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Autore: proudtobea_fangirl    27/09/2015    11 recensioni
[Sizzy]
— BASTA! — gridò Simon al vento primaverile, che trasportava pollini e freschi profumi floreali. — Io... io ricordo perché ho deciso di diventare uno Shadowhunter. Lo Stregone e Isabelle mi sono comparsi davanti, e hanno detto un sacco di cose che all’epoca non capivo e Iz era così bella e ha pronunciato il mio nome in quel modo ...
"Lei mi amava", intuì all’improvviso. "Ma mi amava prima."
***
Simon era passato alle lenti a contatto. Isabelle sperava che così il suo tormento si sarebbe attenuato, ma niente da fare: senza occhiali, Simon le ricordava il vampiro che era stato una volta. Quel vampiro di cui lei si era innamorata.
"Ma adesso non ti amo più, Simon. Tu non mi ami. E io non ti amo. Ho perso tutte le speranze. Ti prego, ti prego, ridammele."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izzy Lightwood, Simon Lewis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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• NdA: i paragrafi datati 2011 e 2012 sono ambientati prima di Remembering the Past; i paragrafi datati 2014, invece, si svolgono nel lasso di tempo tra l’ultimo capitolo e l’epilogo della long stessa. So... enjoy!



Hearts are Breakable


“But I watch my brothers give their hearts away and I think, don’t you know better?
Hearts are breakable.
And I think even when you heal, you’re never what you were before.”

[Isabelle, CoFA]


2011


— Dall’altro lato.
Simon Lewis si bloccò di colpo. — Come, scusi?
— L’Accademia — disse la donna. — È dall’altro lato. Se vuoi arrivare in tempo per le lezioni, non ti conviene prendere questa via. Allunghi.
— Sì... grazie — rispose Simon. — Come faceva a sapere che sto andando proprio lì?
— Semplice: indossi la divisa. — La donna corrugò le sopracciglia. — E comunque io ti conosco.
— Oh... mi dispiace, ma ho dei gravi problemi di memoria al momento. Lei è...?
— Maryse Lightwood — spiegò lei. — La madre di Isabelle.
— Capisco. — Simon si rimproverò mentalmente. Era ovvio che fossero madre e figlia: avevano la stessa aria algida e distante, identici capelli neri e lisci. — In effetti, ricordo vagamente di averla vista al matrimonio di Luke e Jocelyn Garroway, se non erro di brutto.
— Già, ero lì. — Maryse distolse lo sguardo per un breve momento, e un sottile velo calò sui suoi occhi. Si ricompose subito dopo, ma Simon aveva osservato così tante volte quell’espressione sul viso di Isabelle per non comprendere cosa avesse voluto nascondere la donna: un doloroso ricordo. — Iz non deve sapere che sono qui, ci siamo intesi? Sono in missione diplomatica.
— Chiarissimo. Buona giornata, arrivederci.
— Arrivederci. — Maryse imboccò il vicolo sulla destra e sparì dietro l’angolo.
Bah, qui sono tutti strani, si disse Simon mentre girava sui tacchi e ripercorreva a ritroso la via principale.



Dopo le lezioni non tornò subito a casa. Preferì restare ancora qualche minuto nella palestra della scuola e sistemare per bene i libri in borsa, piuttosto che buttarli lì a casaccio e ritrovarli il mattino dopo pieni di orecchie e strappi.
— Lewis, devo chiudere. — Il custode si fece ruotare l’anello delle chiavi attorno al dito. — Ne hai ancora per molto?
— No, non si preoccupi. — Simon sospirò e chiuse la cartella. — Stavo solo... niente, niente.
Sotto lo sguardo truce del custode, Simon si avviò verso l’uscita. Anche in aprile, i corridoi erano freddi e bui. Migliaia di spifferi gelati provenienti dalle finestre contribuivano a rendere l’ambiente ancora più tetro.
Tuttavia, a Simon piaceva l’Accademia. Con le sue guglie svettanti, i soffitti altissimi e i pavimenti di marmo sbeccato, sembrava appartenere ad un’altra epoca. Be’, più o meno tutto lo sembrava, lì a Idris.
E Isabelle non faceva eccezione.
Isabelle viveva su una linea temporale diversa dalla sua. Condividevano le stesse mura, ma a malapena si salutavano la mattina.
Con lei, Simon avrebbe voluto condividere qualcos’altro.
Parole. Sorrisi. Sguardi fugaci. Magari degli abbracci.
E dei baci.
Tanti baci, come quelli che si stavano scambiando due coppiette appartate in una nicchia buia e polverosa.
Passando davanti ai ragazzi avvinghiati, Simon si ritrovò a pensare che non sarebbe stato male essere lì, al loro posto, con Izzy seduta sulle ginocchia.
Solo fantasie, si rimproverò. Sono solo fantasie. Storie partorite dalla tua mente contorta. Lei non ti vorrà mai. Chi sei tu per meritarti Isabelle Lightwood? Non sei di alto lignaggio, né di buona famiglia. Sei solo un povero Ascendente che nemmeno ricorda perché ha scelto di diventare uno Shadowhunter. Illuso.
Simon avrebbe voluto urlare, in quel momento. La vocina interiore ormai aveva preso il controllo di tutte le sue decisioni.
— BASTA! — gridò al vento primaverile, che trasportava pollini e freschi profumi floreali. — Io... io lo ricordo il perché. Lo Stregone e Isabelle mi sono comparsi davanti, e hanno detto un sacco di cose che all’epoca non capivo e Iz era così bella e ha pronunciato il mio nome in quel modo...
Lei mi amava, intuì all’improvviso. Ma mi amava prima.



