Buongiorno a tutti.
Sono tornata nel fandom FMA
per un piccolo regalo di San Valentino!
Nota: è una What If, perciò alcuni episodi del
manga e personaggi potrebbero essere esclusi o aggiunti…
Buona lettura!
E buon San Valentino!
Quello Che
Non Posso
Avere
Dedicato
alla mia tata, Liris
Perché mi ha fatto
Sorridere,
Piangere,
Emozionare.
Solo con le sue parole.
Ti Voglio Bene.
Buon San Valentino!
Il campanello che suonava era probabilmente la cosa
che Edward odiava di più della loro nuova vita.
Alphonse poteva essere la persona più importante del
mondo per lui, davvero, ma da quando era tornato normale attirava la gente come
una calamita. Non tutte le persone possibili, ovviamente: quell’innumerevole
massa di persone che li aveva aiutati nei quattro anni di viaggio era già
venuta a trovarli da tempo; ora toccava ad un altro genere di visite. Si
trattava per lo più di ragazze e Edward odiava dover scendere dalla sua
camera per aprire la porta alle sgualdrinelle di suo fratello. Non avrebbe mai
osato definirle così davanti a lui, ma dato che le vedeva cambiare di settimana
in settimana non poteva certo dire che Al fosse fidanzato.
-Fratellone, vai ad aprire, per favore?-
Edward sbuffò, stufo di quell’andirivieni
insopportabile, e si alzò dalla scrivania a cui era seduto, trascinando
rumorosamente la sedia. Perché tu sappia che mi dà alquanto fastidio,
fratellino.
Il campanello suonò una seconda volta, più a lungo.
-Arrivo, arrivo!-, gridò.
Scese di corsa le scale che separavano la sua stanza
dal piano terra e dalla ormai familiare porta d’ingresso, pensando con
nostalgia alla sua oretta tranquilla. Abbassò la maniglia con cautela,
preparandosi ad ogni possibilità, mentre il campanello suonava una terza volta.
-Accidenti, ma non puoi…?-
La sua imprecazione fu bloccata a metà da quello che
vide.
Davanti a lui, sorridente e perfettamente agghindata
per un’uscita romantica, stava il tenente Maria Ross.
-Ciao, Edward!-, esclamò, appena lo riconobbe.
-Tenente, che ci fa…?-
-C’è tuo fratello?-
Edward accantonò la speranza che gli era balzata in
mente (la possibilità che non fosse venuta per lui), nascondendo la sua
delusione dietro ad un sorriso finto.
-Certo-, rispose.
La donna non chiese permesso e lo spinse a lato per
entrare nel piccolo ingresso luminoso, occupato solo da un tavolino in mogano e
da un vaso di fiori quasi appassiti. In fondo a destra cominciava a salire la
rampa di scale che portava al piano di sopra, mentre la porta appena più
indietro dava sull’accogliente sala da pranzo perennemente abitata da Al.
Maria Ross si guardò intorno un attimo (cosa che
infastidì non poco Edward) e, quando si accorse che il ragazzo la guardava
stranito, sorrise amabilmente.
-Che c’è, Ed?-
Edward si riscosse e si affrettò a scuotere la
testa.
-Nulla…-
Il tenente lo fissò piegando il viso da un lato,
come a decifrare la sua espressione. Corrugò le sopracciglia e, alla fine della
sua analisi, tornò a sorridere in modo disarmante.
-Al non ti ha detto niente, non è così?-
-In effetti no-, ammise Edward.
In quel momento Alphonse si gettò letteralmente giù
per le scale, interrompendo il momento imbarazzante. Con un sorriso enorme dei
suoi abbracciò subito la donna che era rimasta in piedi poco oltre la porta.
Edward vide il suo abito elegante sgualcirsi sul corpo dell’altra, ma distolse
velocemente lo sguardo.
-Marie!-, esclamò.
-Al!-, lo redarguì il tenente, imbarazzata, -Ti ho
detto di non chiamarmi così!-
Ma Alphonse non diede alcun peso a quelle parole: si
era già sbrigato ad afferrare la giacca nera dall’appendiabiti attaccato al
muro e in quel momento prendeva la mano della donna, guidandola fuori di casa.
Lanciando un’occhiata che sarebbe dovuta essere di
scuse (se non per il fatto che brillava d’eccitazione) al fratello maggiore,
aprì la porta e fece uscire Maria Ross.
-Torno tardi-, bisbigliò con fare cospiratore, poi
portò tutto il suo corpo al di là dell’uscio.
Un attimo dopo infilò di nuovo la testa all’interno
e guardò Edward divertito.
-Potrei anche non ritornare, anzi!-, aggiunse e
sparì.
Edward si trovò solo, ad arrossire di fronte ad una
stupida frase decisamente allusiva.
Mentre stava per voltarsi e tornare nella sua
camera, da sotto la porta uscì un biglietto bianco.
Edward lo raccolse scuotendo la testa e lo lesse
velocemente.
-Che idiota-, fu il suo unico commento.
