Beh,
eccomi qui…
Incipit
difficile, questa volta.
Più di
quanto non sia stato le volte precedenti ribadire le mie scuse per i ritardi, e
sottolineare che comunque il mio impegno in questa fan fiction è assoluto, nella
misura in cui il tempo per lo studio, per il lavoro e per poche altre cose
oggettivamente più importanti, me lo permettono.
Più
difficile perché non sono mai arrivata al punto di dover dire che, comunque,
scrivere è e dev’essere – almeno secondo la mia
opinione – un piacere.
E un
piacere principalmente per chi scrive, non solo per chi legge.
Dico
questo non per difendermi da chissà quale accusa, perché non me ne sono state
rivolte: è stato anzi molto apprezzato il vostro continuo ricordarmi che c’era ancora
qualcosa da scrivere in questa fan fiction, qualcosa che era tanto atteso da
non potersi attendere per un (altro) anno, e come sempre sono estremamente
grata a tutti voi che avete commentato ancora assiduamente, ancora con
entusiasmo, la mia storia.
Dunque,
dico questo per contestare solo una piccolissima parte delle vostre opinioni:
perché no, io non vi sto mancando di rispetto.
Posso
capire la delusione di non trovare un capitolo, e l’esasperazione nel pensare
che la mia promessa di finire la fan fiction probabilmente implica tempi
biblici, ma questo non significa che, ribadire la mia promessa e continuare a
scrivere nei tempi che mi sono possibili, sia irrispettoso.
Non
finirla, dopo avervi detto che l’avrei fatto, sarebbe irrispettoso.
E tutt’al
più non aver mai detto che l’attesa sarebbe stata lunga – cosa che viceversa ho
sempre detto – sarebbe stato irrispettoso.
Ma io
scrivo, per me e per voi, tutte le volte che posso, ci metto impegno, e, di
sicuro, tolgo tempo ad altre cose che sicuramente mi piacerebbe ugualmente
fare.
E
soprattutto nessuno obbliga nessuno a seguire questa fan fiction, specialmente
se questo gli procura fastidio – e sto sempre parlando di un fastidio legato
alla più che giustificabile esasperazione e rassegnazione per la lentezza
infinita degli aggiornamenti, perché so che è di quello che si parla.
E,
ripeto, so cosa vuol dire sentirsi un po’ delusi di fronte ad una storia mai
aggiornata, mai finita, che si desidera molto vedere conclusa o continuata, ma
penso comunque che non sarei mai stata giustificata nel ritenere irrispettoso
l’autore che ne era “responsabile”.
Non era
un suo dovere.
E ad ogni
modo penso che non fosse così contento di non avere tempo o persino voglia di
finire qualcosa che aveva iniziato, perché in fondo si sarebbe trattato di non
continuare una cosa per cui del tempo l’aveva già speso (e generalmente è tanto tempo).
Detto
questo, se è vero che scrivo per me e anche per voi, è anche vero che metto
on-line le mie storia per lo più per voi (ovviamente,
non nel senso che lo faccio a vostro esclusivo piacere e in me non c’è nessuna
pretesa egoistica: sono contentissima all’idea di ricevere i vostri commenti, e
per questo posto volentieri).
Dunque se
tutti pensate che questo non vi crea più piacere, che
questo sconclusionato modo di andare avanti implichi tutto sommato un gioco che
non vale la candela, io posso smettere di postare la storia, o eventualmente
scrivere un capitolo finale alternativo, che concluda un po’ le vicende fino a
questo punto narrate, cosicché non abbiate aspettato per nulla.
Nel
frattempo posso andare avanti a scrivere la mia storia, per come l’avevo
immaginata e continuo a immaginarla, per me e per gli amici più stretti a cui
posso mandarla via e-mail o comunque che possono averla disponibile senza
passare da internet (che comunque richiede altro tempo ed energia quanto meno
per rileggere e risistemare quello che non va più che bene)
Ve lo
scrivo, con assoluta e totale disponibilità, con l’intenzione di sdebitarmi per
l’incredibile gratificazione che ho avuto, grazie a voi, alla vostra
partecipazione e al vostro apprezzamento, nel scrivere
questa fan fiction fino a questo punto.
La mia
e-mail è scritta sul mio profilo, ma in generale per quelli che avevano già
intenzione di commentare il capitolo lasciando su EFP una recensione o che
avranno questo desiderio nel corso della lettura (e spero siano tanti ^^) vale
la regola che mi si può lasciare lì un brevissimo appunto, purché non mi sia
scritto solo quello e purché sia davvero un appunto brevissimo: è importante,
va rispettato il regolamento del sito.
The Draco and Hermione’s Opera
Capitolo 12. Oltre
il velo
We have got through so much worse than this before
What's so different this time that you can't ignore?
You say it is much more than just my last mistake
And we should spend some time apart for both our sakes
Abbiamo
passato tempi peggiori di questi
Cosa c’è di così diverso questa volta che non puoi
ignorare?
Dici che è molto di più che solamente il mio ultimo errore
E che dovremmo separarci per il nostro bene
[Snow
Patrol – Make this go on forever]
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.10
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy
Aveva
lui mai detto che avrebbe potuto
convivere con l’onta e la convulsioni generate dallo
scusarsi sommessamente con quella deficiente
cosmica di Hermione Granger?!
Per
la verità, si.
Soffiò
tra i denti del veleno puro, cacciandolo contro lo specchio nel tentativo di
corrodere l’immagine ignominiosa che stava riflettendo di sé. Ma non poté far
altro che piegarsi in due per i dolori atroci che gli strinsero impietosamente
lo stomaco.
Sollevò
faticosamente lo sguardo stravolto e imperlato di sudore. In una smorfia di
trattenuto dolore, con le fitte che gli falcidiavano gli organi interni e con
gli occhi ridotti a due sottili fessure, fece echeggiare per i sotterranei di
Serpeverde un ululato incontrollabile e minaccioso, e tutta la scuola seppe che
Draco Malfoy – l’impenitente, orgoglioso, collerico e lunatico, Draco Malfoy –
aveva contratto una fulminante diarrea.
Un
tizio di nome Sigmund aveva proposto una teoria interessante rispetto
all’educazione dei così detti sfinteri, dando un ruolo cardine a quello
proverbialmente posto nel popò. Attorno a questo sfintere aveva fatto tutta una
serie di elucubrazioni confortanti sul senso del dono che ne proveniva e su
come esso fosse un profumato investimento affettivo che non si volesse essere
così disposti a rilasciare, almeno non nei primi mesi di vita. Un trauma di un
qualche tipo in teoria avrebbe potuto impedirne la sua giusta regolazione… e in
pratica avrebbe fatto nascere categorie concettuali altamente edificanti come:
stitichezza, sindrome del colon irritabile, costipazione e la già citata
diarrea, detta anche in gergo squisitamente medico “scariche di caghetta liquida”
Partendo
da questi presupposti, a giudicare dalla quantità di doni che sembrava
possedere il suo intestino, e dalla frequenza con cui sentiva improvvisamente
la necessità di espellerli, sarebbe stato giustificabile far risalire il suo
disturbo a un trauma infantile di devastante entità.