Isabelle Lightwood si appoggiò al lavandino e aprì il rubinetto. Fece per buttare la testa sotto l’acqua, ma si trattenne. Si era appena lavata i capelli, e non voleva sprecare altre tre ore del suo tempo ad asciugarseli di nuovo.
Quella mattina, Simon non l’aveva salutata con quel suo “Ciao” timido e imbarazzato. Con quel suo “Ciao” che lei avrebbe voluto strappargli via dalla bocca, perché la faceva star male. Come quando, per sbaglio, la chiamava Iz. Non Izzy, non Isabelle: semplicemente Iz. E lei si sentiva sprofondare il cuore.
Ricorderà. Ricorderà. Ormai non faceva altro che ripetersi lo stesso mantra. Ricorderà. Ricorderà.
Isabelle si morse il labbro. Forte. Sentì sulla lingua il sapore ferroso del sangue. Lo stesso sangue che, un paio di anni prima, Simon aveva bevuto di gusto.
Tutto faceva pensare ai tempi passati, anche i dettagli più banali. Un ragazzo castano con i canini un po’ più affilati del normale. Una camicia azzurra a quadrettoni. Un paio di occhiali da nerd visti di sfuggita nella vetrina dell’ottico.
Simon era passato alle lenti a contatto. Isabelle sperava che così il suo tormento si sarebbe attenuato, ma niente da fare: senza occhiali, Simon le ricordava il vampiro che era stato una volta. Quel vampiro di cui lei si era innamorata.
Ma adesso non ti amo più, Simon. Tu non mi ami. E io non ti amo. Ho perso tutte le speranze. Ti prego, ti prego, ridammele.



2012


Era passato un anno da quella mattina in cui Simon non l’aveva salutata. Lui si era giustificato dicendo che era in ritardo, e se l’era completamente dimenticato. Isabelle gli aveva creduto.
Simon non le aveva mai più mancato il saluto.
Isabelle si lasciò cadere sul divano. Uno dei cuscini aveva il profumo di Simon; evidentemente la sera prima si era addormentato lì. Iz, in un impeto di sentimentalità e stupidità, abbracciò il cuscino.
— Che bella storia d’amore. — La voce frizzante e scherzosa di Simon la fece arrossire. — A quando le nozze?
— Le stiamo programmando. — Isabelle decise di reggere il gioco. Avrebbe fatto di tutto pur di conversare pacificamente con lui. — Una cosa però è certa: tu non sei invitato.
— Ti farò cambiare idea. — Simon accennò una risatina, poi senza tanti complimenti si accasciò accanto a lei. — Come te la cavi col latino?
— Così così. Perché?
— Perché la terza declinazione non mi entra proprio in testa. — Simon tirò un mattone fuori dalla borsa. — La prof andava di fretta e non ce l’ha spiegata.
— Va bene. Uhm... — Isabelle fece mente locale. — Abbiamo tre gruppi. Il primo comprende maschili, femminili e neutri imparisillabi con una sola consonante all’uscita in -is del genitivo singolare. Il secondo comprende imparisillabi e parisillabi. Il terzo comprende neutri che al nominativo escono in -al, -ar ed -e — spiegò, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
— E fin qui c’ero arrivato anch’io — obiettò Simon. — Quello che non capisco è perché ci sono tutte queste eccezioni.
— Perché i latini volevano complicare la vita a chi nel futuro avrebbe studiato la loro lingua — ripose Isabelle. — Senti, io più di questo non so dirti altro.
— Dai! Daaaaaaaai! — la supplicò lui. — E se quella befana mi interroga come faccio?
Ti attacchi al tram, avrebbe voluto ribattere Iz. Ma si trattenne, e invece disse: — Okay, dai, riproviamoci. Primo gruppo, maschile singolare: consul, consulis, consuli, consulem, consul, consule. Plurale: consules, consulum, consulibus, consules, consules, consulibus. Ripeti.
— Così sembrerò un cretino! — protestò Simon.
— Ma tu sei un cretino. Insieme a me: consul, consulis, consuli...
Andarono avanti così per altre quattro volte. Alla quinta, Isabelle iniziò a spazientirsi. — Io non ce la faccio più. Prendi il libro e studia da solo, oppure arrangiati.
— Dammi un’ultima chance.
Isabelle sbuffò, irritata. Alzò gli occhi al cielo, sporcandosi di mascara la palpebra fissa. Afferrò il tomo/mattone dalle mani di Simon e lo sfogliò velocemente, fino a trovare la pagina in cui era descritta la terza declinazione. — Sia chiaro: l’ultima chance senza più possibilità di patteggiamento.
— Mi piaci in versione giudice — commentò Simon con un tono divertito.
Isabelle arrossì. Mentre ricominciava a parlare, notò un guizzo nelle pupille del ragazzo. Le sembrò quasi... che le stesse facendo gli occhi dolci.
Decise di giocare sporco. Si avvicinò a lui e, di proposito, si fece ricadere la chioma su una spalla. Sentì Simon inspirare a fondo, e terminare con un’emissione di fiato quasi impercettibile.
A quel punto Iz si voltò e lo scrutò attentamente.
Simon la stava fissando con sguardo sognante.


