E
rieccomi di nuovo, per la prima volta
dal lontano 1873, a scrivere su EFP... sì, lo so, non
è molto normale
ripresentarsi dopo un periodo di assenza così lungo, ma che
ci volete fare. Un
po' di tempo fa mi è venuta in mente questa storiella che
avevo provato a
scrivere quand'ero piccolo e mi sembrava carino provare a postarla.
Ovviamente
questo non è il documento originale, ma la versione
sistemata, eh! Innanzitutto
volevo specificare delle cose: è ambientata in un universo
dove i Pokémon sono
umanizzati, tipo quello di Pokémon Mystery Dungeon, per
intenderci, quindi non
criticatemi se vedete i Pokémon maneggiare oggetti umani.
Poi voglio fare una
premessa: non so quanto tempo riuscirò a dedicare a questa
fanfiction,
soprattutto perché io non riesco mai a concludere una fic
molto lunga, quindi
non arrabbiatevi se vedete che non aggiorno per molto tempo.
Vabbè... Credo di
aver detto tutto. Questo capitolo sarà molto molto molto
breve, doveva essere
una sorta di introduzione, ma dal prossimo li farò
più lunghi. Spero che vi
incuriosisca! Il primo capitolo è quasi finito e dunque lo
posterò al più
presto. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando... Naturalmente
accetto le
critiche, purché siano costruttive! Ok. Ho finito.
Prologo
• Il superstite
Ci
volle molto tempo e molti Pokémon
dovettero accorrere per aiutare a placare l'incendio. In gran parte era
stato
grazie alla pioggia che il piccolo villaggio di Querciavalle aveva
evitato una
catastrofe... ma a che prezzo?
In
lontananza, da qualche parte in mezzo
all'immensa radura, un Pokémon si faceva strada affrontando
la tempesta. Era un
umanoide il cui corpo assomigliava all'abbigliamento del clown di un
circo
qualsiasi e il cui volto, in un'altra situazione, sarebbe stato molto
buffo.
Tra le mani guantate reggeva un Pokémon molto piccolo,
profondamente
addormentato nonostante il frastuono dei tuoni, e accuratamente avvolto
in un
velo di ciuffi d'erba. Il Pokémon agitò la mano e
a un suo gesto uno scudo
circolare semitrasparente lo rivestì completamente.
Rinnovando di tanto in
tanto la barriera magica, riuscì a tenersi al sicuro dalla
tormenta finché non
raggiunse un'umida caverna. Buttò un occhio: era disabitata.
Decise che era il
luogo perfetto per ripararsi e non appena ci fu entrato un manto di
foglie
coprì l'ingresso su suo segnale. Un altro movimento della
mano avvicinò tra
loro alcuni ramoscelli e un altro ancora accese un bel focolare.
Il
Pokémon si scaldò le mani con sollievo
e avvicinò al fuoco il cucciolo che portava con
sé. Non ci voleva un occhio
esperto a dire che quello non poteva essere suo figlio: era un
quadrupede che
per certi versi ricordava un rospetto, la cui pelle andava dal verde
acqua al
blu, con un'espressione ancora traumatizzata dipinta sul faccino
addormentato,
e un bizzarro bulbo di cipolla impiantato sul dorso come uno zainetto
sulle
spalle di un bambino. Il bulbo era molto bagnato, come se fosse stato
esposto
alla pioggia per troppo tempo.
Il
Pokémon pagliaccio agì ancora e creò
un piccolo sole che illuminò il cucciolo. Gli
tornò in mente la scena a cui
aveva assistito pochi minuti prima: ai primi accenni dell'incendio e
del
conseguente temporale, la famiglia di rispettabili Venusaur che da
sempre
abitava la radura aveva radunato i piccoli e aveva cercato di scappare,
ma un
muro di fiamme stava ormai recintando la loro casa... e non c'era stato
nulla
da fare. I Venusaur erano morti, e i loro figli dispersi
chissà dove. Era quasi
sicuro di aver visto alcuni fagotti farsi trasportare via dalla
corrente del
fiume, ma era riuscito a salvarne soltanto uno. Si chiese se gli altri
fossero
riusciti a salvarsi, e rispondersi di sì gli sarebbe
sembrato azzardato.
Incrociò
le dita. Se i parenti di quel
cucciolo erano vivi, un giorno l'avrebbero trovato. Ora sorgeva un
nuovo
problema... Il piccolo aveva bisogno di cure e non poteva abbandonarlo
lì
facendo finta di niente. No... Lo avrebbe cresciuto lui. Gli avrebbe
raccontato
la triste verità sulle sue origini e lui avrebbe capito.
Meritava di conoscere
la fine onorevole dei suoi genitori che si erano preoccupati solo di
mettere in
salvo i loro figli e che erano caduti in quel terribile incendio.