Ad un passo dalla fine (l’infinito)
[Ad un passo dal vero primo senso in amore
Ad un passo dall'unico progetto che ho]
«DiNozzo!
Il Direttore vuole vederti!»
Il
richiamo perentorio del capo aveva fatto sobbalzare l’Agente DiNozzo, intento
in qualche futile attività nel suo pc, e aveva
incuriosito gli agenti Mcgee e Bishop.
Quella
mattina, ancora, nessun caso aveva bussato alle loro scrivanie, ma mentre Tony
percorreva i pochi metri che lo separavano dall’ufficio del Direttore mai
avrebbe immaginato il precipitare degli eventi che si sarebbe verificato.
«Abbiamo
un problema.» annunciò Vance, chiudendo le mani a
triangolo di fronte a lui. «E tu devi aiutarmi.» concluse, riaprendole e
poggiandole ai lati della scrivania.
«Cosa
le serve?»
Vance emise un mugolio
di fastidio: «Fosse così semplice. Ti ricordi Ari Haswari,
vero?»
«E
come potrei dimenticarlo?» chiese Tony, socchiudendo gli occhi. «Non so se lo
abbia detestato di più da vivo o da morto.»
Aveva
davvero sperato che non avrebbe dovuto più risentire quel nome che, prima aveva
tolto la vita a Kate e poi aveva perseguitato per tutti quegli anni la sua
amata Ziva, ostacolandone la felicità e tenendola lontana da lui e da loro per
fin troppi anni.
«Ci
sono arrivate notizie dal Mossad: recentemente stanno
scoprendo delle piccole cellule terroristiche che, prese singolarmente non
inducono nessun tipo di allarmismo, ma un pericoloso filo conduttore sembra
legarle.»
«Ari?»
«Così
sembra.»
«Ma
è morto da quasi quindici anni. Cosa può mai c’entrare lui?»
«Dalle
notizie che mi ha mandato Orlì, sembra che il loro
leader, Yehouda Moab, si
ispiri alle ultime volontà di Haswari: distruggere
l’organizzazione del Mossad e portare il caos in
Israele.»
«È
impossibile che facciano una cosa del genere. Quanto si dovrebbero essere
spinti oltre per attuare un piano del genere: il Mossad
è un’agenzia riconosciuta e non può
essere distrutta da un giorno all’altro!»
«Quindici
anni di preparazione a me, sinceramente, fanno pensare che siano molto ben
organizzati.»
Tony
sospirò, chiedendosi quando finalmente l’Israele avrebbe smesso di essere un
continuo tormento.
«Però
stiamo visionando uno scenario catastrofico: fortunatamente il punto debole di
queste cellule è che rispondono tutte al loro capo, Moab,
e Orlì è convinta che ancora non si siano resi conto
che abbiano collegato Ari Haswari a loro.»
«Quindi,
in teoria, basterebbe catturare Yehouda Moab per far cessare queste azioni terroristiche.»
«Non
in teoria, DiNozzo, ma in pratica: tagliare la testa del serpente è l’unica
soluzione. Non possiamo tirarci indietro, il Mossad
ha ufficiosamente chiesto il nostro aiuto perché non sanno di chi possono
fidarsi e non ho intenzione di negarglielo.»
«Posso
chiederle perché sta dicendo tutto questo proprio a me?»
Vance sospirò,
alzandosi dalla sedia e percorrendo la breve distanza che lo separava da Tony,
posando una mano sulla sua spalla.
«Perché
ti attende un viaggio per Tel Aviv. Non posso mandare nessun’altro e Gibbs
questo lo sa. Ho la sua approvazione.»
Il
primo pensiero dell’Agente corse, ovviamente, a Ziva. Come avrebbe reagito di
fronte a quella notizia? Il passato che aveva faticosamente lasciato alle sue
spalle, stava bussando di nuovo insistentemente e sembrava deciso a non
lasciarla in pace, riportando paurosamente vicino a loro Ari Haswari e tutto ciò che aveva rappresentato per Ziva.
«Non
vorrei chiederti una cosa del genere, ma non ho scelta. La decisione se tenere
Ziva all’oscuro di tutto è tua, io ti appoggerò qualunque essa sia.»
«Non
voglio mentirle.»
Un
piccolo sorriso fiorì tra le labbra di Vance, seguito
da un borbottio di approvazione: «Lo sospettavo. Partirai tra 6 ore.»