2014


È fatta, si disse Simon per l’ennesima volta. È fatta. Ormai non si torna più indietro.
La luce del sole settembrino, ancora caldo e luminoso, irrompeva nella sala del Consiglio. In fondo alla stanza c’era una pedana rialzata, sulla quale Simon poteva scorgere, allungando lo sguardo, due grandi cerchi concentrici. Nello spazio tra di essi erano state incise rune di controllo, di conoscenza, di abilità e di destrezza. Il Console, ogni volta che un ragazzo o una ragazza entrava nei cerchi, disegnava alcune rune che componevano il nome dell’Ascendente. Solo questo passaggio portava via dieci minuti buoni.
Simon si trovava in seconda fila, e tamburellava nervosamente le dita sullo schienale della sedia di fronte. Perlustrò la sala con lo sguardo, aspettandosi di vedere il professor Branwell. Ma niente da fare: il suo insegnante preferito, che gli aveva fatto amare la Storia dei Nephilim, non c’era. Simon si augurò che venisse; dopotutto, quella era la sua prima classe di Ascendenti da quando l’Accademia aveva riaperto. La sua presenza era doverosa.
All’improvviso sentì una mano sulla spalla. Si voltò: era Bill. — Che c’è? — sussurrò a denti stretti.
Bill sorrise e gli indicò qualcuno dall’altra parte della sala. — I-Isabelle Lightwood. È la tua ra-ragazza, no?
— Sì, Tartaglia. — Simon tirò un sospiro di sollievo nel vedere Iz. La sua Iz. — È la mia ragazza.
— E allora p-perché non viene qui?
— Perché ciò implicherebbe passare davanti a suo padre, l’Inquisitore. E credimi, preferirebbe sopportare la tortura cinese della goccia per decenni piuttosto che farsi vedere da lui.
— Oh. — Bill scivolò nel posto libero accanto a Simon. — Ma l’Inquisitore sa che s-siete fidanzati?
— Credo... credo di sì — rispose Simon, non troppo convinto. — O almeno lo spero. Non ho alcuna intenzione di dirglielo di persona.
Bill fece per ribattere qualcosa, ma proprio in quel momento il Console declamò: — Simon Lewis! Avanti, prego.
Bill gli augurò buona fortuna.
Simon scese le gradinate con il cuore che premeva per uscire dal petto. Dalla prima fila, Magnus Bane e Alexander Lightwood, abbracciati, gli scoccarono un’occhiata d’intesa. Stessa cosa fecero Jace Herondale e Clarissa Morgenstern, accompagnati dalla minuscola Lorianne.
Arrivò di fronte al Console. Jia Penhallow, gelida e distante come sempre, gli fece segno di inginocchiarsi all’interno dei cerchi. Simon obbedì.
— Prendete la Coppa Mortale, Simon Lewis. — Gliela porse. In mano era freddissima. — Simon Lewis, giurate di rinunciare al mondo dei mondani e di seguire la via dei Cacciatori? Accoglierete in voi il sangue dell’Angelo Raziel e onorerete quel sangue? Giurate di servire il Conclave, di seguire la Legge com’è stabilita dall’Alleanza e di obbedire alla parola del Consiglio? Difenderete ciò che è umano e mortale, sapendo che per il vostro servizio non ci sarà altra ricompensa e ringraziamento che l’onore?
— Lo giuro — disse Simon senza un attimo di esitazione.
— Potrete essere uno scudo per i deboli, una luce nel buio, una verità tra le menzogne, una torre in mezzo all’inondazione, un occhio che veda quando tutti gli altri sono ciechi?
— Sì.
— E, quando sarete morto, consegnerete il vostro corpo ai Nephilim perché lo brucino, affinché ci si serva dei vostri resti per edificare la Città di Ossa?
— Sì.
— Allora bevete — concluse Jia con voce piatta e monotona. Che rottura. Ci sono troppe persone in questa classe, pensò. Forse sarebbe stato meglio dividerla in due manche.
Simon si portò la Coppa alle labbra. Non c’era margine di scelta: o sopravviveva, o moriva. O il bianco, o il nero, senza sfumature intermedie.
Bevve.
Per un momento, vide solo una luce accecante, che ricopriva anche il Console. Poi tutto tornò normale.
Porse la Coppa a Jia, che si sforzò di sorridere. — Ora siete un Nephilim. Vi nomino Cacciatore, Simon, del sangue del Cacciatore Jonathan, discendente dei Nephilim. Quale sarà il vostro cognome?
— Lewis — rispose Simon con voce sicura.
Jia e Robert Lightwood si scambiarono un’occhiata muta. “Fa’ come vuole” sembrava intimarle lui. “Sono già a conoscenza della questione, e va bene.”
— Simon Lewis — sbuffò infine Jia. — Alzatevi.
Simon si alzò, e non perse tempo a cercare i suoi vecchi compagni di classe tra la folla per salutarli definitivamente. Corse subito da Isabelle e la fece volteggiare, rischiando di rompere un fragile pilastro di cartongesso. Eh già, anche gli Shadowhunters a volte si devono arrangiare.
— Be’, congratulazioni! Bel cognome, a proposito — gli disse lei quando fu nuovamente con i piedi – o meglio, con i tacchi – per terra. — E ora che facciamo?
— Ora... — Simon la baciò, poi la fissò con sguardo malizioso. — Festeggiamo.