Il foglietto rimase appallottolato nel vaso di
fiori.
Vedi di trovarti una ragazza, fratellone. Non vorrai
rimanere solo per sempre, no?
Al ritornò a notte fonda: Edward lo sentì chiudere
la porta d’ingresso rumorosamente e poi salire in bagno per darsi una lavata.
Non sapeva perché, ma l’idea che qualcuna toccasse Al in un modo che non poteva
nemmeno immaginare gli dava il voltastomaco. Cercò di sopprimere fisicamente i
pensieri, mettendo la testa sotto il cuscino, ma quelli se ne andarono solo
molto tempo dopo.
La mattina successiva arrivava con un sole
splendente che annunciava il 12 febbraio. Edward si tirò su faticosamente,
infastidito dai raggi del sole, e si alzò dal letto per cominciare la giornata.
Una mattinata di pesante lavoro da sbrigare al posto di quell’idiota di
Mustang, in compagnia di un gruppo di soldati piuttosto eccentrici.
Scrollò testa e spalle sconsolato, guardando il
proprio volto nello specchio opaco, e si lavò velocemente. Scese a fare colazione
al piano di sotto pochi minuti dopo, versando un po’ di tè in una tazza e
cercando di ignorare l’enorme contenitore di latte che svettava sugli altri
prodotti nel frigorifero.
Quando uscì di casa e chiuse la porta dietro di sé,
facendo scattare la serratura, era in anticipo di dieci minuti. Deciso a non
iniziare il lavoro che spettava ad un certo Colonnello scansafatiche prima del
necessario, attraversò la strada ed entrò nella casa che da poco tempo Hughes e
Glacier avevano comprato. Il tenente colonnello gli aveva proibito di suonare
il campanello, sostenendo che era un membro della famiglia e sarebbe stato
stupido farlo.
Attenendosi comunque alle regole della buona
educazione, Edward socchiuse la porta, senza spalancarla del tutto.
-E’ permesso?-, domandò.
Non ebbe bisogno di ripeterlo.
Hughes lo travolse letteralmente con la sua irruenza
da padre di famiglia e buon amico, scompigliandogli i capelli in un gesto che
secondo lui doveva essere affettuoso.
-Edward! Che bello vederti!-
-Grazie Maes-, mormorò lui, sottraendosi alla
stretta.
Hughes sorrise e lo invitò con un gesto ad entrare
nel salotto, dove sua moglie stava preparando Elycia per mandarla a scuola.
-Oh, Glacier, scusa se arrivo adesso e…-
La donna gli restituì un’occhiata sconsolata.
-Edward, quante volte ti devo dire che qui puoi
venire quando vuoi?-
Il ragazzo sorrise e abbassò gli occhi.
-Sei ancora un ragazzino nonostante i tuoi
diciannove anni, eh?-
-Può darsi-.
Hughes passò lo sguardo dall’ospite alla moglie,
confuso. Ma approfittò all’istante delle parole della donna per infierire con
le sue trovate assurde.
-A proposito, Edward-, bisbigliò, afferrandolo per
le spalle e avvicinandosi al suo orecchio, -E’ vero quello che si dice?-
Edward aggrottò le sopracciglia, incerto sulla
risposta da dare.
-Che cosa?-
-Che non sei fidanzato-.
Il ragazzo sospirò e si allontanò da Hughes,
incrociando le braccia in un gesto teatralmente offeso.
-E’ stato mio fratello, immagino-.
-Non ha forse ragione?-
Edward arrossì.
-Questo non c’entra nulla! E…-
-Maes!-, lo implorò la moglie, -Accidenti, devi
sempre tormentare la gente? Smettila, ti prego-.
-Ma io non tormento la gente!-
-Lo fai, invece-.
Edward approfittò del momento, ringraziando
mentalmente l’intervento di Glacier, e sgattaiolò fuori dalla porta, salutando
velocemente tutta a famiglia.
Appena uscito in strada, fece a ritroso il cammino
di pochi minuti prima e si diresse al Quartier Generale. Forse non era stata
una grande trovata quella di andare da Hughes. Ma non aveva alcuna voglia di
incontrare il Colonnello prima dell’orario di lavoro, soprattutto perché di
solito era occupato a pomiciare con una delle sue infinite concubine: in
quello, doveva ammetterlo, era piuttosto simile a suo fratello. La cosa gli
dava un certo fastidio. Chi l’avrebbe detto, quattro anni prima, che Al sarebbe
diventato un dongiovanni degno di essere messo alla pari del Colonnello
Mustang?
Sbuffando e imprecando sottovoce, mentre proseguiva
sulla sua strada, si chiese perché tutti volessero mettere l’accento sul fatto
che non fosse fidanzato. C’era forse qualche problema? Dava fastidio a
qualcuno?
Era lui l’unico a conoscere il motivo
di tanta attesa. Di tanti rifiuti che nel corso degli ultimi due anni si
erano accumulati nella sua lista personale. Di tante ragazze a cui aveva
spezzato il cuore e chiuso la porta in faccia.
