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Autore: A li    13/02/2009    3 recensioni
Sbuffando e imprecando sottovoce, mentre proseguiva sulla sua strada, si chiese perché tutti volessero mettere l’accento sul fatto che non fosse fidanzato. C’era forse qualche problema? Dava fastidio a qualcuno?
Era lui l’unico a conoscere il motivo di tanta attesa. Di tanti rifiuti che nel corso degli ultimi due anni si erano accumulati nella sua lista personale. Di tante ragazze a cui aveva spezzato il cuore e chiuso la porta in faccia.
Quel motivo aveva un nome ed un cognome.
Il Mio Regalo di San Valentino a tutte le fan del RoyxEd.
E a tutte quelle ragazze che vorrebbero essere amate davvero.
Buon San Valentino!
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Roy Mustang, Un pò tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Il campanello che suonava era probabilmente la cosa che Edward odiava di più della loro nuova vita

Buongiorno a tutti.

Sono tornata nel fandom FMA per un piccolo regalo di San Valentino!

Nota: è una What If, perciò alcuni episodi del manga e personaggi potrebbero essere esclusi o aggiunti…

 

Buona lettura!

E buon San Valentino!

 

 

 

Quello Che

Non Posso Avere

Dedicato alla mia tata, Liris

Perché mi ha fatto

Sorridere,

Piangere,

Emozionare.

Solo con le sue parole.

Ti Voglio Bene.

Buon San Valentino!

Il campanello che suonava era probabilmente la cosa che Edward odiava di più della loro nuova vita.

Alphonse poteva essere la persona più importante del mondo per lui, davvero, ma da quando era tornato normale attirava la gente come una calamita. Non tutte le persone possibili, ovviamente: quell’innumerevole massa di persone che li aveva aiutati nei quattro anni di viaggio era già venuta a trovarli da tempo; ora toccava ad un altro genere di visite. Si trattava per lo più di ragazze e Edward odiava dover scendere dalla sua camera per aprire la porta alle sgualdrinelle di suo fratello. Non avrebbe mai osato definirle così davanti a lui, ma dato che le vedeva cambiare di settimana in settimana non poteva certo dire che Al fosse fidanzato.

-Fratellone, vai ad aprire, per favore?-

Edward sbuffò, stufo di quell’andirivieni insopportabile, e si alzò dalla scrivania a cui era seduto, trascinando rumorosamente la sedia. Perché tu sappia che mi dà alquanto fastidio, fratellino.

Il campanello suonò una seconda volta, più a lungo.

-Arrivo, arrivo!-, gridò.

Scese di corsa le scale che separavano la sua stanza dal piano terra e dalla ormai familiare porta d’ingresso, pensando con nostalgia alla sua oretta tranquilla. Abbassò la maniglia con cautela, preparandosi ad ogni possibilità, mentre il campanello suonava una terza volta.

-Accidenti, ma non puoi…?-

La sua imprecazione fu bloccata a metà da quello che vide.

Davanti a lui, sorridente e perfettamente agghindata per un’uscita romantica, stava il tenente Maria Ross.

-Ciao, Edward!-, esclamò, appena lo riconobbe.

-Tenente, che ci fa…?-

-C’è tuo fratello?-

Edward accantonò la speranza che gli era balzata in mente (la possibilità che non fosse venuta per lui), nascondendo la sua delusione dietro ad un sorriso finto.

-Certo-, rispose.

La donna non chiese permesso e lo spinse a lato per entrare nel piccolo ingresso luminoso, occupato solo da un tavolino in mogano e da un vaso di fiori quasi appassiti. In fondo a destra cominciava a salire la rampa di scale che portava al piano di sopra, mentre la porta appena più indietro dava sull’accogliente sala da pranzo perennemente abitata da Al.

Maria Ross si guardò intorno un attimo (cosa che infastidì non poco Edward) e, quando si accorse che il ragazzo la guardava stranito, sorrise amabilmente.

-Che c’è, Ed?-

Edward si riscosse e si affrettò a scuotere la testa.

-Nulla…-

Il tenente lo fissò piegando il viso da un lato, come a decifrare la sua espressione. Corrugò le sopracciglia e, alla fine della sua analisi, tornò a sorridere in modo disarmante.

-Al non ti ha detto niente, non è così?-

-In effetti no-, ammise Edward.

In quel momento Alphonse si gettò letteralmente giù per le scale, interrompendo il momento imbarazzante. Con un sorriso enorme dei suoi abbracciò subito la donna che era rimasta in piedi poco oltre la porta. Edward vide il suo abito elegante sgualcirsi sul corpo dell’altra, ma distolse velocemente lo sguardo.

-Marie!-, esclamò.

-Al!-, lo redarguì il tenente, imbarazzata, -Ti ho detto di non chiamarmi così!-

Ma Alphonse non diede alcun peso a quelle parole: si era già sbrigato ad afferrare la giacca nera dall’appendiabiti attaccato al muro e in quel momento prendeva la mano della donna, guidandola fuori di casa.

