Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |      
Autore: janeserenagrant    25/09/2015    0 recensioni
❝ Heaven's gates won't open up for me, with these broken wings I'm fallin' and all I see is you. These city walls ain't got no love for me, I'm on the ledge of the eighteenth story. And all I scream for you: come, please, I'm callin'. And all I need from you: hurry, I'm fallin', I'm fallin'.
Show me what it's like to be the last one standing and teach me wrong from right, I'll show you what I can be.
And say it for me, say it to me, and I'll leave this life behind me: say it if it's worth saving me. ❞
Jane e Dean si incontrano per caso, in un giorno in cui il sole sembra accecare New York.
Le loro vite martoriate, improvvisamente, sembrano imboccare un nuovo sentiero.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


I ricordi sanno di polvere: ti sale su per le narici e si ingrossa in gola in modo lento, dogmatico, a voler spezzare l'ultimo respiro che accompagna la morte. Granelli piccoli e leggeri, arma letale per eccellenza, redicono i polmoni con delicatezza, senza chiedere il permesso. La polvere rimane tra le dita, microscopica e salubre, certa che tu possa resistere anche privo di fiato, mentre sei in piena apnea ed implori libertà, agonizzante e stupito. Quanta forza ha la polvere? Quanta forza hanno i ricordi? Ti lasciano marcire in un angolo della strada, tenendoti incatenato ad un passato che spezza via il presente. E ciò che resta, poi, diventa cenere arsa assieme al tuo cuore.

