri fatto da letto.
Riportando lo sguardo su di esso, raccolsi da terra il cuscino e lo osservai con aria nostalgica, mentre gli parlavo come fosse una cara compagna.

«Tornerò da te al più presto, non temere

E scosso da un ennesimo richiamo, sbuffai pesantemente e lasciai la mia stanza sbattendo la porta come ogni singola mattina.
La routine era sempre quella, ed iniziava ogni volta con le urla di mia madre dalla cucina, ed io che rispondevo al suo strillare, appunto, strillando.
Ero l'unico in famiglia ad aver ereditato la voce alta e acuta di mia madre, nonostante avessi due fratelli minori.
Sia Andrew (5 anni) e sia Jeremy (11 anni) avevano già una voce più profonda della mia, Ethan, 19 anni.
Non erano rare le volte che i due si coalizzavano per farmi sentire a disagio al riguardo, esibendosi in ridicoli imitazioni della mia "voce da ragazzina", ma era il mio aspetto a far subito passare loro la voglia di canzonare.
Sia mia madre che i due fratelli avevano gli occhi scuri e i capelli color castagna, che sotto il sole estivo prendevano delle sfumature rossicce o color rame, mentre solo io avevo avuto la fortuna di avere i capelli neri come il carbone e uno degli occhi glaciali di mio padre.
Perchè solo uno? Eterocromia. Il mio occhio destro è castano, rispetto al sinistro azzurro.
Nonostante i miei fratelli ammirino questa mia caratteristica, spesso manifestando anche una profonda e irritante invidia, non considero la mia persona nulla di speciale, solo un caso raro.
Dunque, come ogni mattina, scesi la ripida rampa di scale appena fuori la mia porta, che portava al piano terra dove era radunato tutto il resto della banda, cane compreso.
Segnalai la mia presenza battendo il pugno contro il muro mentre mi dirigevo verso il bagno, passando dalla cucina, e ricevetti in risposta un paio di sbadigli, un latrato e ''Muoviti, è tardi!" da mia madre.

«Buongiorno anche a te

Dopo aver chiuso a chiave la porta del bagno mi sistemai davanti al lavello di marmo davanti lo specchio, senza voler in alcun modo alzare la testa, consapevole del mio non piacevole aspetto.
Difatti, quando alzai il capo per guardarmi, non seppi cosa mi trattenne dallo sferrare un destro contro il mio riflesso che sembrava appena uscito da un film dell'orrore o da una creepypasta.
Ero simile in tutto e per tutto a Jeff The Killer, e per quanto la cosa mi lusingasse non potevo permettermi di andare a scuola in quelle condizioni, o meglio, mia madre non me lo avrebbe mai permesso.
Il colorito della mia pelle, affetto dalla perdita di importanti ore di sonno, aveva assunto un colorito pallido latteo, e sotto i miei occhi trionfavano occhiaie degne del peggior zombie.
Quelli che qualcun altro avrebbe faticato a definire ''capelli'', erano talmente spettinati che il solo pensiero di doverci smanettare per metterli a posto mi faceva rivoltare lo stomaco come si rivolta un cappello.
E come se non bastasse, la mia vista era offuscata sia dal sonno che dalla mia fastidiosissima miopia, e reggermi in piedi senza crollare dormiente sul marmo mi era molto difficile.
Feci ciò che mi pareva più "normale". Girai completamente la manopola dell'acqua verso destra, e in pochi secondi tra le mie dita scorreva acqua tremendamente gelida.
No, non volevo farlo, ma era l'unico modo per destarmi da quella dormita ancora in corso.
Lasciai che il lavello si riempisse, prima di chiudere l'acqua ed emettere un profondo sospiro che sembrava più un incoraggiamento verso me stesso.
Feci un veloce conto alla rovescia da 5 a 0, con tanto di quarti e mezzi, per poi affondare la testa in quel liquido così freddo che mi sembrava di aver inghiottito un chilo di gelato in un sol colpo.
Riuscii a resistere per altri lunghissimi e affatto piacevoli cinque secondi, e quando ne uscii il battito dei miei denti era coordinato con il mio battito cardiaco impazzito, ma almeno ero riuscito ad aprire (più che altro a spalancare) gli occhi e a recuperare quella poca lucidità che mi bastava per circa 18 ore.

La visione di un cane che effettuava l'autopsia ad una rana, morta probabilmente per pietà, non era il genere di spettacolo che preferivo durante la colazione.
Eppure, c'era chi se lo godeva con la sedia direttamente voltata verso la finestra, mangiando come se niente fosse.

«Andy, devi proprio ammirarlo mentre sgranocchia una rana?» sul mio volto era presente un'espressione di puro e profondo disgusto, che andò ad intensificarsi quando al tutto si aggiunse lo scricchiolio di ossa dell'animale.

