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Autore: Bolide Everdeen    24/09/2015    1 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 2, Grace Noèl.]
Non si ricordava quale fosse la sorgente di quella conversazione, era solo interessata al metodo in cui sarebbe scorsa verso il suo svolgimento, cosa le avrebbe rivelato. Era come se ogni movimento, ogni gesto, ogni parola di quel signore indicasse lei, l'avesse già costituita con tasselli che nessun suo pensiero aveva mai delineato. Per conoscersi, in fondo.
[...]
«Sai... credo di essere stato simile a te, in passato. Dimenticato, a cercare ostinatamente qualcosa che si potesse considerare mio. E allora... insomma, questo era un divertimento. Rubacchiare di qua, rubacchiare di là, sentirsi potente in confronto a qualcosa che potrebbe non essere in nostro possesso. Non è vera cleptomania, o almeno credo, o potrebbe essere una cleptomania sensata. Non badare mai alle loro spiegazioni, ragazzina. Perché tu hai qualcosa di più di tutti loro.»
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Cleptomania

“Cleptomania”. Questo era il commento degli sguardi delle persone che squadravano Grace nel momento in cui traeva dal mondo una qualunque delle sue testimonianze; osservando il modo in cui lei tracciava la sua traiettoria con delicata cautela, ritraeva il braccio impreziosito da una refurtiva, si accertava che nessun occhio si fosse frapposto fra lei ed il gesto e scorreva via. “Cleptomania”, i pochi con uno spirito osservativo così potente da rendersi conto della sua presenza, lo definivano. Come se fosse una malattia, più che una reale attitudine la quale si fosse infiltrata nelle ossa della ragazza, nelle sue vene. Grace non aveva ancora localizzato un metodo per definire quel bisogno che si manifestava prima nella sua mano e poi nella sua mente, però lo avvertiva circolare, avvolgersi attorno al suo collo, in caso non si fosse inchinata dinnanzi ad esso. Cleptomania, forse una reale malattia, forse qualcosa di naturale, sanguigno. Però, lei non si poneva queste domande.

No. Lei scacciava così lo sconforto generato dall'aggirarsi per i banchetti di Capitol City, distogliendo gli occhi da sua madre che dialogava con uno dei sconosciuti invitati, probabilmente non noto neanche all'interlocutrice. Sua madre non si preoccupava nell'abbondarla, lasciandola fluttuare sopra alla superficie la quale in quel momento asfissiava quel palazzo casuale, costellato dalla presenza di Grace. Non aveva ancora compreso come mai sua madre le concedesse di allontanarsi, trascinata dalle onde, da lei, e poi la richiamava a sé con esuberanti esclamazioni come “Amore”, “Tesoro”, “Bambina mia”. La confusione deriva da un inconveniente massiccio, un nodo inesplicabile nella mente della ragazza: quei nomi, nel silenzio delle quattro mura casalinghe, non erano mai adoperati.

Sempre nei giorni in cui miss Noèl era presente. Però, era certa che sua madre non avesse una particolare affezione in direzione del distretto di provenienza, il distretto 2, quando Capitol City spalancava le sue braccia dinnanzi al suo stupendo personaggio di artista, attrice, soubrette. E suo marito non languiva dalle lacrime, accompagnandola nella folla, e lì donandosi ai suoi affari. In questo modo, il distretto si era infittito, ramificato nelle braccia di Grace fino a divenire la sua unica possibile casa. Lo sentiva, lei. Non si sarebbe mai potuta separare da quel luogo, anche quando era solo un agglomerato di lei e delle domestiche di casa che si inchinavano ad un compito al quale neanche loro credevano. Grace avvertiva anche quello. Perché, semplicemente, di quella casa Grace conosceva tutto.

