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Autore: silverwings    12/02/2009    19 recensioni
C’è almeno una persona al mondo con cui è risaputo che non si possa avere a che fare senza nutrire l’incontrollabile desiderio di sopprimerla: è la propria nemesi naturale. E’ come avere la stessa carica. Negativo o positivo non fa differenza. E’ scientificamente provato che ci si respinge. E’ attestato per il 100% dei casi.
Ma la vita è un po’ diversa dalla scienza…
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Beh, eccomi qui…

Beh, eccomi qui…

Incipit difficile, questa volta.

 

Più di quanto non sia stato le volte precedenti ribadire le mie scuse per i ritardi, e sottolineare che comunque il mio impegno in questa fan fiction è assoluto, nella misura in cui il tempo per lo studio, per il lavoro e per poche altre cose oggettivamente più importanti, me lo permettono.

Più difficile perché non sono mai arrivata al punto di dover dire che, comunque, scrivere è e dev’essere – almeno secondo la mia opinione – un piacere.

E un piacere principalmente per chi scrive, non solo per chi legge.

Dico questo non per difendermi da chissà quale accusa, perché non me ne sono state rivolte: è stato anzi molto apprezzato il vostro continuo ricordarmi che c’era ancora qualcosa da scrivere in questa fan fiction, qualcosa che era tanto atteso da non potersi attendere per un (altro) anno, e come sempre sono estremamente grata a tutti voi che avete commentato ancora assiduamente, ancora con entusiasmo, la mia storia.

Dunque, dico questo per contestare solo una piccolissima parte delle vostre opinioni: perché no, io non vi sto mancando di rispetto.

 

Posso capire la delusione di non trovare un capitolo, e l’esasperazione nel pensare che la mia promessa di finire la fan fiction probabilmente implica tempi biblici, ma questo non significa che, ribadire la mia promessa e continuare a scrivere nei tempi che mi sono possibili, sia irrispettoso.

Non finirla, dopo avervi detto che l’avrei fatto, sarebbe irrispettoso.

E tutt’al più non aver mai detto che l’attesa sarebbe stata lunga – cosa che viceversa ho sempre detto – sarebbe stato irrispettoso.

Ma io scrivo, per me e per voi, tutte le volte che posso, ci metto impegno, e, di sicuro, tolgo tempo ad altre cose che sicuramente mi piacerebbe ugualmente fare.

E soprattutto nessuno obbliga nessuno a seguire questa fan fiction, specialmente se questo gli procura fastidio – e sto sempre parlando di un fastidio legato alla più che giustificabile esasperazione e rassegnazione per la lentezza infinita degli aggiornamenti, perché so che è di quello che si parla.

 

E, ripeto, so cosa vuol dire sentirsi un po’ delusi di fronte ad una storia mai aggiornata, mai finita, che si desidera molto vedere conclusa o continuata, ma penso comunque che non sarei mai stata giustificata nel ritenere irrispettoso l’autore che ne era “responsabile”.

Non era un suo dovere.

E ad ogni modo penso che non fosse così contento di non avere tempo o persino voglia di finire qualcosa che aveva iniziato, perché in fondo si sarebbe trattato di non continuare una cosa per cui del tempo l’aveva già speso (e generalmente è tanto tempo).

 

Detto questo, se è vero che scrivo per me e anche per voi, è anche vero che metto on-line le mie storia per lo più per voi (ovviamente, non nel senso che lo faccio a vostro esclusivo piacere e in me non c’è nessuna pretesa egoistica: sono contentissima all’idea di ricevere i vostri commenti, e per questo posto volentieri).

Dunque se tutti pensate che questo non vi crea più piacere, che questo sconclusionato modo di andare avanti implichi tutto sommato un gioco che non vale la candela, io posso smettere di postare la storia, o eventualmente scrivere un capitolo finale alternativo, che concluda un po’ le vicende fino a questo punto narrate, cosicché non abbiate aspettato per nulla.

Nel frattempo posso andare avanti a scrivere la mia storia, per come l’avevo immaginata e continuo a immaginarla, per me e per gli amici più stretti a cui posso mandarla via e-mail o comunque che possono averla disponibile senza passare da internet (che comunque richiede altro tempo ed energia quanto meno per rileggere e risistemare quello che non va più che bene)

 

Ve lo scrivo, con assoluta e totale disponibilità, con l’intenzione di sdebitarmi per l’incredibile gratificazione che ho avuto, grazie a voi, alla vostra partecipazione e al vostro apprezzamento, nel scrivere questa fan fiction fino a questo punto.

La mia e-mail è scritta sul mio profilo, ma in generale per quelli che avevano già intenzione di commentare il capitolo lasciando su EFP una recensione o che avranno questo desiderio nel corso della lettura (e spero siano tanti ^^) vale la regola che mi si può lasciare lì un brevissimo appunto, purché non mi sia scritto solo quello e purché sia davvero un appunto brevissimo: è importante, va rispettato il regolamento del sito.

 

 

The Draco and Hermione’s Opera

 

Capitolo 12. Oltre il velo

 

We have got through so much worse than this before
What's so different this time that you can't ignore?
You say it is much more than just my last mistake
And we should spend some time apart for both our sakes

 

Abbiamo passato tempi peggiori di questi
Cosa c’è di così diverso questa volta che non puoi ignorare?
Dici che è molto di più che solamente il mio ultimo errore
E che dovremmo separarci per il nostro bene

 

[Snow Patrol – Make this go on forever]

 

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.10
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy

Aveva lui mai detto che avrebbe potuto convivere con l’onta e la convulsioni generate dallo scusarsi sommessamente con quella deficiente cosmica di Hermione Granger?!

Per la verità, si.

Soffiò tra i denti del veleno puro, cacciandolo contro lo specchio nel tentativo di corrodere l’immagine ignominiosa che stava riflettendo di sé. Ma non poté far altro che piegarsi in due per i dolori atroci che gli strinsero impietosamente lo stomaco.

Sollevò faticosamente lo sguardo stravolto e imperlato di sudore. In una smorfia di trattenuto dolore, con le fitte che gli falcidiavano gli organi interni e con gli occhi ridotti a due sottili fessure, fece echeggiare per i sotterranei di Serpeverde un ululato incontrollabile e minaccioso, e tutta la scuola seppe che Draco Malfoy – l’impenitente, orgoglioso, collerico e lunatico, Draco Malfoy – aveva contratto una fulminante diarrea.

Un tizio di nome Sigmund aveva proposto una teoria interessante rispetto all’educazione dei così detti sfinteri, dando un ruolo cardine a quello proverbialmente posto nel popò. Attorno a questo sfintere aveva fatto tutta una serie di elucubrazioni confortanti sul senso del dono che ne proveniva e su come esso fosse un profumato investimento affettivo che non si volesse essere così disposti a rilasciare, almeno non nei primi mesi di vita. Un trauma di un qualche tipo in teoria avrebbe potuto impedirne la sua giusta regolazione… e in pratica avrebbe fatto nascere categorie concettuali altamente edificanti come: stitichezza, sindrome del colon irritabile, costipazione e la già citata diarrea, detta anche in gergo squisitamente medico “scariche di caghetta liquida

Partendo da questi presupposti, a giudicare dalla quantità di doni che sembrava possedere il suo intestino, e dalla frequenza con cui sentiva improvvisamente la necessità di espellerli, sarebbe stato giustificabile far risalire il suo disturbo a un trauma infantile di devastante entità.

