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Autore: Dragon_Iridia    28/09/2015    2 recensioni
Newtmas - AU
In un mondo colmo di emozioni negative a contrasto con quelle positive, due ragazzi si incontrano e si scontrano inevitabilmente.
Creano ricordi, momenti belli e momenti brutti.
Creano suoni, odori, emozioni.
E spesso per continuare a vivere, per tornare a vivere, è necessario mettere un punto fermo, un "addio"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Thomas
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questo capitolo parla di argomenti molto delicati per quanto iguarda la depressione e alcune conseguenze. Se in qualche modo vi da fastidio non continuate a leggere. Volevo solo avvertire









Addio.
 

Era quella la parola che occupava la mente di Newt, era come una cantilena, un leggero suono che voleva colmare il cuore del biondo.
 
Voleva dargli la forza, una forza che desiderava, ma al contempo non voleva.
 
Guardò il cielo, una delle cose più belle che l'uomo possiede.
 Si corresse subito mentalmente, perchè l'uomo non possiede proprio niente.
 Il cielo non è suo, così come la terra.
L'uomo ne fa parte, ma pretende di esserne il proprietario.
 
L'uomo pretende
 
E' nella sua natura, pretende dagli altri, pretende da se stesso.
Cercò di scacciare i pensieri che gli occupavano la mente, inspirò.
 
Chiuse gli occhi.
 
Pausa.
 
E il respiro uscì lentamente dalle narici, terminando con la bocca socchiusa.
 
Aprì gli occhi.
 
Ed eccolo, eccolo quel dono.
 
Un disco di un vibrante arancione, il profilo frastagliato sembrava lava sul punto di fuoriuscire da un bicchiere. Aveva un calore così caldo e avvolgente, così profondo.
Macchiava il cielo azzurro circostante, le sottilissime nuvole si tingevano di rosso.
Striature violacee macchiavano il cielo chiaro, mutando e assottigliandosi lentamente, con i calare del sole.
Intanto dietro di lui l'oscurità prendeva campo, conquistando il cielo per renderlo stellato.
Era circondato dalla bellezza, dalla purezza. Da doni che sentiva di non meritare. Si sentiva piccolo e così fortunato, una persona in mezzo a milioni di individui ignari.
 
Ormai ovunque si voltasse vedeva la superficialità, era circondato da palazzi, edifici più o meno nuovi, che avevano cambiato per sempre la sua visione del paese. Ricordava il paesaggio di quando era piccolo, l'ombra degli alberi sempreverdi, il profumo della rugiada. Ricordava il gracchiare delle cicale, il cinguettio della mamma alla ricerca del suo cucciolino, le foglie secche spezzarsi e  risuonare di una dolce melodia sotto i suoi piedi.
Ricordava l'ombra della luce che filtrava nelle foglie degli alberi, il suono del respiro nel silenzio.
 
Il suono del suo respiro nel silenzio.
 
Si ricordava il suono della sua risata, una melodia così cristallina e pura, da sovrastare e fondersi con tutti i rumori del bosco.
 Ricordava i giochi fatti nel bosco, i mostri inesistenti e i lupi feroci da cui tutti mettevano in guardia, ma che nessuno aveva mai visto.
 
Poi il tempo aveva corroso quella bellezza, l'uomo aveva preso il controllo, ribellandosi a sua madre.
 Giorno dopo giorno, anno dopo anno, sempre più spazio verde veniva risucchiato da teloni bianchi, dietro i quali sorgevano lentamente fredde case di cemento.
 
E così quella dolce melodia naturale che lo cullava, spariva, sostituita dal metallico rumore di ruspe e automobili.
 
Lentamente tutto intorno a lui collassava, perdendo la sua naturalezza, elevando muri che o avrebbero soffocato.
 
Ma a lui non importava.
 
Aveva una persona al suo fianco e il resto non aveva importanza.
 
Aveva quella sensazione travolgente e delicata che si percepisce dopo una lunga risata.
Quel calore dato dal silenzio e il lieve contatto fisico con una persona. Aveva il tempo, e so impiegava per espirare la stessa aria dell'altro.
 
Poi all'improvviso l'inevitabile, le foglie sotto le quali si distendevano e si lasciavano cullare sparivano, e spariva il tempo.
La scuola li divideva, catturava quell'elemento prezioso e cancellava la purezza dei bambini.
Sembrava che tutto fino a quel momento fosse stato fato nel modo sbagliato, perchè due ragazzi non possono volersi bene e l'uomo deve prendersi il suo spazio con la forza.
 
