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Autore: Barbara Baumgarten    27/09/2015    2 recensioni
La dea della Folli è depressa. Non trova più ispirazione, non sente di avere alcuno scopo. Deciderà di rinchiudersi nell'ospedale di salute mentale, per fare chiarezza su di sé. E sarà proprio lì, che ritroverà la strada...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si narra che le divinità greche abitassero il monte Olimpo e che là, nel punto più alto, dove la cima penetra la dolce coltre di nubi, vi fosse l’accesso alla loro dimora. Sebbene in molti credano si tratti solo di mitologia, una domanda potrebbe sorgere spontanea: ammesso che esistano, o almeno, che siano esistiti un tempo lontano, dove sono ora?

Dal diario di un anonimo

Caso 14553
Nome: sconosciuto
Sesso: donna
Età: fra i 25 e i 30
Patologia: schizofrenia paranoide
Garante dell’internamento: Nessuno
Motivo dell’internamento: volontario

La dottoressa Rose Gerard si rigirava fra le mani le tante cartelle dei pazienti, indugiando su alcuni particolari. Fra le numerose persone internate negli ultimi mesi, il caso 14553 era, senza alcun dubbio, il più strano. La cosa interessante, dal suo punto di vista, era il fatto che la donna si rifiutasse di dare le proprie generalità, preferendo, invece, perseverare nell’uso di un’identità inventata. Ciò non era conforme alla patologia. Ad ogni modo, le fantasie che caratterizzavano le sue giornate, facevano della paziente una perfetta schizofrenica paranoide, motivo per cui era in cura presso l’ospedale. Ma c’era dell’altro. La donna si era volontariamente reclusa nell’istituto, sostenendo di essere fortemente depressa, la qual cosa risultava essere, nel quadro generale, ancora più bizzarra.
Mentre Rose si rigirava tra le mani la cartella, un’infermiera entrò nel suo studio.
“Dottoressa Gerard, mi perdoni il disturbo. Abbiamo preparato la sala 2 per l’incontro” disse molto cordialmente, rimanendo sulla soglia.
“Bene, arrivo immediatamente” rispose Rose. “C’è qualcos’altro?” aggiunse, notando che l’infermiera non si congedava.
“Veramente si, dottoressa. La paziente sembra molto tranquilla ora, ma nella notte abbiamo avuto qualche problema…” lasciò che la frase rimanesse in sospeso, quasi che avesse paura a rivelare l’accaduto alla dottoressa.
“Di che tipo?” chiese Rose, incuriosita più che allarmata.
“Ecco, le sembrerà strano, ma Robert, l’infermiere del turno di notte, è stato mandato a casa questa mattina, perché in preda a crisi di panico. Sosteneva che la paziente l’avesse mandato fuori di testa, raccontandogli eventi personali che solo lui poteva sapere”
Rose si tolse gli occhiali e guardò perplessa l’infermiera. “Credo di non aver capito” disse in tono sorpreso “Lei mi sta dicendo che la paziente ha scatenato le crisi di panico? Mi scusi se glielo dico, ma lo trovo abbastanza ridicolo. Comunque sia, ora può andare, ci penserò io. Solo un’ultima cosa” disse, quando l’infermiera stava già dandole le spalle per uscire “Non lasciate che le loro storie vi entrino in testa, questa è la prima e fondamentale regola per fare questo lavoro” e sorrise benevola alla donna che, abbassando gli occhi, diede col capo cenno d’assenso e chiuse la porta.
Rose si prese ancora qualche istante per riflettere. Quello che l’infermiera le aveva raccontato era una cosa abbastanza comune, fra gli operatori del settore. Per quanto venissero formati professionalmente, era difficile trovare persone realmente abili e, soprattutto, portate per questo genere di lavoro. Nei suo vent’anni di esperienza c’erano stati momenti difficili, nei quali la sua stessa sanità mentale aveva vacillato, e ciò aveva contribuito a fare crescere in lei quella dura corazza mentale per la quale, oggi, veniva criticata dai collaboratori. La fredda, così la chiamavano. Tuttavia a lei poco interessava, la cosa importante era non farsi coinvolgere e aiutare i pazienti.
Non ci mise molto a raggiungere la stanza 2, sebbene fosse da poco che lavorava per quell’ospedale. Prima di varcare la soglia, si diede una sistemata e inspirò profondamente un paio di volte.
La stanza era illuminata dalle calde luci di plafoniere decorate poste sulle pareti. L’intero ambiente ricordava più un salotto che una stanza di ospedale. Era stata lai a voler quelle sale di ascolto, così come le chiamava, per lasciare che i pazienti si sentissero più a loro agio e parlassero con maggiore libertà. La donna la stava aspettando seduta su una delle comode poltrone che erano state messe a disposizione attorno al camino. Ovviamente, la fiamma era protetta da un vetro spesso per evitare qualunque gesto violento. Rose si accomodò nella seconda poltrona e sorrise alla donna.
“Buon giorno, io sono la dottoressa Gerard, Rose Gerard, ma tu puoi chiamarmi Rose” disse porgendo la mano cordialmente. La donna la guardò per qualche istante, come se la stesse valutando, poi con un grande sorriso, accettò la stretta di mano.
“Ate, piacere mio” disse mentre prendeva con fare deciso la mano della dottoressa. Ate…la dea della follia…Beh, perfetto pensò fra sé Rose sorridendo per l’ironia della situazione.
“Bene” continuò la dottoresse “Nome curioso, l’hai scelto tu?”
Ate sorrise.
“Si scelgono i nomi? Si può scegliere chi essere? Io non credo” rispose secca la donna. Rose rimase colpita dalla freddezza con cui rispose. Normalmente, la sicurezza vacilla di fronte a domande così dirette e personali, mentre quella della donna che le stava seduta di fronte, non s’incrinò neppure.
“Hai ragione, perdona la mia domanda. Trovo solo abbastanza particolare il tuo nome, tutto qui”. Ammettere l’errore era il primo passo per acquistare la fiducia della donna. “Allora” continuò aprendo la cartella che, ormai, conosceva a memoria “depressione…è questo il termine che hai usato quando hai fatto richiesta per essere internata, giusto?”
“Esatto” rispose laconica Ate.
