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Autore: Silvar tales    28/09/2015    1 recensioni
[Dorian/Inquisitor]
"Tristan". Un contatto, un contatto reale lo destò da quell'ipnosi mortifera. La sua voce era profonda, la sua mano era calda e il sangue scorreva nelle sue vene, lo sentiva pulsare contro la sua spalla.
"Tristan, questo non è reale".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dorian Pavus, Inquisitore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tristan e Dorian'
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Adamant era assediata da orde di demoni, e loro erano intrappolati in una maledetta scheggia di Oblio.
Tristan Trevelyan cercava di mettere in fila le cose, e le chiacchiere insensate di Stroud, Hawke e Dorian di certo non lo aiutavano.
Il bastione era crollato, erano precipitati... Poi l'Ancora aveva aperto uno squarcio, un lago di luce verde che li aveva inghiottiti come delle fauci mastodontiche. Era difficile dire se fosse stata opera di Tristan, in un involontario estremo tentativo di sopravvivenza, oppure se fosse stata la misericordia di Andraste a salvarli dalla caduta, e a spedirli nel mondo dei mostri invece che accoglierli tra le sue braccia.
E ora, erano perduti in un mondo irreale e circoscritto, in un regno degli orrori che usava subdolamente le loro paure, da quelle stupide e superficiali a quelle più intime, come armi micidiali.
Tristan si portò una mano alla testa, e si passò le dita tra i capelli. Aveva la fronte fredda, e la testa gli pulsava.
I suoi capelli erano lisci, tagliati corti, di un caldo castano-ramato, e ricadevano irregolari su un coppetto rasato. Aveva un filo di barba, uno squisito naso con la punta leggermente all'insù, una corporatura abbastanza muscolosa, per essere un mago, ma soprattutto gli occhi: occhi grandi, di un verde glaciale, quasi sempre messi in risalto da un filo di inchiostro nero. E inoltre, come se non bastasse, era piuttosto alto. Questo era Tristan Trevelyan, l'Inquisitore, l'Araldo di Andraste.
 
Hawke e Stroud si erano messi a bisticciare, Hawke incolpava Stroud e Stroud difendeva a spada tratta i Custodi Grigi, avanzando giustificazioni su giustificazioni. Così non poteva continuare.
"Basta, basta ho detto, zitti tutti e due! Date una tregua alle mie povere orecchie".
"In... quisitore..."
Tristan ignorò la debole replica di Stroud, e si concentrò sul luogo dov'erano capitati. Pozze di acqua nera e oleosa riempivano gli avvallamenti del terreno, piante rosse e spinose uscivano dal suolo come fossero artigli. Riusciva a distinguere una sorta di sentiero, una direzione, una luce arancione e malaticcia all'orizzonte.
"Cerchiamo un modo per uscire da qui". Detto questo, l'Inquisitore si incamminò, e tutti gli altri lo seguirono, senza dire più nulla. Tristan lanciò una veloce occhiata a Sera, che camminava al suo fianco, tre metri distante. Era visibilmente terrorizzata, e persino l'indomito Qunari, appena dietro di lui, vacillava. Sentiva il suo respiro teso, e il suo passo titubante, più leggero del solito, quasi non volesse svegliare degli ipotetici dormienti.
Tristan e Dorian erano maghi, avrebbero dovuto avere familiarità con l'Oblio, ma questo bacino immondo in cui erano caduti era diverso. Non vi erano tentazioni, finte beltà, finte speranze, vi era solo l'angoscia. Erano caduti nel labirinto del terrore e, al suo centro, dimorava l'incubo. L'incubo di ciascuno di loro.
 