Naturalmente, lui era di tutt’altra opinione.

Imputava infatti la sua condizione alla maledizione che i suoi avi avevano presumibilmente scagliato su di lui per quello che aveva fatto alla casata dei Malfoy pronunciando ignominiose parole di scuse. Per di più a una creatura completamente indegna persino di essere salutata.

Maledizione che aveva cagionato i suoi ripetuti tete-a-tete col water.

Ma non era colpa sua l’aver pronunciato ciò che aveva pronunciato. Era questa la ragione del suo colossale malumore!

Qualcuno gli aveva fatto un incantesimo! Qualcuno aveva architettato una vendetta contro di lui! E quel qualcuno con ogni buona probabilità e logica era Hermione Granger!

E a quel punto lui, innocente, ne stava pagando indebitamente le conseguenze!

Poco in portava se qualche esimio medimago avrebbe forse avvalorato l’ipotesi che mangiare due chili di marmellata alle arance e poi prendere freddo allo stomaco potesse in qualche modo incidere sulle abitudini intestinali di un qualunque individuo. E questo persino a prescindere da incantesimi o maledizioni. Per quanto fosse un fatto che di traumi infantili lui ne avesse certamente avuti, e di proporzioni indubbiamente devastanti.

D’altra parte, Draco Malfoy era tornato Draco Malfoy, e nessuno gli avrebbe tolto l’inguaribile desiderio di incolpare Hermione Granger di tutti i mali di questo mondo.

Dandole ovviamente un ruolo del tutto elitario per quello che riguardava i suoi, di mali.

Le cui proporzioni nell’ultimo quarto d’ora si erano ingigantite in modo spropositato, oltretutto.

Complice, sicuramente, il fatto che l’unico Serpeverde del suo stesso anno rimasto a Hogwarts per Natale sembrava essere Pucey Davis. E la cosa era pregnante se non altro per la semplice ragione che la possibilità di sfogare sugli altri il suo – costante – malumore era in linea di massima proporzionale al malumore stesso: non avere nessuno pronto ad ascoltare i vituperi che uscivano a fiume dalla sua bocca era strettamente connesso con l’impennata presa dal peso dei suoi mali.

E per quanto riguardava Pucey Davis, era semplicemente fuori discussione un qualunque contatto che non prevedesse esclusivamente un calcio negli stinchi.

Le parole non servivano con i traditori di Serpeverde.

E che Pucey Davis lo fosse – un traditore, intendo – era uno dei massimi credo di vita di Draco Malfoy.

Secondo, probabilmente, solo alla profonda convinzione che Hermione Granger dovesse essere accoppata.

Forte di questa schiacciante e indiscutibile verità, si trascinò verso l’infermeria con indiscussa grazia: rantolando e gemendo il più acutamente possibile, in versi straziati e strazianti. Il tutto al primario scopo di ragguagliare una creatura – non precisamente umana e non meglio specificata – che prima di morire doveva quanto meno espiare quella parte di colpe che l’avrebbe salvata dalla dannazione eterna e che guarda caso potevano essere suppergiù scontate dimostrandosi sufficientemente dispiaciuta per la sua condizione.

Draco Malfoy, dispensatore di indulgenze, era caritatevole fino a questo punto, si.

E cretino molto oltre qualunque punto, anche. Considerando che la Torre in cui si presumeva fosse colei a cui doveva giungere il suo urlo disumano era l’estremità fisica più lontana da dove si trovava in quel momento.

Priorità principe era ugualmente raggiungere l’infermeria.

Almeno prima che la drammatica verità della sua condizione si rivelasse in tutta la sua forza dirompente.

Almeno prima di scoprire l’imbarazzante essenza dell’incontinenza…

… senza avere un bagno a portata di mano.

Madama Chips lo accolse con una sorpresa che, a tratti, sotto i colpi sferzanti delle coliche renali, gli parve stramaledettamente divertita.

« Signor Malfoy? Ma cos’ha? » Domandò con la vocetta rachitica, senza però muovere un solo passo verso di lui.

Le lanciò uno sguardo carico di angoscia, stringendosi con vigore la pancia.

« Secondo lei?! Al posto di restare lì a fissarmi non potrebbe darmi qualcosa!? »

« Moderi il tono, Signor Malfoy. » Lo ammonì acidamente la medimaga, aggiungendo spicciola: « E si sieda. »

Con un’indifferenza da manuale che la fece arrivare alla sua credenza delle meraviglie in tempi immani, Madama Chips si mise svogliatamente a cercare una medicina tra le molte boccette piene di pozioni.

Mentre lui, sulla scia di un improvviso movimento intestinale, fece un balzo sulla sedia più vicina. Spinto in parte dal panico. In parte dalla lucida consapevolezza che la priorità fosse solo una.

Tapparsi.

Quando vide che Madama Cips non aveva ancora smesso di cincischiare in mezzo a quelle stramaledette boccette, le ringhiò astiosamente tra i denti:

« Si vuole muovere?! »

La medimaga gli lanciò uno sguardo di sufficienza e poi afferrò una boccetta che all’interno aveva un liquido verdognolo. Gliela passò, dettando laconica:

« Ecco: trangugi. »

« Trangugi? » Ribatté in un soffio strozzato, disdegnoso e circospetto – e sempre tutto raggomitolato in se stesso, stando ben attendo a non aprirsi troppo nell’afferrare l’ampolla.

Esitò a prenderne un sorso, ma i crampi erano talmente forti che decise di ignorare il pessimo presentimento che aveva rispetto a quella pozione.

Si accorse però immediatamente, che andando avanti di sorso in sorso sarebbe morto molto prima di guarire.

Soffocato nel vomito con cui avrebbe inondato la stanza.

« Dio! » Strillò, inorridito. Ritrasse il capo con una smorfia molto più che disgustata. « Che schifo! »

« Trangugi, trangugi. » Ribadì Madama Chips, che, prima di andarsene chissà dove, gli diede due pacche sulle spalle che celavano nel tocco una qual sorta di gongolante soddisfazione.

Ma Draco Malfoy aveva ben altre gatte da pelare in quel momento. Molto più urgenti di mutilare orrendamente la medimaga. Come per esempio far risalire tutta la faringe all’ultimo trangugio che gli si era mozzato tra i denti, e che gli aveva strappato il colorito più rosato che si fosse mai visto sul suo viso.

O, piuttosto, come far fronte ad una conseguenza, di tutto quello che era successo, che i crampi allo stomaco avevano relegato fino a quel momento negli angoli più nascosti della sua mente…

« Guarda chi c’è? Il figlio dei due mangiamorte più famosi dell’Inghilterra. »

Si volse lentamente verso destra.