“Bene, vogliamo cominciare da qui? Perché ti senti depressa?”
Ate arricciò leggermente il naso, come se la domanda non le piacesse, tuttavia non si rifiutò di continuare la conversazione.
“Per il mondo, credo. Per come stanno andando le vostre vite, suppongo. Per la facilità con la quale vi concedete alla follia, presumo”. Okay, la ragazza sa giocare pensò Rose, ammirando l’ordine delle parole, la misura del tono e, soprattutto, l’uso di credo, suppongo e presumo. Adorava trovare persone colte, raffinate e con un buon senso dell’umorismo, tuttavia doveva ancora capire se quella che aveva davanti fosse, o meno, schizofrenica.
“Quando ti ho fatto la domanda non mi sembrava ti fosse gradita” continuò Rose cambiando discorso per non dare punti di riferimento alla donna.
“No, infatti” replicò Ate “Tuttavia” continuò “sono convinta che da qualche parte bisognava pure cominciare…vero Rose?”. Colpita. La dottoressa rimase evidentemente sorpresa, ancora una volta, dalla risposta. Ate voleva reggere i fili della conversazione, tentava di ribaltare i ruoli.
“Vero” rispose sorridendo “Quindi, perché non mi racconti un po’ di te?” chiese Rose, cercando di riprendere il controllo. La donna ci pensò un po’ su, sembrava stesse riordinando le idee.
“Non saprei da dove cominciare” esordì “la mia esistenza è stata piuttosto lunga e non trovo un momento o un fatto dal quale partire”
“Perché non cominci a parlarmi del posto in cui sei nata? Raccontami un pò” incalzò la dottoressa.
“Bene” disse quasi rinfrancata Ate “sono nata molto tempo fa, in un luogo avvolto per lo più dal mistero. Molti tendono a confondermi con mia madre e questo mi disturba molto”
“Tua madre? Vi somigliate?” chiese, incuriosita, la dottoressa.
“No, Rose, per niente. Lei è, come dire, più equilibrata, più regolare. Io sono diversa: da me non sai mai cosa aspettarti, mentre lei è decisamente più prevedibile. Ad ogni modo, il fatto di essere confusa con Eris, mi ha sempre infastidito. Insomma, ognuno vorrebbe essere riconosciuto per quello che è, non per il genitore che ha”
Rose poteva sentire il peso del disprezzo che usciva dalle parole di Ate. Ma, soprattutto, era davvero convinta di essere la dea della follia?
“Pensavo che tuo padre fosse Zeus” affermò Rose, facendo proseguire la donna nel suo racconto. Un sorriso, amaro, comparve sul volto di Ate.
“Lo so. Siccome Zeus ha dato vita ad ogni creatura divina e, non soddisfatto, ha deciso di disseminare il suo seme in giro per la Terra, è normale che tu pensi sia mio padre. Ma, in verità non so chi fosse, il maschio con cui mia madre si accoppiò per darmi alla luce”
Il tono della donna diventava sempre più acido, mentre nei suoi occhi si intravvedeva con maggiore frequenza il barlume della pazzia.
“Credo che il mio problema, tuttavia, non risieda nella mia vita passata, ma in quella recente. Sono stanca” ammise, in tutta franchezza, lasciandosi andare sulla sedia dove, fino a poco prima, manteneva un certo decoro di postura.
“Perché sei stanca? Cosa è successo che ti ha depressa fino a questo punto?”
Ate sospirò, rumorosamente.
“Mi sento inutile” ammise, infine “Non ho scopo alcuno. Il mondo, così come è oggi, non ha bisogno di me: è sufficientemente pazzo da solo. Guarda Rose” la invitò con un gesto della mano “Guarda fuori dalla finestra e dimmi cosa vedi”
La dottoressa si alzò e si avvicinò alla finestra, così come suggerito. L’Istituto dava su una strada poco trafficata di periferia. Notò immediatamente la macchina verde acido che procedeva lentamente lungo la carreggiata. L’autista non sfiorò nemmeno il pedale dei freni quando si schiantò contro un altro veicolo in prossimità del largo incrocio. L’incidente non fu devastante, permettendo ai due proprietari di scendere dalle vetture per un confronto verbale.
“Apri pure la finestra” disse Ate, mentre fissava lo scoppiettare allegro della fiamma. La dottoressa aprì leggermente uno dei due grossi vetri doppi.
“Cosa cazzo ti è preso?” gridava quello della macchina travolta.
“Cosa cazzo credi di fare? Vuoi prendermi a pugni, eh?” lo provocava quello dell’auto verde acido. In pochi secondi di discussione, la dottoresse riuscì a sentire solo una serie di insulti, intercalati dalla parola cazzo, che terminarono nel modo più scontato: una rissa. Fu questione di attimi, prima che uno dei due tirasse fuori un coltello e si lanciasse sul ventre dell’altro. Pochi istanti. E il proprietario dell’auto verde acido, giaceva esamine sul rovente asfalto di metà luglio. La dottoressa si portò una mano alla bocca per soffocare un sussulto. Si girò velocemente e prese il cellulare che si trovava nella sua tasca.
“Non ce n’è bisogno” disse Ate “Qualcuno ha già chiamato la polizia”
Rose rimase con l’apparecchio vicino all’orecchio, mentre, dall’altro capo, una voce chiedeva quale fosse l’emergenza. “Un uomo” disse con voce tremante “ha appena aggredito un altro, qui, sotto l’Istituto di salute mentale Saint Margaret”
Seguirono alcune veloci informazioni, ma ben prima di terminare la conversazione, una pattuglia della polizia era già arrivata sul posto. Rose, guardò la scena per qualche minuto ancora, prima di girarsi e incrociare lo sguardo di Ate. La donna si era alzata dalla poltrona ed era in piedi, proprio alle spalle della dottoressa.
“Hai visto, Rose?” disse con tono sconsolato “Io non servo più. L’uomo è diventato abbastanza pazzo da fare tutto da solo”
La vicinanza con la donna, mise Rose sulla difensiva. C’era qualcosa di assolutamente pericoloso in lei, e la dottoressa cominciò a sentirsi a disagio. Ate avvertì il malessere ed arretrò, tornando a sedersi sulla poltrona.
“Su una cosa hai ragione, Ate. L’essere umano è impazzito” disse, affranta, la dottoressa. “Credo che finiremo qui, per oggi” disse Rose, cominciando a raccogliere le proprie carte.
“Ci vediamo domani” disse Ate, guardando la donna uscire dalla stanza.