Isabelle era da sola nell’Istituto. Simon era uscito qualche minuto prima, mentre lei stava ancora dormendo, e le aveva lasciato un biglietto: Sono di pattuglia con tua madre stamattina. Prega per me. Tornerò verso pranzo. (Se per quell’ora sarò ancora vivo.)
Iz si lasciò sfuggire una risatina. Da due mesi a quella parte, da quando Maryse li aveva colti sul fatto, Simon aveva una fifa nera dell’ex signora Lightwood. Lei gli aveva fatto la strigliata del secolo, stile “COSA STAI COMBINANDO CON MIA FIGLIA? SMAMMATE SUBITO DA QUI E TROVATEVI UNA BENEDETTA CAMERA!”
Be’, in effetti farsi le coccole nel piazzale dell’Accademia, davanti alla statua di Raziel appena inaugurata, non era stata una buona idea. Ma almeno in quel momento aveva capito perché Clary e Jace si sbaciucchiavano sempre nei posti più disparati: la passione è irrefrenabile.
Isabelle si stiracchiò e sbadigliò sonoramente. Lanciò un’occhiata al calendario sul comodino: la data del ventiquattro novembre era cerchiata in rosso.
Il ventiquattro novembre è oggi.
Corse in bagno.
Sì, quella notte aveva avvertito un piccolo fastidio alla schiena. E aveva dolori al basso ventre da un paio di giorni.
Era regolare come un orologio.
Ma niente ciclo.
È lo stress, si disse. Ancora lo stress.
Lo stress di cosa, poi? Sì, certo, agosto era stato un mese orribile a dir poco, e su settembre e ottobre poteva anche sorvolare, ma novembre? No, impossibile.
In preda al panico, fece la cosa più impensabile: chiamò Jocelyn Fairchild.

Una settimana dopo, Jocelyn le consegnò una busta e voltò le spalle. Uscì dall’Istituto senza tanti complimenti.
Iz strappò la carta con mani tremanti. Prima di aprire il foglio, si strofinò istintivamente il braccio sinistro all’altezza del gomito. Le sue cicatrici, piccole o grandi che fossero, guarivano molto velocemente. Ma quell’infinitesimo pizzico, quel minuscolo puntino provocato da un ago, avrebbe per sempre lasciato un segno, sulla sua pelle e sul suo cuore.
Spiegò il foglio. Sotto una miriade di nomi stranissimi come emoglobina e azotemia, c’era scritto beta HCG. Il valore era 16400.
Accanto alla voce test di gravidanza, lesse: positivo.

  
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