E non fu uno sforzo immane, per lui, solo perché la pancia continuava a dolergli ad ogni minimo movimento…

Un ragazzino di Corvonero, probabilmente in infermeria a causa del suo braccio destro – penzolante quasi fosse stato incantato da quel depravato di Allock – lo fissava avidamente, con bramosa insistenza.

E i suoi occhi recavano al loro interno qualcosa di così nitidamente trionfante, e nello stesso tempo sfinito e sfinente, che sarebbe bastato davvero solo quello, e non anche le parole che disse, per fargli comprendere davvero molto di quello che sarebbe venuto… 

Il Corvonero saltò giù dal suo lettino con incauta urgenza. E vacillò per qualche momento prima di assestarsi in piedi.

Basso e pallido, persino sofferente a giudicare dalla smorfia che faceva ad ogni ondeggiamento di quel suo arto martoriato, appariva eppure così imponente di fronte a lui.

A lui, che nell’istante esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva capito che la sua strada, che forse un bivio lo era sempre stata, a quel punto cominciava ad andare solo e semplicemente avanti, in una sola direzione. Dritta e larga.

Scoperta.

Senza più un albero sotto cui riposarsi, senza più i mille sentieri da prendere per fare un po’ quello che voleva. Senza più discese, salite, scorciatoie: solo una lunga strada vuota.

Sotto il sole, il vento e la pioggia che sarebbero venute giù da cielo.

E l’aveva saputo all’improvviso, ma nitidamente, che quello era vento di tempesta…

« Che fai, Malfoy? » Riprese con cupa soddisfazione il Corvonero, facendo un passo barcollante verso di lui, e continuando a soffiargli tra i denti tutto il suo risentimento: « Non reagisci? Non hai niente da dire? »

Non ne aveva, infatti.

Perché l’unica cosa che gli appariva adatta, per lo strano giro degli eventi, non l’avrebbe ridetta una seconda volta.

Si rigirò sulla sedia, con movimenti nervosi e insofferenti. Avrebbe semplicemente voluto tornare nella sua stanza, e non uscirne per molto tempo. Avrebbe semplicemente voluto non dover dire niente. Ma dovette sforzarsi di rispondere, raccogliendo tutto il fastidio di cui era capace in quel momento:

« Gira a largo, ok? »

« Quanto tempo ci vorrà prima che ti sbattano ad Azkaban con i tuoi genitori? » Ringhiò invece il Corvonero, sempre più infervorato.

« Ti avverto, se non la smetti… »

« Cosa vuoi farmi? » Lo provocò l’altro, con gli occhi fiammeggianti e il respiro affannoso, per il trasporto con cui lo fronteggiava. « Uccidermi come un vero mangiamorte? »

Reagì d’impulso.

Nel ricordo di un sé ormai perduto, seppur in così breve tempo.

Reagì scattando in piedi e serrando tra le dita la propria bacchetta. Ma negli occhi non c’era orgoglio. Né ardente fiducia in un credo che negli anni qualcosa di amaro, qualcosa di marcio l’aveva lasciato. Negli occhi: una desolazione lancinante. Ardente. Smarrita.

Una rabbia verso qualcuno di indefinito che assomigliava molto a se stesso…

E quello che esalò, come se fosse una minaccia, lo sentiva così falso che gli salì la nausea solo a pronunciarlo:

« E se lo facessi? »

« Lei non farà proprio niente, Signor Malfoy. » Lo corresse frigida e altera Madama Chips, comparendo all’improvviso, e guardandolo prima lui e poi sovrastando il Corvonero con l’asciutta figura nodosa: « E lei la smetta di far penzolare in giro il suo braccio, se non vuole che rimanga per sempre così. »

Solo dopo essersi assicurato di non poter continuare a insultarlo, il ragazzino ricadde sul lettino e si rannicchiò sotto le coperte. Il viso ancora un po’ deformato dal fervore, e stravolto dal male al braccio che doveva essere divenuto insopportabile da quando aveva cominciato ad agitarsi.

Madama Chips disse allora a lui di tornare al suo dormitorio. Lo guardò insistentemente, scandendo ogni parola con profondità. Con l’integrità inattaccabile di chi, quando arriva il momento, si schiera persino con i colpevoli se questi sono diventati i più deboli.

Un’ammissione che nell’autostima che gli era rimasta lo colmò di frustrazione.

Fece per andarsene.

Andare avanti. Fosse anche per pagare. Ma almeno avanti… almeno per non dover ammettere che l’unica cosa che gli rimaneva era davvero quel muro impietoso di lucente determinazione. Lì a difenderlo solo perché non si infierisce su un nemico già vinto…

Il Codice d’onore dell’Esercito di Silente.

Strinse i pugni lungo i fianchi, cercando di scacciare i pensieri che gli affollavano la testa. Ma oltre il braccio arcuato delle medimaga, vide qualcosa che fermò i pensieri dov’erano: che fermò tutto il suo mondo dov’era.

Lentamente, lo bloccò, incastonandolo in quel momento.

In quel momento in cui i passi slanciati si fermarono come se non avesse più forza per trascinarli. In cui gli occhi gli rimasero incollati allo sguardo contrito… Umido. Sorridente di un sorriso penoso… che il giovane Corvonero relegava al calore gentile del suo cuscino.

Non lo udì veramente: non era possibile da quella distanza. Non era possibile per la voce sottile con cui venne mormorato.

Eppure, in qualche modo lo sentì.

Un singhiozzo silenzioso e contratto, che sembrò liberare il petto di chi lo lasciò andare:

« Finalmente un po’ di giustizia… »

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.15
Hogwarts. Corridoio davanti all’Ufficio di Silente

Bussò cercando di darsi un tono.

Non troppo forte, ma nemmeno in modo timoroso. Con toccate ferme: non secche, ma nemmeno morbide.

Voleva dare l’impressione di essere assolutamente tranquilla e convinta di ciò che aveva fatto.

E lo era, certo.

Ecco perché la spilla appuntata al suo petto, di solito fulgente di luce argentea, le sembrava orrendamente nera.

Riflesso del suo cuore, anch’esso ovviamente nero. Orribile. Efferato. Contaminato. Quasi Naraku l’avesse impregnato con la sua solita, cara, vecchia aura malefica che appesta sempre tutto quello che trova a meno che nei paraggi non si aggiri Kikyo, risorta per la trecentoventisettesima volta, cecchino scelto della S.W.A.T. nonché Mastrolindo Miko Version, che fa tornare tutto perfettamente luminoso e pulito.

Ed ecco perché si era resa inesorabilmente conto che, per lei e solo per lei, la “P” marchiata a fuoco sul suo glorioso stemma non voleva più dire “Prefetto”, ma ovviamente “Peccatrice”.

E sempre per la medesima ragione, ovvero il fatto che era e si sentiva innocente e calma, forte della sua moralità e dei motivi che l’avevano indotta a infrangere le regole – questo solo pensiero le causò un breve mancamento -  si trovava a traspirare copiosi litri di sudore gelido. E aveva mandato una lettera a Oliver Baston per chiedergli in prestito la frusta con cui tutti sapevo aveva allenato la sua squadra di Quidditch negli anni addietro, e con la quale aveva già programmato i giorni della settimana con cui flagellarsi atrocemente.