La stessa forza che spezzava quel legame e lo rendeva ancora più forte.
 
I brividi provati tra quei rami, l'adrenalina del proibito, del giusto.
Perchè anche se nessuno dei due lo ammetteva, sentivano di fare la cosa giusta, loro erano giusti, nessuno poteva giudicare il loro rapporto. Nessuno tranne loro poteva capire come si sentissero, quanto quel legame fosse indistruttibile.
Nello stesso luogo in cui giocavano da bambini, si marchiavano. Si marchiavano di segni violacei, si assaggiavano l'un l'altro come se ogni volta fosse stata l'ultima.
 
E non c'erano parole, solo lacrime.
 
Lacrime che segnavano i volti dei ragazzi, lacrime di dolore, lacrime di piacere, di gioia, di speranza, di rammarico.
Lacrime di vita.
Perchè tra quei suoni rassicuranti, i loro gemiti marchiavano l'aria, fondendosi con la naturalezza animalesca di quel posto e di quei suoni.
E ogni volta era un addio, ogni volta pregavano di non rivedersi più, di non avere più nessun contatto.
In silenzio si erano promessi che quello che accadeva tra l'umido sottobosco sarebbe rimasto lì.
 
Sarebbe stato custodito e protetto.
 
Ogni volta che si lasciavano non riuscivano a mantenere la promessa, si ricercavano. Gli sguardi nascosti e timidi bruciavano sulla pelle, guizzavano tra milioni di corpi, ma si soffermavano sempre solo e su un unica cosa.
Su un'unica persona
 
L'altro.
 
E così uno sguardo diventava una tacita richiesta d'aiuto, un bisogno d'affetto, una conferma che il loro legame era troppo forte per essere spezzato da un addio.
 
E quel bosco accoglieva nuovamente i oro due corpi, l silenzio nei loro cuori, la paura di rovinare tutto con le parole. Perchè quando si chiudevano in quella bolla niente aveva importanza.
Non importava che l'altro avesse una ragazza, una semplice persona che veniva illusa, usata.
Ma non importava, perchè il mondo insegnava così a quei due poveri ragazzi.
 Insegnava che si può amare solo una persona del sesso opposto, e che la si può usare.
 
E così ignoravano quello che la società li definiva, ignoravano e definizioni obbligatorie. Loro si sentivano una cosa sola là dentro, il loro legame così forte e naturale, che niente riusciva a dividerli.
 
Eppure il dolore e la sofferenza gli divoravano il petto, l'obbligo verso persone sconosciute pesava sulle loro spalle e il bisogno di amarsi si faceva sempre più forte.
 
Ma il tempo diminuiva, e i loro spazi cancellati.
 
Così senza accorgersene si trovarono privati di un luogo in cui formare i ricordi e poi chiuderli. Era l'unico luogo che loro conoscevano, l'unico che frequentavano. Un luogo in cui nessuno avrebbe letto del loro passaggio, un luogo in cui loro avrebbero potuto ricordare, o semplicemente dimenticare.
Il liceo li divideva, due strade e un legame sempre più teso, sempre più sofferente.
Come un elastico teso, finì per far cedere una delle due estremità, rovinando il delicato equilibrio e la dolorosa ma solida distanza creata
 
E di nuovo non bastava l'addio
 
Non bastava
 
Si ritrovavano, erano costretti a collidere ogni volta che incrociavano il cammino dell'altro. Ma era sbagliato
 
E ci fu la rabbia, la violenza, l'estremo tentativo di cancellare il passato, di cancellare quello che ormai era stato sommerso da freddo intonaco bianco.
 
Le grida che squarciavano i loro cuori, solo per cacciare l'altro, per allontanalo, senza riuscire però a lasciargli la mano.
 
Doveva essere un addio, doveva spezzare per sempre quello li legava, doveva spezzare quello che loro credevano essere solo un legame fisico.
Credevano, illudendosi, che scudi di falsa rabbia  e cattiveria potessero difenderli dall'altro.
Ma poi si ritrovavano a rabbrividire davanti agli occhi caldi dell'altro.
Il cuore si riempiva di gioia ed eccitazione quando si incontravano, i loro pensieri costantemente occupati. Anche in un piccolo angolino, rinchiusi per cercare di ignorarli, ormai erano un puntino fisso.
Una compagnia, un'ancora, una scatola con i ricordi più belli.
 