Chissà, forse era quello un altro motivo per cui quella serata in cui si trovava a scortare i genitori in un ricevimento nella sorprendente città di Capitol City, qualcosa opprimeva la sua mente, trascinava su di lei una coltre insormontabile, la distanziava da tutti i suoi reali pensieri. Si stava manifestando ancora quella condizione di obbligo che fluisce in un desiderio contro gli altri e diviene realtà, la cleptomania. E, per questo, si era avvicinata al sontuoso tavolo su cui era posata una lavagnetta in cui si aveva la possibilità di adagiare un proprio commento, un proprio pensiero per quella serata. Ed era contornato dalla presenza di una penna con un rivestimento dorato, posta lì, senza alcun controllo, senza alcun utilizzo. Era immaginabile che le persone di Capitol City incatenassero il loro presente su un foglio di carta? No, si sarebbero per sempre dedicati a fortificare il futuro, rendendolo sempre più vano. E, senza accorgersene, a questo scopo, radevano il proprio tempo attuale, però erano adoratori di questa pratica. Grace non seppe stimare il motivo per cui questo scorreva per la sua mente, ma avvertì quasi una nota di compiacenza, nel suo ragionamento. Poi, la sua mano ad agguantare la penna, ad estrarla dal foglio, a porla all'interno della sua pochette con uno scatto noncurante e immediato. Non possedeva tasche, il vestito nel quale l'avevano condannata a sopravvivere, però quello strumento che racchiudeva nelle mani, benché non avesse contenuto, si era rivelato utile, altro che ottimo dal punto di vista dell'estetica. Evidentemente, aveva conseguito obiettivi diversi dal suo reale. Ma, per Grace, ciò era giusto.

«Non si ruba, lo sai, ragazzina?» Questa voce colse alle spalle Grace, mentre il suo respiro le giurava quasi la salvezza, ma il mondo aveva replicato con una ribellione. No, non era salva,a causa di un uomo dall'aspetto massiccio e bonario, dal volto rubicondo e grasso, il quale puntava vero il basso i suoi occhi, in direzione dell'esile, minuscola ladruncola. Senza condannarla, però. Per quale ragione, la scherniva, però senza nessuna pensa?

La ragazza tentò di concatenare un metodo per reagire. Come muoversi? Scusarsi, restituire la refurtiva, prima che sua madre la potesse privare del suo strumento positivo, della sua sopravvivenza in quel luogo? Prima che la richiudesse in eterno, per aver vanificato una visita? Forse. Aprì la pochette, estrasse la biro, e la porse all'uomo, sussurrando:«Scusi, signore.»

Non comprese come mai dovesse donare quello strumento, appartenente al tavolo, a quell'adulto. Però, lui si limitò a sorridere, senza compiere nessuna azione. A sorridere, ed osservarla, con qualcosa di simile a divertimento e un ingrediente ignoto, agli occhi di Grace. Una stessa tonalità di esso si presentò nella bocca dell'uomo, quando continuò:«No, non ti preoccupare. Qui di penne ne hanno più che in tutti i distretti messi assieme, se una ragazzina ne prende una per fare qualcosa di più interessante al posto di scrivere “Grazie molto, ci siamo divertiti tantissimo” diventano più utili.»

Una sorta di stupore cedette nel braccio della ragazza, che precipitò in direzione del terreno, senza neanche capire come mai quella persona fosse intervenuta nella sua vita per donarle consapevolezza di sé, e presentare quel gesto come corretto. Non lo era, o almeno così le avevano raccontato nelle favole della scuola. La domanda relativa a cosa desiderasse si amplificò quando il signore continuò:«Piuttosto, non mi hai risposto alla domanda. Lo sai che non si ruba?»

Grace tentò di rintracciare quell'opzione nel suo cervello, e la dissotterrò affidandosi alla sua infanzia. Era quasi banale, come risposta, però lei non ne ricavava una visione di questa tipologia, nel momento vissuto. Era come se l'interlocutore la nutrisse d'interesse. E confluì tutto questo in una risposta:«Sì, signore. Cioè, me l'ha insegnato la mia governante. Non so se possa valere come l'insegnamento di un genitore.»

«Ci avrei scommesso. Così sono i ragazzini che si trovano nei banchetti di Capitol City; se hanno i capelli blu fosforescente, ci vengono per entusiasmo; altrimenti sono obbligati dai loro genitori. E non capiscono neanche il motivo per cui gli danno retta. Vero?» Grace si ritrovò a ricapitolare il flusso inaspettato e travolgente di parole in modo ostico, senza comprendere al primo tentativo quale fosse il loro adeguato e proprio significato. Doveva frammentare la frase, e poi ricostruirla. E, quando ebbe concluso con il suo compito, le sue sensazioni spirarono in un breve “Oh”. Sarebbe potuto essere, dopotutto. Sarebbe potuto essere...

«Credo di sì, signore.» Non si ricordava quale fosse la sorgente di quella conversazione, era solo interessata al metodo in cui sarebbe scorsa verso il suo svolgimento, cosa le avrebbe rivelato. Era come se ogni movimento, ogni gesto, ogni parola di quel signore indicasse lei, l'avesse già costituita con tasselli che nessun suo pensiero aveva mai delineato. Per conoscersi, in fondo. Perciò, non esitò a replicare nel momento conseguente a quello in cui l'uomo chiese:«Chi è tua madre?»