New York spendeva; quell'Aprile non era mai stato tanto soleggiato. La natura prendeva vita con ardore, recitando suoni sconosciuti e impersonando profumi a cui nessuno avrebbe dato nome. La primavera era lì, tiepida e accecante, pronta quasi ad anticipare un'estate torrida e asciutta. Anime mosse da chissà quale ente si presentavano frenetiche, come piccole formiche avide di cibo, mentre i muri delle case si tingevano dei biondi raggi solari. Jane, ormai, non restava più ammirata dal modo in cui le persone che la circodavano sembravano districarsi tra la folla, chi con un caffè fumante, chi con mille scartoffie, con quel modo così goffo di camminare velocemente, quasi saltellando. Aveva perso le speranze: lei non sarebbe mai stata una di loro. Il suo corpo sinuoso nascondeva un carattere mite o, semplicemente, amava fare le cose con calma, lasciando che la vocina nella sua testa le ripetesse: "Chi va piano, va sano e va lontano." E forse non aveva tutti i torti. Ma, probabilmente, il suo modo tranquillo di camminare rispecchiava le sue origini europee, specificamente londinesi. 
Jane Grant aveva 26 anni, ma chiunque l'avesse vista era pronto ad affermare che ne dimostrasse almeno cinque in meno. I suoi capelli biondi e appassionatamente ricci conferivano al suo volto un tono accattivante; come se quei cristallini occhi verdi e i lineamenti delicati del volto fossero totalmente in contrasto con quella chioma leoncina. I capelli le arrivavano sulle spalle. Le labbra carnose, quel pomeriggio, erano totalmente nude, prive del più misero filo di rossetto. Vedeva le donne attorno a sè, belle e pinte più che mai, mentre lei si sentiva stanca e sudata dopo una giornata a rassettare il locale che da poco aveva messo in piedi. Dopo la delusione più grande della sua vita, l'esile ragazza aveva saputo riprendere le redini della sua esistenza, anche se con fatica. Scappare per un po' le aveva fatto bene, ma certe volte i ricordi ti bussano alla porta nel bel mezzo della notte e, senza preavviso, ti stringono il collo fino a soffocare. Lei non poteva dimenticare i graffi sull'anima che quell'uomo, dopo mille promesse, aveva saputo infliggerle. Aveva ricominciato semplicemente per dare un futuro migliore ai suoi figli, a quelle due creature per cui si sentiva colpevole. Non si era mai sentita una buona madre, in particolar modo dopo la fuga del suo, ormai, ex marito. Le colpe le erano ricadute sulle spalle simili ad una croce sulla quale, a breve, sarebbe stata crocifissa senza poter versare lacrime. Il dolore sembrava superato, ma in verità le si era fermato nel petto ed aveva cominciato a scavare solchi profondi nelle ossa, nei muscoli, nell'animo, facendola sentire più vecchia di trent'anni. E' strano, si crede di conoscer tutto di una persona, dell'amore, della vita, e poi ci si rende conto che tali convinzioni sono fasulle quanto i tarocchi; ma ogni uomo deve pur credere a qualcosa se non vuole morire precocemente. 
Dovette inibire i pensieri: era arrivata dinanzi al cancello dell'asilo nido. Controllò l'orologio e si accorse di essere stranamente in anticipo di qualche minuto; solitamente arrivava sul filo del rasoio e chiedeva continuamente scusa a Sam per averlo fatto attendere. Lui, gentilmente, le ricordava che quello era il suo lavoro e che la troppa preoccupazione della riccia lo rendeva allegro, in qualche modo lo faceva sorridere. 
Samuel Winchester era uno degli educatori presenti nella struttura. Un ragazzo alto - molto alto, la differenza con Jane era piuttosto notevole - e con dei capelli castani che adorava portar lunghi almeno sino alla nuca, a sua detta. Aveva il sorriso magnetico di chi non sa arrendersi, di chi ha lottato tanto per buttar via i demoni di un passato fin troppo molesto. Il suo corpo possente, spesso, sembrava curvarsi per le troppe preoccupazioni che portava dentro, ma niente lo scoraggiava. Si mostrava gentile ed affabile in ogni caso, anche se a volte con Jane riusciva a confidarsi. I due, più o meno spesso, percorrevano insieme lo stesso tratto di strada a ritroso, per poi imboccare due vie disgiunte. Chiacchieravano molto, quasi senza pensarci, sentendosi entrambi meno soli minuto dopo minuto; il fardello posto sulle loro coscienze pareva abbandonarli per un po'. L'uomo le aveva narrato della sua infanzia, della precoce perdita della madre e di come suo fratello fosse stato in grado di allevarlo. Lei, invece, non aveva detto molto, le piaceva ascoltare, ma Sam l'aveva spinta a confidarsi e così le parole erano fluttuate lente, perdendosi nel vento. Gli disse di Jonathan, dei problemi di anoressia che si portava dietro da un po' e di come non riuscisse più ad avere fiducia negli occhi che incontrava. Lui non aveva saputo darle risposta, ma la sua stretta lungo le spalle le aveva donato sollievo. 
Quando lo vide arrivare con i bambini la donna sorrise e salutò i tre con un lieve cenno di mano, sicché il cancello automatico si aprì e Jayden corse in contro alla madre. Lei gli recò una carezza sul capo mentre il piccolo stringeva le esili braccia attorno alla sua gamba, per poi accogliere con uno sguardo l'arrivo di Sam. Sapeva che non lo avrebbe mai visto come più di un semplice amico, ma la sua compagnia sporadica le faceva bene. 

« Ecco i suoi figli, signorina Grant. »
« Grazie Sam. »

La donna proferì quelle parole con naturalezza e poi si rivolse al bambino comodamente disteso    nel passeggino, recando a questo un bacio sulla fronte. Ma percepì un lieve e scattante movimento dietro di sè, come se qualcuno stesse arrivando. Prese il piccolo Jayden per mano e rialzò il capo, trovandosi di fianco a Sam un'altra figura maschile.

