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Autore: Adeia Di Elferas    22/09/2015    4 recensioni
Dopo aver scoperto di avere pochi mesi di vita, Oscar si fa visitare - quasi di nascosto - dal medico che le ha diagnosticato la tubercolosi. L'uomo si affezionerà a lei e le darà dei preziosi consigli, che però la donna non sembra incline a voler seguire.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '...ma in un attimo il silenzio c'è'
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~~ “Certo, vi visito più che volentieri e spero di notare qualche miglioramento, anche se lo trovo molto difficile... Io più di questo non posso fare, lo sapete bene...” disse il medico, aprendo la valigetta: “Vi ho già consigliato di lasciare questa vita, che, lo ripeto, non è adatta alla vostra condizione...”
 Oscar si massaggiava la fronte, le sopracciglia alzate e lo sguardo rivolto alla scrivania. Teneva la giacca dell'uniforme poggiata sulle spalle, e le maniche bianche della camicia lasciavano intravedere le sue braccia sempre più sottili.
 Da quando quel medico le aveva detto apertamente che era tubercolosi il male che l'affliggeva, lo faceva andare nel suo ufficio privato di tanto in tanto, di solito di sera, quando nessuno li disturbava.
 Dopo il loro primo incontro, durante il quale il medico si era anche messo a piangere, tanto era stato mosso dalla situazione di Oscar, tra loro si era instaurato un rapporto di fiducia reciproca molto forte.
 Malgrado ciò, ogni volta finivano quasi per litigare, perchè l'uomo l'aveva presa a cuore e sperava di farla ragionare, prima o poi, e di convincerla a seguire passo a passo le sue indicazioni.
 La cura proposta era semplice: riposo, aria buona e pasti regolari. Tutte cose che non poteva avere, non a Parigi e non in quei giorni frenetici.
 “So già quello che pensate e non è per sentirmelo ripetere che vi ho chiamato qui.” disse Oscar, per far tacere il dottore, che si chiuse immediatamente in un mutismo quasi offeso.
 Se lo lasciava continuare quella che era in realtà una mezza farsa – visto che senza cura entrambi sapevano che il male non se ne sarebbe mai andato – era solo per avere qualcuno con cui non fingere.
 Non aveva ancora detto a nessuno la verità e non voleva nemmeno farlo. Suo padre avrebbe forse perso la testa, costringendola a chiedere un congedo e ad allontanarsi dalla città. La sua balia, poi, sarebbe andata completamente nel panico e, probabilmente, non avrebbe sopportato una simile notizia. André poi...
 “E il vostro amico come sta? L'ultima volta che l'ho incrociato non mi ha riconosciuto fino a che non gli sono stato a pochi metri.” disse il medico, dopo aver messo sulla scrivania tutti i suoi strumenti.
 Era stato lui a rivelare a Oscar la vera condizione di André, e ogni volta che ne aveva l'occasione, poneva qualche domanda per saperne di più su quel paziente che da tempo ormai non aveva più visitato.
 Oscar non dovette chiedere a chi si riferiva. Scrollò le spalle e rispose, a mezza bocca: “Non ci vede molto, ma per il resto...”
 “Siete molto testardi entrambi, vero? Anche lui avrebbe potuto curarsi e non l'ha fatto.” si lasciò scappare l'uomo.
 Oscar gli lanciò un'occhiataccia, ma non era in vena di ribattere. Era stanca e la sera stava lasciando il posto alla notte. Non vedeva l'ora di concludere quella scenetta e di andare a dormire qualche ora.
 “Scusatemi.” fece il medico, dopo un momento di imbarazzo.
 A volte quella donna gli pareva appena una ragazza. Gli ricordava molto la figlia che aveva perso qualche anno addietro, per un male che nemmeno lui era stato in grado di debellare.
 E ora anche colei che gli stava davanti rischiava di finire i suoi giorni preda dei tormenti e dei dolori. E lui non poteva fare altro per lei, se non assecondare richieste quasi infantili come quella di andare a visitarla ogni volta che lei lo chiedeva.
