Ero in una stazione lontana da casa, e il naso mi pizzicava. Ero andata al mare vestita, così mi ero bruciata tutta la faccia.
Non c'ero mai stata, in quella stazione. Era piccola. Piccola e vuota. Ed era agosto, e il sole era basso, e io fumavo appoggiata alla balaustra delle scale del mio binario. Ero lì poichè aspettavo la coincidenza per tornare a casa.
Avevo sete e la borsa mi pesava, ma il fresco della sera estiva e la luce arancione che bagnava l'atmosfera mi rendevano quieta.
Cercando di ignorare un gruppo di ragazzi che poco lontano si spingevano a vicenda verso i binari, guardai dritto davanti a me. Notai una ragazza spuntare dalle scale della piattaforma di fronte, che era deserta; erano gli ultimi binari, quelli dove i treni non fermano mai.
Aveva una minigonna corta di jeans e stivali da cowboy, e capelli castani con una frangetta spettinata. Camminava decisa. Aveva qualcosa. Qualcosa che tuttora non so spiegarmi, ma era impossibile non starla a guardare. Non era bella, nè brutta. Era straordinariamente normale, di una normalità quasi stonata e folle, tipo cappuccino e caramelle, invece di zuccherini. Dietro di lei camminava un ragazzo alto, con i capelli lunghi e una maglia dei Joy Division.
Mi incantai ad osservarli mentre si dirigevano sicuri verso una panchina orientata verso il sole e si accendevano una sigaretta.
Sembrava che avessero aspettato tutto il giorno solo per sedersi lì, tanto sembravano tranquilli e rilassati. Fissavano il tramonto e soffiavano via il fumo senza parlare.
Vedevo i loro profili. Sembravano così straordinari, che sarei rimasta tutta la vita a consumarmi gli occhi su di loro, cercando di capire il perchè di tanta perfezione.
Ad un tratto, si girarono e mi videro.
Arrivò il treno, e lo presi.