« Sam, sei pronto?  » Una voce profonda e tronfia riecheggiò, catturando l'attenzione della donna. Un uomo, alto poco meno di Jared, con capelli castano miele e gli occhi smerlando teneva una mano posta sul fianco, quasi frustrato dalla spiacevole attesa. Jane aguzzò la vista, incuriosita, e lui rivolse il capo verso la fanciulla, sfoggiando un sorriso sghembo. In quel momento, rimembrando i racconti di Sam, capì fosse il fratello dell'omaccione di fronte a sé. Ma quando i loro occhi si incontrarono fu tutta un'altra storia. Non si aspettava di essere catturata dalle pieghe che si andavano a formare attorno ai suoi occhi, dopo aver elargito quel sorriso, e tantomeno di ritrovarsi con le labbra secche ed il respiro bloccato da una morsa irrefrenabile. Quella sensazione la paralizzò per qualche istante, notando poco dopo come i suoi occhi l'avessero già studiata, come quelle iridi lucenti le stessero infiammando il corpo volontariamente. Tentennò. 
« Oh, mi spiace. Non volevo interrompere la conversazione. Piacere, io sono Dean, il fratello maggiore di quest'alce. »
« Non si preoccupi. Il piacere è mio, mi chiamo Jane. »
« Jane, uhm, questo nome mi è familiare... »
« Ti parlai del suo locale, ricordi Dean? » Intervenne il ragazzo dai capelli mori.
« Giusto! Che sbadato. »
« A proposito, ti aspetto al locale Sam. Vorrei un tuo parere. Aspetto anche te, Dean. Posso darti del tu? » Chiarì la donna con un sorriso gentile.
« Non me lo farò ripetere due volte, Jane.  » Una gomitata colpì un fianco di Sam che fu costretto ad annuire.
 « Allora vi saluto. Buon proseguimento. »

Dopo qualche minuto, Jane era lontana assieme ai bambini. I suoi fianchi si muovevano lenti, celando dietro a troppa stoffa il corpo prosperoso che possedeva. Ma Dean lo aveva ben adocchiato e continuva a fissare le curve di quella donna muoversi con leggiadria, mentre un sorriso compiaciuto gli si tingeva sul volto.

« So a cosa stai pensando. » Sam lo ammonì, afferrando un lembo della sua camicia blu.
« Dici? » Una risata accattivante fuoriuscì dalle labbra del giovane, che poi sospirò passandosi una mano sul mento.
« Non provarci, Dean.  » 
« Che c'è? Ci hai già messo gli occhi tu? Allora passo. » 
« No, ma sei idiota? Jane è una buona amica. » 
« Allora stasera tutti dritti al The Blonde Theory. » 
Gli sportelli dell'Impala del '67 si aprirono ed i due fratelli entrarono nell'abitacolo dell'auto.

« Davvero vuoi portarti a letto una donna che ha due bambini? » 
« Non credo al suo locale abbia un letto, in realtà. » 

Il minore dei due scosse il capo rassegnato. 

Dean Winchester aveva messo gli occhi su quella donna dal primo istante in cui i piedi di lei si erano saldamente posti d'avanti al cancello dell'asilo nido. Con le spalle poggiate contro la sua "bambina", il giovane si era permesso di indugiare a lungo su quella chioma selvaggia e sul volto da ragazzina che Jane possedeva. Rimase piuttosto sorpreso nello scoprire che avesse due bambini, sembrava troppo piccola per poter addirittura prendersi cura di sè. Ma, nel momento in cui i suoi occhi avevano incontrato i propri, si era dovuto ricredere: quella donna celava una tenacia mai notata prima d'ora, un'audacia pienamente in contrasto con quelle ombre evanescenti che le rendevano difficile inarcare le labbra. In qualche modo, tanto forte quanto debole, quella minuta fanciulla sarebbe diventata sua, almeno per una notte. 


La sera calò rapida e scostante, allontanando il sole con prontezza e lasciando risplendere la luna spigolosa e bianca. La vita di molti si sarebbe assopita nel sonno, ma quella di Jane sembrava essere appena iniziata. Il locale era affollato: cercava di distinguere i volti noti da quelli sconosciuti ma le veniva difficile. Destreggiarsi tra ordinazioni, tavoli e alcool non era cosa semplice. Non avrebbe mai pensato che fosse così faticoloso possedere un'attività simile: conoscere persone nuove, sorridere ad ognuno di loro come se la vita fosse in perfetta armonia col tempo, fare drink - cosa in cui era particolarmente negata -, ancheggiare fino ad un tavolo con un vassoio colmo di bicchieri. Aveva ormai perso il conto di quanti bicchieri avesse rotto nei giorni precedenti. Ci vuole polso per certe cose, ripeteva a se stessa, ma col tempo sarebbe migliorata (almeno sperava). Fortunatamente, la situazione ad un certo orario si calmò e potè restare dietro al bancone per servire qualche cliente. Cercava di non dar peso alle parole non molto prolisse che le proferivano, sicché si mise di spalle per riempire un bicchiere di vodka. Sospirò, infastidita. Ma, d'un tratto, parve udire una voce stranamente familiare. Si accigliò e sporse di poco il labbro inferiore in avanti, quasi come una bambina nel pieno della concentrazione, voltandosi quando il liquore aveva preso forma nel vetro. 