Tony
annuì e, pur avendo già compreso, chiese ciò che temeva.
«Direttore?»
attese che Vance alzasse la testa per poi chiedere:
«Il mio compito è tagliare la testa al Serpente?»
«Tuo
e della squadra di fiducia che Orlì ha preparato.
Molto probabilmente ne hanno localizzato la posizione, in una zona alla
periferia di Tel Aviv. Ho già chiarito con lei che se non dovesse avere
successo, il nostro aiuto cesserà, per cui credo che le informazioni siano
quanto mai esatte.»
«Quindici
anni e l’hanno trovato così facilmente?»
«Chi
ha detto che ci stanno lavorando soltanto da pochi giorni, Tony? Persino il
direttore David era a conoscenza di Moab.»
«E
l’hanno lasciato agire indisturbato?»
«Non
è nostro compito giudicare le azioni del Mossad.»
disse Vance, con tono neutrale, facendo ben capire a
Tony che condividesse la sua opinione per come il Mossad
sembrava aver gestito quella minaccia, ma che non poteva pubblicamente
criticarla.
Tony
annuì, ingoiando l’ennesima delusione che i giochi della politica gli
procuravano continuamente e desiderando che si sbrigassero tutta quella
faccenda da soli.
Non
aveva nessuna voglia di riportare a Ziva dei ricordi amari e, inconsciamente,
temeva anche che questi la destabilizzassero nuovamente, inducendola ad andarsene
di nuovo: si vergognò di quel pensiero, sentendosi irrispettoso nei confronti
di Ziva e poco fiducioso, ma la paura di perderla ancora si era subito
manifestata, sottoforma di quel pensiero.
Salutò
i suoi colleghi, sotto gli sguardi sospettosi di Mcgee e Bishop
e quello ammonitore di Gibbs, un silenzioso “mi raccomando” che si leggeva chiaramente nel suo viso.
Durante
il tragitto verso casa, aveva pensato e ripensato come comunicare a Ziva quelle
notizie, ma non gli era venuta nessuna buona idea, se non essere diretto e
conciso.
Del
resto, non appena Ziva lo sentì aprire la porta di casa, comprese subito che
fosse successo qualcosa e Tony non seppe dire se che lei fosse a casa proprio
quel giorno, poiché il suo giorno libero, fosse una fortuna o una sfortuna.
«Tony?
Che è successo?»
Lo
sguardo arrendevole, con un mezzo sorriso sul suo volto, agitò Ziva, ma la
calmò da paure ben più brutte.
«Sediamoci.»
disse lei, sapendo benissimo che il suo fidanzato non avesse piacevoli novelle
da comunicarle.
Tony
snocciolò velocemente tutte le informazioni riguardanti le cellule, Moab, il Mossad e la richiesta di
Orlì, tralasciando ogni riferimento al fratello Ari;
gli disse della missione, del suo compito e della sua partenza.
Ziva
assimilò tutte le informazioni, respirando lentamente e avvertendo subito che
mancasse un tassello fondamentale in quel racconto: ovviamente era preoccupata
per la missione pericolosa che attendeva Tony, ma la sua reticenza nel
comunicarle quel lavoro era quanto mai sospetta ed era restia a credere che
fosse soltanto perché era collegata col Mossad, in
qualche modo.
«Cosa
non mi stai dicendo?»
Tony
prese un lungo respiro, ben sapendo che la sua amata si sarebbe accorta prima
di subito che qualcosa non andasse: anche se ormai si dedicava a tutt’altre
attività, rimaneva una delle migliori agenti federali che avesse conosciuto.
«Questo
gruppo di terroristi seguono le ultime volontà di Ari. Moab
era un suo adepto e pare che abbia organizzato questo piano da lungo tempo e
seguendo le sue istruzioni.»
Ziva
fece un mezzo sorriso, sospirando e passandosi leggermente la mano sulla
fronte.
«Era
questo che non volevi dirmi.»
«Non
volevo riportarti brutti ricordi.»
«Ari
è parte di ciò che sono. L’ho capito quando mi sono allontanata da tutti sei
anni fa. Rinnegare il mio passato avrebbe soltanto ostacolato il mio futuro, ci
ho messo troppi anni a capirlo.» disse lei, pensando con amarezza a quel
periodo della sua vita, mentre viaggiava cercando qualcosa che aveva lasciato
partire su un aereo, diretto verso D.C.
Tony
si sporse, poggiandole una mano sulla guancia e tirandola a sé.
