Forever
L’alba, l’inizio di tutto – almeno così dicono. Per me
che ero sempre stato una persona attiva, era strano rimanere seduto, immobile
sulla riva del fiume a fissare il sole che dava inizio ad un nuovo giorno. Un
giorno che qualcuno – al posto mio – avrebbe definito “speciale”. In realtà, la
ritenevo una giornata come le altre, solo con più persone e più fastosa.
«Ehi Emmett!» mi chiamò una voce distogliendomi dai miei
pensieri.
«Edward. Che c’è? Hai ripensato alla tua decisione e vuoi
portarmi a caccia di qualche grizzly? Guarda che potrei rischiare di mordere il
prete.»
Ridacchiò.
«No, no. Sono ancora convinto che i tuoi addii al
celibato siano stati anche troppi. Inoltre, non penso che il reverendo sia così
buono. Comunque vengo da parte di Alice: mi manda a
cercarti e a controllare che tu abbia iniziato a prepararti». Sbuffai. Quella
ragazza era troppo agitata. Erano ancora le sei del mattino e voleva che
iniziassi già a vestirmi!
«Ti capisco» rispose Edward ai
miei pensieri «Però ha anche detto che sei una frana
con la cravatta, quindi ti consiglia ti iniziare da adesso, altrimenti dovremmo
aspettare lo sposo anziché la sposa» e rise di nuovo.
«Tanto ci siete sempre tu e Jasper
che potete aiutarmi, quindi posso prendermela con
comodo»
«Giusto»
Restammo qualche minuto in silenzio, continuando a
fissare il sole che iniziava a prendere il suo solito posto nel cielo. A quanto
pareva, quello sarebbe stato uno dei pochi giorni di sole nella cittadina di Forks, il centro abitato più
piovoso d’America. Doveva essere un buon segno. Per alcuni, i miei pensieri
riguardo al tempo – in quel giorno – sarebbero potuti sembrare strani. Uno
sposo che si rispetti sarebbe dovuto essere agitato, o quantomeno, pensare a
ciò che lo aspettava, fare qualche esercizio contro la tensione e roba del
genere. La mia mente, invece, non era nemmeno scalfita da idee simili.
«Davvero non sei agitato?» A quella domanda sobbalzai. Mi
ero scordato che ci fosse Edward
al mio fianco.
Dovetti riprendere fiato prima
di rispondere. «Si. Per me è un giorno come gli altri. Perché, tu eri agitato quando ti sei sposato con Bella?»
«Moltissimo. Non era tanto la cerimonia di per sé a
spaventarmi, né il pensiero che dopo questa, io e
Bella saremmo stati legati in modo indissolubile per sempre. Questo era normale
anche senza il matrimonio.» sorrise
un attimo, ma si rabbuiò subito «Più di tutto, avevo il timore di non vederla
scendere dalle scale, di guardarla scappare perché si era resa conto di che
grande errore avesse fatto decidendo di stare con me»
Lo guardai atterrito. Non mi aveva mai parlato così
sinceramente dei suoi sentimenti e dei suoi problemi.
In quel momento, mi sentii molto più fortunato, perché ero sicuro che Rosalie
non se ne sarebbe andata. Lei mi amava e io amavo lei. Con questa convinzione, decisi che era ora di
andare, di fare il mio dovere e di farlo per bene.
«A quanto pare sei pronto.
Allora andiamo, così ti aiuto a fare la cravatta,
vampiro impedito». Rise e iniziò a correre lentamente, pronto per farsi prendere.
«A chi hai detto impedito? Ora ti prendo!» e gli andai
dietro, avviandomi verso casa.
Incrocia…infila…gira…infila di
nuovo…maledetta cravatta! Mi stava torturando da un quarto d’ora.
Possibile che un vampiro che riusciva a cacciare grizzly con le mani e che con
una testata poteva far cadere un albero, non era in grado di fare uno stupido
nodo ad una cravatta? Inoltre l’orologio segnava le nove meno dieci. Ma di sicuro andava avanti. Non era possibile che mi
mancassero solo dieci minuti per finire di prepararmi – uguale, mettere la
cravatta! Eppure, il brusio di voci che veniva dal
piano inferiore, frantumava pian piano la mia illusione.
«Ehi Emmett, sei pronto?». Mi
voltai e vidi Jasper affacciato alla porta della
camera. In un primo momento, trapelava curiosità da tutti i pori, ma a poco a
poco, sulla sua bocca comparve un sorriso e dalla gola venne fuori una
fragorosa risata.
«Che vuoi!? Mica tutti siamo esperti di cravatte» ribattei ferito nell’orgoglio.
Allora si avvicinò e con le sue mani esperte, fece un
nodo perfetto in meno di un secondo. Ero sbalordito.
