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Autore: alter_gioia    21/09/2015    3 recensioni
Un'amicizia nata sette anni prima in strane circostanze, un sogno dimenticato, paure da combattere e un potenziale sconosciuto.
Non dovranno solo ripulire i pensieri... dovranno salvare le loro stesse vite dalle loro stesse paure.
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"I sogni sono lo specchio della realtà, i demoni sono il riflesso della paura."
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Genere: Avventura, Comico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Corey Riffin, Laney Penn
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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PROLOGO
I Sogni Sono Lo Specchio Della Realtà
Stava camminando da chissà quanto in uno strano posto. Ovunque sorgevano dei biscotti giganti, come se fossero stati delle statue di uno stravagante museo per matti, e una serie di altre stramberie. Ogni volta che ne aveva l’occasione, alzava la testa e guardava in alto: le sembrava di trovarsi sotto una sorta di cupola che però aveva l’aspetto del cielo, solo un po’ più rossiccio. La pseudo-cupola era “costellata” da alcune nuvole che assumevano regolarmente le forme più svariate: prima una chitarra, poi un cane, altri biscotti e via discorrendo…
Mentre camminava, col sentimento di smarrimento che via via andava combattendo lo stupore, le sembrava quasi di notare due sagome in lontananza che si muovevano continuamente. Sembrava quasi che danzassero con agilità ma, più si avvicinava, più capiva che non si trattava di una danza. I movimenti era quasi tutti compiuti di scatto e apparivano stranamente concatenati.
Dopo quasi mezz’ora, che parve a lei un’eternità, si sentiva ancora più desolata. Si trovava da sola in una zona stranamente vuota e pianeggiante e, come se non bastasse, aveva perso di vista quelle due sagome. Erano sparite improvvisamente.
Mosse una decina di passi verso avanti e si sedette per terra. Era tutto ricoperto di polvere rossiccia. Non impiegò molto per sporcarsi completamente i pantaloni del pigiama. Prese fiato e si rialzò, guardando a terra. Voleva capire come fosse finita in quel posto. Aveva una voglia matta di scoppiare a piangere, proprio come se avesse perso i genitori in un supermercato, nella speranza di vere qualcuno che arrivava ad aiutarla. Ma la sua gola non emise alcun suono. Lei era così: sempre silenziosa, non riusciva ad esternare facilmente i suoi sentimenti. Anche per questo non riusciva a stringere amicizia con gli altri bambini della sua età. Tutti pensavano che fosse piuttosto strana e le davano dell’asociale. Camminando assorta nei pensieri, andò a sbattere contro qualcosa. Indietreggiò disgustata. Il contatto era risultato umido e stranamente freddo. Alzò la testa e le si mozzò il fiato. Davanti a lei era comparsa una creatura alta circa quattro metri completamente ricoperta di una strana sostanza nera. La bocca di quell’essere ripugnante sembrava cucita e gli occhi, leggermente socchiusi, non esprimevano alcuna emozione. La bimba ingoiò a vuoto e cadde a terra dallo spavento. La creatura ruggì facendo vibrare di poco le labbra incapaci di muoversi e il suono prodotto si diffuse riecheggiante ovunque. Poi cominciò ad avvicinarsi verso la bimba, la quale stava provvedendo ad aumentare la distanza strisciando per terra con i gomiti, trasformando quello sguardo inespressivo in un ghigno malefico. Tese uno dei tentacoli, che fungevano da braccia, e creò una strana sfera dai toni scuri. La bimba sentiva la pelle che le si accapponava. Cosa doveva fare? A momenti quella creatura immonda avrebbe tentato di ucciderla. Impossibilitata a muoversi, chiuse gli occhi aspettando di venire colpita. Passarono cinque secondi e non accadde nulla. Sentì solo un sibilo nell’aria e tonfo sul terreno. Riaprì gli occhi lentamente. Davanti a lei c’era un bambino di poco più alto di lei. Portava un cappello arancione con sopra stampato un teschio bianco, aveva i capelli blu, probabilmente tinti, che gli arrivavano un po’ più sopra delle spalle. Indossava una t-shirt celeste, un paio di pantaloni rossi e delle scarpe da ginnastica. Nella mano sinistra reggeva quello che a prima vista sembrò un bastone. La bimba aguzzò un po’ la vista e capì che il bastone era una spada di bambù. Il bambino fissava l’essere che ormai giaceva a terra ridotto in frammenti. Ogni frammento sparì emettendo un leggero scoppiettio. Il bambino ripose la spada in tasca, la quale vi entrò come per magia, e si girò verso la bambina.