« Un bicchiere di whisky, per favore. » Ripetè la voce.
« Un attimo e sono da lei. » Disse la donna intenta a poggiare sul bancone l'ordinazione precedente. Nel momento in cui drizzò lo sguardo una figura vigorosa ed atletica le si parò d'avanti.  L'uomo la fissava con un sorriso sornione, inarcando a mo' di sorpresa il sopracciglio. Lei tentava di riportare alla mente il ricordo già vacuo di quel ragazzo, di quelle labbra morbide e mosse piano, di quegli occhi verdi persi nei meandri più vuoti e cupi. Le parve di conoscerlo da sempre, ma non sapeva come. Gli si avvicinò, benché fosse posta dietro al bancone, e aguzzò la vista, concentrandosi volutamente nel rimembrare. Poi una fugace immagine la riportò a quel pomeriggio e riconobbe nei tratti accentuati di quel volto il fratello di Sam. Le sovvenne addirittura il nome.
 
« Dean, giusto? » Chiese un po' intimidita da quegli occhi engimatici.
« Giusto. Hai una buona memoria, Jane. » Il suo tono di voce non dimostrava alcuna sorpresa, bensì una sicurezza che la donna non aveva mai conosciuto in altri.
« Ti verso il whisky. » Aprì la bocca in un tenero sorriso e poi si voltò, cercando la bottiglia contenente il liquido ambrato su uno degli scaffali. Sentiva le sue iridi bruciarle le scapole, come se avesse fretta di studiare il corpo di quella ragazza e lasciarlo evaporare. Un brivido la colpì mentre versava la bevanda, mentre Dean muoveva il pollice sul suo labbro inferiore, pronto ad imprimere nella mente le curve laconiche e prosperose che gli si erano poste d'avanti. Quando lei si voltò, rammaricato, alzò entrambe le sopracciglia e annuì appena, essendo quasi uscito da una sorta di trans infernale. 

« Grazie. Oh, volevo farti i complimenti. Hai sistemato davvero bene il locale. E poi che nome originale: The Blonde Theory. Insomma, le bionde sono sempre state le mie preferite. » Il giovane prese il bicchiere e bevve un sorso di whisky, sentendo la gola pizzicare, senza mai distogliere lo sguardo da lei che, intanto, aveva posto entrambe le mani sul bancone. Accennò un sorriso sincero, scuotendo poi i ricci fluttuanti. 

« Sei gentile, e per la questione delle bionde, be', lo prendo come un complimento. » Aggiunse lei.
« Qualcuno ha detto che non lo era? » 
Si guardarono e lui, poi, rise. Lei, invece, più imbarazzata si passò una mano sul volto, ma quel ragazzo la intrigava. Qualcosa di lui richiamava la sua anima candida, perpetua; come una macchia di sangue pronta ad imprimersi sul petto bianco della fanciulla. Eppure ci stava, non si sarebbe tirata indietro. I suoi occhi nascondevano peccati di quali, lui stesso, cercava di scappare senza ammetterlo. La schiena di lei si piegò appena in avanti, volendo poggiare un gomito sul bancone marmoreo, mentre le iridi verdi di lei accalappiavano le sue, dello stesso colore. Il vestito nero della donna, stretto e corto sino alle ginocchia, celava curve come autostrade: pericolose e mai rettilinee. 

« Ti va di ballare? » Chiese lui, improvvisamente. 
Dalla bocca della ragazza fuoriuscì una piccola ed insignificante risata, che poi si smaterializzò nell'aria.
« Non sono molto brava, in realtà. Se vuoi che ti calpesti i piedi, volentieri. » Proferì sincera.
« Non importa, ho sopportato di peggio. » Il ragazzo si mise in piedi e le fece cenno col capo di raggiungerlo; cosa che dopo pochi istanti lei fece. Ayden le avrebbe dato il cambio.