«Miss Noèl.» E, grazie a questa replica, il signore iniziò ad allargare il proprio volto in un sorriso, di cui Grace non comprendeva la foce, né la motivazione, e neanche i sentimenti impiantati in esso. Lo interpretò come conseguenza della frase seguente dell'uomo:«Lo sapevo, siete identiche, voi due. Cioè, siete identiche di volto sotto i tre chili di trucco di tua madre. Perdonami se ne parlo così, ma sono certa che anche tu condividi questa idea.»

Era certo che anche lei condividesse quella idea. Quale idea? Quella valutazione? Quella di sua madre, d'altronde. Grace l'aveva sempre figurata come una donna posta su una nuvola, la quale si approfittava della distanza per potersi fingere una dea, quando era una semplice umana, forse addirittura più infima delle altre. D'altronde, le altre non rendevano la loro vita un'eterna recita. E non credeva che quell'altezza fosse un motivo sufficiente per potersi ergere con tanta tracotanza, semplicemente perché non credeva nella potenza nuvola. Annuì, semplicemente, velocemente. E l'uomo interpretò questo come un segno per continuare.

«Sai... credo di essere stato simile a te, in passato. Dimenticato, a cercare ostinatamente qualcosa che si potesse considerare mio. E allora... insomma, questo era un divertimento. Rubacchiare di qua, rubacchiare di là, sentirsi potente in confronto a qualcosa che potrebbe non essere in nostro possesso. Non è vera cleptomania, o almeno credo, o potrebbe essere una cleptomania sensata. Non badare mai alle loro spiegazioni, ragazzina. Perché tu hai qualcosa di più di tutti loro.» Le frasi dell'uomo uscirono sconnesse, insensate, intrise di qualcosa, di una domanda, o forse di una risposta, che su Grace ebbe lo stesso effetto di quella tortura al suo collo, la stessa della necessità di depredare quegli oggetti. E sarebbe dovuta partire dalla domanda fondamentale, cosa intendesse con “cleptomania”: E forse, qualcosa sarebbe progredito. Un processo di guarigione, un processo di illuminazione, nel volto casuale eppure determinato di quel sentimento benevole. E tutto....

E tutto si spense in un attimo, con una voce che spezzò il mondo alle spalle della ragazzina:«Grace!» Era sua madre, giunta a devastare ogni movimento prima che potesse divenire deleterio per il territorio. Grace si voltò, incrociò gli occhi di sua madre. Li riconobbe, e qualcosa iniziò a guaire al suo interno, una richiesta di permesso. Ti prego. Lasciarmi qui. Ho trovato qualcosa. Ma non pronunciò mai una di queste frasi.

«Ah, eccoti, bambina mia» esordì, arrivando, Miss Noèl, una delle più dinamiche e note attrici di Panem. E, nella mano di lei, il polso di sua figlia, Grace Noèl, libera di vorticare per ogni luogo dello stato, ma incatenata in qualcosa di profondo. Qualcosa che si sarebbe potuto spiegare, eppure si frantumò nel momento in cui le due scapparono via, in direzione contraria a ogni beneficio, in direzione favorevole a quella oppressione di cleptomania.

Senza salutare, come se si dovesse concatenare per sempre.

 

Spazio autrice

Ecco. Sarò breve. Questa è la quattordicesima storia della serie “500 – Behind the scenes”, che narra spezzoni di vita dei tributi dell'edizione speciale degli Hunger Games chiamata “500”. I personaggi non sono di mia creazione, essendo “500” una storia interattiva. E, appunto, Grace non è stata creata da me. Come tutto il resto. Ma sono dettagli.

Non ho niente da commentare. Mi sono quasi divertita a scrivere questa storia, che è risultata più lunga delle altre, appunto; forse perché avevo un'idea precisa. Spero che anche voi l'abbiate apprezzata. Ringrazio chi continua a seguire le avventure dei tributi, soprattutto Claireroxy, che non ha mancato di recensire neanche one shot, se non sbaglio.

Detto questo, noi ci dovremmo sentire la prossima settimana. Quindi, a presto, su per giù,

Bolide

P.S.= perdonatemi se ho scritto qualcosa di insensato. O peggio, di ortograficamente errato.

P.P.S.= il nome della madre di Grace è inventato. Cioè, il cognome è Noèl, "Miss" un soprannome, o un nome d'arte, o comunque lo vogliate interpretare.
  
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