“Tutto a posto?” chiese lui, porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi.
“Sì, grazie.”
La bimba usufruì dell’aiuto, si rimise in piedi e rimosse il grosso della polvere rossa dai propri pantaloni.
“Cosa era quel… quel mostro?” chiese poi preoccupata.
“Non è ho la più pallida idea. Però li incontro di frequente!” rispose lui ridacchiando come se non avesse mai fronteggiato quella bestia “Come ti chiami?”
“Laney. E tu?”
“Ah, no. Non mi chiamo Laney” rispose lui con uno sguardo un po’ tonto. Laney prese a fissarlo storto finché il suo salvatore non capì l’effettivo significato della domanda.
“Ah, volevi sapere come mi chiamo io! Sono Corey, piacere.” Si corresse sorridente.
All’improvviso sbucò un curioso orologio che stava per puntare le lancette sulle sette di mattina.
“Adesso devo andare, ci si vede!” continuò facendo l’occhiolino. Poi sparì nel nulla.
 
La piccola Laney si svegliò. Sbadigliò un paio di volte e poi si guardò intorno. Si trovava nella sua cameretta e nel suo lettino. Ripensò un attimo al sogno che aveva fatto e poi scrollò la testa. Era stato davvero strano. Si stiracchiò come un gatto pigro e scese dal letto. Era domenica e ciò poteva voler dire solo una cosa: presto i suoi genitori l’avrebbero trascinata a messa. Non che Laney odiasse entrare in quel luogo di culto e pregare. Lo trovava semplicemente noioso e si sentiva a disagio ad essere circondata da tutta quella gente. Fortunatamente aveva modo di risolvere facilmente la questione.
Ben presto la madre di Laney bussò alla porta della cameretta, invitandola dolcemente a svegliarsi. Poi abbassò la maniglia e diede il buongiorno alla figlia. Laney abbracciò la donna e le diede un bacetto sulla guancia. La signora però fece una smorfia, osservando meglio il pigiama della figlia.
“Laney, tesoro mio, perché le gambe del pantalone sono piene di terra rossa?”
Laney guardò le proprie gambe e rimase di sasso. Il tessuto leggero del pigiama era ricoperto da un leggero strato di polvere, la stessa polvere che aveva visto nel suo sogno. Guardò interrogativamente la madre, la quale le disse che probabilmente non aveva lavato bene gli indumenti.
Con un sospiro, la bimba indossò il vestitino che indossava ogni domenica per recarsi in chiesa: tutto rosa fatto di tulle e pizzi. Non gradiva molto indossare quel generi abiti in quanto le impedivano di compiere qualsiasi movimento, ma non si era mai lamentata con la madre. Se la donna era felice di vederla con quel capo indosso, lo sfoggiava con gioia. Allacciò l’ultimo lembo dei sandali con il velcro e si diresse in chiesa con la madre e il padre, tenendoli per mano. La chiesa era gigantesca e capace di accogliere anche il doppio della popolazione di Peaceville. Affianco alla chiesa, c’erano un giardinetto ed uno stabile che venivano sfruttati dalle suore che badavano ai bambini che andavano all’asilo. Laney entrò nell’enorme struttura religiosa con i suoi genitori e, appena poté, nel bel mezzo della funzione, si recò furtivamente all’esterno. Aveva nascosto, dietro un vaso di fiori fuori dalla vista di qualsiasi persona, un pallone da calcio. Lo prese e andò nei giardinetti di fianco passando attraverso un buco della recinzione. Nei giardinetti c’erano anche altri bambini che giocavano sulle diverse giostre lì presenti, ma a Laney non interessava: voleva solo giocare con il suo pallone. Prese a calciarlo contro un muro più volte, finché esso non rimbalzò altrove. La bimba dai capelli fulvi lo inseguì finché non si accorse che il pallone era finito contro un pastore tedesco. Laney indietreggiò leggermente spaventata dal cane, che nel frattempo aveva cominciato a ringhiare mostrando i canini aguzzi. Da un momento all’altro, avrebbe potuto balzarle addosso. Ma ciò non accadde. Arrivò giusto in tempo un bambino che diede una carezza al cane che gli leccò per benino la mano.
