Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: throughtsun    28/09/2015    1 recensioni
Quando stavo con te, io, che non mi sono mai sentito un essere umano, e che gli esseri umani li ho sempre osservati e ammirati nella loro spontanea tendenza all’autodistruzione, io, ero un essere umano. E riuscivo, come fanno gli esseri umani, a mentire a me stesso in maniera eccezionale, e riuscivo a convincermi che in fondo non fosse tutta finzione, e che, se avessi continuato per un altro po’, solo un altro po’, a far finta di fingere, allora forse avresti iniziato a provare qualcosa anche tu, perché non si può andare avanti per sempre senza riuscire a provare neanche uno straccio di emozione.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cara Olimpia,
Il tuo nome non ti è mai piaciuto, ma a me piace tanto, mi è sempre piaciuto tanto, perché è maestoso, è fuori dal comune, di Olimpia nella tua vita ne conoscerai una, massimo due, ma raramente.
Io ho avuto la fortuna di conoscerne una. (Sei tu, se non l’hai capito).
Cara Olimpia, ti scrivo questa lettera mentre sono seduto su un muretto, quello fuori casa mia, che fiancheggia la stradina che porta al cancello principale. Sono seduto sul muretto, e vorrei poter fotografare quello che mi circonda, e adesso cercherò di farlo con le parole, tu dici che sono bravo con le parole, ma lo dici solo tu.
E’ Settembre, di domenica, quando scrivo questa lettera, e chi lo sa se la riceverai, lo sai come sono fatto, ma non spaventarti, per piacere, e non cercare di capire a cosa voglio arrivare. Ti prego di seguire le mie parole e di seguirmi senza fretta. Passeggiamo insieme.
E’ Settembre, di domenica, me ne sto da solo perché tu lo sai quanto mi piace starmene da solo. Sai anche quanto mi piaccia starmene seduto su questo muretto, e quando ci vengo penso a te, con le gambe lasciate a pendolare, e i piedi scalzi, perché io lo so quanto ti piace startene con i piedi scalzi, e quindi se fossi vicino a me, adesso, li avresti scalzi. Sono le due, non c’è nessuno in giro, mentre in lontananza sento rintoccare piano, lente, stanche anche loro, le campane della chiesa giù nel paese. Potrei scrivere poesie (e so che tu le leggeresti, perché sei l’unica persona che le abbia mai lette, le mie stupide poesie) su come tutti, quando il sole è più bello, quando il sole è più sveglio, decidano di chiudersi in casa, e abbassare le tapparelle, e mettersi a dormire, come se il sole non ci fosse, e gli sbattono la porta in faccia. A dirla tutta, in fondo, non capisco neanche perché lo si faccia alla sera, quando la luna è più bella, quando la luna è più sveglia, eccoli che si chiudono in casa, e abbassano le tapparelle, e le sbattono la porta in faccia.
Pensandoci su, credo che sia pratica comune tra gli esseri umani - categoria alla quale non mi sono mai sentito di appartenere fino in fondo - quella di voltare le spalle alla bellezza, e ai dolci momenti di placida calma, e di optare per il buio, e per il disastroso mondo che abita le loro teste, fatte di preoccupazioni, di sensi di colpa, di sogni turbolenti, e di voglie inespresse e inesprimibili.
Vedi, non vorrei mai aggiungere a quanto già so ti tormenti al mattino e alla sera, però, a pensarci, vedi, l’hai fatto anche tu.
I tuoi capelli ricci risplendevano al sole, e io ci avrei giocato per ore, ci infilavo dentro l’indice, e quelli me l’avvolgevano, come una spirale. Allora tu ti raccoglievi i capelli, e te li legavi, e, ecco, francamente, io mi chiedevo perché non volessi che ti toccassi i capelli, né qualsiasi altra parte del corpo, quando invece davanti a lui la tua bocca era premuta sulla mia e le tue labbra lasciavano la loro impronta sulle mie, perché ti andasse bene che ti guardassi un po’ più a lungo quando c’era lui, e invece quando eravamo da soli non potevo.
Torno subito, mi chiama mia sorella, avrà bisogno di me.


