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Autore: Lorss    24/09/2015    5 recensioni
“Michael Penniman?”
Mika si rizzò sulla sedia al suono della voce dell’infermiera. “Sì, sono io”, rispose, alzandosi in piedi e schiarendosi la voce. Ormai, era pronto a tutto.
“La situazione si è stabilizzata. Sua sorella non è più in pericolo di vita”.
Il ragazzo rimase senza fiato. Non rispose, si limitò ad annuire e tornò a sedersi senza neanche aspettare che l’infermiera andasse via. Non riuscì a sentirsi sollevato: si sentiva terribilmente solo, invece.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis, Paloma Penniman, Yasmine Penniman, Zuleika Penniman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Michael Penniman?”
Mika si rizzò sulla sedia al suono della voce dell’infermiera. “Sì, sono io”, rispose, alzandosi in piedi e schiarendosi la voce. Ormai, era pronto a tutto.
 “La situazione si è stabilizzata. Sua sorella non è più in pericolo di vita”.
Il ragazzo rimase senza fiato. Non rispose, si limitò ad annuire e tornò a sedersi senza neanche aspettare che l’infermiera andasse via; per quanto tempo aveva aspettato – o meglio, sperato – in quella notizia? Tuttavia, non riuscì a sentirsi sollevato. Si sentiva terribilmente solo, invece.
Passò qualche secondo prima che componesse il numero della madre, tornata a casa quella mattina dalla notte in ospedale. “Mika?”, rispose preoccupata al secondo squillo. “Mamma”, disse il figlio dopo aver preso fiato “Paloma sta bene”.
Rimase a fissare il pavimento, con la madre dall’altro capo del telefono che invece diventava un uragano di parole, la voce rotta dalle lacrime che gli rivolgeva domande senza neanche aspettare una risposta. Mika non la ascoltava, attese che si sfogasse e poi aggiunse soltanto “Raggiungimi in ospedale”, prima di riattaccare.
Mise il cellulare in tasca e si lasciò cadere sulla sedia, allungò le gambe, poi con le mani si strofinò gli occhi e si massaggiò le tempie. Sentiva un leggero formicolio alla testa. Da quando non chiudeva occhio? In realtà, era da un po’ che neanche riusciva a sentirsi umano. Aveva smesso di volere chiunque intorno, aveva deciso che quella notte, quando gli hanno portato via la sorella in ambulanza, la vita gli stava dicendo che di lui ne aveva abbastanza, lui ne aveva abbastanza. Aveva deciso che preferiva proteggersi , quella volta, piuttosto che soffrire di nuovo. Era stato l’unico a non piangere. Aveva asciugato le lacrime di suo fratello, delle sue sorelle, di sua madre. Aveva tranquillizzato suo padre che era bloccato a Dubai. Aveva rassicurato Andy di stare bene. E il resto delle sue forze le aveva impiegate per pregare; non aveva un bel rapporto con Dio, ma il “suo” Dio non era come gli altri, lo avrebbe capito e lo avrebbe aiutato, se davvero era come se lo era figurato. Era un Dio tollerante, il suo.
Riprese il cellulare dalla tasca e digitò il numero di Andy, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per il corridoio mentre aspettava una risposta. “Pronto?” disse infine il compagno “Ho ricevuto il messaggio da tua madre. Cinque minuti e sono lì”. Non c’era stato neanche il bisogno di parlare, ormai lo conosceva bene e sapeva perfettamente quando aveva bisogno di lui e quando doveva sentirsi forte abbastanza da essere lasciato solo. Cominciò a vagare lentamente per quel corridoio lungo e bianco, fermandosi di tanto in tanto a guardare fuori da una delle finestre disposte in fila sul lato destro. Era una fredda giornata di sole, insolita per l’Inghilterra nel periodo invernale, ma che comunque non rendeva meno terribile il periodo che Mika stava affrontando.
Avrebbe fatto di tutto per tornare indietro a quella notte di appena due settimane prima, per fermare sua sorella dal sedersi sul davanzale della finestra del suo appartamento, un gesto così stupido che però aveva rischiato di non farle vedere mai più la luce del giorno seguente. In realtà, neanche a lui sembrava di aver mai più rivisto la luce del sole. O meglio, da quella notte, il sole non gli è mai più sembrato sufficientemente splendente.
Un vociore confuso lo distrasse dai suoi pensieri, dei passi celeri e rumorosi si avvicinavano; Yasmine e Zuleika, seguiti da Fortunè e sua madre Joannie, erano un tornado inarrestabile verso di lui.