Quel motivo aveva un nome ed un cognome.
-Buongiorno, Tenente-.
Riza Hawkey lo salutò con un sorriso, cosa che
faceva ormai da parecchio tempo, ora che il Colonnello Mustang era diventato il
capo dell’esercito. Nonostante tutto, mettendo da parte il suo orgoglio e la
sua vanità, aveva voluto che continuassero a chiamarlo Colonnello. Una cosa che
Edward aveva appreso con gli occhi spalancati dallo stupore: conoscendo
quell’individuo, non si sarebbe stupito di vederlo seduto su un trono in cima
al palazzo, in una stanza enorme, circondato da ragazze di ogni genere. Da
quando aveva conquistato quel titolo, comunque, il Tenente sembrava essere
stata graziata da un dio ed era diventata decisamente più loquace e serena.
Edward attraversò il piano terra fino alle scale,
che percorse per arrivare al terzo piano. Evitò di passare sul lato composto
dalle finestre aperte sul cortile, perché sapeva di trovarci Havoc e per quel
giorno aveva esaurito le scorte di buon umore: cosa alquanto negativa, vista
l’ora di prima mattina. Giunto alla terza porta a destra, la aprì con
malagrazia, ignorando il nome inchiodatovi in lettere dorate, e si preparò al
peggio.
Quando alzò gli occhi si stupì di quello che vide:
la stanza era vuota (nessuna sgualdrina in giro, nemmeno una!) ad eccezione
della sedia al di là della scrivania, occupata da un Colonnello incredibilmente
intento a firmare carte.
-Colonnello?-
L’uomo spostò lo sguardo sul nuovo arrivato.
-Beh, perché fai quella faccia stupita, Acciaio?-
Edward lo fissò ancora leggermente scioccato.
-Colonnello, sta lavorando?-
-Ehi, non mi piace affatto il tono scettico in cui
lo hai pronunciato-.
Edward sorrise malignamente.
-Mi dica se non ho ragione di essere scettico,
allora-.
Mustang alzò il viso, con aria di superiorità.
-Non ce l’hai, infatti-.
Edward scosse la testa, consapevole che discutere
non avrebbe avuto senso, e si avvicinò alla scrivania, posandoci sopra i fogli
che aveva ancora in bilico sulle braccia. Il Colonnello osservò le acrobazie
che dovette fare per non lasciarli cadere a terra con un sopracciglio alzato.
-Non sei cresciuto per niente, nonostante tu abbia
diciannove anni, eh?-
Edward gli lanciò un’occhiata furiosa. Era stanco,
quel giorno, di farsi dare dell’immaturo, del ragazzino.
-Uh, che sguardo omicida…-
-Non mi provochi-.
Il tono basso e a stento controllato con cui disse
quelle parole dovettero divertire ancora di più il Colonnello. Sorrise con la
solita malizia malcelata e lo guardò appositamente da capo a piedi.
-Vuoi dire che non posso pronunciare quella
parolina?-, chiese innocentemente.
-Non si azzardi-.
-P-I-C…-
-Colonnello!-
-C-O…-
Edward non si preoccupò dei guai in cui si sarebbe
potuto cacciare. Trasmutò l’automail che ancora aveva al braccio nella solita
arma omicida e si avventò sul Colonnello, puntando direttamente alla sua faccia
dall’espressione insopportabile. Lo prese alla sprovvista, questo lo intuì dal
suo sguardo scioccato poco prima che parasse il colpo con un fermacarte che
aveva a portata di mano. Ma si mise subito all’opera: senza usare l’alchimia
riuscì a difendersi bene da ogni attacco: Edward combatteva senza la sua solita
lucidità, accecato dalla furia che lo aveva preso e trascinato con sé.
Alla fine infatti Mustang riuscì ad afferrargli
entrambe le braccia, bloccandogliele dietro la schiena e tenendolo fermo,
puntando il fermacarte insolitamente appuntito alla sua gola. Mentre Edward
respirava affannosamente e cercava inutilmente di liberarsi, scoppiò a ridere.
-Stia zitto!-, sibilò lui.
Il Colonnello smise di ridere, avvicinando però la
bocca al suo orecchio.
-Lo sai cosa potrei farti passare per quello che hai
fatto oggi?-
-Non m’interessa!-
Mustang ridacchiò ancora, incapace di trattenere il
proprio divertimento.
-Non t’interessa, eh… Come sei acido, oggi: potrei
dire peggio del solito-.
Edward non rispose. Abbassò il capo, sempre tentando
di liberarsi. Non aveva alcuna voglia di farsi tormentare ancora dal
Colonnello. Attaccarlo all’improvviso e così stupidamente era stato un errore
che non avrebbe ripetuto. Ma non aveva intenzione di sorbirsi tutti i suoi
discorsetti e le sue occhiate piene di malizia. Ne aveva abbastanza di tutti:
di quelli che non facevano che ripetergli quanto fosse immaturo, infantile, e
di Mustang che non trovava altro divertimento se non farlo arrabbiare.