Lanciando un’occhiata che sarebbe dovuta essere di scuse (se non per il fatto che brillava d’eccitazione) al fratello maggiore, aprì la porta e fece uscire Maria Ross.

-Torno tardi-, bisbigliò con fare cospiratore, poi portò tutto il suo corpo al di là dell’uscio.

Un attimo dopo infilò di nuovo la testa all’interno e guardò Edward divertito.

-Potrei anche non ritornare, anzi!-, aggiunse e sparì.

Edward si trovò solo, ad arrossire di fronte ad una stupida frase decisamente allusiva.

Mentre stava per voltarsi e tornare nella sua camera, da sotto la porta uscì un biglietto bianco.

Edward lo raccolse scuotendo la testa e lo lesse velocemente.

-Che idiota-, fu il suo unico commento.

Il foglietto rimase appallottolato nel vaso di fiori.

Vedi di trovarti una ragazza, fratellone. Non vorrai rimanere solo per sempre, no?

 

Al ritornò a notte fonda: Edward lo sentì chiudere la porta d’ingresso rumorosamente e poi salire in bagno per darsi una lavata. Non sapeva perché, ma l’idea che qualcuna toccasse Al in un modo che non poteva nemmeno immaginare gli dava il voltastomaco. Cercò di sopprimere fisicamente i pensieri, mettendo la testa sotto il cuscino, ma quelli se ne andarono solo molto tempo dopo.

La mattina successiva arrivava con un sole splendente che annunciava il 12 febbraio. Edward si tirò su faticosamente, infastidito dai raggi del sole, e si alzò dal letto per cominciare la giornata. Una mattinata di pesante lavoro da sbrigare al posto di quell’idiota di Mustang, in compagnia di un gruppo di soldati piuttosto eccentrici.

Scrollò testa e spalle sconsolato, guardando il proprio volto nello specchio opaco, e si lavò velocemente. Scese a fare colazione al piano di sotto pochi minuti dopo, versando un po’ di tè in una tazza e cercando di ignorare l’enorme contenitore di latte che svettava sugli altri prodotti nel frigorifero.

Quando uscì di casa e chiuse la porta dietro di sé, facendo scattare la serratura, era in anticipo di dieci minuti. Deciso a non iniziare il lavoro che spettava ad un certo Colonnello scansafatiche prima del necessario, attraversò la strada ed entrò nella casa che da poco tempo Hughes e Glacier avevano comprato. Il tenente colonnello gli aveva proibito di suonare il campanello, sostenendo che era un membro della famiglia e sarebbe stato stupido farlo.

Attenendosi comunque alle regole della buona educazione, Edward socchiuse la porta, senza spalancarla del tutto.

-E’ permesso?-, domandò.

Non ebbe bisogno di ripeterlo.

Hughes lo travolse letteralmente con la sua irruenza da padre di famiglia e buon amico, scompigliandogli i capelli in un gesto che secondo lui doveva essere affettuoso.

-Edward! Che bello vederti!-

-Grazie Maes-, mormorò lui, sottraendosi alla stretta.

Hughes sorrise e lo invitò con un gesto ad entrare nel salotto, dove sua moglie stava preparando Elycia per mandarla a scuola.

-Oh, Glacier, scusa se arrivo adesso e…-

La donna gli restituì un’occhiata sconsolata.

-Edward, quante volte ti devo dire che qui puoi venire quando vuoi?-

Il ragazzo sorrise e abbassò gli occhi.

-Sei ancora un ragazzino nonostante i tuoi diciannove anni, eh?-

-Può darsi-.

Hughes passò lo sguardo dall’ospite alla moglie, confuso. Ma approfittò all’istante delle parole della donna per infierire con le sue trovate assurde.

-A proposito, Edward-, bisbigliò, afferrandolo per le spalle e avvicinandosi al suo orecchio, -E’ vero quello che si dice?-

Edward aggrottò le sopracciglia, incerto sulla risposta da dare.

-Che cosa?-

-Che non sei fidanzato-.

Il ragazzo sospirò e si allontanò da Hughes, incrociando le braccia in un gesto teatralmente offeso.

-E’ stato mio fratello, immagino-.

-Non ha forse ragione?-

Edward arrossì.

-Questo non c’entra nulla! E…-

-Maes!-, lo implorò la moglie, -Accidenti, devi sempre tormentare la gente? Smettila, ti prego-.

-Ma io non tormento la gente!-

-Lo fai, invece-.

Edward approfittò del momento, ringraziando mentalmente l’intervento di Glacier, e sgattaiolò fuori dalla porta, salutando velocemente tutta a famiglia.

Appena uscito in strada, fece a ritroso il cammino di pochi minuti prima e si diresse al Quartier Generale. Forse non era stata una grande trovata quella di andare da Hughes. Ma non aveva alcuna voglia di incontrare il Colonnello prima dell’orario di lavoro, soprattutto perché di solito era occupato a pomiciare con una delle sue infinite concubine: in quello, doveva ammetterlo, era piuttosto simile a suo fratello. La cosa gli dava un certo fastidio. Chi l’avrebbe detto, quattro anni prima, che Al sarebbe diventato un dongiovanni degno di essere messo alla pari del Colonnello Mustang?