Fu Yasmine la prima a raggiungerlo, aumentando il passo per coprire più velocemente la distanza tra loro. “L’infermiera è dentro”, si affrettò a dire Mika prima di dover affrontare la loro euforia “Chiedete a lei”. Yasmine si fermò di colpo mentre i suoi occhi azzurri gettavano saette verso il fratello “Vuoi dire che in tutto questo tempo non le hai chiesto niente? Sei pazzo o cosa?!”, disse avvicinandosi minacciosamente a Mika, perdendo il controllo della sua voce. “Andiamo, Yasmine” il tono pacato di Zuleika tranquillizzò la sorella, mentre si faceva avanti per prenderle la mano “Hai sentito cosa ha detto, lascialo in pace”. Come al solito, era Zuleika la più sensibile alle emozioni del fratello maggiore, mentre l’inarrestabile Yasmine faticava a tenere a bada la sua impulsività; dietro, intanto, il fratello teneva stretto il corpo abbondante e rotondo della madre ancora scossa da quella notizia, e, senza dire una parola, guidò tutti gli altri nella stanza di Paloma. Aveva assunto la stessa posa del fratello maggiore, lo sguardo alto di chi teneva tutto sotto controllo e le gambe sottili che avanzavano con passi lunghi e decisi; era lui a essere l’uomo di casa, in quel momento.
Mika decise di prendersi qualche secondo per rimanere da solo e metabolizzare tutto quello che era accaduto prima di raggiungere la sua famiglia. Poggiò la schiena al muro mentre sentì di nuovo una porta chiudersi in lontananza e dei passi avvicinarsi; tenne lo sguardo dritto al muro di fronte a sé mentre sentiva Andy aumentare il passo. Si precipitò di fronte a Mika e attese pazientemente che il suo sguardo arrivasse ai suoi occhi verdi, poi gli prese le mani e si avvicinò per dargli un bacio, senza essere respinto per la prima volta da dopo l’incidente. Gli baciò le labbra e poi lo cinse in un abbraccio, il corpo del libanese che però rimase distaccato ai movimenti del fidanzato. “Meeks” parlò a voce bassa e decisa “E’ tutto finito, adesso”. Disse le parole giuste, perché in quel momento Mika sembrò riprendere coscienza e, lentamente, ricambiò l’abbraccio. Annuì, poi portò indietro la testa per incontrare gli occhi di Andy e poggiò la fronte alla sua. Passò qualche secondo poi, finalmente, le lacrime riempirono gli occhi di Mika. Nessuno dei due si mosse quando le lacrime cominciarono a rigare il viso dai tratti arabi del primo e a scendere sempre più insistenti, ora che non erano più soppresse da nessuno. Quando il suo corpo sottile cominciò a tremare per la tensione di quel pianto e il respiro divenne pesante, il ragazzo dai capelli rossicci prese la testa di Mika e se la portò al petto, cercando di ammortizzare in qualche modo i singhiozzi e i fremiti del compagno. Lo strinse forte, lo lasciò piangere e poi urlare, le sue mani che gli stringevano la camicia e i muscoli delle braccia contratti allo scopo di sfogare tutta la tensione accumulata fino a quel momento, mentre Andy lo trascinava verso il giardino esterno dell’ospedale.
“E’ tutto uno schifo. Mi deve andare per forza tutto uno schifo”, disse Mika tra i singhiozzi, la testa appoggiata al petto di Andy mentre ancora gli torturava i vestiti. “Questo posto è una lurida merda!”, sbottò infine, il tono di voce sempre più nevrotico mentre continuava a imprecare.
Andy cercava di mantenere la calma mentre ascoltava il compagno sfogarsi. Sapeva bene cosa avesse sofferto in passato e avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma decise che la cosa più giusta sarebbe stata quella di non intervenire, sperando che le carezzesulla  sua schiena e i baci che gli lasciava sui capelli scuri servissero in qualche modo a tranquillizzarlo.
Ma quando gli insulti non accennarono a placarsi, e nemmeno il tono di voce si fece più tranquillo, Andy cominciò a preoccuparsi “Mika, basta.” Cercò di assumere un tono quanto più fermo e rassicurante possibile, “la tua voce..”
“A me non frega un cazzo della mia voce!”, urlò il compagno senza lasciargli completare la frase “A me non frega un cazzo di nessuno!!” aggiunse, guardandolo diritto in faccia, con gli occhi pieni di lacrime e il viso arrossato per lo sforzo. Si lasciò cadere sul prato; rimase con la testa fra le mani mentre cercava di riprendere fiato, mentre Andy rimase in piedi a osservarlo senza sapere cosa fare. “Io vado a vedere come sta Paloma”, disse infine, e scomparve dietro la porta d’ingresso.
Mika rimase accovacciato a terra, il respiro affannoso, mentre cercava di riprendersi da quel tripudio di emozioni che ancora lo torturavano per averle soffocate per tutto quel tempo. Non riusciva più a stare al passo con la sua vita, ormai. Non avrebbe sopportato una sola, ulteriore punizione che la vita aveva da offrigli. Aveva bisogno di scappare via e lasciarsi il mondo alle spalle. Volare via, da solo.