 “Non è nulla.” rispose Oscar, un po' secca: “Devo svestirmi, giusto?” chiese, tanto per dire qualcosa.
 Il dottore annuì con serietà e istintivamente andò alla porta per controllare che fosse chiusa a chiave.
 Ovviamente ci aveva già pensato Oscar a chiudere a dovere, ma andare a controllare era un espediente che il medico usava ogni volta per lasciare il tempo alla donna di spogliarsi in tranquillità.
 Quando tornò a concentrarsi su di lei, la trovò con indosso solo i pantaloni e seduta sulla sedia, dandogli le spalle.
 “Molto bene...” fece lui, prendendo il fonendoscopio e mettendosi accanto a lei.
 Poggiò la campana sulla pelle pallida di Oscar e le chiese di fare dapprima respiri molto profondi, poi più superficiali e infine di provare con qualche colpo di tosse.
 Quello che sentì non lo rassicurò affatto. La malattia stava progredendo e forse più in fretta del previsto. I sei mesi che aveva stimato all'inizio ora gli parevano un'utopia.
 Poi picchiettò con le dita negli spazi che si intravedevano tra le coste. Le chiese di respirare a fondo, di trattenere il fiato e poi di espirare. Poi le poggiò entrambi i palmi appena sotto le scapole e volle un respiro molto fondo.
 Poi l'ascoltò con una specie di cornetto e usò altri strumenti, di molti dei quali Oscar non conosceva neppure il nome, e a ogni nuovo strumento c'erano nuovi ordini da eseguire: espirare, inspirare, alzare le braccia, aprire la bocca...
 Oscar eseguiva tutto senza protestare né commentare in alcun modo. Il tocco delle mani calde del medico non la infastidiva né la preoccupava. In più, era la prima a sapere che non ci sarebbero state belle sorprese, perchè ogni giorno di più era lei a combattere col fiato corto e la fatica.
 L'uomo rimise le sue cose sulla scrivania e prese una sedia, mettendosi proprio di fronte a Oscar. Si soffermò sulle coste che cominciavano a essere più pronunciate e poi sul candore della pelle, che lasciava intravedere i vasi sottostanti.
 Mentre faceva queste valutazioni, non riuscì a evitare di vedere oltre il caso clinico. Gli venne spontaneo pensare che prima della malattia, quel corpo doveva essere florido e forte, i muscoli guizzanti e decisi e le forme più gentili e...
 Conosceva quella donna e – ora più che mai – vi riconosceva quella che avrebbe potuto essere sua figlia, se avesse raggiunto quell'età.
 Abbassò improvvisamente la sguardo, come se non volesse violare oltre quell'immagine.
 “Rivestitevi pure...” consentì, senza più guardarla.
 “Sono messa così male? Parlate chiaro...” fece Oscar, interpretando scorrettamente l'atteggiamento del dottore, che, comunque, non aveva davvero buone notizie.
 “Sapete quello che dovreste fare. Tuttavia...” disse il medico, alzandosi e cominciando a riordinare le sue cose.
 Anche stavolta le voltava le spalle, per lasciarle quel minimo di riservatezza che era d'obbligo nei confronti di una donna del suo rango.
 “Tuttavia?” domandò Oscar, non molto interessata, mentre si riabbottonava la camicia.
 “Tuttavia ormai non credo che potremmo fare più nulla, nemmeno se ci avalessimo del buon cibo e dell'aria di mare.” ammise l'uomo, lisciandosi i baffi e permettendosi di lanciarle un'occhiata triste.
 Era come sua figlia: aveva perso anche lei. Da quel momento in poi, qualunque presidio sarebbe stato del tutto inutile, solo una corsa contro il tempo e la malattia...
 Il viso di Oscar non lasciò trapelare la minima emozione. Solo quando afferrò la giacca, si potè notare un qualcosa di diverso, come una sorta di impazienza.