Sbuffando e imprecando sottovoce, mentre proseguiva sulla sua strada, si chiese perché tutti volessero mettere l’accento sul fatto che non fosse fidanzato. C’era forse qualche problema? Dava fastidio a qualcuno?

Era lui l’unico a conoscere il motivo di tanta attesa. Di tanti rifiuti che nel corso degli ultimi due anni si erano accumulati nella sua lista personale. Di tante ragazze a cui aveva spezzato il cuore e chiuso la porta in faccia.

Quel motivo aveva un nome ed un cognome.

 

-Buongiorno, Tenente-.

Riza Hawkey lo salutò con un sorriso, cosa che faceva ormai da parecchio tempo, ora che il Colonnello Mustang era diventato il capo dell’esercito. Nonostante tutto, mettendo da parte il suo orgoglio e la sua vanità, aveva voluto che continuassero a chiamarlo Colonnello. Una cosa che Edward aveva appreso con gli occhi spalancati dallo stupore: conoscendo quell’individuo, non si sarebbe stupito di vederlo seduto su un trono in cima al palazzo, in una stanza enorme, circondato da ragazze di ogni genere. Da quando aveva conquistato quel titolo, comunque, il Tenente sembrava essere stata graziata da un dio ed era diventata decisamente più loquace e serena.

Edward attraversò il piano terra fino alle scale, che percorse per arrivare al terzo piano. Evitò di passare sul lato composto dalle finestre aperte sul cortile, perché sapeva di trovarci Havoc e per quel giorno aveva esaurito le scorte di buon umore: cosa alquanto negativa, vista l’ora di prima mattina. Giunto alla terza porta a destra, la aprì con malagrazia, ignorando il nome inchiodatovi in lettere dorate, e si preparò al peggio.

Quando alzò gli occhi si stupì di quello che vide: la stanza era vuota (nessuna sgualdrina in giro, nemmeno una!) ad eccezione della sedia al di là della scrivania, occupata da un Colonnello incredibilmente intento a firmare carte.

-Colonnello?-

L’uomo spostò lo sguardo sul nuovo arrivato.

-Beh, perché fai quella faccia stupita, Acciaio?-

Edward lo fissò ancora leggermente scioccato.

-Colonnello, sta lavorando?-

-Ehi, non mi piace affatto il tono scettico in cui lo hai pronunciato-.

Edward sorrise malignamente.

-Mi dica se non ho ragione di essere scettico, allora-.

Mustang alzò il viso, con aria di superiorità.

-Non ce l’hai, infatti-.

Edward scosse la testa, consapevole che discutere non avrebbe avuto senso, e si avvicinò alla scrivania, posandoci sopra i fogli che aveva ancora in bilico sulle braccia. Il Colonnello osservò le acrobazie che dovette fare per non lasciarli cadere a terra con un sopracciglio alzato.

-Non sei cresciuto per niente, nonostante tu abbia diciannove anni, eh?-

Edward gli lanciò un’occhiata furiosa. Era stanco, quel giorno, di farsi dare dell’immaturo, del ragazzino.

-Uh, che sguardo omicida…-

-Non mi provochi-.

Il tono basso e a stento controllato con cui disse quelle parole dovettero divertire ancora di più il Colonnello. Sorrise con la solita malizia malcelata e lo guardò appositamente da capo a piedi.

-Vuoi dire che non posso pronunciare quella parolina?-, chiese innocentemente.

-Non si azzardi-.

-P-I-C…-

-Colonnello!-

-C-O…-

Edward non si preoccupò dei guai in cui si sarebbe potuto cacciare. Trasmutò l’automail che ancora aveva al braccio nella solita arma omicida e si avventò sul Colonnello, puntando direttamente alla sua faccia dall’espressione insopportabile. Lo prese alla sprovvista, questo lo intuì dal suo sguardo scioccato poco prima che parasse il colpo con un fermacarte che aveva a portata di mano. Ma si mise subito all’opera: senza usare l’alchimia riuscì a difendersi bene da ogni attacco: Edward combatteva senza la sua solita lucidità, accecato dalla furia che lo aveva preso e trascinato con sé.

Alla fine infatti Mustang riuscì ad afferrargli entrambe le braccia, bloccandogliele dietro la schiena e tenendolo fermo, puntando il fermacarte insolitamente appuntito alla sua gola. Mentre Edward respirava affannosamente e cercava inutilmente di liberarsi, scoppiò a ridere.

-Stia zitto!-, sibilò lui.

Il Colonnello smise di ridere, avvicinando però la bocca al suo orecchio.

-Lo sai cosa potrei farti passare per quello che hai fatto oggi?-

-Non m’interessa!-

Mustang ridacchiò ancora, incapace di trattenere il proprio divertimento.

-Non t’interessa, eh… Come sei acido, oggi: potrei dire peggio del solito-.