Quando riuscì a calmare il respiro, mettendo in ordine i pensieri delle ultime ore, si rialzò in piedi. Si avviò deciso verso la stanza di Paloma, sotto lo sguardo di tutti i suoi familiari meno sua madre, che doveva essere dentro con la sorella. Notò l’espressione di Andy tranquillizzarsi quando lo vide entrare, gli occhi che cercavano i suoi mentre studiavano la sua espressione; anche i suoi fratelli si tranquillizzarono vedendolo, cosa che gli fece pensare che dovevano averlo sentito nonostante gli sforzi del suo ragazzo; arrossì di imbarazzo, odiava rendersi così vulnerabile. Per tutta risposta, Yasmine si avvicinò ad abbracciarlo, gli occhi lucidi e l’espressione ancora scossa per le forti emozioni di quel pomeriggio, mentre Fortunè si limitò a dargli una pacca affettuosa sulla spalla rivolgendogli un sorriso timido. Zuleika rimase invece al suo posto, lo sguardo dolce rivolto al fratello tradito solo dalle lacrime che ancora le accarezzavano il viso. Ma Mika non era ancora pronto ad affrontare tutte quelle emozioni, così chiese semplicemente quando poteva entrare da Paloma, con Yasmine che ancora lo stringeva tra le braccia.
“Quando vuoi” rispose sua sorella minore. Senza aggiungere altro, Mika si sciolse dall’abbraccio ed entrò.
Non lasciò trasparire nessuna emozione quando vide sua madre che accarezzava, scossa, il corpo debole della sorella, ancora incosciente a causa dei farmaci antidolorifici. Aveva ripreso un po’ di colore, notò il fratello, ma ancora gli veniva la pelle d’oca quando si fermava ad osservarla.
Dopo che l’amica di sua sorella quella notte lo chiamò per dirgli cosa fosse successo, corse senza vestiti e senza scarpe fino all’appartamento di Paloma, dove dei poliziotti gli chiesero se fosse sicuro di voler assistere alla scena. “Sì”, disse, “Devo vedere”. Era peggio di quanto si aspettasse. Il corpo della sorella era a terra, poco distante dal cancello su cui era caduta dal terzo piano, e una barra di ferro era ancora conficcata nell’anca, troppo in profondità per essere rimossa a mani nude. Le gambe avevano preso un’angolazione innaturale e il viso era pallido per tutto il sangue che stava perdendo; quando la portarono via in ambulanza era troppo debole per urlare di dolore.
Non aveva mai visto niente del genere. Da quella notte, quell’immagine continuava a popolare i suoi incubi – le poche volte in cui il sonno aveva la meglio.
Mika si fece avanti e strinse la mano libera di sua madre, che, rassicurata dal tocco di suo figlio, poggiò la guancia all’altezza della sua spalla e si lasciò andare in un pianto liberatorio e commosso. “Oh, Meeks” disse tra i singhiozzi. “Va tutto bene, mamma. Stavolta è tutto finito” rispose sinceramente il figlio che però la superava di 30 centimetri buoni; si chinò per darle un bacio tra i capelli e rimasero per qualche secondo in silenzio, la guancia della madre poggiata al petto di Mika e quest’ultimo che le cingeva le braccia dall’alto dei suoi centimetri di troppo, mentre entrambi ascoltavano il respiro regolare di Paloma.
“Sarà meglio che vada, prima che vengano a prendermi le infermiere”, sorrise Joannie, asciugandosi le ultime lacrime dai suoi occhioni scuri. Mika annuì e le sorrise di rimando, rimettendosi diritto per lasciarla andare. “Ciao, mamma” le disse, un saluto che sarebbe stato l’ultimo prima di chissà quanto tempo. “Ciao, Mika” la madre si avvicinò alla figlia per darle un’ultima carezza prima di avviarsi verso la porta.
Il dolore che la donna aveva affrontato nel corso della sua vita e l’età che avanzava, le avevano fatto perdere parte della bellezza che sfoggiava durante la sua giovane età, ma nonostante il corpo rotondetto e le prime rughe della vecchiaia, Mika continuava ad essere affascinato da sua madre, dall’eleganza con cui ancora si muoveva e dalla galanteria con cui affrontava le persone; erano queste alcune delle cose in cui si sforzava di assomigliare sempre di più a lei, con suo fratello e le sue sorelle al seguito.
Rimasto solo, si avvicinò a Paloma e le diede un bacio leggero sulla fronte. “Ciao Paloma, io parto” ammise, per la prima volta ad alta voce, “Chiamami quando ti rimetterai in forze”.

Quando uscì, c’era solo Andy seduto ad aspettarlo. “Ciao,” gli disse timidamente Mika, “andiamo?”. Il ragazza gli annuì, rincuorato dalla tranquillità delle sue parole e si alzò prontamente. “Tutto bene?” gli disse, mentre si avviavano verso la macchina con cui era arrivato e la mattina stessa aveva lasciato il compagno. “Tutto bene. Per adesso”, rispose Mika; Andy sollevò gli occhi al cielo e si voltò per lascargli un forte bacio sulla bocca “Sei sempre il solito pessimista” disse, tornando al suo fianco e prendendogli la mano. Sorrise. Finalmente tornava a casa con il suo  Mika.

 
   
 
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