Naturalmente,
lui era di tutt’altra opinione.
Imputava infatti la sua condizione alla maledizione che i suoi avi
avevano presumibilmente scagliato su di lui per quello che aveva fatto alla casata
dei Malfoy pronunciando ignominiose parole di scuse. Per di più a una creatura
completamente indegna persino di essere salutata.
Maledizione
che aveva cagionato i suoi ripetuti tete-a-tete
col water.
Ma
non era colpa sua l’aver pronunciato ciò che aveva pronunciato. Era questa la
ragione del suo colossale malumore!
Qualcuno
gli aveva fatto un incantesimo! Qualcuno aveva architettato una vendetta contro
di lui! E quel qualcuno con ogni buona probabilità e logica era Hermione
Granger!
E
a quel punto lui, innocente, ne stava pagando
indebitamente le conseguenze!
Poco
in portava se qualche esimio medimago
avrebbe forse avvalorato l’ipotesi che mangiare due chili di marmellata alle
arance e poi prendere freddo allo stomaco potesse in qualche modo incidere sulle
abitudini intestinali di un qualunque individuo. E questo persino a prescindere
da incantesimi o maledizioni. Per quanto fosse un fatto che di traumi infantili
lui ne avesse certamente avuti, e di proporzioni indubbiamente devastanti.
D’altra
parte, Draco Malfoy era tornato Draco Malfoy, e nessuno gli avrebbe tolto
l’inguaribile desiderio di incolpare Hermione Granger di tutti i mali di questo
mondo.
Dandole
ovviamente un ruolo del tutto elitario per quello che riguardava i suoi, di
mali.
Le
cui proporzioni nell’ultimo quarto d’ora si erano ingigantite in modo
spropositato, oltretutto.
Complice,
sicuramente, il fatto che l’unico Serpeverde del suo stesso anno
rimasto a Hogwarts per Natale sembrava essere Pucey
Davis. E la cosa era pregnante se non altro per la semplice ragione che la
possibilità di sfogare sugli altri il suo – costante – malumore era in linea di
massima proporzionale al malumore stesso: non avere nessuno pronto ad ascoltare
i vituperi che uscivano a fiume dalla sua bocca era strettamente connesso con
l’impennata presa dal peso dei suoi mali.
E
per quanto riguardava Pucey Davis, era semplicemente
fuori discussione un qualunque contatto che non prevedesse esclusivamente un
calcio negli stinchi.
Le
parole non servivano con i traditori di Serpeverde.
E
che Pucey Davis lo fosse – un traditore, intendo –
era uno dei massimi credo di vita di Draco Malfoy.
Secondo,
probabilmente, solo alla profonda convinzione che Hermione Granger dovesse
essere accoppata.
Forte
di questa schiacciante e indiscutibile verità, si trascinò verso l’infermeria
con indiscussa grazia: rantolando e gemendo il più acutamente possibile, in
versi straziati e strazianti. Il tutto al primario scopo di ragguagliare una
creatura – non precisamente umana e non meglio specificata – che prima di
morire doveva quanto meno espiare quella parte di colpe che l’avrebbe salvata
dalla dannazione eterna e che guarda caso potevano essere suppergiù scontate
dimostrandosi sufficientemente dispiaciuta per la sua condizione.
Draco
Malfoy, dispensatore di indulgenze, era caritatevole fino a questo punto, si.
E
cretino molto oltre qualunque punto, anche. Considerando che
Priorità
principe era ugualmente raggiungere l’infermeria.
Almeno
prima che la drammatica verità della sua condizione si rivelasse in tutta la
sua forza dirompente.
Almeno
prima di scoprire l’imbarazzante essenza dell’incontinenza…
…
senza avere un bagno a portata di mano.
Madama
Chips lo accolse con una sorpresa che, a tratti,
sotto i colpi sferzanti delle coliche renali, gli parve stramaledettamente
divertita.
« Signor Malfoy? Ma cos’ha? » Domandò con la vocetta rachitica,
senza però muovere un solo passo verso di lui.
Le
lanciò uno sguardo carico di angoscia, stringendosi con vigore la pancia.
« Secondo lei?! Al posto di restare lì a fissarmi non potrebbe darmi
qualcosa!? »
« Moderi il tono, Signor
Malfoy. » Lo ammonì acidamente la medimaga,
aggiungendo spicciola: « E si sieda. »
Con
un’indifferenza da manuale che la fece arrivare alla sua credenza delle
meraviglie in tempi immani, Madama Chips si mise
svogliatamente a cercare una medicina tra le molte boccette piene di pozioni.
Mentre
lui, sulla scia di un improvviso movimento intestinale, fece un balzo sulla
sedia più vicina. Spinto in parte dal panico. In parte dalla lucida
consapevolezza che la priorità fosse solo una.
Tapparsi.
Quando
vide che Madama Cips non aveva ancora smesso di
cincischiare in mezzo a quelle stramaledette boccette, le ringhiò astiosamente
tra i denti:
« Si vuole muovere?! »
La
medimaga gli lanciò uno sguardo di sufficienza e poi
afferrò una boccetta che all’interno aveva un liquido verdognolo. Gliela passò,
dettando laconica:
« Ecco: trangugi. »
« Trangugi? »
Ribatté in un soffio strozzato, disdegnoso e circospetto – e sempre tutto
raggomitolato in se stesso, stando ben attendo a non aprirsi troppo nell’afferrare l’ampolla.
Esitò
a prenderne un sorso, ma i crampi erano talmente forti che decise di ignorare
il pessimo presentimento che aveva rispetto a quella pozione.
Si
accorse però immediatamente, che andando avanti di sorso in sorso sarebbe morto
molto prima di guarire.
Soffocato
nel vomito con cui avrebbe inondato la stanza.
« Dio! » Strillò, inorridito. Ritrasse il
capo con una smorfia molto più che disgustata. « Che schifo! »
« Trangugi, trangugi. » Ribadì Madama Chips, che, prima
di andarsene chissà dove, gli diede due pacche sulle spalle che celavano nel
tocco una qual sorta di gongolante soddisfazione.
Ma
Draco Malfoy aveva ben altre gatte da pelare in quel momento. Molto più urgenti di mutilare orrendamente la medimaga. Come per esempio far risalire tutta la faringe
all’ultimo trangugio che gli si era mozzato tra i denti, e che gli aveva
strappato il colorito più rosato che si fosse mai visto sul suo viso.
O,
piuttosto, come far fronte ad una conseguenza, di tutto quello che era
successo, che i crampi allo stomaco avevano relegato fino a quel momento negli
angoli più nascosti della sua mente…
« Guarda chi c’è? Il
figlio dei due mangiamorte più famosi dell’Inghilterra. »
Si
volse lentamente verso destra.
E
non fu uno sforzo immane, per lui, solo perché la pancia continuava a dolergli
ad ogni minimo movimento…
Un
ragazzino di Corvonero, probabilmente in infermeria a
causa del suo braccio destro – penzolante quasi fosse stato incantato da quel
depravato di Allock – lo fissava avidamente, con
bramosa insistenza.