«Se ti fa schifo, smetti di guardarlo

La voce apatica di mio padre da dietro il giornale strappato, a volte, era più che seccante.
Mi limitai a tacere e a puntare lo sguardo verso mia madre alle prese con i fornelli, la quale stranamente non aveva ancora emesso parola da quando mi ero seduto a tavola, ma ci mise una frazione di secondo a rimediare.

«Ethan, sei ancora rimasto sveglio fino a tardi con quei disegni?»
«No.» mentii prontamente con voce cupa «Ho solo fatto un incubo
«Vorrai dire, un ennesimo incubo?» mi fece notare una voce proprio accanto a me.
«Taci, Jeremy...»
«Mamma, Ethan ha qualcosa che non va. Disegna animali senza testa tutti denti e privi di zampe
«Taci, Jeremy
«E da loro nomi assurdi, e ci parla anche! Dice che vuol
«Stai zitto

Scattai in piedi, i pugni serrati sul tavolo, i denti digrignati.
Fu allora che sentii la grande mano di mio padre colpirmi dietro la testa, completamente alla sprovvista, non facendo altro che aumentare la voglia di sgozzare quel ficcanaso.

«Non osare alzare la voce con tuo fratello in mia presenza. Fila a scuola

Fissando un ultimo, penetrante, omicida sguardo verso il ragazzino, spostai la sedia senza troppa grazia e nuovamente tornai in camera. Con lo stomaco che ribolliva di rabbia, sprofondai nel mio armadio.

La musica era sempre stata una mia fedele e amata compagna, e nei viaggi scuola-casa e casa-scuola non potevo in alcun modo farne a meno.
Non potevo fare a meno neanche del mio block notes e di una qualunque matita ad essere sincero, a stento sopravvivevo a quei tragitti senza dare di matto.
Il posto di cui ero il legittimo proprietario da 6 anni era un posto in ultima fila, privo di finestrino e incredibilmente caldo, e nessuno si faceva problemi a cedermelo.
Certo, i fastidiosi ragazzini di primo che ogni anno, puntualmente, cercavano di fregarmelo non mancavano mai. Ma chi si metterebbe contro chi ha l'aspetto di un non morto?
Giovedì, 23 Luglio.
La nostra scuola terminava il 30 di Luglio, in piena estate, ma in compenso non iniziava prima di Novembre.
Fortuna, sfiga? Io facevo parte di quelli che "stai zitto zitto e buono buono", ma non ero particolarmente d'accordo, se volete sapere la mia.
In quella mezz'ora, tra buche e deviazioni, abbozzai dei personaggi basati su chi avevo davanti, a volte delle caricature.
Disegnai una ragazza del secondo anno che per sua sfortuna si era ritrovata accanto a me, e che mi offriva uno spettacolo esilarante ogni volta che la guardavo, con quel suo sguardo terrorizzato.
Disegnai lei, ma decisi di apportare alcune necessarie modifiche. Le accorciai e raddrizzai il naso e resi i suoi occhi più grandi, in un tipico stile manga. I capelli biondi che le arrivavano fino alle spalle divennero sotto il mio tocco di un blu intenso (nella mia testa, dato che utilizzavo una matita). I vestiti li presi dalla ragazza due sedili più in là, sportiva.
Non ebbi però il tempo di finirla, e dovetti farmi quell'ultimo tratto a piedi.
Eravamo un gregge umano, un po' meno puzzolente di quello composto da pecore (certi elementi non mostravano differenza).
Ero a pochissimi metri dall'ingresso di vernice scrostata, e per un attimo sperai di farcela, ma fui costretto a fermarmi quando il disegno sparì dalla mia mano.

«Ridammelo, Shawn.» puntai uno sguardo che non ammetteva repliche su uno dei miei compagni di classe, tozzo e rasato, il classico tutto muscoli e niente cervello.
«Korall ha trovato la ragazza? Ma tu guarda, le ha fatto anche un ritratto!»

Sì rivolgeva al suo amico grosso e grasso, anche lui della mia stessa classe, il quale ridacchiava e grugniva come un porco da fattoria.

«Mi chiamo Kendall, e quella non è la mia ragazza. Ridammi il disegno, Shawn! »

Ruggii deciso, ma con quelle due teste teste di marmo avevo esaurito qualunque tentativo.
Il bello? Altre 17 persone più o meno uguali mi attendevano in 4 mura, o in tre muri e mezzo, essendo uno in parte sfondato da quando Mark ci finí addosso l'anno prima.
Ignorato il mio comando, continuando a dispensare commenti sprezzanti sul mio personaggio, entrarono nell'edificio lasciandomi lì con la mano tesa.
Ancora una volta, mi sentii ribollire dalla rabbia ancora in corso dell'accaduto a tavola, e mi sentivo letteralmente esplodere.
Quando serrai i pugni e feci per raggiungerli, un paio di mani mi bloccò da entrambe le spalle.

   
 
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