Si ritrovano in pista, in una parte appartata di essa, non molto interessata dalle luci. Si fissarono a lungo come se gli occhi potesserlo lasciarli bruciare, potessero imporre parole nuove, parole senza nome, senza senso. L'atmosfera creatasi con quel semplice incontro sembrò accecare entrambi, sembrò legarli di corde invisibili che avrebbero sempre più stretto, che avrebbero reciso le loro pelli sino a squarciarle. Potevano solo stringersi e lo fecero. Non si resero conto che, in quel preciso istante, qualcosa di troppo grande era esplodo in faccia ad entrambi; non sentivano dolore. La mano destra di lei, ferma sulla sua nuca, risalì verso alcune ciocche dei suoi capelli morbide come l'immaginazione le aveva suggerito, qualche momento prima; lui, invece, teneva la mano ferma sulla sua schiena, pronto ad attirarla a sé quando gli sarebbe più convenuto. Si muovevano lentamente, con una sensualità che vacillava nel corpo di lei e si infiammava in quello di lui. I loro corpi, i loro cuori, si avvicinarono in simultanea. Lei, ormai presa dal momento, pose la fronte contro il suo petto e fece scivolare entrambe le mani sulle sue spalle; Dean ricordò che nessuno mai si era aggrappato a lui in quel modo, se non suo fratello da bambino. Socchiuse gli occhi e le baciò il capo.

« So che lavori nell'FBI. » Aggiunse lei, cercando di non farsi sopraffare dalla musica.
« Sì, esatto. » 
« Non hai mai avuto paura? » Chiese lei ingenuamente.

« La paura è un po' sopravvalutata, non credi? » Issò il volto e strinse le labbra, poi annuì. In quel momento, il pollice e l'indice del ragazzo presero delicatamente il suo mento e, senza indugiare, avvicinò il capo al suo. I loro corpi erano stretti più che mai, stretti fino a sfiorarsi, ed una punta di malizia nei loro movimenti nasceva soffusa. Gli occhi si cercavano e Dean, con un sorriso accentuato, voleva rassicurarla. Jane non si aspettava un gesto simile, anche se entrambi si erano già fatti un'idea di come la serata si sarebbe conclusa. La bocca di lei tremò quando incontrò la sua e, lasciando scivolare le braccia sotto alle sue, si aggrappò alla sua maglietta azzurra, ne strinse forte il tessuto tra le dita. Le mani del ragazzo, invece, cominciarono a danzare sul corpo di lei passando dai fianchi alla schiena, poi alle scapole, ai glutei, volendole quasi strappare l'abito di dosso. Fu in quegli istanti che le loro lingue diedero la spinta ad una miccia prorompente di innestare una passione irriverente, sadica, unica. Le loro labbra avrebbero sanguinato a breve, sarebbero rimaste incollate, modellate le une contro le altre senza un perché, mentre il desiderio campeggiava dentro di loro. Famelici, si sarebbero divorati. Prima che accadesse in quel luogo, Jane annullò il bacio, strappando le labbra dalle sue, e afferrò la sua mano trascinandolo con sé verso un corridoio in cui vi era una scarna illuminazione. Dean, compiaciuto, sorrise.