E
i suoi occhi recavano al loro interno qualcosa di così nitidamente trionfante,
e nello stesso tempo sfinito e sfinente, che sarebbe bastato davvero solo
quello, e non anche le parole che disse, per fargli comprendere davvero molto
di quello che sarebbe venuto…
Il
Corvonero saltò giù dal suo lettino con incauta
urgenza. E vacillò per qualche momento prima di assestarsi in piedi.
Basso
e pallido, persino sofferente a giudicare dalla smorfia che faceva ad ogni
ondeggiamento di quel suo arto martoriato, appariva eppure così imponente di fronte a lui.
A
lui, che nell’istante esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati, aveva
capito che la sua strada, che forse un bivio lo era sempre stata, a quel punto
cominciava ad andare solo e semplicemente avanti, in una sola direzione. Dritta
e larga.
Scoperta.
Senza
più un albero sotto cui riposarsi, senza più i mille
sentieri da prendere per fare un po’ quello che voleva. Senza più discese,
salite, scorciatoie: solo una lunga strada vuota.
Sotto
il sole, il vento e la pioggia che sarebbero venute giù da cielo.
E
l’aveva saputo all’improvviso, ma nitidamente, che quello era vento di
tempesta…
« Che fai,
Malfoy? » Riprese con cupa soddisfazione il Corvonero,
facendo un passo barcollante verso di lui, e continuando a soffiargli tra i denti
tutto il suo risentimento: « Non reagisci? Non hai niente da dire? »
Non
ne aveva, infatti.
Perché
l’unica cosa che gli appariva adatta, per lo strano giro degli eventi, non
l’avrebbe ridetta una seconda volta.
Si
rigirò sulla sedia, con movimenti nervosi e insofferenti. Avrebbe
semplicemente voluto tornare nella sua stanza, e non uscirne per molto
tempo. Avrebbe semplicemente voluto non dover dire niente. Ma dovette sforzarsi
di rispondere, raccogliendo tutto il fastidio di cui era capace in quel momento:
« Gira a largo, ok? »
« Quanto tempo ci vorrà prima
che ti sbattano ad Azkaban con i tuoi genitori? » Ringhiò invece il Corvonero,
sempre più infervorato.
« Ti avverto, se non la
smetti… »
« Cosa vuoi farmi? » Lo provocò l’altro, con gli occhi fiammeggianti e il
respiro affannoso, per il trasporto con cui lo fronteggiava. « Uccidermi
come un vero mangiamorte? »
Reagì
d’impulso.
Nel
ricordo di un sé ormai perduto, seppur in così breve tempo.
Reagì
scattando in piedi e serrando tra le dita la propria bacchetta. Ma negli occhi
non c’era orgoglio. Né ardente fiducia in un credo che negli anni qualcosa di
amaro, qualcosa di marcio l’aveva
lasciato. Negli occhi: una desolazione lancinante. Ardente. Smarrita.
Una
rabbia verso qualcuno di indefinito che assomigliava molto a se stesso…
E
quello che esalò, come se fosse una minaccia, lo sentiva così falso che gli
salì la nausea solo a pronunciarlo:
« E se lo facessi? »
« Lei non farà proprio niente,
Signor Malfoy. » Lo corresse frigida e altera Madama Chips,
comparendo all’improvviso, e guardandolo prima lui e poi sovrastando il Corvonero con l’asciutta figura nodosa: « E lei la
smetta di far penzolare in giro il suo braccio, se non vuole che rimanga per
sempre così. »
Solo
dopo essersi assicurato di non poter continuare a insultarlo, il ragazzino
ricadde sul lettino e si rannicchiò sotto le coperte. Il viso ancora un po’
deformato dal fervore, e stravolto dal male al braccio che doveva essere
divenuto insopportabile da quando aveva cominciato ad agitarsi.
Madama
Chips disse allora a lui di tornare al suo
dormitorio. Lo guardò insistentemente, scandendo ogni parola con profondità.
Con l’integrità inattaccabile di chi, quando arriva il momento, si schiera
persino con i colpevoli se questi sono diventati i più deboli.
Un’ammissione
che nell’autostima che gli era rimasta lo colmò di
frustrazione.
Fece
per andarsene.
Andare
avanti. Fosse anche per pagare. Ma
almeno avanti… almeno per non dover ammettere che l’unica cosa che gli rimaneva
era davvero quel muro impietoso di lucente determinazione. Lì a difenderlo solo
perché non si infierisce su un nemico già vinto…
Il Codice d’onore dell’Esercito di
Silente.
Strinse
i pugni lungo i fianchi, cercando di scacciare i pensieri che gli affollavano
la testa. Ma oltre il braccio arcuato delle medimaga,
vide qualcosa che fermò i pensieri dov’erano: che fermò tutto il suo mondo
dov’era.
Lentamente,
lo bloccò, incastonandolo in quel momento.
In
quel momento in cui i passi slanciati si fermarono come se non avesse più forza
per trascinarli. In cui gli occhi gli rimasero incollati allo sguardo contrito…
Umido. Sorridente di un sorriso penoso… che il giovane Corvonero relegava al calore gentile del suo cuscino.
Non
lo udì veramente: non era possibile da quella distanza. Non era possibile per
la voce sottile con cui venne mormorato.
Eppure,
in qualche modo lo sentì.
Un
singhiozzo silenzioso e contratto, che sembrò liberare il petto di chi lo
lasciò andare:
« Finalmente un
po’ di giustizia… »
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 12.15
Hogwarts. Corridoio davanti all’Ufficio di Silente
Bussò
cercando di darsi un tono.
Non
troppo forte, ma nemmeno in modo timoroso. Con toccate ferme: non secche, ma
nemmeno morbide.
Voleva
dare l’impressione di essere assolutamente tranquilla e convinta di ciò che
aveva fatto.
E
lo era, certo.
Ecco
perché la spilla appuntata al suo petto, di solito fulgente di luce argentea,
le sembrava orrendamente nera.
Riflesso
del suo cuore, anch’esso ovviamente nero. Orribile. Efferato. Contaminato. Quasi Naraku
l’avesse impregnato con la sua solita, cara, vecchia aura malefica che appesta
sempre tutto quello che trova a meno che nei paraggi non si aggiri Kikyo, risorta per la trecentoventisettesima
volta, cecchino scelto della S.W.A.T. nonché Mastrolindo Miko Version, che fa tornare tutto perfettamente luminoso e
pulito.
Ed
ecco perché si era resa inesorabilmente conto che, per lei e solo per lei, la
“P” marchiata a fuoco sul suo glorioso stemma non voleva più dire “Prefetto”,
ma ovviamente “Peccatrice”.
E
sempre per la medesima ragione, ovvero il fatto che era e si sentiva innocente
e calma, forte della sua moralità e dei motivi che l’avevano indotta a
infrangere le regole – questo solo pensiero le causò un breve mancamento - si trovava a
traspirare copiosi litri di sudore gelido. E aveva mandato una lettera a Oliver
Baston per chiedergli in prestito la frusta con cui
tutti sapevo aveva allenato la sua squadra di Quidditch
negli anni addietro, e con la quale aveva già programmato i giorni della
settimana con cui flagellarsi atrocemente.