Il Colonnello lo liberò all’improvviso e Edward
quasi rischiò di cadere a terra. Si ricompose subito; dopo aver raccolto i
fogli caduti per terra e averli sbattuti sulla scrivania, fece per andarsene.
Proprio mentre scavalcava una sedia che aveva fatto cadere nella lotta, sentì
che Mustang lo tratteneva per un braccio.
-E ora che vuole?-, lo aggredì, voltandosi.
Mustang lo guardava duramente, ma senza l’ombra di
un sorriso sulle labbra.
Era insolito guardare in faccia quell’uomo e vedere
attraverso le iridi tutti gli anni di guerra che aveva passato, tutte le
esperienze che aveva vissuto, tutti i dolori che aveva patito. Quello sguardo,
quella trasparenza, era qualcosa che donava a poche persone e pochissime volte.
Edward ne aveva sentito parlare.
Mustang gli strattonò il braccio per avvicinarlo.
-Non so cosa ti passi per la testa e non ho
intenzione di scoprirlo, ma, per favore, non fare cazzate, Acciaio-.
Gli lanciò un ultimo sguardo in cui a Edward parve
di scorgere quasi la preoccupazione vera, poi lo lasciò libero e si
voltò per tornare al suo lavoro. Il ragazzo rimase per qualche istante
immobile, frastornato dalle parole e dagli sguardi dell’Alchimista di Fuoco,
ma si riscosse quando l’altro si sedette al solito posto e si affrettò ad
uscire dalla stanza.
Quando la porta alle sue spalle fu chiusa, Edward si
ritrovò nel corridoio deserto che seguiva la prima ora di lavoro: più nessuno
bighellonava in giro, allontanando gli impegni quotidiani. Lentamente si passò
una mano dalla fronte al viso, fermandosi sulla bocca. Cosa voleva dire,
Mustang? Fargli capire che era preoccupato? Fargli semplicemente uno scherzo di
cattivo gusto?
No, era impossibile. Qualunque ipotesi potesse formulare
gli sarebbe parsa impossibile da concepire. Perché conosceva da troppo tempo
Roy Mustang e sapeva che quei momenti erano passeggeri: il giorno dopo sarebbe
tornato e lo avrebbe trovato ad aspettarlo con il solito sorriso strafottente.
Purché mi aspetti, pensò.
-Che c’è, Al?-
Alphonse lo guardò con la sua personale occhiata
commiserante, probabilmente provando pietà per il suo povero fratello maggiore
incapace. Edward odiava quello sguardo, forse più del campanello che suonava.
-Fratellone, dopodomani è San Valentino!-
Edward sospirò e si passò una mano sulla fronte,
tentando con tutto se stesso di sopportare.
-E allora?-, chiese.
-Devi uscire con una ragazza!-
Edward lo fulminò.
-Non mi sembra che sia tra le leggi dello stato-.
Il fratello incrociò le braccia e lo accusò con lo
sguardo.
-E’ una tradizione, una regola implicita! E’ ovvio
che tu debba uscire!-
-Non è ovvio, Al-, replicò, -E non ho
intenzione di muovermi-.
-Allora è vero!-, esclamò Alphonse.
-Cosa?-
-Avrò una fratello maggiore zitello!-
Edward represse a stento la follia omicida che
tentava di farlo esplodere. Si impedì di strangolare il fratello solo per amore
della sua madre defunta che lo avrebbe pianto e verso cui aveva già troppi
debiti.
Prese un lungo respiro, cercò di calmarsi e fu
allora che gli balenò in testa l’idea più assurda e geniale che avesse avuto
fino a quel momento. Il modo migliore di risolvere la situazione.
Aprì le labbra in un sorriso e guardò il fratello
con gratitudine: non avrebbe mai avuto quell’idea assurda se Al non lo avesse
costretto a farsela venire in mente.
-Va bene-, annunciò, -Uscirò-.
E si chiuse nel suo silenzio meditabondo, mentre
Alphonse lo fissava sospettoso.
Vedrai, fratellino, vedrai.
Edward attraversò la strada di mattina presto.
Pur essendo di ben venti minuti in anticipo non
aveva alcuna intenzione di recarsi in casa Hughes, sia per l’esperienza del
giorno precedente, sia perché aveva in mente ben altra cosa.
Arrivò al Quartier Generale cinque minuti più tardi,
ancora decisamente in anticipo sulla tabella di marcia. A quell’ora non doveva
esserci nessuno: al massimo il Tenente Hawkey, ligia al dovere come sempre.
Oltrepassò il grande cortile che lo divideva dal palazzo e si fermò di fronte
all’ingresso principale, guardandosi intorno prudentemente.
Diede un’occhiata all’interno dell’edificio e vide
che nemmeno il Tenente era ancora arrivata. Sospirò, sollevato. Si guardò
ancora una volta alle spalle e poi entrò nel piccolo sgabuzzino che distava
alcuni passi dalla grande porta centrale, sede degli spazzini. Chiuse
immediatamente la porta e si guardò intorno: in effetti era uno spazio angusto
occupato da scope e stracci, ma sulla parete opposta a quella da cui si
accedeva c’era ciò che cercava. Si avvicinò e studiò con minuziosa attenzione
il piccolo tabellone a cui erano appesi diversi foglietti di ogni colore.