«L’importante
è che ora sei qui, il resto lo affronteremo insieme.»
Ziva
capì quasi subito la reale paura di Tony e, pur rattristita che ancora lui
provasse quel tipo di timore, tentò di capirlo e di rassicurarlo.
«Sono
qui e resterò qui, ad aspettarti.»
Mai,
come in quel momento, si sentì simile a sua madre, rivendendosi in lei quando
guardava partire suo padre, verso chissà quale luogo e chissà quale missione.
Tony
la baciò appassionatamente e la strinse ancora di più a sé, alzandosi dal
divano: «Parto tra molte ore. Avrei parecchie idee per ingannare l’attesa.»
disse con un sorriso languido, seguito da quello altrettanto malizioso di Ziva
che, lo assicurò, aveva anche molte idee.
Salutarla
sull’uscio della porta era una di quelle cose a cui mai si sarebbe abituato,
desideroso di non lasciarla andare e di cancellare quello sguardo dal suo
volto: Ziva mascherava benissimo la sua preoccupazione e aveva piena fiducia in
lui e nelle sue capacità, tuttavia un piccolo ma intenso lampo di inquietudine
le animava sempre gli occhi e lui avrebbe voluto soltanto toglierlo dal suo
viso.
«Fai
attenzione.»
Tony
annuì, guardandola un’ultima volta e poi voltandosi, diretto verso la sua auto
e verso Tel Aviv.
La
missione, a dispetto delle previsioni, si era rivelata più facile del previsto
e Tony, insieme agli agenti israeliani, aveva preparato un piano per assaltare
la base segreta dove Moab era rifugiato.
Tuttavia
un cattivo presentimento continuava ad assillare l’agente e, quando poco prima
di entrare in azione, vennero circondati da uno stuolo di terroristi video
tutti i suoi timori concretizzarsi: una talpa aveva spifferato tutte le
informazioni.
Lo
torturano quasi per tutto il giorno, ma Tony non cedette finché le minacce
virarono su un’altra persona a lui cara.
«Sappiamo
che la sorella di Haswari è tornata a D.C.»
Come
avessero avuto quelle informazioni, Tony non riusciva a capirlo e temette
fortemente la piega che la ‘discussione’ avrebbe preso.
«Vorremmo
parlarle. La faremo uscire vivo di qua, se ce la consegnerà.»
Tony
non si sprecò neanche a rispondere, ma raccolse tutta la saliva che gli era
rimasta in bocca e sputò dritto nell’occhio del suo aguzzino.
«Puoi
direttamente uccidermi, se questa è la mia unica opportunità di libertà.»
E
probabilmente davvero la vita dell’agente DiNozzo avrebbe potuto concludersi
lì, a miglia di distanza dalla sua amata Ziva, se una squadra di soccorso
israeliana non avesse prontamente assediato la base nemica. Liberarono Tony e
uno degli ufficiali gli comunicò l’intento del Mossad
di continuare la missione: uccidere Moab.
Perlustrarono
l’intera struttura, finché non sentirono un colpo di pistola da una botola:
aperta, vi trovarono il cadavere di Yehouda Moab, appena suicidatosi e con la pistola ancora fumante.
Piuttosto che consegnarsi alle autorità, aveva preferito uccidersi, compiendo
uno dei più empi peccati per la religione ebraica.
Tony
sentì chiaramente di averla scampata bella e, mentre i soldati si occupavano di
Moab, lui perlustrò tutto il suo ufficio, trovando
vari documenti di vitale importanza e molti che non riuscì neanche a capire,
dato che erano scritti in ebraico.
Si
era insospettito quando aveva sentito nominare Ziva, chiedendosi come sai
volessero da lei, dato che ormai non aveva più contatti con l’Israele da anni e
frugò in quei fogli cercando qualsiasi traccia che lo portasse ai David.
Dopo
un’ora di ricerca, le sue fatiche diedero i frutti e scovò alcuni documenti che
sembravano riguardare Ziva e la sua famiglia; per evitare che le autorità
israeliane, li nascose, per farli poi analizzare da Abby e Mcgee.
Orlì si congratulò con lui in tutti i
modi, pregandolo di portare i suoi più cari
saluti al direttore Vance in un tono così falso e
accondiscendente che Tony si chiese perché la Direttrice non sforzasse neanche
di fingere un po’.