"Sera, Sera, Sera... scocca la tua freccia, e saprò dove ti nascondi..."
"Sera, non asc-"
"Fuori dalla mia testa, demone!" Gridò Sera con voce strozzata, coprendosi le orecchie con le mani e fuggendo via.
"Ti fidi così ciecamente dei tuoi compagni, Inquisitore?" La voce parlò di nuovo, e risuonò terribile tra quei pinnacoli di roccia fluttuanti, rimbalzò ed echeggiò contro le pareti, come se al posto del cielo vi fosse un basso soffitto. "Ad esempio, pensi che questo Qunari, con tutta la sua possanza, riesca a resistere ai sussurri di un demone? Oppure, potrei prendermi il suo corpo..."
"Potresti provarci, sì", grugnì Toro di Ferro.
"Non ascoltate, avete capito? Questo è un demone della paura, sfrutta le nostre paure, capite? Ci si nutre. Non ascoltate", li ammonì Tristan con tono deciso. Era più un comando che una preghiera. Doveva mostrarsi sicuro di sé ad ogni costo, anche se era spaesato, confuso e spaventato quanto i suoi compagni: lui era il collante che teneva unito il gruppo. Senza di lui, si sarebbero sfaldati, perduti, avrebbero iniziato a litigare e ad accusarsi a vicenda, così come Hawke e Stroud.
"Ah, Dorian, benvenuto", riecheggiò nuovamente quella voce maligna e profonda quanto gli abissi, e stavolta si rivolse al ragazzo del Tevinter, "sei tu, Dorian, non è vero? Per un momento, ti avevo scambiato per tuo padre".
Tristan digrignò i denti. Odiava il modo in cui quel demone scavava liberamente dentro le loro menti, come fossero fatte di sabbia e fango.
 
"Fantasmi!" Esclamò Sera imbracciando l'arco e incoccando una freccia. Avanti cento metri fluttuava un gruppo di spiriti evanescenti. Tristan afferrò il bastone e li intrappolò tutti quanti in un campo elettrico. In pochi minuti, si dissolsero come rugiada sotto i raggi del sole.
"Stronzo, quello più grasso era mio", si indispettì Sera.
"Più... grasso?" Tristan accennò una risata.  Sera, la sua piccola Sera dalle mille risorse trovava ancora la voglia di dire cretinate.
"Dorian, stai indietro, ci sono demoni di fuoco più avanti", si rivolse poi al mago del Tevinter, scorgendo le informi figure infuocate ammassarsi nella pianura sottostante.
"Questo significa che devo starmene fermo a guardare? Che peccato", si indispettì Dorian incrociando le braccia e lanciando un'occhiata infuocata all'Inquisitore.
"No, significa che se attacchiamo insieme non serve a nulla, specialmente qui, specialmente contro dei demoni. Lascia che vada avanti io con il ghiaccio".
"Come non detto, uomo-del-ghiaccio. Avete sentito? Lui ha il ghiaccio. La chiave della nostra salvezza".
Tristan scosse la testa. Il solito sbruffone.
Corse in avanti contro la schiera di demoni infuocati, rinunciando a pensare a come coglierli di sorpresa. Li stordì con un'esplosione ghiacciata, dopodiché mandò avanti Toro di Ferro a fare piazza pulita. Di nuovo, Sera non aveva nemmeno fatto in tempo a scoccare la prima freccia.
"Fammi fare qualcosa, signor spalle-larghe! Sennò potevi benissimo evitare di farmi venire in questo postaccio!"
"Sono d'accordo con te, Sera", protestò Dorian, anche se stavolta sorrideva.
Tristan si voltò verso di loro, e sorrise.  "Sera, sei seria? Il tuo ruolo è fondamentale, risollevi lo spirito di tutti noi!"
"Ce ne sono già abbastanza di... brr... spiriti, non c'è proprio bisogno di sollevarne degli altri!"
"E ce ne sono già abbastanza anche di buffoni", intervenne Dorian, sarcastico, lanciando a Tristan un'occhiata più che eloquente.
 