Era incredibile che tutta quelle gente avesse
bisogno di un partner. Certo, era stata un’idea geniale del Colonnello Mustang
quella di aprire una bacheca per gli scapoli della città o le belle
signorine in cerca di uomo (come le definiva lui) e un po’ gli dava
fastidio doverne usufruire, ma in realtà gli era davvero grato. Avrebbe risolto
il problema di Al e di Hughes e di Mustang stesso grazie a quella stupida
bacheca.
Cercando di sbrigarsi, ansioso di uscire da lì,
passò in rassegna tutti gli annunci. C’erano più foglietti di uomini (naturale,
data la vicinanza al Quartier Generale), ma si stupì di trovarne anche molti di
donne. Tralasciando quelle che cercavano solo un dio del sesso, ed erano la
maggior parte, ne evidenziò alcune interessanti; alle fine ne rimasero due che
davvero potevano servirgli. C’era una ragazza che diceva di essere bassa,
bionda, con un animo gentile e un’altra che invece era mora, abbastanza alta,
con un carattere aperto e irriverente. Non era sicuro di poter scegliere una
delle due. Dopo qualche titubanza, lasciò un messaggio a quella mora, poi
attaccò il biglietto che aveva preparato a casa nel posto più visibile,
sperando di poter avere il maggior numero di risposte entro quella sera.
Uscì dallo sgabuzzino facendo attenzione a non
essere visto e corse dentro l’edificio: nonostante la scappatella era ancora di
cinque minuti in anticipo. Probabilmente avrebbe dovuto sorbirsi la visione di
una delle sgualdrine del Colonnello intenta a guadagnarsi qualcosa andando con
l’uomo più importante di tutta Amestris.
Anche quel giorno, però, Mustang lo stupì. Questa
volta non stava lavorando chino sui suoi fogli da firmare, ma non stava nemmeno
cercando lo svago con qualche ragazza: era alla finestra, voltato di spalle e
sembrava che stesse osservando il viavai di soldati nel grande cortile.
Edward entrò senza fare rumore e appoggiò i soliti
fogli sulla scrivania. Sperando che il Colonnello non si voltasse, fece la
strada a ritroso e tentò di uscire.
-Acciaio-.
Il ragazzo sospirò.
-Sì, Colonnello-.
-Vieni un momento-.
Edward aggrottò le sopracciglia, fissando stranito
la schiena dell’uomo.
Obbedendo all’ordine, gli si fece accanto. Guardando
dalla finestra, vide che un grosso furgone si era fermato al centro del cortile
e stava scaricando qualcosa, probabilmente armi.
-Che cosa vuole, Colonnello?-, chiese, dato che
quello non si decideva a parlare.
Mustang ridacchiò.
-Sempre acido, eh, Acciaio?-
-Mi dica cosa vuole-.
Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto,
Edward vide l’alchimista esitare, come a corto di parole o indeciso su quello
che doveva dire. Lo fissò un po’ spaventato da quel cambiamento, aspettando che
tornasse il solito antipatico Colonnello. Ma l’uomo non diceva nulla: restava
con lo sguardo fisso nel vuoto, in cerca dell’ispirazione giusta.
Quando Edward stava per parlare, innervosito da quel
silenzio inopportuno, si decise.
-Non posso-, mormorò.
-Non può, cosa?-
-Non posso e basta, Acciaio-.
Edward sorrise,
incredulo.
-C’è qualcosa che lei non può fare, Colonnello?-
Mustang non rispose, ma il ragazzo lo vide stringere
i pugni.
Cosa stava facendo? Si prendeva gioco di lui?
-Ci sono cose che non posso chiedere-.
Edward lo guardò senza capire. Mustang si voltò e
gli rivolse uno sguardo spento, frustrato, impotente. Quello sguardo lo
atterrì: mai il Colonnello Mustang era stato impotente di fronte a
qualcosa.
-Non fare quella faccia, Acciaio. Esci-.
Edward fu felice di obbedire, per una volta.
Praticamente scappò dalla stanza, confuso. Non riusciva a capire, per
quanto si sforzasse, per cosa l’uomo potesse essere turbato. Non c’era nulla
che lo aveva mai ridotto così.
Cercando di darsi un contegno, tornò al piano terra.
Di problemi ne ho già abbastanza io.
-Perfetto-.
Si ritrovò a sussurrare quella parola più volte, di
fronte alla bacheca piena di fogli.
Era sera tardi e, finito il lavoro e anche gli
straordinari dovuti all’inoperosità del Colonnello, Edward si era fiondato in
cortile per conoscere il risultato dei suoi sforzi.
Era stato un successo insperato. Considerando che si
era descritto pressoché realisticamente, compreso il piccolo difetto della
statura, era incredibile quanta popolarità avesse guadagnato in un solo
pomeriggio.