La donna spalancò una porta e ciò che si parò dinanzi ad entrambi fu lo studio in cui di solito era pronta a rifugiarsi dopo una giornata di intenso lavoro. Quella camera, in realtà, era spoglia: vi erano presenti una semplice scrivania intagliata in legno, un divano rosso in pelle, alcuni dipinti fatti dal fratello di lei e scartoffie, un cumulo di scartoffie poste ovunque. Il posto meno romantico per eccellenza. Dean entrò e scosse appena il capo, sicché si voltò verso di lei. Rapidamente le fu vicino e l'afferrò per i glutei, sollevandola audacemente: le spalle della donna finirono contro la porta, provocando un rumore sottile, mentre dalla bocca di entrambi un sospirò divenne vitale. Le gambe di lei cinsero la sua vita con esperto fare, con una forza acuta, per poi avvicinare una mano al suo capo ed afferrare piano alcune ciocche dei suoi capelli. Le loro bocche si infiammarono ancora di una passione sagace e disarmante, che permetteva ad entrambi di fremere risolutamente, non sapendo come arrestarsi. Niente li avrebbe fermati dall'accogliere quel desiderio libidinoso e incosciente, quel desiderio pronto a sgretolare qualsiasi barriera. Boccheggiavano privi di fiato mentre le dita di lei si appaiavano sotto il tessuto che gli ricopriva il busto, scoprendo col tatto i suoi addominali scolpiti. Sospirò, questa volta profondamente.  Le mani di lui, invece, quelle dita dal morbido e delicato tocco, si muovevano sulle curve sinuose della ragazza, percependo chiaramente il calore che quel corpo emanava; pece bollente, pece che lo avrebbe ferito. E poi, Jane si ritrovò supina sulla scrivania - una volta liberata con un braccio di tutte i documenti da parte di Dean - e si lasciò sfilare via il vestito: prima le spalline, ed il suo tocco delicato che le mandava giù, piano, mentre il seno prosperoso andava a scoprirsi, morbido e fatto di velluto, con i capezzoli appena irti per l'eccitazione. Rimase in slip, lei; ma si permise, intanto, di scoprire, di bramare la sua pelle succulenta e setosa. Gli tolse la maglia con impeto, gettandola via, e poi passò ai suoi pantaloni... Sfiorò col palmo destro il cavallo di questi, pressando bene, per poi abbassarli sulle sue gambe assieme ai boxer. E Dean faceva danzare le sue mani ovunque, le sue mani su di lei come se le appartenesse da sempre. 
E poi fecero l'amore su quella scrivania con forza, con vigore, come se non ci fosse niente di meglio in quel momento. Non parlavano: a loro bastava sussurrare, ansimare per sbaglio i loro nomi, mentre si stringevano nella morsa di due corpi sconosciuti, che ora diventavano una sola essenza. Le gambe di lei attorno alla sua vita, i suoi affondi ritmici e incisivi, i graffi di lei sulla schiena candida del ragazzo; e la musica spegneva i loro gemiti rochi e profondi. Quelle mura stavano incroporando i loro sospiri, trasudavano di un piacere poco silenzioso. Stretti l'uno all'altra, poi, con premura e decisione, spensero la passione che in un attimo li aveva travolti. Non avevano detto nulla da quando erano entrati lì, ma quello sfiorarsi era diventato il tutto di un niente.
Dean la strinse a sé, forse inaspettatamente, e si avvicinò a quel divano che sembrava chiamarlo. La adagiò su di esso, e lei si mise su di un fianco, coprendosi i seni con un braccio. Strinse appena le cosce e cercò di respirare a pieni polmoni, toccandosi poi la fronte imperlata di sudore. Lui si distese al suo fianco e pose le labbra sulle sue, consapevole che un po' le sarebbe mancata. Cercò di ridestarsi.

« Stai bene? » Chiese lui attorcigliando un riccio attorno all'indice, dopo aver ripreso aria. Lei annuì, un po' imbarazzata dal mostrare le sue nudità, quasi  non si fossero appartenuti qualche istante prima, sino a che abbassò lo sguardo e notò le sue ferite. Dean portava le battaglie della sua vita incise sulla pelle, nel cuore e sull'animo. I suoi occhi avevano imparato a dissolvere il dolore, che lentoaveva preso il sopravvento su quel giovane di trentasei anni. Viveva così, sentendo di appartenere ad un mondo che non era quello. Si paragonava al male, certe volte. Affermava di essere il male. Ciò, forse, era dovuto a quel maledetto Marchio di Caino impresso sulla sua pelle, e che in quel momento non poteva nascondere. Ma i pensieri gli si fermarono dall'ucciderlo ulteriormente quando le soffici membra di quella donna accompagnarono l'andare di una cicatrice ferma sul suo petto. Le dita magra e candide di lei, poco dopo, si misero a sfiorare il tatuaggio anti-possessione cucito a dovere all'altezza del suo cuore. Era così ammaliata da non volersi fermare più. Baciò ogni sua cicatrice con cura, come se desiderasse farle sparire, dissolverle nel vento e nel gelo della notte, toccò gli stemmi che portava sulla pelle per farli propri. Un sentimento dilagante e puro, vero più che mai e privo di nome, gli aprì uno squarcio. Quella sola nottata di passione sembrò diventare qualcosa di più, qualcosa di intimo e pericoloso. Restò fermo, rabbrividendo in silenzio, mentre lasciava quella ragazza a salvare la sua pelle, a renderla viva. Ringraziò Dio - semmai esisteva - perché da quelle fessure carnose non uscirono domande; lei non si sentiva in dovere di fargliele.