Edward non rispose. Abbassò il capo, sempre tentando di liberarsi. Non aveva alcuna voglia di farsi tormentare ancora dal Colonnello. Attaccarlo all’improvviso e così stupidamente era stato un errore che non avrebbe ripetuto. Ma non aveva intenzione di sorbirsi tutti i suoi discorsetti e le sue occhiate piene di malizia. Ne aveva abbastanza di tutti: di quelli che non facevano che ripetergli quanto fosse immaturo, infantile, e di Mustang che non trovava altro divertimento se non farlo arrabbiare.

Il Colonnello lo liberò all’improvviso e Edward quasi rischiò di cadere a terra. Si ricompose subito; dopo aver raccolto i fogli caduti per terra e averli sbattuti sulla scrivania, fece per andarsene. Proprio mentre scavalcava una sedia che aveva fatto cadere nella lotta, sentì che Mustang lo tratteneva per un braccio.

-E ora che vuole?-, lo aggredì, voltandosi.

Mustang lo guardava duramente, ma senza l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Era insolito guardare in faccia quell’uomo e vedere attraverso le iridi tutti gli anni di guerra che aveva passato, tutte le esperienze che aveva vissuto, tutti i dolori che aveva patito. Quello sguardo, quella trasparenza, era qualcosa che donava a poche persone e pochissime volte. Edward ne aveva sentito parlare.

Mustang gli strattonò il braccio per avvicinarlo.

-Non so cosa ti passi per la testa e non ho intenzione di scoprirlo, ma, per favore, non fare cazzate, Acciaio-.

Gli lanciò un ultimo sguardo in cui a Edward parve di scorgere quasi la preoccupazione vera, poi lo lasciò libero e si voltò per tornare al suo lavoro. Il ragazzo rimase per qualche istante immobile, frastornato dalle parole e dagli sguardi dell’Alchimista di Fuoco, ma si riscosse quando l’altro si sedette al solito posto e si affrettò ad uscire dalla stanza.

Quando la porta alle sue spalle fu chiusa, Edward si ritrovò nel corridoio deserto che seguiva la prima ora di lavoro: più nessuno bighellonava in giro, allontanando gli impegni quotidiani. Lentamente si passò una mano dalla fronte al viso, fermandosi sulla bocca. Cosa voleva dire, Mustang? Fargli capire che era preoccupato? Fargli semplicemente uno scherzo di cattivo gusto?

No, era impossibile. Qualunque ipotesi potesse formulare gli sarebbe parsa impossibile da concepire. Perché conosceva da troppo tempo Roy Mustang e sapeva che quei momenti erano passeggeri: il giorno dopo sarebbe tornato e lo avrebbe trovato ad aspettarlo con il solito sorriso strafottente.

Purché mi aspetti, pensò.

 

-Che c’è, Al?-

Alphonse lo guardò con la sua personale occhiata commiserante, probabilmente provando pietà per il suo povero fratello maggiore incapace. Edward odiava quello sguardo, forse più del campanello che suonava.

-Fratellone, dopodomani è San Valentino!-

Edward sospirò e si passò una mano sulla fronte, tentando con tutto se stesso di sopportare.

-E allora?-, chiese.

-Devi uscire con una ragazza!-

Edward lo fulminò.

-Non mi sembra che sia tra le leggi dello stato-.

Il fratello incrociò le braccia e lo accusò con lo sguardo.

-E’ una tradizione, una regola implicita! E’ ovvio che tu debba uscire!-

-Non è ovvio, Al-, replicò, -E non ho intenzione di muovermi-.

-Allora è vero!-, esclamò Alphonse.

-Cosa?-

-Avrò una fratello maggiore zitello!-

Edward represse a stento la follia omicida che tentava di farlo esplodere. Si impedì di strangolare il fratello solo per amore della sua madre defunta che lo avrebbe pianto e verso cui aveva già troppi debiti.

Prese un lungo respiro, cercò di calmarsi e fu allora che gli balenò in testa l’idea più assurda e geniale che avesse avuto fino a quel momento. Il modo migliore di risolvere la situazione.

Aprì le labbra in un sorriso e guardò il fratello con gratitudine: non avrebbe mai avuto quell’idea assurda se Al non lo avesse costretto a farsela venire in mente.

-Va bene-, annunciò, -Uscirò-.

E si chiuse nel suo silenzio meditabondo, mentre Alphonse lo fissava sospettoso.

Vedrai, fratellino, vedrai.

 

Edward attraversò la strada di mattina presto.

Pur essendo di ben venti minuti in anticipo non aveva alcuna intenzione di recarsi in casa Hughes, sia per l’esperienza del giorno precedente, sia perché aveva in mente ben altra cosa.

Arrivò al Quartier Generale cinque minuti più tardi, ancora decisamente in anticipo sulla tabella di marcia. A quell’ora non doveva esserci nessuno: al massimo il Tenente Hawkey, ligia al dovere come sempre. Oltrepassò il grande cortile che lo divideva dal palazzo e si fermò di fronte all’ingresso principale, guardandosi intorno prudentemente.