Dopo aver ripulito la strada dai demoni, continuarono ad avanzare, anche se a fatica. L'atmosfera si era fatta più soffocante, come se stessero scavando gallerie nella terra nel tentativo di risalire in superficie. Ogni passo che facevano, sembravano retrocedere piuttosto che avanzare. L'aria era pulita, inodore, gelida addirittura, ma non era l'aria del mondo. Era vuota, sottile, rarefatta, come se fosse già stata respirata. Il terreno era duro come la roccia viva, ma sotto i piedi sembrava essere cedevole. Talvolta spariva sotto un velo d'acqua, di fumo, o di nero vetro venato di riflessi verdastri. Talvolta era interrotto da acuminati pinnacoli di ferro.
Strada facendo, si imbatterono in immagini ogni volta sempre più terribili: scheletri che tenevano fiori in grembo, corpi scarnificati fermi in pose del tutto innaturali, cadaveri che rimanevano ritti in piedi come fossero imbalsamati. E poi lettere, lettere che erano pure espressioni d'angoscia e delirio. Dopo un po', Tristan non aveva più avuto la forza di leggerle, si limitava ad intascarle.
Nessuno aveva più voglia di parlare, tantomeno di scherzare. L'Inquisitore lanciò un'occhiata preoccupata a Sera, che se possibile era ancor più pallida di quanto già non fosse normalmente, e sembrava sul punto di rigettare qualunque cosa avesse nello stomaco. Aveva lo sguardo fisso a terra e le labbra le tremavano, ma continuava a incespicare dietro di loro, seguendo come una vecchina orba i piedi di Dorian, che la precedeva. Talvolta si teneva la pancia, si toccava le spalle, il viso e le gambe con entrambe le mani, come per accertarsi di essere ancora viva.
"Ah, Inquisitore".
Di nuovo, la voce del demone ruppe il silenzio.
"Quante chiacchiere. Mi pare più una zitella che un demone della paura", intervenne Dorian, nel tentativo di sdrammatizzare. Tuttavia, persino nella sua voce arrogante stavolta vi era una nota stonata di autentica inquietudine.
"Inquisitore, o forse dovrei chiamarti per nome, Tristan Trevelyan? Sento tanta paura in te, ma una è così grande e appetitosa che mi è impossibile resisterle. E la stai provando proprio adesso, sì.
Hai paura di perderlo, non è così? Non è questa la tua paura più grande? Una paura così grande e terribile che ti sta lacerando l'anima, ti sta facendo impazzire.
La tua volontà vacilla assieme al tuo cuore, Tristan Trevelyan. Non sei da solo in quest'incubo, hai al tuo fianco l'uomo che ami. Sì, Inquisitore, ho la chiave della tua testa, vedo ogni cosa che ci passa dentro.
Perché l'ho portato con me? Perché non l'ho lasciato a casa, per quest'unica volta? Sapevo che sarebbe stato difficile, ma avevo bisogno di averlo accanto.
Davvero commovente. Hai paura, davvero tanta paura di perderlo. Oh, fai bene ad averla. Potevi lasciarlo a casa, e non gli sarebbe accaduto nulla di niente. E invece ora morirà. Hai realizzato da solo la tua paura più grande, Inquisitore".
Tristan sentì il gelo gessargli le membra, una paura primordiale, cieca, che lo afferrava alla gola. Si passò una mano sulla gola, e boccheggiò. Per poco non cadde in avanti, schiacciato dal peso di quelle parole. Schiacciato dallo sguardo dei suoi compagni, che sentiva premere contro la sua schiena.
L'Inquisitore si voltò verso di loro, e cercò lo sguardo di Sera, ma l'elfa arciere gli ricambiò uno sguardo assente, la bocca semiaperta, gli occhi sfuggevoli. Tristan fece per aprire bocca, quando Dorian lo precedette. Gli venne accanto e gli afferrò il braccio, dedicandogli finalmente uno sguardo caldo e colmo di intesa, come quelli che si scambiavano quando erano soli, e non distante e indifferente, come quando erano in compagnia degli altri.
"Fermati, Tristan, fermati. Prima di dire qualcosa di stupido".
"Non è facile ignorare questo demone, poiché dice solo cose vere", infierì Stroud.
Toro di Ferro sghignazzò e poi decise di togliere Tristan dall'imbarazzo, schiarendosi la voce e tonando: "vogliamo rimetterci in marcia, o no? Sto facendo le radici. E poi, detta sinceramente, qui a nessuno frega un cazzo con chi vai a letto, boss. Neanche se è un farabutto del Tevinter".
Dorian lasciò che gli altri li superassero, poi strinse la spalla destra di Tristan, e gli sorrise, rassicurante.
"L'Inquisitore dovrebbe camminare in testa, e non preoccuparsi per il farabutto del Tevinter", si sporse verso di lui, e lo baciò. Tristan gli strinse il polso, ma chiuse gli occhi e non si ritrasse. Poteva essere l'ultima volta che le loro labbra si toccavano.
"Sa badare a sé stesso".
 