“Perdona Speedy, non ama molto i palloni!” esclamò il bambino girandosi verso la bambina “Tutto a posto Lan-?”. La domanda si interruppe bruscamente e il bambino si immobilizzò istantaneamente. Laney non fu da meno. Capelli blu, cappello arancione col teschio, t-shirt azzurra, pantaloni rossi… Era Corey, la stessa persona del suo sogno.
“C-corey?” chiese Laney balbettando.
“Come fai a sapere il mio nome?”
“Sembrerà strano, ma ho l’impressione di averti già conosciuto in un’altra situazione…” rispose Laney grattandosi la testa.
“Ho la stessa impressione anch’io…”
Gli sguardi fra Corey e Laney erano pieni di interrogativi. Come era possibile? Come poteva Laney averlo già incontrato nei sogni se prima di allora non l’aveva mai visto in giro? Corey, non tollerando affatto la tensione, trascinò Laney per il polso verso lo scivolo.
“Dove stiamo andando?” chiese Laney preoccupata.
“Ti devo far conoscere Kin e Kon, i miei due migliori amici. Andiamo!” la incitò lui, euforicamente.
Accanto alla scala dello scivolo, nella piscinetta della sabbia, c’erano due bambini, entrambi dai capelli neri e dai tratti facciali abbastanza simili. I due, vedendo arrivare Corey e Laney, non poterono fare a meno di assumere un’espressione stranita. Corey fece le dovute presentazioni (per quanto poterono essere accurate) e ritrovò subito a contrastare lo scetticismo dei gemelli Kujiria.
Kin strattonò l’amico per la manica della maglia e gli bisbigliò che una bambina non poteva di certo tenere testa alle loro “avventure”. Kin però non era molto bravo nel parlare sottovoce e quindi il messaggio venne percepito anche dalla stessa Laney. Corrugò la fronte e prese a battere leggermente il piede a terra. Detestava quando la gente la scambiava per la classica bimbetta che aveva paura di sporcare i pizzi e i merletti di quegli stucchevolissimi abiti che era costretta ad indossare. I tre maschietti presero a fissarla leggermente intimoriti, mentre la rossa prendeva in mano una certa quantità di fango e la lanciò contro Corey.
“Scusami tanto, ma dovevo fare una dimostrazione a questi due.” Si scusò poi con un leggero ghigno di soddisfazione. Il blu spostò il fango dalla propria faccia muovendo la mano a mo’ di tergicristalli e lanciò uno sguardo ai suoi amici, i quali erano letteralmente entusiasti.
“Credo che siano d’accordo con me… Sei dei nostri!” annunciò solenne porgendo il pugno. Laney urtò le sue nocche col proprio pugno e sorrise contenta. Era finalmente giunta una svolta.

 
Angolo della pazza me
Allora, salve gente del fandom! Come va?
Questa, ebbene sì, sarà la mia prima storia a capitoli. Non sarà molto lunga (diciamo che senza contare il prologo, saranno circa sei capitoli). Ovviamente vi anticipo solo che sarà fra le storie peggiori che la mia collega (ciao mente mia!) ha concepito. Potrei scrivere di meglio e, soprattutto, rendere ogni periodo più efficace. Se solo la mia pigrizia non mi combattesse. Spero che voi possiate apprezzare una storia scritta alla cavolo come questa :D
Detto questo, alla prossima! 

P.S.- Se qualcuno di voi sarà così insensato da aspettare con ansia i capitoli seguenti, che si metta comodo. Aggiornerò una volta ogni morte di papa D:
   
 
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