Ovviamente,
aveva anche rispolverato un vecchio leggio grazie a cui, nel flagellarsi,
avrebbe potuto contingentemente anche studiare.
Va
bene espiare… ma un minimo di diletto voleva tenerselo!
Il
punto era: quando la porta si aprì senza preavviso, Hermione Granger si decise
ad avanzare solamente per due ragioni.
La
prima: il dovere di essere corretta pur nella sua imperdonabile mancanza.
Ovvero, ammettere l’errore prendendosi le sue responsabilità.
La
seconda, e più importante: il vago ricordo di una vecchia clausola mai
esplicitamente abrogata – ed era controversa la questione della sua abrogazione
tacita o implicita - all’articolo 2117 comma 84bis del
regolamento di Hogwarts, la quale considerava un’infrazione svenire davanti
all’Ufficio del Preside, ostruendo così il passaggio ad altri studenti
bisognosi.
Per
questo e solo per questo, Hermione
Granger ebbe la forza di andare a far fronte alle sue innegabili colpe.
Sussurrando mentre sgusciava velocemente all’interno, con un filo di voce:
« Permesso… »
Da
dietro la scrivania, un fiotto di luce accecante e purissima la annegò in tutta
la sua immacolata beatitudine. E una voce che recava in sé infinita gentilezza
– poiché la più grande punizione per il Maligno è mostrargli quanto gli è
superiore la magnificienza del Giusto – l’accolse nauseabondamente dolce:
« Signorina Granger! Prego!
Entri pure! Che piacere vederla! »
Deglutì,
facendo un passo in avanti che non seppe davvero come le riuscì.
Forza Hermione, puoi farcela.
« Salve Professore, scusi se
la disturbo… » Farfugliò con un fil di voce, stropicciandosi le dita le une con
le altre.
« Nessun disturbo, nessuno! » Scosse allegramente il capo il Preside, facendole segno di
avanzare verso di lui. « Stavo giusto per bere
una tazza di te. Vuoi favorire? » Le allungò sul
tavolo una tazzina, sorridendole dietro la barba. « Assicuro
che è delizioso. »
Continuando
a sudare freddo si sedette sulla sedia, mentre biascicava brevi negazioni e partecipatissimi ringraziamenti, scuotendo con movimenti
meccanici e nervosi il capo cespuglioso.
Non
l’avrebbe detto, ma tutto quel rituale doveva fare un gran ridere.
Altrimenti
Silente, che era una così brava persona da tramutare una risata in un sorriso
intenerito, non l’avrebbe guardata così affettuosamente.
Ma
Silente era Silente.
E
un po’ dell’ansia che l’aveva accompagnata, si era già dissolta.
E
persino il silenzio che per un po’ si venne a creare, mentre il Preside
sorseggiava sereno il suo the, non parve così pesante come forse lo sarebbe
sembrato se al suo posto ci fosse stato chiunque altro…
Per
quanto ugualmente difficile fosse tentare di imbastire un discorso articolato
contro il pressante desiderio di togliersi la spilla, riconsegnarla per
indegnità, e inginocchiarsi ai piedi di Silente domandando perdono.
Cosa
che, tutto sommato, il suo spropositato orgoglio le faceva apparire ancora non
del tutto consona.
Il
Preside le tolse il pensiero di cominciare a scusarsi, esordendo per lei:
« Ho sentito… » Pausa.
Pallore. Sudore. Unghie nei braccioli della sedia. « … da fonti che
ritengo attendibilissime… » Hagrid. Maledetto. Traditore. Omicidio. « … che è stata fatta una
missione di salvataggio ieri. »
Ok, ho capito.
Fece
per alzarsi e tirare indietro la sedia.
Le
serviva più spazio per prostrarsi.
Ma
si fermò a mezz’aria quando udì Silente dire vividamente:
« Un’idea sorprendentemente
previdente, considerando che una missione simile era stata programmata da me
per quest’oggi. »
Aggrottò
le sopracciglia, sorpresa.
« Come…? »
Silente
annuì con convinzione un paio di volte, mentre lei si risedeva lentamente sulla
sedia, fissandolo perplessa.
« Ovviamente, Signorina
Granger, è dovere di ogni Preside assicurarsi che i suoi studenti passino delle
belle feste di Natale. E non possono certo nemmeno dispiacersi se una loro
studentessa li precede in intenti così meritevoli di lodi. »
Si
risistemò del tutto sulla sedia, abbassando un poco il capo. Questa volta più che
per il senso di colpa, per l’imbarazzo che le imporporava un
poco le guance.
« Sicché converrà con me che,
se fosse venuta solamente per scusarsi di non avermi chiesto il permesso di
aver ricondotto qui il Signor Malfoy, il suo tempo sarebbe stato ingiustamente
utilizzato. » Continuò pacatamente il Preside, con un guizzo speranzoso che gli
attraversò lo sguardo nell’allungarle ancora una delle tazze: « A meno che
non voglia prendere questo the insieme a me. »
La
tazza fumante aveva un’aria così invitante, e quel luogo trasmetteva una
sensazione così famigliare e intima, che questa volta non poté rifiutare. E
nemmeno poté privarsi di confessare timidamente tutti i timori che in quelle
ore l’avevano assiduamente accompagnata:
« Io… mi chiedo cosa
succederà… »
Sollevò
lo sguardo verso il Preside, che in quel momento sorseggiava il suo the con il
viso leggermente incupito.
Era
certa che Silente avrebbe capito.
Difatti,
quello, scuotendo il capo con una certa amara consapevolezza, mormorò:
« Quello che immagina, temo…
»
L’avevo immaginato, infatti.
Si
disse sconfortata, presagendo quello che sarebbe venuto.
« La panna cotta verrà
brevettata dai cinesi. » Dichiarò il Preside
rammaricato.
…
Ok,
non si erano capiti.
Si
schiarì la gola un paio di volte, prima di biascicare, vagamente interdetta:
« No… ehm… intendevo… rispetto
a Draco Malfoy. »
Silente
la guardò per un attimo perplesso. Poi, come capendo improvvisamente, esclamò:
« Oooh,
certo! Certo! » E, stranamente, quello che continuò a dire al riguardo, lo disse
assai serenamente: « Allora, vede, sarebbe assai strano se, a parità di
interesse degli studenti per
Decise
che non smettere di guardare intensamente il the era la cosa migliore da fare.
Più
che altro per non dover dar spiegazioni della sua espressione afflitta.
Draco
non avrebbe potuto contare su niente se non sulla certezza che, da quel momento
in avanti, l’odio e il disprezzo celati contro la sua famiglia, e ciò che la
sua famiglia rappresentava, l’avrebbero accompagnato per sempre.
Anche
se quelle colpe, lui, personalmente, non le aveva.
Era
solo un ragazzino… che chiamare Harry “Lo Sfregiato”, e lei “Mezzosangue” era
forse davvero il massimo male che aveva fatto nella sua vita.