 
*

 
Oltrepassò una bassa staccionata di legno, ed entrò in un cimitero.
Un piccolo cimitero grigio, così silenzioso e immobile da non sembrare vero. Vi erano meno di venti tombe: alcune sormontate da lapidi nere, altre da steli e piccole strutture piramidali bianche come ossa. Guardò in alto: sopra la sua testa incombeva una minacciosa volta di roccia, pareva fatta di nera ossidiana attraversata da sfumature rosse. Intorno a sé vi era l'acqua, un mare oppure un vasto lago, ma non faceva rumore. Non c'erano onde, né vento.
Continuò ad avanzare, finché non lesse un nome, inciso su una lapide grigia, posta al centro, nell'ultima fila. Una lapide che passava quasi inosservata.
No.
Nononononono.
Non poteva fare a meno di fissare la lapide, di fissare quel nome di pietra. E intanto, il panico si arrampicava su di lui come una pianta infestante, si attorcigliava attorno alle sue gambe, al suo stomaco, al suo volto, fino a ghermirlo del tutto. Le labbra gli tremavano, così come le mani, e le gambe.
"Tristan". Un contatto, un contatto reale lo destò da quell'ipnosi mortifera. La sua voce era profonda, la sua mano era calda e al suo interno scorreva il sangue, lo sentiva pulsare contro la sua spalla.
"Tristan, questo non è reale".
Si voltò verso di lui, benché gli costasse una fatica quasi sovrumana distogliere gli occhi dalla lapide.
"Tristan, svegliati". Incontrò gli occhi di Dorian. Solo che stavolta anche i suoi occhi erano aperti.
Tristan si svegliò come un morto che si risveglia dalla morte, boccheggiando. Era nella sua camera da letto, a Skyhold. La riconobbe dal profumo dei bracieri e della pietra vecchia, dal fruscio del vento che a quell'altezza soffiava forte. Si drizzò a sedere sui cuscini, e le coperte caddero a scoprirgli l'addome.
"Sta diventando pericoloso dormire con te, Inquisitore. Per poco non mi buttavi giù dal letto".
Tristan ignorò le sue chiacchiere, e si prese per un momento il volto tra le mani, come per schiarirsi le idee.
"Oh, mi aspettavo una risposta del tipo meno male che hai la testa dura".
Tristan continuò a stare in silenzio, e si passò una mano tra i capelli: erano bagnati, aveva sudato. Poi ricordò. Rivide le immagini del sogno, il cimitero, la lapide, Dorian.
Dorian.
"Tristan", Dorian lo interpellò nuovamente, stavolta era serio, e preoccupato. "Stai bene?"
"Ho rivisto l'oblio. Ma non è reale". Gli sorrise, e tornò ad adagiarsi al suo fianco. Dorian si puntellò su un gomito e lo guardò languido. "Non è reale".
"Serve un bacio per spazzare via i brutti sogni?"
Tristan rise, lo afferrò per le spalle e gli rotolò sopra. Dorian sorrise e gli passò le mani lungo la spina dorsale, le spalle, i fianchi, sentendo i suoi muscoli tendersi sotto i suoi palmi.
"Forse non basta".
 
 
 
 
 
"Mi dispiace che tu l'abbia saputo da quel demone, e non dalla mia bocca".
"Cosa?"
"Che ti amo, Dorian".






   
 
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