Ovviamente, aveva anche rispolverato un vecchio leggio grazie a cui, nel flagellarsi, avrebbe potuto contingentemente anche studiare.

Va bene espiare… ma un minimo di diletto voleva tenerselo!

Il punto era: quando la porta si aprì senza preavviso, Hermione Granger si decise ad avanzare solamente per due ragioni.

La prima: il dovere di essere corretta pur nella sua imperdonabile mancanza. Ovvero, ammettere l’errore prendendosi le sue responsabilità.

La seconda, e più importante: il vago ricordo di una vecchia clausola mai esplicitamente abrogata – ed era controversa la questione della sua abrogazione tacita o implicita - all’articolo 2117 comma 84bis del regolamento di Hogwarts, la quale considerava un’infrazione svenire davanti all’Ufficio del Preside, ostruendo così il passaggio ad altri studenti bisognosi.

Per questo e solo per questo, Hermione Granger ebbe la forza di andare a far fronte alle sue innegabili colpe. Sussurrando mentre sgusciava velocemente all’interno, con un filo di voce:

« Permesso… »

Da dietro la scrivania, un fiotto di luce accecante e purissima la annegò in tutta la sua immacolata beatitudine. E una voce che recava in sé infinita gentilezza – poiché la più grande punizione per il Maligno è mostrargli quanto gli è superiore la magnificienza del Giusto – l’accolse nauseabondamente dolce:

« Signorina Granger! Prego! Entri pure! Che piacere vederla! »

Deglutì, facendo un passo in avanti che non seppe davvero come le riuscì.

Forza Hermione, puoi farcela.

« Salve Professore, scusi se la disturbo… » Farfugliò con un fil di voce, stropicciandosi le dita le une con le altre.

« Nessun disturbo, nessuno! » Scosse allegramente il capo il Preside, facendole segno di avanzare verso di lui. « Stavo giusto per bere una tazza di te. Vuoi favorire? » Le allungò sul tavolo una tazzina, sorridendole dietro la barba. « Assicuro che è delizioso. »

Continuando a sudare freddo si sedette sulla sedia, mentre biascicava brevi negazioni e partecipatissimi ringraziamenti, scuotendo con movimenti meccanici e nervosi il capo cespuglioso.

Non l’avrebbe detto, ma tutto quel rituale doveva fare un gran ridere.

Altrimenti Silente, che era una così brava persona da tramutare una risata in un sorriso intenerito, non l’avrebbe guardata così affettuosamente.

Ma Silente era Silente.

E un po’ dell’ansia che l’aveva accompagnata, si era già dissolta.

E persino il silenzio che per un po’ si venne a creare, mentre il Preside sorseggiava sereno il suo the, non parve così pesante come forse lo sarebbe sembrato se al suo posto ci fosse stato chiunque altro…

Per quanto ugualmente difficile fosse tentare di imbastire un discorso articolato contro il pressante desiderio di togliersi la spilla, riconsegnarla per indegnità, e inginocchiarsi ai piedi di Silente domandando perdono.

Cosa che, tutto sommato, il suo spropositato orgoglio le faceva apparire ancora non del tutto consona.

Il Preside le tolse il pensiero di cominciare a scusarsi, esordendo per lei:

« Ho sentito… » Pausa. Pallore. Sudore. Unghie nei braccioli della sedia. « … da fonti che ritengo attendibilissime… » Hagrid. Maledetto. Traditore. Omicidio. « … che è stata fatta una missione di salvataggio ieri. »

Ok, ho capito.

Fece per alzarsi e tirare indietro la sedia.

Le serviva più spazio per prostrarsi.

Ma si fermò a mezz’aria quando udì Silente dire vividamente:

« Un’idea sorprendentemente previdente, considerando che una missione simile era stata programmata da me per quest’oggi. »

Aggrottò le sopracciglia, sorpresa.

« Come…? »

Silente annuì con convinzione un paio di volte, mentre lei si risedeva lentamente sulla sedia, fissandolo perplessa.

« Ovviamente, Signorina Granger, è dovere di ogni Preside assicurarsi che i suoi studenti passino delle belle feste di Natale. E non possono certo nemmeno dispiacersi se una loro studentessa li precede in intenti così meritevoli di lodi. »

Si risistemò del tutto sulla sedia, abbassando un poco il capo. Questa volta più che per il senso di colpa, per l’imbarazzo che le imporporava un poco le guance.

« Sicché converrà con me che, se fosse venuta solamente per scusarsi di non avermi chiesto il permesso di aver ricondotto qui il Signor Malfoy, il suo tempo sarebbe stato ingiustamente utilizzato. » Continuò pacatamente il Preside, con un guizzo speranzoso che gli attraversò lo sguardo nell’allungarle ancora una delle tazze: « A meno che non voglia prendere questo the insieme a me. »

La tazza fumante aveva un’aria così invitante, e quel luogo trasmetteva una sensazione così famigliare e intima, che questa volta non poté rifiutare. E nemmeno poté privarsi di confessare timidamente tutti i timori che in quelle ore l’avevano assiduamente accompagnata:

« Io… mi chiedo cosa succederà… »

Sollevò lo sguardo verso il Preside, che in quel momento sorseggiava il suo the con il viso leggermente incupito.

Era certa che Silente avrebbe capito.

Difatti, quello, scuotendo il capo con una certa amara consapevolezza, mormorò:

« Quello che immagina, temo… »

L’avevo immaginato, infatti.

Si disse sconfortata, presagendo quello che sarebbe venuto.

« La panna cotta verrà brevettata dai cinesi. » Dichiarò il Preside rammaricato.

Ok, non si erano capiti.

Si schiarì la gola un paio di volte, prima di biascicare, vagamente interdetta:

« No… ehm… intendevo… rispetto a Draco Malfoy. »

Silente la guardò per un attimo perplesso. Poi, come capendo improvvisamente, esclamò:

« Oooh, certo! Certo! » E, stranamente, quello che continuò a dire al riguardo, lo disse assai serenamente: « Allora, vede, sarebbe assai strano se, a parità di interesse degli studenti per la Gazzetta del Profeta, i loro genitori per una volta non abbiano profuso i loro sforzi per un rapido acculturamento. Cosa di cui sono sicuro che sia io che lei, fuor dal contesto, siamo molto felici. E’ che, Signorina Granger, trovo la notizia di Narcissa Malfoy incarcerata un po’ troppo maligna perché non venga subito diffusa come dovrebbe convenirsi invece per le belle notizie. »

Decise che non smettere di guardare intensamente il the era la cosa migliore da fare.

Più che altro per non dover dar spiegazioni della sua espressione afflitta.

Draco non avrebbe potuto contare su niente se non sulla certezza che, da quel momento in avanti, l’odio e il disprezzo celati contro la sua famiglia, e ciò che la sua famiglia rappresentava, l’avrebbero accompagnato per sempre.

Anche se quelle colpe, lui, personalmente, non le aveva.