Diede un’occhiata all’interno dell’edificio e vide che nemmeno il Tenente era ancora arrivata. Sospirò, sollevato. Si guardò ancora una volta alle spalle e poi entrò nel piccolo sgabuzzino che distava alcuni passi dalla grande porta centrale, sede degli spazzini. Chiuse immediatamente la porta e si guardò intorno: in effetti era uno spazio angusto occupato da scope e stracci, ma sulla parete opposta a quella da cui si accedeva c’era ciò che cercava. Si avvicinò e studiò con minuziosa attenzione il piccolo tabellone a cui erano appesi diversi foglietti di ogni colore.

Era incredibile che tutta quelle gente avesse bisogno di un partner. Certo, era stata un’idea geniale del Colonnello Mustang quella di aprire una bacheca per gli scapoli della città o le belle signorine in cerca di uomo (come le definiva lui) e un po’ gli dava fastidio doverne usufruire, ma in realtà gli era davvero grato. Avrebbe risolto il problema di Al e di Hughes e di Mustang stesso grazie a quella stupida bacheca.

Cercando di sbrigarsi, ansioso di uscire da lì, passò in rassegna tutti gli annunci. C’erano più foglietti di uomini (naturale, data la vicinanza al Quartier Generale), ma si stupì di trovarne anche molti di donne. Tralasciando quelle che cercavano solo un dio del sesso, ed erano la maggior parte, ne evidenziò alcune interessanti; alle fine ne rimasero due che davvero potevano servirgli. C’era una ragazza che diceva di essere bassa, bionda, con un animo gentile e un’altra che invece era mora, abbastanza alta, con un carattere aperto e irriverente. Non era sicuro di poter scegliere una delle due. Dopo qualche titubanza, lasciò un messaggio a quella mora, poi attaccò il biglietto che aveva preparato a casa nel posto più visibile, sperando di poter avere il maggior numero di risposte entro quella sera.

Uscì dallo sgabuzzino facendo attenzione a non essere visto e corse dentro l’edificio: nonostante la scappatella era ancora di cinque minuti in anticipo. Probabilmente avrebbe dovuto sorbirsi la visione di una delle sgualdrine del Colonnello intenta a guadagnarsi qualcosa andando con l’uomo più importante di tutta Amestris.

Anche quel giorno, però, Mustang lo stupì. Questa volta non stava lavorando chino sui suoi fogli da firmare, ma non stava nemmeno cercando lo svago con qualche ragazza: era alla finestra, voltato di spalle e sembrava che stesse osservando il viavai di soldati nel grande cortile.

Edward entrò senza fare rumore e appoggiò i soliti fogli sulla scrivania. Sperando che il Colonnello non si voltasse, fece la strada a ritroso e tentò di uscire.

-Acciaio-.

Il ragazzo sospirò.

-Sì, Colonnello-.

-Vieni un momento-.

Edward aggrottò le sopracciglia, fissando stranito la schiena dell’uomo.

Obbedendo all’ordine, gli si fece accanto. Guardando dalla finestra, vide che un grosso furgone si era fermato al centro del cortile e stava scaricando qualcosa, probabilmente armi.

-Che cosa vuole, Colonnello?-, chiese, dato che quello non si decideva a parlare.

Mustang ridacchiò.

-Sempre acido, eh, Acciaio?-

-Mi dica cosa vuole-.

Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Edward vide l’alchimista esitare, come a corto di parole o indeciso su quello che doveva dire. Lo fissò un po’ spaventato da quel cambiamento, aspettando che tornasse il solito antipatico Colonnello. Ma l’uomo non diceva nulla: restava con lo sguardo fisso nel vuoto, in cerca dell’ispirazione giusta.

Quando Edward stava per parlare, innervosito da quel silenzio inopportuno, si decise.

-Non posso-, mormorò.

-Non può, cosa?-

-Non posso e basta, Acciaio-.

Edward sorrise, incredulo.

-C’è qualcosa che lei non può fare, Colonnello?-

Mustang non rispose, ma il ragazzo lo vide stringere i pugni.

Cosa stava facendo? Si prendeva gioco di lui?

-Ci sono cose che non posso chiedere-.

Edward lo guardò senza capire. Mustang si voltò e gli rivolse uno sguardo spento, frustrato, impotente. Quello sguardo lo atterrì: mai il Colonnello Mustang era stato impotente di fronte a qualcosa.

-Non fare quella faccia, Acciaio. Esci-.

Edward fu felice di obbedire, per una volta. Praticamente scappò dalla stanza, confuso. Non riusciva a capire, per quanto si sforzasse, per cosa l’uomo potesse essere turbato. Non c’era nulla che lo aveva mai ridotto così.

Cercando di darsi un contegno, tornò al piano terra.

Di problemi ne ho già abbastanza io.

 

-Perfetto-.

Si ritrovò a sussurrare quella parola più volte, di fronte alla bacheca piena di fogli.