Il
rientro alla base fu pensieroso, giacché tutti i suoi neuroni stavano lavorando
su quei fogli che aveva già prontamente spedito ad Abby, sicuro che insieme a Mcgeek avrebbe trovato le risposte che cercava.
Aveva
pensato, appena atterrato, di correre a casa dalla sua Ziva, riposarsi per
qualche ora e poi andare all’NCIS, ma il volto corrucciato di Gibbs, che lo
attendeva all’eliporto, gli fece comprendere che una visita a casa non sarebbe
stato il primo punto dell’itinerario.
«Ci
sono novità.» disse il capo, invitandolo poi a raccontargli della missione.
Tony fu quanto mai conciso e focalizzò tutta l’attenzione sull’interesse che i
terroristi avevano dimostrato verso Ziva, timoroso che qualche cellula autonoma
decidesse di agire spontaneamente contro di lei.
«Ne
dubito. Il Mossad aveva già intercettato le altre
cellule più importanti, aspettavano solo il momento giusto per attaccare Moab.»
«Ancora
non capisco perché siamo stati coinvolti.»
«Per
lo stesso motivo per cui stavi per morire, Tony: una talpa.»
«In
pratica ci hanno solo usato.»
Gibbs
annuì: «Leon ti ha mandato solo ottenendo l’assoluta sicurezza che saresti
tornato tutto intero e loro avevano bisogno che il capo della spedizione fosse
un uomo sicuramente non corrotto.»
«E
poi si chiedono perché non mi piaccia il Mossad!»
esclamò Tony, in uno sbuffo di disapprovazione.
«Abby
ha delle novità?» chiese, poi, sicuro che Gibbs fosse al corrente di tutto.
«Te
le spiegherà lei. Siamo arrivati.»
Entrati
nel laboratorio della scienziata, ovviamente, Abby corse ad abbracciare Tony,
felice che fosse salvo, seguito da un sorriso da parte di Ellie
e Mcgee.
«Sono
tutto intero.»
«E
pieno di ferite!» disse la scienziata, triste che tutta la sua famiglia
rischiasse sempre e comunque la vita.
«Abby.»
fu il commento conciso di Gibbs che fece subito iniziare il discorso di Abby.
«D’accordo,
d’accordo. Tony, i documenti che mi hai mandato, dimostrano sostanzialmente
contatti frequenti tra Moab ed Ari, quel maledetto!
Ovviamente tutto questo tipo di documentazione cessa alla data della morte di Haswari, quindi riguarda prevalentemente eventi successi
negli anni prima. Non ho trovato niente di utile, in conclusione.»
«E
perché volevano Ziva?» chiese lui, insistendo.
«Beh,
forse perché è l’ultima persona rimasta legata ad Ari, non dimenticarti che
tutta l’organizzazione si basava su di lui.»
«Lo
spero.»
«La
proteggeremo noi.» rispose Gibbs, mettendo una mano sulla spalla dell’agente
che sorrise leggermente.
«Ci
sono molti atti criminali per cui si troverà finalmente un colpevole: molti
assassini, molte bombe, c’è l’elenco anche di una serie di azioni suicide
autorizzate da Moab e Ari: Kabul, Tel Aviv, Hamas…»
Abby
stava continuando ad elencare, quando quella combinazione di parole attirò
l’attenzione di Tony, spingendolo a scostare la scienziata, sotto il suo grido
di protesta, per poter vedere se la sua intuizione fosse giusta.
I
fogli erano molto schematici e non ci mise molto a trovare la data che
interessava e, facendo rapidamente due calcoli, scoprì che era esattamente nel
periodo che era morta la sorellina di Ziva. Un ulteriore controllo al pc, sotto gli sguardi stupiti di tutti, gli diede conferma
che l’attacco che aveva causato la morte di Tali David era stato ordinato da
Ari Haswari e Moab.
Un
pesante silenzio calò nel laboratorio di Abby, interrotto solo dal rumore dei
tasti che la scienziata stava premendo al pc.
«Glielo
dirai?» chiese, infine, Mcgee domandando ciò che tutti si stavano chiedendo.
Tony
tentennò nel rispondere: «Certo! Magari… non subito,
ecco. Non è una cosa facile.»
«Prima
è, meglio sarà, DiNozzo.» decretò Gibbs, invitando tutti gli altri a riprendere
il solito lavoro.
Non
c’era nessuna apparente connessione tra Ziva e il gruppo di Moab,
se non il legame di sangue che la univa con Ari e quindi il capo decise che era
tempo di occuparsi del delitto di un altro Marine.