Era solo un ragazzino… che chiamare Harry “Lo Sfregiato”, e lei “Mezzosangue” era forse davvero il massimo male che aveva fatto nella sua vita.

E per quello, non si condanna…

Immersa in quei pensieri che le velavano il viso di tristezza, trasalì quando udì Silente aggiungere:

« Però posso dirle per certo almeno una cosa, Signorina Granger, che spero davvero la consolerà. » Lo trovò a guardarla dolcemente. E, a dire il vero, si sentì anche solo per questo un po’ consolata… « Non c’è protezione più grande, per chiunque, della cura degli altri. » La fissò ancora più profondamente, senza però metterla a disagio. E, per un attimo, le parve quasi fosse per ringraziarla. « E perciò anche io mi sento molto più tranquillo, dopo questo nostro incontro, perché comprendo che il Signor Malfoy sarà abbastanza protetto da qualunque cosa »

Ma Hermione Granger non si trovò per la seconda volta ad abbassare il capo, nel tentativo di nascondere un poco del rossore che avrebbe potuto imporporarle nuovamente le guance.

Forse perché le sue riflessioni sulla sorte di Draco si erano fermate molto prima di quel punto. Forse perché aveva sempre pensato che più che riportarlo indietro, lei non avrebbe potuto fare molto altro per lui. Non lo detestava, e lui non la odiava, certo… ma Hermione Granger e Draco Malfoy in fondo rimaneva Grifondoro e Serpeverde senza possibilità di redenzione, no?

In fondo, sembrava normale, per lei, per tutti, pensare che se Draco fosse rimasto a Hogwarts, sarebbe rimasto solo.

Eppure non era così.

Eppure quel piccolo passo, quella piccola pretesa di conoscere cosa avrebbe desiderato quando sua madre era stata portata via: quello che le aveva fatto pensare di andare a riprenderlo… quello diceva qualcosa di diverso, che nemmeno lei aveva mai ammesso ad alta voce.

Ma sentirlo pronunciato da qualcun altro fu un po’ come renderlo vero per la prima volta.

Ma anche renderlo vero per sempre.

Fu come sentirsi improvvisamente abbastanza coraggiosi e forti da fare da scudo a qualcuno semplicemente per il desiderio di difenderlo.

Fu come sentirsi troppo convinti per imbarazzarsi.

E proprio perché capì cosa Silente le voleva dire, non schivò i suoi occhi chiari e profondi, che la osservavano affettuosamente.

Ma ci fu una cosa che viceversa non riuscì davvero a capire…

Quello che Silente disse subito dopo.

« Lo sa, Miss Granger? Ho avuto una conversazione simile con un altro studente poco tempo fa…» Le rivolse un piccolo sorriso, nascosto sotto la lunga barba bianca. «  Si trattava di uno studente veramente dispiaciuto di non avere più con sé una persona veramente speciale per lui. »

« Che studente? » Domandò con discrezione, ma alquanto incuriosita.

Silente sorrise ancora, ma a quella domanda, quasi come se non ce ne fosse bisogno, decise di non rispondere.

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.13
Hogwarts. Sala Comune

« Narcissa Malfoy marcirà ad Azkaban per tutta la vita. » Esclamò in un tremito di gioia e soddisfazione Justin Flich Fletchley, che quasi fece una capriola per l’ilarità che quella esclamazione gli comportava.

Hanna Habbot ridacchiò di una risatina breve e più composta, ma ugualmente soddisfatta.

« C’era da aspettarselo, eh? » Domandò, in sua direzione, e lui attese qualche attimo prima di assentire.

Ma lo fece.

In qualche parte profonda di sé, non riusciva a privarsi di quella sensazione di sollievo e speranza che il poter apertamente rivendicare la giustezza di com’erano andate le cose generava in lui. E questo, nonostante in fondo al cuore sapesse che qualcosa di non perfettamente giusto stava accadendo.

Perché era sciocco, ma non così sciocco da pensare che si può accusare qualcuno solo perché si ha finalmente una scusa per farlo.

Ciononostante assentì.

Perché anche lui, dopo tutto, aveva perso troppo per stare a pensare sempre e solo a cosa fosse giusto.

E perché a Draco Malfoy, in fondo, lui non doveva niente.

« Narcissa Malfoy non è stata portata ad Azkaban, ma al Ministero per essere processata. »

Hermione Granger, che continuava a leggere tranquillamente il giornale su cui la grande notizia era stata trascritta nero su bianco, sfogliando le pagine con attenzione, rimase ad ascoltare il silenzio che avevano procurato le sue parole.

Poi alzò il capo, chiuse il libro lentamente, e con una tranquillità senza sbavature, impeccabile nel tono calmo, aggiunse:

« E noi non possiamo sapere se è colpevole o innocente. »

Rimase a fissarla attonito.

Come la maggior parte degli altri studenti intorno a lui, quella pacatezza e quell’integrità sembrarono un rimprovero inaccettabile che Justin non osò prendere in nessun altro modo se non come scherzo di pessimo gusto.

« Scherzi, Granger? » Domandò il Tassorosso ridacchiando. Ma la voce gli tremava, e le sopracciglia inarcate disegnavano un di disappunto quasi bruciante.

E anche lui, inconsciamente, si trovò ad inarcare le sopracciglia con crescente disagio e un nocciolo di duro rimprovero.

Ma di fronte alla disapprovazione che si celava nella sorpresa nervosa di Justin, e che diede avvio a decine di altre critiche verso quello slancio apparentemente ingiustificato di democrazia, Hermione ribatté senza problemi, sempre con calma:

« Spero che tu lo stia facendo, Fletchley. »

E anche se quelle parole non erano contro nessuno, in molti sentirono che da qualche parte avevano colpito.

« Hermione… » La richiamò a quel punto, in un ammonimento strisciante e rauco.

Quando si rese conto di aver parlato non riuscì ugualmente a nascondere l’espressione distorta con cui forzatamente la guardava, con palese malessere.

Lei gli rivolse uno sguardo profondo, e qualcosa della sua impenetrabile determinazione si ammorbidì.

« Non sarebbe la prima volta che il Ministero accusa persone innocenti. » Si spiegò, più dolcemente. Rivolgendosi a lui come si sarebbe rivolta ad un amico.

Perché loro lo erano.

Amici.

Da sempre.

E forse lo erano diventati anche perché anche lei aveva perso tanto in quella guerra. Perché anche lei aveva dato abbastanza da non dover più niente a nessuno. Eppure lei, quell’odio e quel rancore che si erano liberati in lui alla notizia portata dalla Gazzetta del Profeta, sembrava non averli…

« E’ la moglie di un mangiamorte che ha tentato di ucciderti. Di uccidere tutti i tuoi amici. » Balbettò, scuotendo il capo con movimenti pieni di nervosismo, e una voce sempre più incrinata. « Non è… non va bene, Hermione… »

Non andava bene.

Perché in quel momento, erano così lontani che se si fosse sforzato di riconoscerla al di là di quella immensa distanza, sentiva che avrebbe finito per non riconoscere più se stesso… Che avrebbe finito per rendersi conto che quella distanza era un po’ come il muro che separava due schieramenti molto precisi, sulla cui appartenenza non aveva mai avuto, in fondo, alcun dubbio.