« Spero tu non possa dimenticarti di me, straniero. » La voce di Jane sembrò velluto.
« Come si può dimenticarti, Jane? » Ammise lui quasi sconcertato da quelle parole, tremando ancora come una foglia a causa delle sue labbra.
« Si può, Dean. Le persone scordano tranquillamente anni passati insieme, non dirmi che questa notte ti ha cambiato la vita. »  
« Non meriti in ogni caso di entrare a far parte di questo inferno. »  
Lei sorrise alla sua affermazione ed alzò lo sguardo, lasciando alle dita il compito di sfiorare i solchi della sua pelle.
« Non ti sei mai innamorato, vero? » Chiese candida.
« L'amore è un demone ed io ne combatto già abbastanza. » Si fermò di colpo, come se avesse proferito qualcosa di insensato.
« Non è sempre così, e poi è una bella metafora.
 E tu non sei l'inferno. »
« Non mi conosci, Jane. Non sai quanto io sia serio. Mi odierei profondamente se ti trascinassi nelle mie battaglie, non lo meriti. Sei troppo... » Ciò che trattenne altre parole dall'essere pronunciate fu una carezza di lei su una cicatrice rimarginatasi da poco. Strinse i denti.
« Sono coraggiosa, non avrei paura di lottare assieme a te. » 
« Non saresti preparata quanto lo è il sottoscritto. » Pose le labbra sulla fronte di lei e percepì il sapore del suo sudore, delicato quanto lei.
« Quando vorrai condividere un piccolo pezzo del tuo inferno sarò qui ad aspettare. A volte, in due i macigni da sopportare divengono più leggeri. Credimi, ne so qualcosa.  » 
Un altro bacio a fior di labbra intriso dei loro sospiri caldi.
« Sei bellissima, Grant. »
« La ringrazio, Winchester. » Rise e l'attirò a sé prontamente, quasi non volesse più staccarsene. Dopo aver fatto sesso con una donna, solitamente, si rivestiva e andava via, non risparmiandosi dei convenievoli che sapeva non guastassero mai. Ma, quella volta, non riusciva a staccarsi da lei e la sensazione apertasi nello stomaco gli faceva piuttosto paura. Quella ragazza lo aveva sorpreso, sembrava così diversa da poter uccidere con un solo sguardo e sanare ferite aperte con il semplice sfiorare delle dita. Lo aveva imparato a modo suo, in una notte.
A malincuore si alzò e lei, sapendo che ormai la serata era volta al termine, fece lo stesso. La camicia del giovane, beige, indossata da lui sopra la maglietta, le ricadde sulle spalle. Afferrò due lembi di quel tessuto e si coprì il corpo, mentre lui le dava un bacio sulla fronte.

« Quando avrai bisogno sarò qui, per qualsiasi cosa. » Disse lei. Lui sorrise e le recò una carezza sul volto. Si era rivestito in fretta, ed ora la fissava dall'alto, considerando la differenza d'altezza.
« E' la mia preferita, trattala bene. » - Chiarì, riferendosi alla camicia - « Abbi cura di te, Jane. » 

Lo vide andar via, qualche istante dopo. Aprì la porta e sparì nella penombra del corridoio. Lei si strinse in quel tessuto senza sapere che per lui la serata era appena cominciata.
L'inferno era reale, i demoni di cui parlava altrettanto, e toccava a lui ucciderli senza pietà.