Adesso Newt era lì, seduto sul tetto di uno dei tantissimi edifici, tutti uguali, abitati da persone sconosciute che non sorridono più ai compaesani.
Cercava di riempire il vuoto che sentiva con i ricordi di Lui.
Ma ormai era troppo tardi, il mondo andava avanti senza di loro e con loro. Erano solo due piccole particelle in un fiume, sono destinati  scontrarsi e dividersi di nuovo.
 
Guardò i suoi piedi, e gli infiniti piani di quel palazzo, freddi e uguali.
 
Non aveva paura di cadere, una parte di lui addirittura sperava accadesse. Voleva trovare la forza di farlo, di lasciarsi andare, perchè non ce la faceva più.
Non riusciva a sorridere dentro, le sue labbra si piegarono e dalla gola uscivano suoni simili a risate, ma il suo cuore taceva. I suoi battiti così leggeri da essere impercettibili.
Si sentiva vuoto, imperfetto e inadatto.
Si sentiva troppo e al contempo troppo poco.
Si chiedeva perchè, i perchè di tante cose, da quelli più banali a quelli più profondi.
Si chiedeva per quale motivo non avevano semplicemente vissuto e lottato per proteggere quello che avevano.
Si chiedeva perchè non avevano scelto di vivere insieme contro tutto e tutti.
 
E non capiva, non capiva dove sbagliava, non capiva il motivo per cui era andato ripetutamente con ragazze senza arrivare mai fino in fondo.
Aveva ferito tante persone, aveva loro mentito subdolamente, per proteggere se sesso e il suo legame con lui.
Lo aveva fatto, si sentiva uno schifo per questo, si sentiva ancora più colpevole perchè niente era stato risolto.
Si era solo ferito ulteriormente
Aveva ferito l'atro ulteriormente
 
E forse l'unico valido motivo per cui Newt era salito lassù era quel ragazzo.
 
Sentiva di averlo deluso, di essere la sua ancora, ma un'ancora cattiva. Sentiva di essere un peso per lui, un limite che lo costringeva a vivere condizionato da qualcun'altro.
E poteva cancellare tutto con un semplice passo, poteva liberare entrambi
 
Ma sarebbe stata libertà?
 
E se l'ancora funzionasse come un legame a doppio senso? Una lama a doppio taglio?
Facendo un passo avrebbe trascinato con se l'altro o sarebbe stato un vero addio?
 
Sentì una lacrima calda sfiorargli il viso, la cancellò
 
Poi un'altra, e un'altra ancora.
 
Il suo petto era immobile, il respiro calmo e il volto disteso.
Si sentiva vibrare, non voleva crollare neanche a un'altezza spaventosa e alla solitudine della sera.
 
Non voleva mostrarsi a se stesso senza filtri
 
Ormai era troppo spaventato e sfiduciato per farlo.
 
Ad ogni addio si ripeteva che avrebbe smesso di fidarsi di chiunque, soprattutto di lui.
 
Poi come una secchiata d'acqua gelida si fidava, si fidava anche quando nessuno dei due accennava a quello che succedeva realmente. E non erano i pomeriggi passati insieme a studiare, le uscite di gruppo, le coccole davanti a un film.
 
Erano gli addii a ferirlo, era la loro volontà di restare normali.
Un normale che pretendeva un rapporto con una persona dell'altro sesso, un normale che non prevedeva che due ragazzi avessero un legame così solido da non poter essere spezzato, ma al contempo così fragile da non poter essere usato con orgoglio.
Dovevano difendersi dagli altri, dalla società, da quelli che li reputavano sbagliati
 
Ma non ne era mai valsa la pena
 
Mai
 
Il dolore si infranse violento contro il petto, costrinse i polmoni a bruciare e muoversi.
 
La cassa toracica iniziò ad essere scossa dai singhiozzi, la gola rauca e dolorante nel tentativo di non produrre nessun suono e sulle labbra un sapore salato, il sapore della libertà.
 
Mosse qualche passo indietro.
 
La testa scoppiava, liberava tutti i ricordi, che confusi assalivano il suo cuore.
Si accasciò dietro al basso muretto del tetto piano, cadendo sulle ginocchia.
Non portò le mani al volto, non voleva nascondersi, non voleva più sopravvivere.
 