E
per quello, non si condanna…
Immersa
in quei pensieri che le velavano il viso di tristezza, trasalì quando udì
Silente aggiungere:
« Però posso dirle per certo
almeno una cosa, Signorina Granger, che spero davvero la consolerà. » Lo trovò a guardarla dolcemente. E, a dire il vero, si
sentì anche solo per questo un po’ consolata… « Non
c’è protezione più grande, per chiunque, della cura degli altri. » La fissò ancora più profondamente, senza però metterla a
disagio. E, per un attimo, le parve quasi fosse per ringraziarla. « E perciò anche io mi sento molto più
tranquillo, dopo questo nostro incontro, perché comprendo che il Signor Malfoy
sarà abbastanza protetto da qualunque cosa »
Ma
Hermione Granger non si trovò per la seconda volta ad abbassare il capo, nel
tentativo di nascondere un poco del rossore che avrebbe potuto imporporarle
nuovamente le guance.
Forse
perché le sue riflessioni sulla sorte di Draco si erano fermate molto prima di
quel punto. Forse perché aveva sempre
pensato che più che riportarlo indietro, lei non avrebbe potuto fare molto
altro per lui. Non lo detestava, e lui non la odiava, certo… ma Hermione
Granger e Draco Malfoy in fondo rimaneva Grifondoro e Serpeverde senza
possibilità di redenzione, no?
In
fondo, sembrava normale, per lei, per tutti,
pensare che se Draco fosse rimasto a Hogwarts, sarebbe rimasto solo.
Eppure
non era così.
Eppure
quel piccolo passo, quella piccola pretesa di conoscere cosa avrebbe desiderato
quando sua madre era stata portata via: quello che le aveva fatto pensare di
andare a riprenderlo… quello diceva qualcosa di diverso, che nemmeno lei aveva
mai ammesso ad alta voce.
Ma
sentirlo pronunciato da qualcun altro fu un po’ come renderlo vero per la prima
volta.
Ma
anche renderlo vero per sempre.
Fu
come sentirsi improvvisamente abbastanza coraggiosi e forti da fare da scudo a
qualcuno semplicemente per il desiderio di difenderlo.
Fu
come sentirsi troppo convinti per imbarazzarsi.
E
proprio perché capì cosa Silente le voleva dire, non schivò i suoi occhi chiari
e profondi, che la osservavano affettuosamente.
Ma
ci fu una cosa che viceversa non riuscì davvero a capire…
Quello
che Silente disse subito dopo.
« Lo sa,
Miss Granger? Ho avuto una conversazione simile con un altro studente poco
tempo fa…» Le rivolse un piccolo sorriso, nascosto
sotto la lunga barba bianca. « Si trattava di
uno studente veramente dispiaciuto di non avere più con sé una persona
veramente speciale per lui. »
« Che studente? » Domandò con discrezione, ma alquanto incuriosita.
Silente
sorrise ancora, ma a quella domanda, quasi come se non ce ne fosse bisogno,
decise di non rispondere.
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.13
Hogwarts. Sala Comune
« Narcissa
Malfoy marcirà ad Azkaban per tutta la vita. »
Esclamò in un tremito di gioia e soddisfazione Justin Flich
Fletchley, che quasi fece una capriola per l’ilarità
che quella esclamazione gli
comportava.
Hanna
Habbot ridacchiò di una risatina breve e più composta,
ma ugualmente soddisfatta.
« C’era da aspettarselo, eh? » Domandò, in sua direzione, e lui attese qualche attimo
prima di assentire.
Ma
lo fece.
In
qualche parte profonda di sé, non riusciva a privarsi di quella sensazione di
sollievo e speranza che il poter apertamente rivendicare la giustezza di
com’erano andate le cose generava in lui. E questo, nonostante in fondo al
cuore sapesse che qualcosa di non perfettamente giusto stava accadendo.
Perché
era sciocco, ma non così sciocco da pensare che si può
accusare qualcuno solo perché si ha finalmente una scusa per farlo.
Ciononostante
assentì.
Perché
anche lui, dopo tutto, aveva perso troppo per stare a
pensare sempre e solo a cosa fosse giusto.
E
perché a Draco Malfoy, in fondo, lui non doveva niente.
« Narcissa
Malfoy non è stata portata ad Azkaban, ma al
Ministero per essere processata. »
Hermione
Granger, che continuava a leggere tranquillamente il giornale su cui la grande
notizia era stata trascritta nero su bianco, sfogliando le pagine con attenzione,
rimase ad ascoltare il silenzio che avevano procurato le sue parole.
Poi
alzò il capo, chiuse il libro lentamente, e con una tranquillità senza
sbavature, impeccabile nel tono calmo, aggiunse:
« E noi non possiamo sapere se
è colpevole o innocente. »
Rimase
a fissarla attonito.
Come
la maggior parte degli altri studenti intorno a lui, quella pacatezza e
quell’integrità sembrarono un rimprovero inaccettabile che Justin non osò
prendere in nessun altro modo se non come scherzo di pessimo gusto.
« Scherzi, Granger? » Domandò il Tassorosso
ridacchiando. Ma la voce gli tremava, e le sopracciglia inarcate disegnavano un di disappunto quasi bruciante.
E
anche lui, inconsciamente, si trovò ad inarcare le sopracciglia con crescente
disagio e un nocciolo di duro rimprovero.
Ma
di fronte alla disapprovazione che si celava nella sorpresa nervosa di Justin,
e che diede avvio a decine di altre critiche verso quello slancio
apparentemente ingiustificato di democrazia,
Hermione ribatté senza problemi, sempre con calma:
« Spero che tu lo stia facendo, Fletchley. »
E
anche se quelle parole non erano contro nessuno, in molti sentirono che da
qualche parte avevano colpito.
« Hermione… » La richiamò a
quel punto, in un ammonimento strisciante e rauco.
Quando
si rese conto di aver parlato non riuscì ugualmente a nascondere l’espressione
distorta con cui forzatamente la guardava, con palese malessere.
Lei
gli rivolse uno sguardo profondo, e qualcosa della sua impenetrabile
determinazione si ammorbidì.
« Non sarebbe la prima volta
che il Ministero accusa persone innocenti. » Si
spiegò, più dolcemente. Rivolgendosi a lui come si sarebbe rivolta ad un amico.
Perché
loro lo erano.
Amici.
Da
sempre.
E
forse lo erano diventati anche perché anche lei aveva perso tanto in quella guerra.
Perché anche lei aveva dato abbastanza da non dover più niente a nessuno.
Eppure lei, quell’odio e quel rancore che si erano liberati in lui alla notizia
portata dalla Gazzetta del Profeta, sembrava non averli…
« E’ la moglie di un
mangiamorte che ha tentato di ucciderti. Di uccidere tutti i tuoi amici. » Balbettò, scuotendo il capo con movimenti pieni di
nervosismo, e una voce sempre più incrinata. « Non è… non va bene, Hermione… »
Non
andava bene.
Perché
in quel momento, erano così lontani che se si fosse sforzato di riconoscerla al
di là di quella immensa distanza, sentiva che avrebbe finito per non
riconoscere più se stesso… Che avrebbe finito per rendersi conto che quella
distanza era un po’ come il muro che separava due schieramenti molto precisi,
sulla cui appartenenza non aveva mai avuto, in fondo, alcun dubbio.
…
invece loro erano sempre stati dalla stessa parte.