La donna fissava le pareti della sua stanza, indugiando su alcune crepe dall’aspetto intricato. Ate era molto bella, una figura snella, con un viso morbido incorniciato da fluenti capelli corvini che le arrivavano all’anca. La dolcezza del viso era resa meno mielosa dal naso, leggermente affilato e da un paio di occhi neri, profondi. Era triste. In tutta la sua esistenza, trascorsa per lo più a dar libero sfogo alla pazzia umana, non si era mai sentita come in quel momento. Aveva trascorso fin troppo tempo fra i mortali per capire quanto la sua opera risultasse, giorno dopo giorno, superflua. Lei amava sprigionare la parte folle delle persone, ne traeva sempre un beneficio per sé, per il suo diletto. Eppure, negli ultimi cento anni di storia, non riusciva a trovare un senso. Non si divertiva più. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il mondo in balìa del caos, degli istinti più reconditi della natura umana, tuttavia in quel momento, nonostante le sue preghiere fossero state esaudite, non traeva il diletto che aveva sperato. Non c’era sfida in quel che faceva, era fin troppo facile far vacillare l’equilibrio mentale degli uomini. Fu solo per un puro svago che scelse di entrare nell’Istituto: cercava di sperimentare qualcosa di nuovo, cercava nuova linfa per la sua essenza fra i pazzi. Credeva che si sarebbe sentita a proprio agio. Invece, la sua permanenza fra i matti si stava rivelando un mero fallimento: noioso, prevedibile e privo di stimoli. Anche l’aver creato una situazione favorevole all’incidente, per aprire gli occhi a Rose, non le aveva dato soddisfazione. Ormai, bastava così poco per inondare le menti instabili degli uomini di pazzia, che non c’era più alcun divertimento.
Era stata la dea della follia, una volta, molto tempo prima. Ora, si sentiva solo un reperto archeologico. Aveva guidato eserciti, aveva instillato l’odio, manipolando le menti e le idee. Era stata a capo di governi potenti, aveva ispirato armi. Ma, via via che gli anni si susseguivano, sentiva di essere sempre meno efficacie.
Un leggero fruscio fuori dalla sua porta, le fece tendere l’orecchio. Avvertì un profumo morbido e dolce, fin troppo famigliare. Ate sorrise ben prima che l’uomo varcasse la soglia. Era alto, atletico, con la carnagione leggermente ambrata dal sole. I due si guardarono per qualche istante: erano anni che non incontravano i loro sguardi.
“E’ un piacere trovarti in salute, Ate” disse melodioso, tranquillo. Lei alzò leggermente le spalle, sospirando.
“Trovi che sia in salute, Hypnos?” chiese, sconsolata, ad un amico di vecchia data. Lui si avvicinò, sedendosi al fianco di lei, sul letto.
“Ho saputo che una donna, di nome Ate, si era volontariamente rinchiusa qui dentro. Non potevo crederci” disse, sorridendo divertito “Tu che ti chiudi in un manicomio? Ma che ti succede?”
Lei arricciò la bocca, pensierosa.
“Non credo di servire più a molto, Hypnos. La pazzia sta diventando una qualità banale, nelle persone, e io non trovo più alcun divertimento. Sembra che la mia stessa natura stia appassendo”
“Capisco” disse comprensivo “Tuttavia, non credo che troverai ciò che cerchi qui dentro”
“E cosa cerco, mio caro?” chiese, amareggiata. Lui sorrise.
“Il tuo scopo” rispose secco. Ate lo guardò con aria interrogativa.
“Vedi” si accinse a chiarire “credo tu stia sbagliando il punto di vista. Hai sempre creato il caos con la tua follia, portando sconquasso nella vita di ogni creatura vivente. Il fatto è, che l’umanità si è evoluta in modo differente, nei secoli. Quindi, anche la tua follia deve evolversi”
Ate, non riusciva a capire dove Hypnos volesse arrivare. Evolvere la sua follia? In che modo?
“Non mi segui, vero?” chiese retorico l’uomo.
“Non proprio” confermò, Ate.
“Allora, rispondi a questa domanda: cos’è la follia?”
“Beh, credo sia perversione, credo abbia a che fare con l’agire controcorrente, facendo ciò che normalmente non si farebbe” disse, tutto d’un fiato la dea. Lui sorrise, compiaciuto.
“Ecco, hai già la risposta” disse trionfante. Ate ci pensò, rimuginando sul senso di ciò che gli aveva chiesto. Poi, d’un tratto un grande sorriso apparve sul volto di lei. Hypnos le accarezzò la guancia, prima di uscire dalla stanza.
“E’ proprio vero che il sonno porta consiglio” bisbigliò Ate alle spalle del dio che, sorridendo, richiudeva la porta alle sue spalle.