Voleva solo vivere, vivere libero.
 
Il suo cuore lo voleva più di ogni altra cosa e niente gli avrebbe permesso di gettarsi da quel cornicione. Il ricordo di quel ragazzo era impresso a fuoco, nel suo corpo, nella sua mente, la vita che sentiva scorrere nelle vene ne era la prova.
 
Rimase a terra, scosso dai singhiozzi, gli occhi offuscati dalle lacrime che minacciavano di cadere dalle ciglia e lo facevano.
Rigavano silenziosamente il suo volto. L'espressione adesso sfigurata, le labbra tirate in una smorfia di dolore.
 
Si sentiva perso e colpevole
 
Sarebbe voluto tornare indietro per costringere se stesso e l'altro che quello che stavano facendo era giusto.
 
E invece era lì,fermo su quel freddo cemento, con il peso del passato e dei ricordi che spezzavano la sua cassa toracica
 
Non voleva dire addio, ne a Lui ne a se stesso.
Non voleva cancellarsi per sempre, aveva una ragione di vita, più di una ragione di vita.
 
Non poteva crollare sotto il peso della società, sotto il peso dei giudizi e delle costrizioni.
 Doveva rimanere se stesso, doveva far parte di quelle poche persone isolate che ancora conservano loro stessi.
 
Che ancora sono umani.
 
Doveva vivere.
 
Non asciugò le lacrime, ma smise di singhiozzare. Si stava liberando, le lacrime pulivano i sapori, gli odori, i ricordi.
 
Sentiva il cuore chiedere pietà, chiedere speranza. Ma lui non ne vedeva alcuna, non voleva più illusioni.
Per questo decise di farlo
Si alzò, lentamente, e solo a quel punto col ma manica del maglione asciugò le lacrime ormai fredde.
Aprì lentamente gli occhi, senza accorgersene il tempo era passato il cielo si era fatto scuro e profondo, la luce scura e il vento freddo.
Mosse qualche passo, lento, calcolato e calmo. Suoni ovattati arrivavano alle sue orecchie, ma nessuno era degno di nota.
Un'altro passo.
Lo avrebbe fatto, sarebbe arrivato fino in fondo
Un'altro ancora
Si sarebbe arreso
 
Altro passo
 
Avrebbe lasciato entrambi liberi, liberi di seguire la propria strada
 
Entrambi i piedi sul cornicione
 
Inspirò, a fondo
 
L'aria fredda bruciava nel suo percorso
 
Ma era intensa, era piena di ricordi e odori che non esistevano più, ma che lui percepiva ancora
 
Il vento sferzava sul volto e lo invitava,lo cullava
 
Abbassò lo sguardo, piccole luci brillavano, sagome si dimenavano formando ombre confuse di persone ignare
 
Respirò, di nuovo.
 
Allargò le braccia come per abbracciare quel dono che gli era stato fatto
 
 
La vita
 
Era nato con questo dono, uno dei più grandi.
 
Il più grande.
 
Voleva coglierlo, abbracciarlo e viverlo
 
Voleva vivere
 
E per questo disse addio al passato, disse addio a quello che erano
Ma non dimenticò
Si staccò dal passato vivendo il presente
 
Lasciando un addio freddo, duro e immediato
 
Un addio che sapeva di dolce, un addio felice, un addio che portava vita
 
Nuova vita
 
 
 
Un addio che avrebbe portato a un nuovo inizio con Thomas
 
 
 
Il suo Thomas
 
 
 
Il suo Tommy





Angolino piccolo

Scusatemi, sono malvagia

La fine è tremenda, lo so.
Ci ho pensato tanto a come finirla. Poi ho lasciato quello che mi veniva più naturale ed è uscito questo

Ho l'altra long che è tutto fluff e cose dolciose, e in questo periodo avevo così tanta voglia di scrivere cose tristi e ascoltare musica triste

Ho trovato una lista di 5 parole, e ho deciso di scrivere un'OS per ognuna
Se vi va di lasciare una recensione mi farebbe solo piacere, non ho mai scritto cose simili
Non so come sono andata , se è un completo disastro

Ringrazio una biondina topina, che non è su efp ma se li merita ugualmente

E il mio unicorno preferito, Nora che sopporta sempre i miei scleri, i miei momenti neri neri, e insomma, un bel lavorone sopportarmi sempre

Grazie ❤
  
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