------------------------------------------------------------------------------------------

Dean;

Le tre del mattino.
Fisso il soffitto riluttante e spossato da me stesso. Ho delle strane sensazioni - sensazioni che cerco di eliminare - da quando ho trovato nella tasca dei miei pantaloni il suo bracciale. Continuo a domandarmi se ce l'abbia messo lei di proposito o se sia scivolato via, lento, mentre ci sfioravano sul materiale di quella scrivania. Le immagini che mi balzano alla mente fanno a cazzotti col mio didentro, con la voce interiore che mi implora di non riportare la mente a quella notte. E' passato solo un giorno e sento la mancanza di quel corpo. Esatto, mancanza. Mi suona ridicolo proferire una parola del genere. A me non è mai mancato niente, figuriamoci una donna. Potrei ridere di me stesso. Eppure, le mie mani,  correndo ed indugiando, hanno stampato ogni sua curva nella mia mente, come se ognuna di esse risultasse essere una via per la salvezza. E se ci penso sento ancora il calore di lei sulla mia pelle, incollato alle dita, pronto a divenir mio, a divorare qualsiasi parte volessi tener lontana da lei. Percepisco i suoi ansimi all'orecchio, quel dolce e intrepido mugolare il mio nome senza resistenza, priva di quella timidezza che avevo scorto nei suoi occhi. Questo bracciale, ora, potrebbe riportarmi lì, tra quelle braccia candide e quel seno prorompente, quel calore amalgamatosi al mio e che non vuole andar via. Dopo una scopata - e che scopata quella con lei - non mi ero soffermato a pensare alla donna con cui avevo condiviso il letto per più di mezz'ora, fin quando non l'avevo congedata con la stupida frase "E' stato bellissimo, ma ora devo andare." Alla mente non mi saltavano le sue curve, il candore della sua pelle o i ricci ammalianti... 
Invece di Jane ricordavo tutto, quasi la sento qui con me. E la bramo ancora, ancora e ancora, come se non mi avesse dato abbastanza. No, non mi aveva dato neanche un briciolo di ciò che volevo. 
Era stata lei a concedersi a me, sintomo di una dolce e trasverale vendetta per chi l'aveva ridotta a brandelli. Era stata lei ad afferrarmi e portarmi via, sino a scomparire. Entrambi c'eravamo dissolti, quella notte. E adesso vorrei andar via di nuovo. Sto blaterando, cosa mi prende? Ed avevo davvero tremato sotto il suo tocco? Mi viene quasi da pensare che abbia capito. No, è impossibile... ma risento le sue dita sulle mie cicatrici e questa cosa mi spaventa. Per la prima volta ho paura, ho paura di una donna e dei suoi occhi lucenti. Ho paura perché le sue labbra si sono fuse con le mie e ne desidero ancora il calore, sino a consumarmi e sanguinare.
Stringo il bracciale tra le dita e lo rimetto sul comodino. Il soffitto illuminato dalla fioca luce lunare che penetra dalla finestra mi fa sospirare; la notte non era mai stata così lunga, ed i miei pensieri mai così molesti. Sono un fottuto coglione. Lei mi aveva scambiato per l'angelo che non ero, o aveva semplicemente finto di non riconoscere in me l'inferno ed io... io me l'ero fatta. Me la sono fatta mentre i suoi occhi imploravano pietà. Poi ho capito: era stata lei a trascinarmi, io non avevo fatto niente. Le sue nocche bianche e il suo anulare sinistro spoglio di qualsiasi promessa - solo ora comprendo perché i suoi occhi imploravano compassione. Il suo sorriso triste lo porto in me come una foto sbiadita dal tempo, dalla pioggia maldestra ed incessante. Un altro brivido. Troppa umanità scorre in me quasi a sminuire il mostro che sono. Dovrei smetterla di pensare a quella donna e mettermi a dormire. 



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

[ Salve, mi chiamo Anna. E' da tempo che non pubblico una storia e a questa, in particolare, ci tengo molto.
Ci ho messo l'anima per scrivere questo capitolo, quindi mi farebbe piacere se mi diceste cosa ne pensate, ed in particolare se vale la pena continuare.
Be', aspetto qualche vostro commento. 

-- Un bacio,
Anna. ]
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: janeserenagrant