Erano
sempre stati dalla parte giusta.
Ma ora…
« Scusa, Neville. » Gli mormorò dispiaciuta, sfiorandogli il braccio con
delicatezza quando fu costretta ad alzarsi e andarsene a causa
dell’infervorarsi delle persone intorno a lei. « Ma
io credo che sia giusto così. »
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 15.33
Hogwarts.
Aprì la
porta lentamente, in un breve rumore.
Ma nel
silenzio luminoso della biblioteca, si udì chiaramente quel suono che andò a
increspare solo per un attimo la solitudine pesante che vi governava
all’interno.
E per un
attimo, nell’attimo che la sua mente ci mise a elaborare quello che vedeva, l’abbandono
con cui Draco sedeva su una sedia, col capo chino, le parve così disarmante da
farle pensare di fare un passo indietro.
La mente la
costrinse a rimanere.
Ma quando
lui alzò lo sguardo verso di lei, fu il cuore a farla avanzare.
E con tutta
la tristezza e la durezza che possono convivere in uno sguardo lontano, Draco
continuò a fissarla anche quando gli si fermò dinnanzi, senza dire una parola.
Strinse
maggiormente al petto i libri che teneva, e non seppe con che espressione ebbe
il coraggio, o la presunzione di dire:
« Ho sentito che tua madre
verrà processata tra due mesi. »
Ma
lo disse con una voce che nel momento stesso in cui uscì le parve più chiara e
nitida di quanto non avrebbe creduto.
Draco
non reagì.
Se
non per l’attimo sfuggente in cui qualcosa di assurdo e tragico si intravide
oltre il vetro delle sue iridi sbiadite. Così rapido, così veloce, che non
avrebbe saputo essere sicura di averlo visto.
Ma
dopo quell’attimo, ancora il nulla.
« Così pare… » Mormorò poi,
lui, distante, mentre si alzava.
Fece
il giro del tavolo e si fermò davanti a lei, con gli occhi rivolti per terra.
Non
la guardò.
« Ho mal di testa. » Disse, sempre impassibile.
E
la superò senza attendere una risposta, uscendo dalla stanza.
Non
cercò di fermarlo, non gli disse nulla. Né gli andò dietro… Ma guardò la porta
oltre cui lui si era dileguato con lo sguardo di qualcuno che ha capito che
esistono altre strade, oltre a quelle segnate e calcate da mille passi.
Che
esistono altre ragioni dalla parte di cui stare.
Quello
era il momento.
Il
momento in cui non avere paura di oltrepassare l’ultimo confine.
Un
confine che innanzitutto, un paio d’ore più tardi, le si poneva come una
rediviva Pansy Parkinson che le puntò addosso gli occhi scioccati quando la vide oltrepassare la
soglia della sala comune di Serpeverde.
« Granger? » Biascicò assolutamente basita. « Ma come diavolo…? »
Era
sicura che Miss Serpeverde, già di ritorno dal suo breve viaggio natalizio, non
volesse sapere come era riuscita a passare il ritratto posto a guardiano della
loro sala comune. Nonostante ritenesse fosse stata particolarmente astuta,
certo.
Per
questo disse subito, senza troppi convenevoli:
« Sono qui per Draco. »
Un
inizio col botto, non c’era che dire.
La
risata gracchiante di Pansy, un po’ stralunata un po’
divertita dalla sua richiesta apparentemente assurda, si disperse per la sala
dove Serpeverde più piccoli si erano silenziosamente messi in ascolto di quello
che si preannunciava uno scontro tra titani.
La
mangusta e il serpente.
Qualcuno
allungò un galeone nelle mani di qualcun altro, per scommettere sul morto, ma
il radar di prefetto di Hermione li sgamò alla grande, e le bastò lasciare una
brevissima occhiata insindacabile oltre alla spalla della rivale per farli
desistere dall’azzardo.
Occhiata
che le fece guadagnare la fiducia dei molti che al di là dell’orgoglio di
appartenenza alla propria Casa avevano fiuto per il guadagno.
Era in effetti implicitamente data
« Ah si? » Grugniva intanto
con velenosa ilarità Pansy, tra un sogghigno e
l’altro, « E chi te l’ha chiesto, Granger? »
Hermione
si schiarì la gola.
Una
gola che, a dire il vero, non era nemmeno così secca come avrebbe pensato:
« Nessuno. Ma vorrei parlare con
Draco, perciò se puoi spostarti… » E mentre lo diceva
fece qualche passo in avanti, in direzione di quello che sapeva essere il
corridoio dove si trovava la stanza di Draco.
La
sua decisione dovette spiazzare il suo avversario, che non seppe reagirvi.
Sfortunatamente,
Pansy notò in quel momento la boccetta che teneva in
mano, rimastale nascosta per caso. Cosa che la riscosse alquanto velocemente.
Le si parò dunque di nuovo, burberamente davanti, stridendo con un ardimentosa foga:
« Gli vuoi rifilare un filtro
d’amore, eh?! » Lo sguardo
stravolto da cupe ombre d’isteria repressa venne attraversato da una
folgorazione improvvisa. Cosa che le fece presagire il ringhio corrosivo e
fremente che seguìrovi: « Draco ti odia, in questo momento come mai. E’ colpa di
quelli come te se si trova solo, adesso. Ti odio,
Granger. Ti odierà per sempre! »
Per sempre…
Rimase
lungamente a guardare Pansy negli occhi.
Lungamente,
rimase a guardarla senza dire o fare nulla.
L’ultimo confine…
Era
quello.
Quel
velo di certezze che c’era sempre stato.
Scontato
e magnificamente semplice da immaginare, da pensare. Da creare. E che tutti avevano contribuito a creare…
Non
guardò
E
nello stesso modo la contraddisse, scuotendo leggermente il capo:
« No, non mi odia… noi non ci
odiamo… anche se tu, o chiunque altro, volete continuare a pretendere che sia
così, non lo è. »
Gli
voleva bene.
In
qualche modo che ancora non era riuscita a capire, aveva finito per volergli
bene.
E
ci sarebbe stata, semplicemente per questo.
Draco
non era solo.
Hermione
Granger che scostava il velo della differenza…
Questo
fu quello che accadde.
« Ma chi… chi ti credi di essere?!
» Strillò con un disprezzo balbettante e irato
Un
tic nervoso le fece fremere impercettibilmente la tempia destra, mentre si
riassettava in piedi.
Inspirò
profondamente, e scandì con caustica lentezza:
« Stavi quasi per farlo
cadere. »
Uno.
Due. Tre… Dieci.
Calma, doveva stare calma…
Pansy si mise a urlare senza contegno, inviperita al punto che
ben presto ciò che le uscì dalla bocca non era più voce ma ultrasuoni:
« E chi se ne importa! Tanto meglio! Non vi odiate?!
Sei impazzita?! »
E
intanto faceva oscillare il capo maniacalmente avanti
a indietro.
Come
un serpente pronto a colpire.
Come
un aquila che cerca la preda.
Come
un coccodrillo che ha appena visto a pochi metri da sé un sociologo che si
avventura a studiare il numero di alghe che vanno a costituire un fenomeno
sociale.