Più di dieci risposte pendevano sotto il suo
annuncio: tutte ragazze che si definivano carine e simpatiche, soprattutto in
cerca di un gentiluomo come lui. Cosa facesse loro credere che lui fosse un
gentiluomo, proprio non lo sapeva, ma non poteva certo lamentarsi.
Tra le ragazze che avevano risposto, c’era anche la
mora che aveva contattato quella mattina. Sembrava molto felice di passare il
San Valentino insieme a lui e gli aveva già dato appuntamento per la sera dopo
in una precisa parte della città. Era la ragazza che più lo attirava tra tutte
quelle che si erano proposte e la più bendisposta alle sue richieste specifiche
per San Valentino: perché non scegliere lei?
Sospirò, affranto da quello che stava facendo e dai
suoi sforzi dovuti solo alle lamentele di suo fratello. Ma, dopo un attento
esame di coscienza, si accorse che prima o poi lo avrebbe fatto lui stesso, per
sua volontà. Sarebbe entrato in quello sgabuzzino e avrebbe appeso il suo nome.
Perché non ne poteva più della popolarità di suo fratello e della propria
solitudine. Perché voleva dimostrare di essere all’altezza, come sempre.
Sorridendo tra sé, scrisse la risposta alla bacheca
e uscì dallo sgabuzzino all’istante. Non poteva tornare sui suoi passi, ormai.
E infondo non lo voleva, per niente.
-Fratellone, esci già?-
Edward sorrise alla testa di Al che spuntava dalla
porta della stanza.
-Sì. Ti dispiace?-
-No, tranquillo-.
La sua testa sparì oltre il muro e non si fece più
sentire.
Edward annuì soddisfatto al proprio riflesso nello
specchio della camera: perfettamente vestito e pettinato, forse anche più alto
del solito per l’orgoglio. Si maledisse per i pensieri stupidi e uscì dalla
stanza.
-Ciao, Al!-, gridò quando raggiunse la porta
d’ingresso.
Dal piano di sopra provenne un saluto soffocato.
Edward sorrise per l’incongruenza del fratello.
Prima si era tanto lamentato del fatto che non uscisse e che non avesse una
ragazza e ora sembrava addirittura offeso. Quando gli aveva annunciato che
sarebbe stato fuori per il San Valentino e che forse non sarebbe tornato
quella sera, era rimasto sconvolto.
Stupido fratellino.
Appena uscì di casa, si guardò intorno. Aveva paura
che ci fosse Hughes a spiare da qualche parte e la cosa non lo rendeva felice.
Sperava di dare meno nell’occhio possibile, anche perché se l’incontro per caso
fosse andato male (e non voleva nemmeno pensarlo) sarebbe potuto tornare a casa
nell’anonimato. Avrebbe raccontato la verità ad Al, naturalmente, lui si
sarebbe fatto quattro risate e la cosa sarebbe finita lì.
Comunque sembrava che non ci fosse ancora nessuno in
giro.
L’incontro era stato fissato dalla parte opposta
della città rispetto a dove abitavano lui e suo fratello, ma non gli dispiaceva
affatto: sempre secondo la politica precedente, meno persone incontrava, meglio
era. E non c’erano molte persone che conoscesse in quella zona.
A piedi aveva calcolato di impiegare un quarto
d’ora, ma alla fine ci mise di più. Per il nervosismo, forse, o per la paura,
allontanò il momento più possibile, camminando adagio.
Alla fine ci arrivò comunque.
Il luogo esatto era un parco enorme, composto da
giardini a cerchi concentrici di siepi verde scuro e disseminato di fontane e
panchine ovunque, all’ombra degli alberi. La ragazza aveva fissato l’incontro
all’ingresso del parco, su una delle panchine che circondavano una fontana tra
le più maestose.
Edward la vide subito, imponente all’entrata, e per
un momento provò l’intenso impulso di scappare. Fu solo grazie ad
un’altrettanto abbondante dose di autocontrollo che impedì alle gambe di portarlo
via.
Avanzò incerto verso la fontana, cercando con gli
occhi le panchine. Il fiato gli mancò quando si accorse che ce n’erano
tantissime. Fortunatamente erano quasi tutte vuote: come avrebbe potuto
altrimenti riconoscere la ragazza?
Passò in rassegna con lo sguardo quelle in cui era
seduto qualcuno, ma trovò solo anziani signori che fissavano l’acqua con occhi
limpidi. C’era un’unica panchina occupata da una persona con meno di
cinquant’anni.
Quando Edward riconobbe l’uomo che vi era sistemato
comodamente, avrebbe volentieri preferito sprofondare nella terra di cinquanta
metri piuttosto che farsi riconoscere. Tentò di andar via all’ultimo momento,
completamente dimentico di tutti gli sforzi che aveva fatto, ma quella
persona lo vide.
-Oh, Acciaio! Qual buon vento?-
Edward si voltò, affranto.
-Colonnello…-, mormorò.