Sono tornato!
Non sono più seduto sul muretto perché Gaia voleva la aiutassi con i compiti di matematica, è in seconda liceo adesso, e mi ci è voluto un po’ per ricordarmi come si fanno le equazioni. Si è fatta sera, sono le sei, ho deciso di continuare a scriverti dentro, che fuori inizia a tirare vento, e poi col buio non ci vedo - le giornate si accorciano, e le temperature si stanno abbassando. Finirei con le mani fredde, e io ce le ho fredde anche d’estate in ogni caso, però mi servono calde almeno un po’ se voglio che la penna scorra morbida sulla carta. Mi ricordo ancora quando mi prendesti le mani e le avvicinasti alla bocca e poi ci lasciasti sopra un bacio. Mi ricordo anche che mi sono chiesto se avrei dovuto ridartelo, visto che me lo avevi lasciato così, dal nulla, ma poi ho avuto paura che potesse sembrare un po’ troppo forzato se ti avessi preso le mani e le avessi baciate, così sono rimasto con le dita intrecciate alle tue, sulla panchina fuori scuola sua, finché non è uscito lui, e tu le hai strette ancora di più, e allora, ancora una volta, mi sono chiesto perché la tua stretta si facesse ancora più forte quando c’era lui, e la tua risata più spigolosa, e i tuoi occhi mi guardassero senza vedermi. Io lo sapevo perché, me lo avevi spiegato tante volte, che non ero il tuo ragazzo, e io ti dicevo ‘okay’, e tu mi sorridevi e poi dicevi ‘bravo’. Mi avevi spiegato tante volte che era tutto finto, che serviva a fare ingelosire lui, e che non c’era niente di vero, non erano baci veri.
Però, ecco, se vuoi sapere la verità, io non l’ho mai capita, questa faccenda dei baci veri.
Nel senso, era un bacio, un bacio vero, perché mica non ci toccavamo, ci toccavamo eccome, e mica non sentivamo niente, io sentivo qualcosa, nello stomaco, e sulla punta delle dita, e dappertutto, e quando poi ti allontanavi da me, io sentivo qualcosa, perché ne volevo di più, volevo un altro bacio finto, e ne avrei voluti tanti e tanti e tanti altri ancora, finché, forse, non avresti iniziato a sentire anche tu qualcosa nello stomaco, e sulla punta delle dita, e dappertutto, e avresti iniziato, forse, a tremare come facevo io quando la tua bocca toccava il mio collo, e se fosse bastato questo, per farti innamorare di me, così come io mi sono innamorato pazzamente, tremendamente, e crudelmente, di te, allora sarei rimasto lì, e ti avrei baciato ancora e ancora e ancora, finché, alla fine, non sarebbe sembrato un bacio vero.
Avrei voluto poterti avere come ti avrebbe potuto avere lui. Ci sono stati giorni in cui ho pensato che non potevo continuare ad aiutarti in questa cosa, che non ero la persona giusta, perché io ti volevo per me, e volevo che tu mi baciassi per me, e mi guardassi dritto negli occhi e quante volte ci ho provato. Ti guardavo e i miei occhi supplicavano e urlavano muti di capire, di capire quanto male facesse, e pregavo che loro potessero parlare per me, e che tu potessi scegliere di non continuare questa danza straziante che ero stato chiamato a ballare. Speravo che tu avessi la forza di finire quello che io non riuscivo ad arrestare. Perché vedi, quando stavo con te, tutto cadeva al suo posto. Quando stavo con te, io, che non mi sono mai sentito un essere umano, e che gli esseri umani li ho sempre osservati e ammirati nella loro spontanea tendenza all’autodistruzione, io, ero un essere umano. E riuscivo, come fanno gli esseri umani, a mentire a me stesso in maniera eccezionale, e riuscivo a convincermi che in fondo non fosse tutta finzione, e che, se avessi continuato per un altro po’, solo un altro po’, a far finta di fingere, allora forse avresti iniziato a provare qualcosa anche tu, perché non si può andare avanti per sempre senza riuscire a provare neanche uno straccio di emozione. Ci credevo davvero!
Ci ho provato così tanto, ma non sono riuscito a farti provare niente.
Non te l’ho mai detto, Olimpia. Non volermene, sarebbe stato troppo umano per me.
Ho preferito guardare il tuo piano succedere, lentamente, guardarlo poggiare lo sguardo su di te, e poi su di me, e sulle nostre mani intrecciate per finta, e tu sorridevi per finta, ma se avesse potuto vederci attraverso, ecco che il mio cuore, quel traditore, avrebbe svelato che batteva un po’ più rapido del tuo, e il mio respiro era più affannato del tuo, e se lo avesse potuto vedere, e se tu lo avessi potuto vedere, mi chiedo se forse le cose avrebbero potuto essere diverse. Mi rispondo che no, perché quando lui ti ha finalmente presa per mano, e ha squarciato il vuoto che ci legava, tu gli hai lasciato che ti trascinasse via, senza voltarti in dietro, com’era giusto, com’era pianificato, e io sono tornato a casa con le mani in tasca, e i calci nei piedi, e le urla in gola e i pugni nelle mani, in baratro, come non era pianificato.
Mi devi scusare, Olimpia, perché non sono riuscito neanche per un secondo, neanche se lo desideravo con abbastanza intensità, neanche se mi concentravo, a sentirmi felice per te.

Mi devi scusare, perché tutto quello a cui riuscivo a pensare era a come a lui fosse servito perderti per amarti, e come a me, ecco, non fosse mai servito niente.

Devi scusarmi perché so che io ti amerò per sempre e mai nessuno ti amerà tanto quanto me, e mi devi scusare perché nonostante io sapessi tutto questo, ho preferito non dirtelo, e ho preferito lasciarti andare via.

Mi devi scusare perché mi mancano i tuoi capelli, e i tuoi occhi, e la tua voce, e le tue labbra, e mi manca tutto di te.

Mi devi scusare perché sono uno stupido.

Mi devi scusare, Olimpia, perché non te l’ho mai detto, che io mi stavo innamorando.




Aloha!
Prima di tutto, devo dire che questa storia è inventata (urrà per me che sono riuscita a inventare qualcosa che non fa completamente schifo), e che è stata ispirata da una foto che ho trovato su Tumblr e che mi ha riempito di tristezza/ispirazione.
La foto era un foglietto attaccato ad un portone. Diceva: "PS: Non te l'ho mai detto, ma io mi stavo innamorando di te".
Avrei voluto usare il PS nella storia, ma ho deciso che preferivo dare più spazio a tutto il processo durante il quale il ragazzo si rende conto di essere innamorato, piuttosto che uscirmene con questo PS a effetto che avrebbe reso forse un po' di meno il sentimento del protagonista... Comunque sia, fatemi sapere che ne pensate e se sono riuscita a strapparvi qualche lacrimuccia (un po' presuntuoso da parte mia).
A presto,
Nic.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: throughtsun