… invece loro erano sempre stati dalla stessa parte.

Erano sempre stati dalla parte giusta.

Ma ora…

« Scusa, Neville. » Gli mormorò dispiaciuta, sfiorandogli il braccio con delicatezza quando fu costretta ad alzarsi e andarsene a causa dell’infervorarsi delle persone intorno a lei. « Ma io credo che sia giusto così. »

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.33
Hogwarts.

Aprì la porta lentamente, in un breve rumore.

Ma nel silenzio luminoso della biblioteca, si udì chiaramente quel suono che andò a increspare solo per un attimo la solitudine pesante che vi governava all’interno.

E per un attimo, nell’attimo che la sua mente ci mise a elaborare quello che vedeva, l’abbandono con cui Draco sedeva su una sedia, col capo chino, le parve così disarmante da farle pensare di fare un passo indietro.

La mente la costrinse a rimanere.

Ma quando lui alzò lo sguardo verso di lei, fu il cuore a farla avanzare.

E con tutta la tristezza e la durezza che possono convivere in uno sguardo lontano, Draco continuò a fissarla anche quando gli si fermò dinnanzi, senza dire una parola.

Strinse maggiormente al petto i libri che teneva, e non seppe con che espressione ebbe il coraggio, o la presunzione di dire:

« Ho sentito che tua madre verrà processata tra due mesi. »

Ma lo disse con una voce che nel momento stesso in cui uscì le parve più chiara e nitida di quanto non avrebbe creduto.

Draco non reagì.

Se non per l’attimo sfuggente in cui qualcosa di assurdo e tragico si intravide oltre il vetro delle sue iridi sbiadite. Così rapido, così veloce, che non avrebbe saputo essere sicura di averlo visto.

Ma dopo quell’attimo, ancora il nulla.

« Così pare… » Mormorò poi, lui, distante, mentre si alzava.

Fece il giro del tavolo e si fermò davanti a lei, con gli occhi rivolti per terra.

Non la guardò.

« Ho mal di testa. » Disse, sempre impassibile.

E la superò senza attendere una risposta, uscendo dalla stanza.

Non cercò di fermarlo, non gli disse nulla. Né gli andò dietro… Ma guardò la porta oltre cui lui si era dileguato con lo sguardo di qualcuno che ha capito che esistono altre strade, oltre a quelle segnate e calcate da mille passi.

Che esistono altre ragioni dalla parte di cui stare.

Quello era il momento.

Il momento in cui non avere paura di oltrepassare l’ultimo confine.

Un confine che innanzitutto, un paio d’ore più tardi, le si poneva come una rediviva Pansy Parkinson che le puntò addosso gli occhi scioccati quando la vide oltrepassare la soglia della sala comune di Serpeverde.

« Granger? » Biascicò assolutamente basita. « Ma come diavolo…? »

Era sicura che Miss Serpeverde, già di ritorno dal suo breve viaggio natalizio, non volesse sapere come era riuscita a passare il ritratto posto a guardiano della loro sala comune. Nonostante ritenesse fosse stata particolarmente astuta, certo.

Per questo disse subito, senza troppi convenevoli:

« Sono qui per Draco. »

Un inizio col botto, non c’era che dire.

La risata gracchiante di Pansy, un po’ stralunata un po’ divertita dalla sua richiesta apparentemente assurda, si disperse per la sala dove Serpeverde più piccoli si erano silenziosamente messi in ascolto di quello che si preannunciava uno scontro tra titani.

La mangusta e il serpente.

Qualcuno allungò un galeone nelle mani di qualcun altro, per scommettere sul morto, ma il radar di prefetto di Hermione li sgamò alla grande, e le bastò lasciare una brevissima occhiata insindacabile oltre alla spalla della rivale per farli desistere dall’azzardo.

Occhiata che le fece guadagnare la fiducia dei molti che al di là dell’orgoglio di appartenenza alla propria Casa avevano fiuto per il guadagno.

Era in effetti implicitamente data 5 a 1 la vittoria del mammifero sul rettile.

« Ah si? » Grugniva intanto con velenosa ilarità Pansy, tra un sogghigno e l’altro, « E chi te l’ha chiesto, Granger? »

Hermione si schiarì la gola.

Una gola che, a dire il vero, non era nemmeno così secca come avrebbe pensato:

« Nessuno. Ma vorrei parlare con Draco, perciò se puoi spostarti… » E mentre lo diceva fece qualche passo in avanti, in direzione di quello che sapeva essere il corridoio dove si trovava la stanza di Draco.

La sua decisione dovette spiazzare il suo avversario, che non seppe reagirvi.

Sfortunatamente, Pansy notò in quel momento la boccetta che teneva in mano, rimastale nascosta per caso. Cosa che la riscosse alquanto velocemente. Le si parò dunque di nuovo, burberamente davanti, stridendo con un ardimentosa foga:

« Gli vuoi rifilare un filtro d’amore, eh?! » Lo sguardo stravolto da cupe ombre d’isteria repressa venne attraversato da una folgorazione improvvisa. Cosa che le fece presagire il ringhio corrosivo e fremente che seguìrovi: « Draco ti odia, in questo momento come  mai. E’ colpa di quelli come te se si trova solo, adesso. Ti odio, Granger. Ti odierà per sempre! »

Per sempre…

Rimase lungamente a guardare Pansy negli occhi.

Lungamente, rimase a guardarla senza dire o fare nulla.

L’ultimo confine…

Era quello.

Quel velo di certezze che c’era sempre stato.

Scontato e magnificamente semplice da immaginare, da pensare. Da creare. E che tutti avevano contribuito a creare…

Non guardò la Serpeverde con freddezza. Né con severità, o fastidio. O con il cipiglio ardente e appassionato che si ha nel rivendicare una conquista difficile… la guardò come una persona normale che parla del suo mondo più scontato

E nello stesso modo la contraddisse, scuotendo leggermente il capo:

« No, non mi odia… noi non ci odiamo… anche se tu, o chiunque altro, volete continuare a pretendere che sia così, non lo è. »

Gli voleva bene.

In qualche modo che ancora non era riuscita a capire, aveva finito per volergli bene.

E ci sarebbe stata, semplicemente per questo.

Draco non era solo.

Hermione Granger che scostava il velo della differenza…

Questo fu quello che accadde.

« Ma chi… chi ti credi di essere?! » Strillò con un disprezzo balbettante e irato la Serpeverde, mentre le strattonava il braccio con così tanta aggressività che la boccettina le rimase in mano solo perché trattenuta dalla prontezza della punta delle sue dita.

Un tic nervoso le fece fremere impercettibilmente la tempia destra, mentre si riassettava in piedi.

Inspirò profondamente, e scandì con caustica lentezza:

« Stavi quasi per farlo cadere. »

Uno. Due. Tre… Dieci.