Mustang sembrava incredibilmente felice: non aveva
nulla a che fare con quell’uomo frustrato e impotente che aveva visto negli
ultimi giorni. Con un sorriso, gli fece segno di sedersi accanto a lui. Edward
obbedì a malincuore.
-Allora, cosa ti porta qui?-
-Devo incontrare una ragazza-, sputò.
Pensò che dicendolo subito si sarebbe tolto il peso
di un lungo ed estenuante interrogatorio, che sarebbe finito con la vittoria
del Colonnello, ovviamente.
-Anch’io: una bella bionda…-, rispose Mustang.
Edward sobbalzò.
Ma di che cosa avrebbe dovuto
stupirsi? Aveva comunque di fronte il più grande dongiovanni di tutta la città,
no?
Certo, in quei giorni si era illuso
che avesse cambiato modo di fare, ma naturalmente come sempre avrebbe dovuto
ricredersi. Come si diceva? Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Si
stupiva sempre di come i proverbi fossero terribilmente veri.
Si chiuse nel suo silenzio protettivo.
Lo utilizzava solo quando era davvero, davvero senza più speranze. E quando non
aveva più alcuna voglia di litigare, di fare l’insolente, di fare il bambino.
-Mi piacevi di più quando rispondevi-.
Edward alzò gli occhi sull’uomo
accanto a lui, sorpreso.
-Cosa?-
-Non stavi meglio quando ti
ribellavi?-
-Devo prenderla sul serio?-
Mustang gli lanciò un’occhiata
scioccata, incredibilmente eloquente.
Edward appoggiò il volto sui palmi
delle mani, sporgendosi in avanti, bilanciato sulle ginocchia.
-Sì, stavo meglio-, ammise.
Si aspettava che ora il Colonnello si
mostrasse tutto soddisfatto di sé, invece quando tornò a guardarlo i suoi occhi
erano spenti.
-Ti hanno cambiato o sei cambiato da
solo?-
Edward lo fissò ancora una volta
stupefatto. Ma infondo cosa aveva da perdere a rispondere con sincerità? Il
giorno dopo sarebbe stato tutto solo un ricordo vago e la vita non sarebbe
certo cambiata.
-Sono cambiato da solo. Perché non mi
sopportavo più-.
-Che vuoi dire?-
Edward si ritrovò a sorridere
stancamente, come uno di quei vecchi seduti sulle panchine poco più in là, che
con gli occhi limpidi ricordavano la loro vita gioiosa immersi nella nostalgia.
-Non potevo più andare avanti facendo
il bambino ribelle. Sono un uomo, ormai-.
All’improvviso, sentì Mustang ridacchiare.
-Che c’è?-
-Tu sei un uomo?-
Edward scosse la testa e non rispose,
sapendo che era inutile dargli corda.
-Cazzo-.
L’imprecazione del Colonnello lo fece
voltare.
L’uomo lo fissava con le sopracciglia
sottili corrugate, arrabbiato.
-L’hai fatto di nuovo-.
-Cosa?-, chiese Edward, confuso.
-Non hai risposto!-, esclamò Mustang,
-Hai abbassato la testa! Smettila, per favore! Questo non è essere adulti,
essere uomini! Questo vuol dire ubbidire senza protestare quando
l’ordine è assurdo! Con me sono solo scherzi, ma la vita è un’altra e non va
affrontata così! Ubbidisci senza dire nulla?-
Edward sorrise amaramente, anche se
sorpreso dalla scenata.
-E’ quello che fa un buon soldato,
no?-
-Sì, Acciaio.-, rispose Mustang, al
limite, -Ma non Edward Elric!-
Il ragazzo lo fissò confuso. Non lo
aveva mai visto così arrabbiato; Roy Mustang non aveva mai perso la pazienza:
dietro la sua facciata seria non era mai sparito quel ghigno beffardo rivolto
al mondo intero. E adesso?
L’uomo si accorse del suo sconcerto.
-Scusa-, sussurrò.
Edward lo guardò, sperando
assurdamente che dicesse qualcos’altro, che non concludesse così.
-Perché?-, chiese.
Mustang sorrise, come se si aspettasse
la domanda.
-Perché?…-, rispose, -Vuoi la verità?-
-Sì-.
Mustang si passò una mano sul viso,
poi rivolse il suo sguardo verso Edward.
Quello sguardo parlava da solo: era
così intenso che il ragazzo avrebbe potuto viverci.
-Perché io rivoglio indietro Acciaio,
il mio Acciaio. Quello che rispondeva alle frecciatine, che andava su
tutte le furie se gli si diceva che era piccolo, che non aveva mai voglia di
ubbidire, che si lamentava delle mie concubine e che arrossiva di fronte ai più
piccoli gesti d’affetto… E’ di lui che mi sono innamorato. E’ di lui che non
posso fare a meno-.
Edward lo guardò con occhi spalancati.
I pensieri gli si accavallarono nella
mente, si sorpassarono l’un l’altro per arrivare prima alla bocca, ma non
riusciva comunque a dire nulla.