Era sera tardi e, finito il lavoro e anche gli straordinari dovuti all’inoperosità del Colonnello, Edward si era fiondato in cortile per conoscere il risultato dei suoi sforzi.

Era stato un successo insperato. Considerando che si era descritto pressoché realisticamente, compreso il piccolo difetto della statura, era incredibile quanta popolarità avesse guadagnato in un solo pomeriggio.

Più di dieci risposte pendevano sotto il suo annuncio: tutte ragazze che si definivano carine e simpatiche, soprattutto in cerca di un gentiluomo come lui. Cosa facesse loro credere che lui fosse un gentiluomo, proprio non lo sapeva, ma non poteva certo lamentarsi.

Tra le ragazze che avevano risposto, c’era anche la mora che aveva contattato quella mattina. Sembrava molto felice di passare il San Valentino insieme a lui e gli aveva già dato appuntamento per la sera dopo in una precisa parte della città. Era la ragazza che più lo attirava tra tutte quelle che si erano proposte e la più bendisposta alle sue richieste specifiche per San Valentino: perché non scegliere lei?

Sospirò, affranto da quello che stava facendo e dai suoi sforzi dovuti solo alle lamentele di suo fratello. Ma, dopo un attento esame di coscienza, si accorse che prima o poi lo avrebbe fatto lui stesso, per sua volontà. Sarebbe entrato in quello sgabuzzino e avrebbe appeso il suo nome. Perché non ne poteva più della popolarità di suo fratello e della propria solitudine. Perché voleva dimostrare di essere all’altezza, come sempre.

Sorridendo tra sé, scrisse la risposta alla bacheca e uscì dallo sgabuzzino all’istante. Non poteva tornare sui suoi passi, ormai. E infondo non lo voleva, per niente.

 

-Fratellone, esci già?-

Edward sorrise alla testa di Al che spuntava dalla porta della stanza.

-Sì. Ti dispiace?-

-No, tranquillo-.

La sua testa sparì oltre il muro e non si fece più sentire.

Edward annuì soddisfatto al proprio riflesso nello specchio della camera: perfettamente vestito e pettinato, forse anche più alto del solito per l’orgoglio. Si maledisse per i pensieri stupidi e uscì dalla stanza.

-Ciao, Al!-, gridò quando raggiunse la porta d’ingresso.

Dal piano di sopra provenne un saluto soffocato.

Edward sorrise per l’incongruenza del fratello. Prima si era tanto lamentato del fatto che non uscisse e che non avesse una ragazza e ora sembrava addirittura offeso. Quando gli aveva annunciato che sarebbe stato fuori per il San Valentino e che forse non sarebbe tornato quella sera, era rimasto sconvolto.

Stupido fratellino.

Appena uscì di casa, si guardò intorno. Aveva paura che ci fosse Hughes a spiare da qualche parte e la cosa non lo rendeva felice. Sperava di dare meno nell’occhio possibile, anche perché se l’incontro per caso fosse andato male (e non voleva nemmeno pensarlo) sarebbe potuto tornare a casa nell’anonimato. Avrebbe raccontato la verità ad Al, naturalmente, lui si sarebbe fatto quattro risate e la cosa sarebbe finita lì.

Comunque sembrava che non ci fosse ancora nessuno in giro.

L’incontro era stato fissato dalla parte opposta della città rispetto a dove abitavano lui e suo fratello, ma non gli dispiaceva affatto: sempre secondo la politica precedente, meno persone incontrava, meglio era. E non c’erano molte persone che conoscesse in quella zona.

A piedi aveva calcolato di impiegare un quarto d’ora, ma alla fine ci mise di più. Per il nervosismo, forse, o per la paura, allontanò il momento più possibile, camminando adagio.

Alla fine ci arrivò comunque.

Il luogo esatto era un parco enorme, composto da giardini a cerchi concentrici di siepi verde scuro e disseminato di fontane e panchine ovunque, all’ombra degli alberi. La ragazza aveva fissato l’incontro all’ingresso del parco, su una delle panchine che circondavano una fontana tra le più maestose.

Edward la vide subito, imponente all’entrata, e per un momento provò l’intenso impulso di scappare. Fu solo grazie ad un’altrettanto abbondante dose di autocontrollo che impedì alle gambe di portarlo via.

Avanzò incerto verso la fontana, cercando con gli occhi le panchine. Il fiato gli mancò quando si accorse che ce n’erano tantissime. Fortunatamente erano quasi tutte vuote: come avrebbe potuto altrimenti riconoscere la ragazza?

Passò in rassegna con lo sguardo quelle in cui era seduto qualcuno, ma trovò solo anziani signori che fissavano l’acqua con occhi limpidi. C’era un’unica panchina occupata da una persona con meno di cinquant’anni.

Quando Edward riconobbe l’uomo che vi era sistemato comodamente, avrebbe volentieri preferito sprofondare nella terra di cinquanta metri piuttosto che farsi riconoscere. Tentò di andar via all’ultimo momento, completamente dimentico di tutti gli sforzi che aveva fatto, ma quella persona lo vide.

