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Autore: Black Poisoned Mirror    23/09/2015    1 recensioni
Immagino che ognuno di voi, almeno una volta nella vita, abbia incontrato una persona che si distingueva dalla massa. Mi chiamo Astrid e, beh, a me è successo. Solo che nessuno a parte me riusciva a vederla.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La scrittrice entrò a passo svelto nell'atrio della 'Casa di riposo Jones'. Si avvicinò al banco della reception, dietro al quale era seduta una ragazza con i capelli biondi legati in una coda di cavallo, intenta a pitturarsi le unghie con uno smalto rosa acceso.
«Buon giorno, sono qui per incontrare...» la scrittrice controllò qualcosa su un foglietto che teneva in mano «la signora Astrid Stone.»
«Camera venti, primo piano.» rispose la ragazza senza nemmeno alzare lo sguardo.
«La ringrazio.»
La stanza numero venti era ampia e luminosa. Attaccati ad una parete c'erano una mensola piena di trofei, e la foto di una ragazza sorridente dai lunghi capelli castani che reggeva un attestato con su scritto: ''Vincitrice del concorso canoro di Londra''. Gli unici altri mobili presenti nella stanza erano una libreria, un letto dalla trapunta color pesca e un basso tavolino con due poltrone imbottite, una delle quali era occupata da una donna minuta e anziana intenta a parlare con un uomo alto dalla carnagione ambrata.
«Ehm, scusate... la signora Stone è qui?» chiese la scrittrice facendo un passo avanti.
L'anziana donna la guardò con degli occhi scuri brillanti ed attenti.
«Sono io.»
La scrittrice si avvicinò agli altri due.
«Salve! Mi chiamo Sylvia Moore, e sono qui per l'avviso che ha pubblicato recentemente sul Times...»
La signora Stone le strinse la mano con un sorriso, poi si rivolse all'uomo.
«Dottor Patel, sono molto mortificata, ma non potremmo rimandare queste... questioni ad un'altra volta?»
L'uomo sospirò, passandosi una mano tra i folti capelli neri.
«D'accoro, signora Stone, ma non creda di averla scampata! Adesso vi lascio. Arrivederci, signorina Moore.» rivolse un'ultimo sorriso a Sylvia e uscì dalla stanza.
«Bene, mia cara, si accomodi, prego.»
«Mi dispiace averla interrotta...»
«Oh, non si preoccupi, anzi, la ringrazio di cuore. Il dottor Patel è un bravissimo giovane, ma mi riprende sempre perché dice che non faccio abbastanza attenzione a quello che mangio!» disse la signora Stone con un'espressione divertita.
«Comunque, passando a questioni più importanti: ha detto di essere qui per ascoltare la mia storia... Posso chiederle che cosa vuole farne?»
«Mi piacerebbe ricavarne un libro. Naturalmente ci vedremo altre volte, e ci metteremo d'accordo sulla sua percentuale, e...» la signora Stone la bloccò con un gesto della mano.
«Non mi interessano i soldi, e se vorrà pubblicare ciò che le dirò, per me non ci saranno problemi. Non ho mai raccontato a nessuno quello che sto per raccontare a lei, ma ormai sono vecchia, e sento il bisogno di parlarne con qualcuno. Sarà meglio iniziare, è una storia piuttosto lunga.»
Sylvia estrasse un block notes, e la signora Stone chiuse gli occhi ed iniziò a raccontare...

«Mi ero sempre reputata una persona normale, senza nessuna particolare qualità. Si poteva dire che andavo bene a scuola, nonostante non fossi la prima della classe, e che ero brava negli sport, ma nemmeno lì brillavo per i miei risultati. Ero un puntino nero in un'infinita di puntini neri identici ad esso.
Era un uggioso pomeriggio di novembre, e mi trovavo a scuola. Mi fermavo spesso dopo le lezioni per studiare in biblioteca, ma quel pomeriggio, chissà perché, non riuscivo proprio a concentrarmi. Decisi che tanto valeva andare a casa, riordinai le mie cose e mi avviai lungo il corridoio. Fu allora che udii una melodia provenire dal piano superiore. Era una musica lenta e un po' malinconica, che m catturò immediatamente. Come se una strana forza mi stesse tirando, tornai sui miei passi e salii le scale. Il corridoio del secondo piano era deserto. Mi avvicinai in silenzio all'aula da cui proveniva la melodia. La porta era leggermente socchiusa. Mi accostai più silenziosamente che potei alla fessura e vidi nella sala un ragazzo intento a suonare al pianoforte, un sorriso appena accennato sul volto. Rimasi a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo.
Se io scomparivo nella massa, ero certa che lui riuscisse ad emergere in qualunque situazione. Indossava una maglietta nera e dei jeans neri scoloriti; il suo abbigliamento faceva risaltare ancora di più i capelli, bianchi. In quel momento, parve accorgersi della mia presenza, ed alzò lo sguardo verso di me. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo nei giorni di pioggia. Mi sentii arrossire, e mi ritrassi d'istinto.
Dalla stanza non provenne alcun rumore per cui, dopo qualche secondo, mi azzardai a guardare nuovamente dalla fessura.
Il ragazzo non c'era più.
 
   
 
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