 “Dunque, tanto vale che io resti accanto ai miei soldati.” concluse Oscar, mettendosi a sedere dietro la propria scrivania e giungendo le mani in grembo: “Cambiare vita ormai non mi servirebbe più a nulla.”
 Il medico dovette trattenere le lacrime, come la prima volta che avevano parlato apertamente della prognosi severa che la tubercolosi avrebbe avuto: “Io...” cominciò, titubante.
 Oscar ora non nascondeva più il suo nervosismo: “Avanti, parlate!” disse, a voce alta, con rabbia, picchiando entrambe le mani sulla scrivania.
 Il dottore sussultò, ma non smise di piangere in silenzio, mentre le parole gli uscivano dalle labbra come un fiume in piena: “Questa non è comunque una vita adatta a una donna, una vita adatta a voi! Oscar, lasciatemi parlare come un padre parlerebbe a una figlia: andatevene! Vivete come avreste dovuto fin dall'inizio almeno adesso che la vostra vita sta per finire! Lasciate perdere la guerra e i soldati! Non è la vita che un padre vorrebbe per la propria figlia! Non è una vita adatta a voi! Vivete le vostre ultime settimane in pace, nella vostra casa di villeggiatura, sentitevi libera e sposatevi con il vostro And---”
 Prima che il medico potesse finire la sua invettiva, Oscar era scattata in piedi e lo aveva zittito con un forte e sonoro schiaffo a mano aperta sulla guancia.
 I due si guardarono a lungo, senza dire nulla. L'aria attorno a loro era carica di tensione e incertezza.
 Entrambi sentivano di aver osato troppo, in qualche modo, di aver valicato i confini imposti dal rapporto medico-paziente.
 Alla fine fu Oscar a parlare, lasciandosi cadere quasi a peso morto sulla sua sedia: “Voi non siete mio padre, dottore. E se lo conosceste meglio, capireste che quello che ha sempre voluto per me è esattamente questo.”
 “Non credo che voglia la vostra infelicità.” sussurrò il medico, chinando il capo: “Perciò ragionate su quello che vi ho detto.”
 Oscar sospirò e guardò verso la finestra. Ormai la notte era definitivamente calata e il cielo coperto di nuvole non lasciava filtrare nemmeno un raggio di luna.
 Quante notti le rimanevano? A sentire il dottore, poche...
 “Ci ragionerò, come volete voi. Farò finta che faccia parte della cura. Però vi avverto – disse Oscar, raddrizzando la schiena – non vi permetterò mai più di esprimervi così liberamente in merito alla mia vita privata.”
 Il dottore fece un breve inchino.
 “Per oggi direi che possiamo chiuderla qui.” lo congedò Oscar: “Tornate tra un paio di giorni, sempre alla solita ora.”
 “Così nessuno si accorgerà di me.” annuì il dottore, sforzandosi di sorridere.
 Oscar lo lasciò uscire e l'uomo si chiuse la porta alle spalle con delicatezza. La donna restò sola con i suoi pensieri, il che era il suo incubo peggiore.
 Unì le mani e le portò alle labbra, gli occhi ancora rapiti dall'oscurità che si stendeva oltre la finestra.
 Le parole che il dottore aveva osato rivolgerle, l'avevano fatta soffrire, perchè le aveva capite. In parte le avrebbe anche condivise, se non fosse stata schiacciata dalla sua realtà. Era figlia di suo padre, era un soldato, non poteva più tirarsi indietro.
 Che senso avrebbe avuto, vivere come diceva lui solo per poche settimane? Con quali rimpianti se ne sarebbe dovuta andare?
 Si massaggiò la fronte e si mise in piedi. Per quella notte, decise, non avrebbe più pensato a nulla, se non a riposare.
 Il giorno dopo, con un po' di fortuna, sarebbe stata abbastanza bene da concentrarsi sulla situazione di Parigi, di Versailles, della Francia e su come uscire da quella che sembrava essere una vera e propria rivoluzione.
 
   
 
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