Calma, doveva stare calma…

Pansy si mise a urlare senza contegno, inviperita al punto che ben presto ciò che le uscì dalla bocca non era più voce ma ultrasuoni:

« E chi se ne importa! Tanto meglio! Non vi odiate?! Sei impazzita?! »

E intanto faceva oscillare il capo maniacalmente avanti a indietro. 

Come un serpente pronto a colpire.

Come un aquila che cerca la preda.

Come un coccodrillo che ha appena visto a pochi metri da sé un sociologo che si avventura a studiare il numero di alghe che vanno a costituire un fenomeno sociale.

O un piccione che pensa intensamente:

« Quello è un chicco di mais: voglio un chicco di mais. Dammi un chicco di mais: non toccare il mio chicco di mais. »

Si, certo: poteva capire Pansy Parkinson… Che, poverina, non riusciva a fare a meno dell’odio, e del disprezzo, per stare al mondo. Certo, la compativa. Certo, non aveva bisogno di risponderle per sapere di aver ragione.

Certo…

Però poteva anche smetterla di trapanarle i timpani con quei suoi strilli allucinanti che le sputavano addosso tutti gli insulti che le venivano in mente!

« Non hai il fegato di ribattere, eh, Granger?! » Continuava imperterrita Pansy, con gli occhi completamente dilatati che le davano l’aria di una vecchia invasata – e il capo sempre più oscillante, il chicco di mais sempre più vicino.

Hermione, non ne vale la pena…

« Sei solo una sporca! »

Lasciala perdere.

« Insulsa! »

Stai calma.

« Lurida! »

CALMA.

« Mezzosan- »

« Pietrificus Totalus! »

Imperante, come solo chi ha in mano l’ascia di un baby menù medievale può essere, Hermione Granger fissò con onnipotente superiorità la sagoma pietrificata che permaneva immobile ai suoi piedi. E acquisendo in altezza qualche significativo centimetro, per un attimo a qualcuno parve di vedere dietro di lei l’immagine di un uomo molto preciso quando, con voce sorprendentemente baritonale e profetica, echeggiò glaciale:

« Non accetto insulti da una persona che ha il nome di un morbo »

E nonostante l’imprevedibilità intrinseca di quella scena, una muta standing ovation si diffuse tra i Serpeverde.

Il chicco di mais era stato vinto.

Hermione Granger era il suo nuovo padrone.

*** *** ***

Giovedì 26 Dicembre. Ore 18.02
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy

Bussarono alla sua porta.

Lanciò svogliatamente uno sguardo all’ingresso. Non avrebbe aperto. Nemmeno per 1000 galeoni. Nemmeno per l’abolizione di Grifondoro. O di Corvonero… o persino di Tassorosso.

Nemmeno se avessero continuato a insistere a oltranza, accanendosi su quella porta solo come lui si sarebbe accanito su Pucey Davis.

Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc. TOC-TOC.

Ma porca!

Si alzò di scatto dal divano e in uno slancio furente spalancò la porta, berciando:

« Chi diavolo… »

La fine della frase se la perse scoprendo che la persona di fronte a lui, altri non era che Hermione Granger.

« Ti ho portato qualcosa per il mal di testa… » Gli disse.

E quella volta, non gliel’avrebbe lasciato ai piedi.

Non sarebbe stato in grado di dire perché, ma in qualche modo lo sapeva.

Come non sarebbe stato in grado di dire come Hermione fosse riuscita ad entrare nella sua Sala Comune, e poi raggiungere lui, ma nello stesso tempo non poteva pensare ad una cosa così sciocca che lei non fosse in grado di fare…

Quella piccola creatura sorprendente che, ancora una volta, lo guardava in attesa, in apprensione. In quella preoccupazione un po’ impacciata che, ormai, sentiva di conoscere bene.

Era così rassicurante… che per un attimo si dimenticò di ogni cosa.

Ma fu lei a riportarlo bruscamente indietro, a guardare in faccia ad una realtà che anche lei sembrava vedere bene:

« Tua madre verrà processata tra un paio di mesi. »

E di nuovo, uno squarcio nella sua espressione rimescolò i suoi sentimenti facendo uscire l’angoscia profonda che l’aveva ferito.

Dovette obbligarsi a girarsi. Perché, anche se fu per un attimo, e anche se avrebbe potuto essere qualunque cosa, e non angoscia, aveva la sensazione un po’ assurda e un po’ vera, che lei potesse vedere tutto esattamente per quello che era.

« L’hai già detto, mi pare. » Commentò, cercando di essere serafico, ma in realtà sapendosi la fronte imperlata di un sudore freddo e denso. La voce lontana che si impose di non tradire alcuna emozione.

E che non l’avrebbe tradita mai.

Con nessuno.

Poteva sentirla dietro di sé, sospirare, e forse guardare in basso, tentennare: poteva sentirla giocare con quel filo su cui si sentiva in equilibrio per miracolo.

E lo sapeva, quella volta lo sapeva che non ne era consapevole: che non voleva fargli del male, che voleva semplicemente capire più a fondo qualcosa che era sempre stata parte del suo mondo. Capire dove stesse la colpa, e punire.

Hermione Granger era buona: i suoi insulti, lei gli aveva dimenticati.

Ma un marchio, è qualcosa che non si può dimenticare. Perciò sapeva che quello che avrebbe voluto più di ogni altra cosa, non poteva chiederglielo. Sapeva che il prezzo da pagare per poter non essere solo, era il più alto che gli si potesse essere richiesto…

« Finalmente un po’ di giustizia… »

Un prezzo troppo alto.

« Draco, tu… tu credi che sia innocente? »

Si volse repentinamente verso di lei. Con uno sguardo così affilato e fiammeggiante che ferì prima di tutto se stesso, le rigettò addosso violentemente:

« E tu cosa credi? »

Troppo alto, ormai.

Perché ormai lui non poteva più fingere che quella che tutti chiamavano giustizia, per lui lo fosse davvero.

Hermione lo fissò sorpresa, come se non capisse cosa stava dicendo.

Una prostrazione profonda, rabbiosa, lo vinse. E il viso si irrigidì lugubremente sul pavimento, mentre, in una smorfia dolorosa, tutte le ragioni per cui sapeva che Hermione non avrebbe potuto sostenerlo in quella che per lui era, in fondo, una flebile, preziosissima speranza, gli salirono sulle labbra inflessibili e impietose:

« Mio padre ti ha quasi ucciso una volta… » Strinse i pugni lungo i fianchi, continuando a fissare ossessivamente in basso, con un’ombra sul viso. « E poi… sai, anche mia madre se avesse dovuto ti avrebbe uccisa. Si… se avesse potuto»

Non avrebbe voluto continuare, non con quel viso così miseramente contratto oltre i capelli scombinati che gli erano caduti davanti, e le mani rattrappite in pugni tremanti. Non con quell’aria così disperata che in fondo si rendeva conto di avere sul viso smunto.

Perché anche se ormai non poteva più tornare indietro: anche se per la prima volta aveva davvero scelto da che parte stare… l’idea che non l’avrebbe più avuta con sé era anch’essa insostenibile.