5 anni dopo…

Nella giornata di ieri si è concluso un nuovo ed estenuante vertice delle Nazioni Unite. L’ordine del meeting era trovare un dialogo fra le multinazionali, ormai bersaglio costante delle rivolte in ogni Paese, e le masse guidate da un gruppo di ribelli che tutti noi conosciamo come A.T.E.
L’Associazione Terroristica Ecologica, a capo della quale sembra esserci una donna, ha già abbattuto gran parte del sistema capitalistico, nel giro di pochi anni. Nonostante i vani tentativi delle multinazionali per debellare quello che viene considerato “un virus”, A.T.E. continua la sua opera di persuasione fra le genti. Sempre più persone aderiscono all’iniziativa di boicottaggio delle tecnologie e dello stile di vita così apprezzato fino a pochi anni fa. Uomini e donne che tornano all’origine, alla campagna, rifiutando qualunque prodotto proveniente dalle multinazionali e qualsiasi tecnologia. C’è chi parla di involuzione della razza umana, chi di follia collettiva.
Ma la domanda che tutti noi ci poniamo è: dove ci porterà tutto questo?

La donna leggeva la notizia, sorridendo. La pazzia è perversione. La pazzia è andare controcorrente. Era soddisfatta: aveva ritrovato uno scopo.


NdA: storia partecipante al contest ADA3 indetto da Delirious Rose sul Forum.

 
   
 
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