-Oh, Acciaio! Qual buon vento?-

Edward si voltò, affranto.

-Colonnello…-, mormorò.

Mustang sembrava incredibilmente felice: non aveva nulla a che fare con quell’uomo frustrato e impotente che aveva visto negli ultimi giorni. Con un sorriso, gli fece segno di sedersi accanto a lui. Edward obbedì a malincuore.

-Allora, cosa ti porta qui?-

-Devo incontrare una ragazza-, sputò.

Pensò che dicendolo subito si sarebbe tolto il peso di un lungo ed estenuante interrogatorio, che sarebbe finito con la vittoria del Colonnello, ovviamente.

-Anch’io: una bella bionda…-, rispose Mustang.

Edward sobbalzò.

Ma di che cosa avrebbe dovuto stupirsi? Aveva comunque di fronte il più grande dongiovanni di tutta la città, no?

Certo, in quei giorni si era illuso che avesse cambiato modo di fare, ma naturalmente come sempre avrebbe dovuto ricredersi. Come si diceva? Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Si stupiva sempre di come i proverbi fossero terribilmente veri.

Si chiuse nel suo silenzio protettivo. Lo utilizzava solo quando era davvero, davvero senza più speranze. E quando non aveva più alcuna voglia di litigare, di fare l’insolente, di fare il bambino.

-Mi piacevi di più quando rispondevi-.

Edward alzò gli occhi sull’uomo accanto a lui, sorpreso.

-Cosa?-

-Non stavi meglio quando ti ribellavi?-

-Devo prenderla sul serio?-

Mustang gli lanciò un’occhiata scioccata, incredibilmente eloquente.

Edward appoggiò il volto sui palmi delle mani, sporgendosi in avanti, bilanciato sulle ginocchia.

-Sì, stavo meglio-, ammise.

Si aspettava che ora il Colonnello si mostrasse tutto soddisfatto di sé, invece quando tornò a guardarlo i suoi occhi erano spenti.

-Ti hanno cambiato o sei cambiato da solo?-

Edward lo fissò ancora una volta stupefatto. Ma infondo cosa aveva da perdere a rispondere con sincerità? Il giorno dopo sarebbe stato tutto solo un ricordo vago e la vita non sarebbe certo cambiata.

-Sono cambiato da solo. Perché non mi sopportavo più-.

-Che vuoi dire?-

Edward si ritrovò a sorridere stancamente, come uno di quei vecchi seduti sulle panchine poco più in là, che con gli occhi limpidi ricordavano la loro vita gioiosa immersi nella nostalgia.

-Non potevo più andare avanti facendo il bambino ribelle. Sono un uomo, ormai-.

All’improvviso, sentì Mustang ridacchiare.

-Che c’è?-

-Tu sei un uomo?-

Edward scosse la testa e non rispose, sapendo che era inutile dargli corda.

-Cazzo-.

L’imprecazione del Colonnello lo fece voltare.

L’uomo lo fissava con le sopracciglia sottili corrugate, arrabbiato.

-L’hai fatto di nuovo-.

-Cosa?-, chiese Edward, confuso.

-Non hai risposto!-, esclamò Mustang, -Hai abbassato la testa! Smettila, per favore! Questo non è essere adulti, essere uomini! Questo vuol dire ubbidire senza protestare quando l’ordine è assurdo! Con me sono solo scherzi, ma la vita è un’altra e non va affrontata così! Ubbidisci senza dire nulla?-

Edward sorrise amaramente, anche se sorpreso dalla scenata.

-E’ quello che fa un buon soldato, no?-

-Sì, Acciaio.-, rispose Mustang, al limite, -Ma non Edward Elric!-

Il ragazzo lo fissò confuso. Non lo aveva mai visto così arrabbiato; Roy Mustang non aveva mai perso la pazienza: dietro la sua facciata seria non era mai sparito quel ghigno beffardo rivolto al mondo intero. E adesso?

L’uomo si accorse del suo sconcerto.

-Scusa-, sussurrò.

Edward lo guardò, sperando assurdamente che dicesse qualcos’altro, che non concludesse così.

-Perché?-, chiese.

Mustang sorrise, come se si aspettasse la domanda.

-Perché?…-, rispose, -Vuoi la verità?-

-Sì-.

Mustang si passò una mano sul viso, poi rivolse il suo sguardo verso Edward.

Quello sguardo parlava da solo: era così intenso che il ragazzo avrebbe potuto viverci.

-Perché io rivoglio indietro Acciaio, il mio Acciaio. Quello che rispondeva alle frecciatine, che andava su tutte le furie se gli si diceva che era piccolo, che non aveva mai voglia di ubbidire, che si lamentava delle mie concubine e che arrossiva di fronte ai più piccoli gesti d’affetto… E’ di lui che mi sono innamorato. E’ di lui che non posso fare a meno-.

Edward lo guardò con occhi spalancati.

I pensieri gli si accavallarono nella mente, si sorpassarono l’un l’altro per arrivare prima alla bocca, ma non riusciva comunque a dire nulla.