Ma per qualche ragione non riuscì a fare altro che guardarla mentre esalava, quasi gemendo:

« Però lei… lei… »

Hermione rimase immobile per qualche minuto. Sul viso non si leggeva altro che confusione, una confusione mortificante che lo fece sentire completamente vuoto.

… e triste.

Lei sembrò riscuotersi un poco in quel momento, ma rimanere sempre piuttosto perplessa. Poi fece quello che faceva sempre: razionalizzò. Per un attimo, quel suo arcuare le sopracciglia per riflettere e puntualizzare… per dare un ordine alle cose, e saperle così valutare, gli mise addosso così tanta nostalgia, che, per un attimo… pensò di non potercela fare.

« Si, mh, ho capito. E anche tu avresti voluto… giusto? » Definì infine Hermione, grattandosi incerta la fronte.

Rimase sconvolto a guardarla.

Perché sembrava tranquilla nel dire quello che stava dicendo? Perché era così indifferente? Perché doveva ancora arrivare a dubitare che a lei importasse qualcosa di lui?

Mortificato, frustrato, disperato, deluso scosse il capo nervosamente: voluto cosa?

Perché parlava di quello come di un compito di Pozioni di cui non riusciva a capire il procedimento?

« Intendo che avresti voluto che io morissi… » Gli spiegò Hermione, che doveva aver capito il suo sconcerto.

In compenso a lui si gelò il sangue nelle vene…

Nel tornare a guardarla, non seppe vederla bene oltre la coltre di pianto che gli schermava gli occhi almeno da dentro, ma la intuì con ancora la mano sulla fronte, e l’aria di qualcuno che è arrivato alla soluzione di un calcolo nemmeno troppo difficile.

Si sentì improvvisamente male.

Ma poi…

« E io avrei voluto che tu restassi furetto. »

Si passò una mano sugli occhi, per scacciare le sue lacrime invisibili: per poterla vedere meglio.

E se ne accorse: si accorse che aveva un sorriso che nessuno avrebbe detto vedendo l’inclinazione impercettibile delle labbra… ma che lui vedeva aleggiare su tutto il viso. Con quel misto di ironia e tenerezza che sembrava dilagare ovunque.

Con tutta la semplicità di uno scherzo, di una cosa buffa, lei aveva pronunciò quelle parole con la naturalezza che si ha nel parlare di qualcosa che, davvero… non ha più alcuna importanza.

Fu come se gli abbracciasse i muscoli tesi: del collo, delle braccia, delle mani, del viso… e glieli rilasciasse.

Avrebbe voluto trovare un modo per guardarla di più negli occhi.

Un modo per avere di più da quel momento: imprimerlo ovunque, per non dimenticare come lo guardasse con le sopracciglia vagamente aggrottate vicino al centro della fronte, come se non capisse fino in fondo cosa aveva voluto dimostrare, dicendole quelle cose, come se quel suo calcolo mentale non le tornasse più di tanto… ma in ogni caso andasse bene.

Perché tanto il Basilisco non l’aveva uccisa, e Malocchio Moody l’aveva ritrasformato in un essere umano.

Perché era sua madre: e se la voleva salva, lei lo capiva.

Ricadde sul letto pesantemente, chinando il capo e i capelli argenti con sfinitezza.

Una colpa troppo grande…

« Finalmente un po’ di giustizia… »

… una colpa che aveva pensato davvero troppo grande per essere pronunciata di fronte a chiunque.

Ma non a te…

« Io non lo so… se è innocente… »

Lo mormorò, pur nel sollievo che l’aveva colto qualche attimo prima, con una tristezza che non credeva avrebbe mai potuto provare, e mai pronunciare…

Aggrottò le sopracciglia ancora di più, senza avere nemmeno la forza di impedire alle mani di andare a coprire la faccia contratta. L’espressione tormentata che non sapeva rassegnarsi.

Avrebbe voluto gridarlo al mondo.

Gridare che lei lo era, innocente.

Che non era giusto.

Avrebbe voluto poterlo dimostrare… non per salvare lui dalle parole degli altri.

Ma per salvare lei.

A cui era bastato un attimo per essere madre. Per dargli l’illusione di esserlo sempre stata.

Uno solo per dargli la certezza che l’unica dolcezza di cui era stata capace…  era stata per lui.

Come una carezza, non come uno schiaffo, gli aveva sciolto il cuore in una commozione distrutta e sconvolgente. Che l’aveva lasciato lì, nel nulla, in un luogo senza tempo dove sembrava che il dolore l’avesse sempre aspettato.

Dove sembrava che niente potesse accadere…

Eppure, qualcosa era accaduto.

Hermione Granger, era accaduta.

E accadde ancora: avvertì una mano che si posò sulla sua spalla.

Sollevò lo sguardo disorientato.

Hermione lo sfiorava appena, guardandolo contratta a sua volta, in tanta tristezza.

Com’era possibile che accettasse di portare con lui il fardello dell’incertezza? Della pretesa di rivendicare una salvezza per qualcuno, non perché lei era certa che se la meritasse, ma semplicemente perché sua madre?

Com’era possibile che una persona così triste sapesse dare così tanto conforto?

Se lo chiese dominando l’espressione che voleva rompersi in un pianto nervoso che rimase a filargli, questa volta visibilmente, la parte bassa degli occhi.

Perché lei c’era.

Vedeva le sue colpe e sapeva perdonarle: vedeva le sue speranze, quelle contro cui combatteva tutto il mondo a cui lei apparteneva, e le viveva con lui

E quello che era davvero commovente, era che lui riusciva a capirlo.

Che riusciva ad accettarlo.

E quello che fu davvero commovente, fu che non gli parve più nemmeno così strano che, al posto di ritrarsi infastidito, l’istinto che aveva represso era stato quello di aggrapparsi a lei in quello che, un abbraccio, forse, lo sarebbe sembrato.

Draco Malfoy ed Hermione Granger…

Le pretese degli altri non contavano più niente.

Perché se dietro quel velo c’era stato dell’odio, tra loro due, di esso non rimaneva più nulla.

 

*** *** ***

Le angoscie sono finite, almeno per un po’.

I nodi sono stati sciolti, almeno tra loro due.

E questo è quello che conta: ci sarà un salto che mostrerà quello che succede a Hermione e Draco in un momento che non ho ancora deciso… dipenderà, come ho scritto, anche da quello che mi direte rispetto alla storia, e a come dovrebbe proseguire.

Se cioè questo salto sarà di giorni, mesi o anni, mi riservo il diritto di deciderlo a breve, ma non ora.

Quello che è certo, è che tutto quello che è ancora da risolvere verrà risolto, foss’anche a condizione che io scriva il doppio delle pagine per il prossimo capitolo, se fosse quello conclusivo.

Per voi, sono anche disposta a farlo ovviamente.

 

Torno a studiare per l’esame di diritto di enti locali, che prego veramente mi vada bene nonostante io abbia speso l’ultima settimana a mettere a posto il capitolo!

Ne approfitto anche per giustificarmi: non l’ho riletto tutto intero, perciò potrebbero esserci sconnessioni – minime, spero – tra qualche parte.

Il concetto generale però è assolutamente quello.

Un bacio grande ^^

 

 

  
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