O
un piccione che pensa intensamente:
« Quello è un chicco di mais:
voglio un chicco di mais. Dammi un chicco di mais: non toccare il mio chicco di mais. »
Si, certo: poteva capire Pansy Parkinson… Che,
poverina, non riusciva a fare a meno
dell’odio, e del disprezzo, per stare al mondo. Certo, la compativa. Certo, non
aveva bisogno di risponderle per sapere di aver ragione.
Certo…
Però
poteva anche smetterla di trapanarle i timpani con quei suoi strilli
allucinanti che le sputavano addosso tutti gli insulti che le venivano in
mente!
« Non hai il fegato di
ribattere, eh, Granger?! »
Continuava imperterrita Pansy, con gli occhi
completamente dilatati che le davano l’aria di una vecchia invasata – e il capo
sempre più oscillante, il chicco di mais sempre più vicino.
Hermione, non ne vale la pena…
« Sei solo una sporca! »
Lasciala perdere.
« Insulsa! »
Stai calma.
« Lurida! »
CALMA.
« Mezzosan- »
« Pietrificus Totalus! »
Imperante,
come solo chi ha in mano l’ascia di un baby menù medievale può essere, Hermione
Granger fissò con onnipotente superiorità la sagoma pietrificata che permaneva
immobile ai suoi piedi. E acquisendo in altezza qualche significativo
centimetro, per un attimo a qualcuno parve di vedere dietro di lei l’immagine
di un uomo molto preciso quando, con voce sorprendentemente baritonale e
profetica, echeggiò glaciale:
« Non accetto insulti da una
persona che ha il nome di un morbo »
E
nonostante l’imprevedibilità intrinseca di quella scena, una muta standing
ovation si diffuse tra i Serpeverde.
Il
chicco di mais era stato vinto.
Hermione
Granger era il suo nuovo padrone.
*** *** ***
Giovedì 26 Dicembre. Ore 18.02
Hogwarts. Stanza di Draco Malfoy
Bussarono
alla sua porta.
Lanciò
svogliatamente uno sguardo all’ingresso. Non avrebbe aperto. Nemmeno per 1000
galeoni. Nemmeno per l’abolizione di Grifondoro. O di Corvonero…
o persino di Tassorosso.
Nemmeno
se avessero continuato a insistere a oltranza, accanendosi su quella porta solo
come lui si sarebbe accanito su Pucey Davis.
Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc.
Toc-toc. Toc-toc. TOC-TOC.
Ma porca!
Si
alzò di scatto dal divano e in uno slancio furente spalancò la porta,
berciando:
« Chi diavolo… »
La
fine della frase se la perse scoprendo che la persona
di fronte a lui, altri non era che Hermione Granger.
« Ti ho portato qualcosa per
il mal di testa… » Gli disse.
E
quella volta, non gliel’avrebbe lasciato ai piedi.
Non
sarebbe stato in grado di dire perché, ma in qualche modo lo sapeva.
Come
non sarebbe stato in grado di dire come Hermione fosse riuscita ad entrare
nella sua Sala Comune, e poi raggiungere lui, ma nello stesso tempo non poteva
pensare ad una cosa così sciocca che lei non fosse in grado di fare…
Quella
piccola creatura sorprendente che, ancora una volta, lo guardava in attesa, in
apprensione. In quella preoccupazione un po’ impacciata che, ormai, sentiva di
conoscere bene.
Era
così rassicurante… che per un attimo si dimenticò di
ogni cosa.
Ma
fu lei a riportarlo bruscamente indietro, a guardare in faccia ad una realtà
che anche lei sembrava vedere bene:
« Tua madre verrà processata
tra un paio di mesi. »
E
di nuovo, uno squarcio nella sua espressione rimescolò i suoi sentimenti
facendo uscire l’angoscia profonda che l’aveva ferito.
Dovette
obbligarsi a girarsi. Perché, anche se fu per un attimo, e anche se avrebbe
potuto essere qualunque cosa, e non angoscia, aveva la sensazione un po’
assurda e un po’ vera, che lei potesse vedere
tutto esattamente per quello che era.
« L’hai già detto, mi pare. » Commentò, cercando di essere serafico, ma in realtà
sapendosi la fronte imperlata di un sudore freddo e denso. La voce lontana che
si impose di non tradire alcuna emozione.
E
che non l’avrebbe tradita mai.
Con
nessuno.
Poteva
sentirla dietro di sé, sospirare, e forse guardare in basso, tentennare: poteva
sentirla giocare con quel filo su cui si sentiva in equilibrio per miracolo.
E
lo sapeva, quella volta lo sapeva che non ne era consapevole: che non voleva
fargli del male, che voleva semplicemente capire più a fondo qualcosa che era
sempre stata parte del suo mondo. Capire dove stesse la colpa, e punire.
Hermione
Granger era buona: i suoi insulti, lei gli aveva dimenticati.
Ma
un marchio, è qualcosa che non si può dimenticare. Perciò sapeva che quello che
avrebbe voluto più di ogni altra cosa, non poteva chiederglielo. Sapeva che il
prezzo da pagare per poter non essere solo, era il più alto che
gli si potesse essere richiesto…
« Finalmente un
po’ di giustizia… »
Un
prezzo troppo alto.
« Draco, tu… tu credi che sia
innocente? »
Si
volse repentinamente verso di lei. Con uno sguardo così affilato e
fiammeggiante che ferì prima di tutto se stesso, le rigettò addosso
violentemente:
« E tu cosa credi? »
Troppo
alto, ormai.
Perché
ormai lui non poteva più fingere che quella che tutti chiamavano giustizia, per
lui lo fosse davvero.
Hermione
lo fissò sorpresa, come se non capisse cosa stava dicendo.
Una
prostrazione profonda, rabbiosa, lo vinse. E il viso si irrigidì lugubremente
sul pavimento, mentre, in una smorfia dolorosa, tutte le ragioni per cui sapeva
che Hermione non avrebbe potuto sostenerlo in quella che per lui era, in fondo,
una flebile, preziosissima speranza, gli salirono sulle labbra inflessibili e
impietose:
« Mio padre ti ha quasi
ucciso una volta… » Strinse i pugni lungo i fianchi, continuando a fissare
ossessivamente in basso, con un’ombra sul viso. « E
poi… sai, anche mia madre se avesse dovuto ti avrebbe uccisa. Si… se avesse potuto… »
Non
avrebbe voluto continuare, non con quel viso così miseramente contratto oltre i
capelli scombinati che gli erano caduti davanti, e le mani rattrappite in pugni
tremanti. Non con quell’aria così disperata che in fondo si rendeva conto di
avere sul viso smunto.
Perché
anche se ormai non poteva più tornare indietro: anche se per la prima volta
aveva davvero scelto da che parte stare… l’idea che non l’avrebbe più avuta con
sé era anch’essa insostenibile.
Ma
per qualche ragione non riuscì a fare altro che guardarla mentre esalava, quasi
gemendo:
« Però lei… lei… »
Hermione
rimase immobile per qualche minuto. Sul viso non si leggeva altro che
confusione, una confusione mortificante che lo fece sentire completamente
vuoto.
…
e triste.