-Io?-

Mustang sorrise.

-Tu-, rispose.

E allora Edward bloccò qualunque pensiero e lasciò che fosse l’istinto ad agire. Era il suo cuore o forse proprio il suo istinto quello che avrebbe saputo davvero cosa fare. Aveva lasciato alla ragione le decisioni più importanti per troppo tempo e quello che aveva ottenuto in cambio era stato la morte della madre e due arti d’acciaio.

Forse era il momento di cambiare.

E quello che voleva era ben chiaro nel suo cuore: lo aveva sempre saputo, forse aveva anche sempre sperato che arrivasse quel momento.

Stupendo anche se stesso, afferrò Roy per la schiena e lo tirò verso di sé, facendo cozzare le loro labbra. Quelle si aggredirono e si mollarono, cercandosi sempre di più come amanti impazziti dalla distanza sofferta troppo a lungo. Le lingue lottarono senza sosta, avversari ed elementi complementari allo stesso tempo. Fu un bacio sofferto, agognato, unico. Nuovo per entrambi: tutto ciò che avevano sempre inconsciamente desiderato.

Quando si separarono Edward scoppiò in lacrime senza sapere perché.

Mustang lo abbracciò, lasciando che si sfogasse, senza pretendere nulla, almeno per quella sera.

-Mi dispiace-, mormorò Edward.

-Non fare il bambino…-

Edward aggrottò la fronte.

-Non sono piccolo-, si lamentò, inconsciamente.

Mustang sorrise.

Forse sarebbe tornato davvero tutto come prima.

 

-----

 

-Colonnello di merda!-

Il grido attraversò il Quartier Generale come una campanella d’allarme. Chi era nei pressi del ragazzo biondo che camminava furente per i corridoi si affrettò a spostarsi, gli altri sperarono di non incrociarlo.

Quando Edward Elric e Roy Mustang litigavano era uno spettacolo terrificante.

Come ai vecchi tempi: quando quattro anni prima gli Elric erano alla ricerca della pietra filosofale.

Edward irruppe nell’ufficio con la forza di un urgano.

Il Colonnello, tranquillamente seduto dietro la sua scrivania, lo fissò con un sopracciglio alzato.

-Sì, Acciaio?-

Il ragazzo sventolò di fronte al viso del superiore un plico di fogli da lui firmati, che erano stati visionati pochi giorni prima, distrattamente come al solito.

-Caro colonnello di merda-, sottolineò Edward, -Lo vede cos’ha scritto qui?-

Con la mano buona indicò una riga più o meno a metà della pagina.

Mustang si sporse verso di lui e rilesse quello che il ragazzo gli indicava. Uno strano sorriso si fece spazio sul suo volto.

-Certo-, rispose.

Edward lo fulminò.

-Ha appena dichiarato che io sono responsabile per lei della contea di Reesembool-.

-Sì, infatti-, disse il Colonnello, -Pensavo di farti un piacere, dato che ci abitano tua zia e…-

-Non faccia il finto tonto!-, lo interruppe l’altro, -Lo sapeva! Lei lo sapeva!-

A Mustang brillarono gli occhi, ma l’espressione rimase neutrale.

-Cosa sapevo?-

Edward tremò per la rabbia e trasmutò l’arto d’acciaio in lama, più appuntita del solito.

-Lei lo sapeva che in quella contea…!-

-Cosa?-, lo esortò il superiore, con un sorrisetto. –Cosa sapevo?-

-Lo sapeva che mi avrebbero negato il diritto perché non sono abbastanza alto!-, gridò.

 Sconvolto dalla rivelazione appena fatta, si avventò sul Colonnello che, pronto, schivò con facilità i colpi.

-Non è colpa mia se sei basso!-, si lamentò lui.

-IO NON SONO BASSO!-

 

La lotta si udì fino all’ultimo piano del palazzo che fungeva da Quartier Generale. I soldati si prepararono ad una dura giornata, perché con l’Alchimista d’Acciaio incazzato dalla prima mattina non potevano aspettarsi nulla di buono.

Ma nessuno si lamentava apertamente, perché nessuno che conoscesse i due alchimisti poteva dire di essere stufo di quella situazione. I litigi tra il Colonnello e Acciaio erano una routine, qualcosa di familiare, un aspetto della vita di soldati a cui si erano particolarmente affezionati. Avevano già perso quelle liti una volta e non volevano certo che succedesse una seconda.

I rapporti tra quei due sembravano andare molto bene solo quando litigavano, come in quei momenti.

E, finalmente, andava di nuovo tutto bene.

 

Molto bene.

 

 

Spero vi sia piaciuta.

Due note soltanto:

·          Le due ragazze che Ed e Roy stavano aspettando ovviamente non esistono: sono loro stessi.

·          Sta a voi interpretare l’ultimo Molto bene: io qualche idea ce l’ho. XD

Lasciate un commentino, ok?

E buon San Valentino a tutti!

 

Aki

   
 
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