«Un giorno mi spiegherai come hai fatto»
«Va bene» rispose ridendo «Ma
non oggi. Sono arrivati tutti gli invitati ed è ora che tu inizi a scendere.»
Risi con lui e lo seguii verso
le scale. Appena vidi tutto soggiorno dall’alto, mi
fermai. Prima non mi ero accorto delle decorazioni sparse di qua e di là. Ogni
minimo angolo era coperto da nastri bianchi e rose dello stesso colore, mentre sulle
scale, vi era un tappeto rosso che arrivava fino ad un arco posto davanti alla
porta – anch’esso ricoperto di fiori e nastri bianchi. Probabilmente Alice, Esme e Bella avevano trascorso tutta la notte per sistemare
le decorazioni. Tra gli invitati ammassati nel soggiorno, riconobbi le sorelle
del clan Denali, Garrett, Benjamin, Maggie, Zafrina e tanti
altri che ci avevano aiutato nella lotta contro i Volturi.
Li raggiunsi in pochi secondi e iniziai a salutare.
Tic tac…tic tac…tic
tac…Il tempo passava eppure non c’era l’ombra di Rosalie. Bè, la sposa doveva farsi aspettare.
Tic tac…tic tac…tic
tac…Le nove e un quarto. Mi vennero in mente le parole di
Edward e un brivido corse lungo la schiena: “avevo il timore di non vederla scendere
dalle scale, di guardarla scappare”. Rosalie non l’avrebbe fatto, ne ero convinto. Ma forse non
abbastanza. Cercai di ficcarmelo ancora di più in testa, eppure c’era qualcosa
che mi tormentava: dubbio, ansia, incertezza. Non
sapevo cosa fosse, eppure sapevo che se Edward mi avesse chiesto in quel momento se ero agitato, la
risposta sarebbe stata un secco si.
Qualcosa di improvviso, però, mi
evitò una crisi di nervi: il ticchettio di un paio di tacchi che scendevano
veloci per le scale. Non poteva di certo essere Rosalie – a lei piaceva fare
delle entrate in grande stile – eppure, ero convinto
che chiunque portasse quei tacchi, non portava cattive notizie.
«Scusate gente» era Bella. La goffaggine nei movimenti
era sparita con la trasformazione, eppure ne era
rimasta una flebile traccia nella voce. Era così buffa che mi trattenni a stento dal ridere «Ehm scusate,» continuò «tra poco arriverà la sposa, quindi vi prego di sistemarvi».
A quanto pareva, era arrivato il momento di recitare la
mia parte e – per quanto suonasse strano anche a me –
ero terribilmente agitato. Sinceramente, non saprò mai dire da cosa nacque quell’ansia, ma sta di fatto che aveva
invaso tutto il corpo.
Dopo qualche secondo partì una musica che riconobbi
facilmente e, allo stesso tempo, iniziò a scendere dalle scale Renesmee con in mano un piccolo boquet di rose bianche – figurati – e addosso un vestito
lungo, argentato, dalla gonna larga. Trattenni a
stento un’altra risata. A quanto pareva, la mia nipotina aveva soffiato il
posto di damigella d’onore ad Alice. Di sicuro la piccola veggente non ne era molto contenta. In pochi istanti, però, la mia
attenzione fu attirata da un pensiero, anzi, da un’immagine più divina. In cima
alle scale vidi ciò che di più simile c’era ad un angelo. D'altronde, con i
suoi bellissimi capelli dorati, il vestito bianco e il viso magnifico, poteva
benissimo esserlo. Continuando ad osservarla, l’agitazione arrivò alle stelle. Non tanto perché avessi paura di vederla fuggire, ma perché sapevo
che lei era lì per me, pronta a diventare per la millesima volta mia moglie.
Eppure, mi resi immediatamente conto che i numeri non mi importavano,
perché per lei, avrei potuto benissimo ripetere quella cerimonia altre mille
volte ancora.
Nel flusso di pensieri, la ritrovai al mio fianco, senza
riuscire a staccarle gli occhi di dosso. In quella sala, era
lei la cosa più importante da guardare, colei che attirava il mio sguardo come
una calamita. Ma, a quanto pareva, la stessa
cosa valeva anche per lei. Infatti, continuava a
guardarmi con la stessa intensità con cui la guardavo io, e per entrambi, era difficile
smettere di fissarci per rivolgere lo sguardo al reverendo giusto qualche
secondo, dopo il quale tornavamo di nuovo a guardarci.
In questo continuo scambio di sguardi, non mi accorsi che
era stata pronunciata la formula che avrebbe detto al mondo quanto ci amavamo.
«Si» rispose Rosalie con la voce piena di dolcezza.
«E tu Emmett?».
Era finalmente arrivato il momento di recitare la mia battuta. Quella che
preferivo più di tutte le altre.
«Si, la voglio. Per sempre.» E
sapevamo entrambi che quelle parole avevano più significato per noi che per
chiunque altro.