Lei
sembrò riscuotersi un poco in quel momento, ma rimanere sempre piuttosto
perplessa. Poi fece quello che faceva sempre: razionalizzò. Per un attimo, quel
suo arcuare le sopracciglia per riflettere e puntualizzare… per dare un ordine
alle cose, e saperle così valutare, gli mise addosso così tanta nostalgia, che,
per un attimo… pensò di non potercela fare.
« Si, mh, ho capito. E anche tu avresti voluto… giusto? » Definì infine Hermione, grattandosi incerta la fronte.
Rimase
sconvolto a guardarla.
Perché
sembrava tranquilla nel dire quello che stava dicendo? Perché era così indifferente? Perché doveva ancora
arrivare a dubitare che a lei importasse qualcosa di lui?
Mortificato,
frustrato, disperato, deluso scosse
il capo nervosamente: voluto cosa?
Perché
parlava di quello come di un compito di Pozioni di cui non riusciva a capire il
procedimento?
« Intendo che avresti voluto
che io morissi… » Gli spiegò Hermione, che doveva aver capito il suo sconcerto.
In
compenso a lui si gelò il sangue nelle vene…
Nel
tornare a guardarla, non seppe vederla bene oltre la coltre di pianto che gli
schermava gli occhi almeno da dentro, ma la intuì con ancora la mano sulla
fronte, e l’aria di qualcuno che è arrivato alla soluzione di un calcolo
nemmeno troppo difficile.
Si
sentì improvvisamente male.
Ma
poi…
« E io avrei voluto che tu
restassi furetto. »
Si
passò una mano sugli occhi, per scacciare le sue lacrime invisibili: per
poterla vedere meglio.
E
se ne accorse: si accorse che aveva un sorriso che nessuno avrebbe detto
vedendo l’inclinazione impercettibile delle labbra… ma che lui vedeva aleggiare
su tutto il viso. Con quel misto di ironia e tenerezza che sembrava dilagare
ovunque.
Con
tutta la semplicità di uno scherzo, di una cosa buffa, lei aveva pronunciò
quelle parole con la naturalezza che si ha nel parlare di qualcosa che,
davvero… non ha più alcuna importanza.
Fu
come se gli abbracciasse i muscoli tesi: del collo, delle braccia, delle mani,
del viso… e glieli rilasciasse.
Avrebbe
voluto trovare un modo per guardarla di più negli occhi.
Un
modo per avere di più da quel momento: imprimerlo ovunque, per non dimenticare
come lo guardasse con le sopracciglia vagamente aggrottate vicino al centro
della fronte, come se non capisse fino in fondo cosa aveva voluto dimostrare,
dicendole quelle cose, come se quel suo calcolo mentale non le tornasse più di
tanto… ma in ogni caso andasse bene.
Perché
tanto il Basilisco non l’aveva uccisa, e Malocchio Moody
l’aveva ritrasformato in un essere umano.
Perché
era sua madre: e se la voleva salva, lei lo capiva.
Ricadde
sul letto pesantemente, chinando il capo e i capelli argenti con sfinitezza.
Una
colpa troppo grande…
« Finalmente un
po’ di giustizia… »
…
una colpa che aveva pensato davvero troppo grande per essere pronunciata di
fronte a chiunque.
Ma non a te…
« Io non lo so… se è
innocente… »
Lo
mormorò, pur nel sollievo che l’aveva colto qualche attimo prima, con una
tristezza che non credeva avrebbe mai potuto provare, e mai pronunciare…
Aggrottò
le sopracciglia ancora di più, senza avere nemmeno la forza di impedire alle
mani di andare a coprire la faccia contratta. L’espressione tormentata che non
sapeva rassegnarsi.
Avrebbe
voluto gridarlo al mondo.
Gridare
che lei lo era, innocente.
Che
non era giusto.
Avrebbe
voluto poterlo dimostrare… non per salvare lui dalle parole degli altri.
Ma
per salvare lei.
A
cui era bastato un attimo per essere madre. Per dargli l’illusione di esserlo
sempre stata.
Uno
solo per dargli la certezza che
l’unica dolcezza di cui era stata capace… era stata per lui.
Come
una carezza, non come uno schiaffo, gli aveva sciolto il cuore in una
commozione distrutta e sconvolgente. Che l’aveva lasciato lì, nel nulla, in un
luogo senza tempo dove sembrava che il dolore l’avesse sempre aspettato.
Dove
sembrava che niente potesse accadere…
Eppure,
qualcosa era accaduto.
Hermione
Granger, era accaduta.
E
accadde ancora: avvertì una mano che si posò sulla sua spalla.
Sollevò
lo sguardo disorientato.
Hermione
lo sfiorava appena, guardandolo contratta a sua volta, in tanta tristezza.
Com’era
possibile che accettasse di portare con lui il fardello dell’incertezza? Della
pretesa di rivendicare una salvezza per qualcuno, non perché lei era certa che
se la meritasse, ma semplicemente perché sua madre?
Com’era
possibile che una persona così triste sapesse dare così tanto conforto?
Se
lo chiese dominando l’espressione che voleva rompersi in un pianto nervoso che
rimase a filargli, questa volta visibilmente, la parte bassa degli occhi.
Perché
lei c’era.
Vedeva
le sue colpe e sapeva perdonarle: vedeva le sue speranze, quelle contro cui combatteva
tutto il mondo a cui lei apparteneva, e le viveva con lui
E
quello che era davvero commovente, era che lui riusciva a capirlo.
Che
riusciva ad accettarlo.
E
quello che fu davvero commovente, fu che non gli parve più nemmeno così strano
che, al posto di ritrarsi infastidito, l’istinto che aveva represso era stato
quello di aggrapparsi a lei in quello che, un abbraccio, forse, lo sarebbe
sembrato.
Draco
Malfoy ed Hermione Granger…
Le
pretese degli altri non contavano più niente.
Perché
se dietro quel velo c’era stato dell’odio, tra loro due,
di esso non rimaneva più nulla.
*** *** ***
Le angoscie sono finite, almeno per un po’.
I nodi sono
stati sciolti, almeno tra loro due.
E questo
è quello che conta: ci sarà un salto
che mostrerà quello che succede a Hermione e Draco in un momento che non ho
ancora deciso… dipenderà, come ho scritto, anche da quello che mi direte
rispetto alla storia, e a come dovrebbe proseguire.
Se cioè
questo salto sarà di giorni, mesi o anni, mi riservo il diritto di deciderlo a
breve, ma non ora.
Quello
che è certo, è che tutto quello che è ancora da risolvere verrà risolto, foss’anche a condizione che io scriva il doppio delle
pagine per il prossimo capitolo, se fosse quello conclusivo.
Per voi,
sono anche disposta a farlo ovviamente.
Torno a
studiare per l’esame di diritto di enti locali, che prego veramente mi vada
bene nonostante io abbia speso l’ultima settimana a mettere a posto il
capitolo!
Ne
approfitto anche per giustificarmi: non l’ho riletto tutto intero, perciò
potrebbero esserci sconnessioni – minime, spero – tra qualche parte.
Il
concetto generale però è assolutamente quello.
Un bacio
grande ^^