-Io?-
Mustang sorrise.
-Tu-, rispose.
E allora Edward bloccò qualunque
pensiero e lasciò che fosse l’istinto ad agire. Era il suo cuore o forse
proprio il suo istinto quello che avrebbe saputo davvero cosa fare. Aveva
lasciato alla ragione le decisioni più importanti per troppo tempo e quello che
aveva ottenuto in cambio era stato la morte della madre e due arti d’acciaio.
Forse era il momento di cambiare.
E quello che voleva era ben chiaro nel
suo cuore: lo aveva sempre saputo, forse aveva anche sempre sperato che
arrivasse quel momento.
Stupendo anche se stesso, afferrò Roy
per la schiena e lo tirò verso di sé, facendo cozzare le loro labbra. Quelle si
aggredirono e si mollarono, cercandosi sempre di più come amanti impazziti
dalla distanza sofferta troppo a lungo. Le lingue lottarono senza sosta,
avversari ed elementi complementari allo stesso tempo. Fu un bacio sofferto,
agognato, unico. Nuovo per entrambi: tutto ciò che avevano sempre
inconsciamente desiderato.
Quando si separarono Edward scoppiò in
lacrime senza sapere perché.
Mustang lo abbracciò, lasciando che si
sfogasse, senza pretendere nulla, almeno per quella sera.
-Mi dispiace-, mormorò Edward.
-Non fare il bambino…-
Edward aggrottò la fronte.
-Non sono piccolo-, si lamentò,
inconsciamente.
Mustang sorrise.
Forse sarebbe tornato davvero tutto
come prima.
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-Colonnello di merda!-
Il grido attraversò il Quartier
Generale come una campanella d’allarme. Chi era nei pressi del ragazzo biondo
che camminava furente per i corridoi si affrettò a spostarsi, gli altri
sperarono di non incrociarlo.
Quando Edward Elric e Roy Mustang
litigavano era uno spettacolo terrificante.
Come ai vecchi tempi: quando quattro
anni prima gli Elric erano alla ricerca della pietra filosofale.
Edward irruppe nell’ufficio con la
forza di un urgano.
Il Colonnello, tranquillamente seduto
dietro la sua scrivania, lo fissò con un sopracciglio alzato.
-Sì, Acciaio?-
Il ragazzo sventolò di fronte al viso
del superiore un plico di fogli da lui firmati, che erano stati visionati pochi
giorni prima, distrattamente come al solito.
-Caro colonnello di merda-, sottolineò
Edward, -Lo vede cos’ha scritto qui?-
Con la mano buona indicò una riga più
o meno a metà della pagina.
Mustang si sporse verso di lui e
rilesse quello che il ragazzo gli indicava. Uno strano sorriso si fece spazio
sul suo volto.
-Certo-, rispose.
Edward lo fulminò.
-Ha appena dichiarato che io sono
responsabile per lei della contea di Reesembool-.
-Sì, infatti-, disse il Colonnello,
-Pensavo di farti un piacere, dato che ci abitano tua zia e…-
-Non faccia il finto tonto!-, lo
interruppe l’altro, -Lo sapeva! Lei lo sapeva!-
A Mustang brillarono gli occhi, ma
l’espressione rimase neutrale.
-Cosa sapevo?-
Edward tremò per la rabbia e trasmutò
l’arto d’acciaio in lama, più appuntita del solito.
-Lei lo sapeva che in quella contea…!-
-Cosa?-, lo esortò il superiore, con
un sorrisetto. –Cosa sapevo?-
-Lo sapeva che mi avrebbero negato il
diritto perché non sono abbastanza alto!-, gridò.
Sconvolto dalla rivelazione appena fatta, si avventò sul
Colonnello che, pronto, schivò con facilità i colpi.
-Non è colpa mia se sei basso!-,
si lamentò lui.
-IO NON SONO BASSO!-
La lotta si udì fino all’ultimo piano
del palazzo che fungeva da Quartier Generale. I soldati si prepararono ad una
dura giornata, perché con l’Alchimista d’Acciaio incazzato dalla prima mattina non
potevano aspettarsi nulla di buono.
Ma nessuno si lamentava apertamente,
perché nessuno che conoscesse i due alchimisti poteva dire di essere stufo di
quella situazione. I litigi tra il Colonnello e Acciaio erano una routine,
qualcosa di familiare, un aspetto della vita di soldati a cui si erano
particolarmente affezionati. Avevano già perso quelle liti una volta e non
volevano certo che succedesse una seconda.
I rapporti tra quei due sembravano
andare molto bene solo quando litigavano, come in quei momenti.
E, finalmente, andava di nuovo tutto
bene.
Molto bene.
Spero vi sia piaciuta.
Due note soltanto:
·
Le due ragazze che
Ed e Roy stavano aspettando ovviamente non esistono: sono loro stessi.
·
Sta a voi
interpretare l’ultimo Molto bene: io qualche idea ce l’ho. XD
Lasciate un commentino, ok?
E buon San Valentino a tutti!
Aki