«Va’
a casa, DiNozzo. Per oggi riposo.»
«Grazie
boss!» esclamò contento lui, dileguandosi rapidamente.
Prima
di andarsene, passò da Vance per informarlo
direttamente della missione e da Ducky per rassicurare lui e Palmer sul suo rientro.
Sulla
strada di ritorno pensò a vari modi per comunicare a Ziva la notizia su Tali,
ma nessuno di quelli gli sembrava opportuno. Non voleva riaprire vecchie
ferite, né voleva che fantasmi del passato ricominciassero a perseguitarla.
Ziva
aveva accettato la morte di Tali e aveva perseguito la sua vendetta, ma cosa
sarebbe successo se il colpevole avrebbe preso le sembianze di suo fratello?
Già
l’accettazione del fatto che fosse un criminale, seguita dalla consapevolezza
di averlo ucciso erano stati eventi che l’avevano profondamente scossa e
cambiata: scoprire che aveva anche ucciso la sua amata sorella, cosa avrebbe
scatenato in lei?
Sconfortato
da questi dubbi e dalla dolorosa idea di perderla nuovamente, non trovò il
coraggio di dirle niente.
Sfiorare
la sua pelle morbida e godersi con lei la giornata fu l’unica cosa di cui si
preoccupò.
Il
giorno seguente, tuttavia, l’obiettivo gli fu ancora più difficile. Dopo essere
tornato dal lavoro, vide Ziva particolarmente contenta per un suo successo
lavorativo e non se la sentì proprio di rovinarle l’umore, o almeno questa fu
la scusa che si dette per evitare di darsi del codardo.
Passati
quasi quattro giorni, aveva deciso che doveva assolutamente rivelarle tutto.
Non poteva tenerla all’oscuro di un così grande segreto e Ziva aveva tutti i
diritti di sapere.
Doveva
fidarsi di lei.
Tuttavia,
girate le chiavi del loro appartamento, la vista di una Ziva seduta sul divano
con l’espressione più furiosa che gli avesse mai visto, gli fece capire di
essere arrivato troppo tardi.
«Perché
non me l’hai detto?» chiese lei, subito, alzandosi e andando contro di lui.
«Ziva…»
«Rispondimi,
Tony!»
«Te
lo volevo dire proprio stasera!»
«Oh
certo e tu speri che sia così stupida da crederci!? Ma per chi mi hai preso?»
«Te
lo giuro.»
«Come
hai potuto pensare di tenermi nascosta una cosa del genere? Avevo capito subito
che mi nascondessi qualcosa! Ma non credevo… non
credevo fosse qualcosa di così importante per me.»
«Ziva,
mi dispiace. Hai ragione, avrei dovuto dirtelo subito, ma non volevo ferirti.»
«No,
Tony! Non l’hai fatto per me! L’hai fatto perché non ti fidi di me! Avevi paura
che me ne andassi di nuovo, hai sempre paura che un giorno io me ne vada! E lo
capisco, è colpa mia, ma tu non puoi continuare a non fidarti di me!» gridò
lei, ormai sull’orlo delle lacrime.
«Ziva…»
«No!
Non capisci? Come facciamo a stare insieme, con questi presupposti? Stiamo
insieme da quasi tre anni e tu ancora hai gli stessi dubbi! Non so più cosa
fare.»
«Non
devi fare niente. Hai ragione, il pensiero che tu vada via mi turba
profondamente, ma è normale in fondo!»
«Non
è normale, Tony! Reputi normale non avermi detto che Ari ha ordinato l’attacco
che ha ucciso mia sorella? Ho dovuto usare tutte le mie risorse per capire che
diavolo mi nascondessi!»
«Perché
continui a non credermi? Te l’avrei detto!»
«Forse.»
concesse lei sospirando. «Ma il fatto che non l’abbia detto subito ha portato
alla luce un grave problema.»
«Ora
stai esagerando.»
«Non
hai fiducia in me. Questo è gravissimo, dal mio punto di vista.»
«Maledizione,
Ziva! Ho fiducia in te, ma ho paura! Puoi biasimarmi per questo? Sette anni fa
mi hai distrutto!» le gridò, pentendosene due secondi dopo. Non le aveva mai
detto quanto l’avesse profondamente ferito, perché sapeva che Ziva aveva fatto
quella scelta per ritrovare se stessa.
«E
tu ancora non me l’hai perdonato, vero?» domandò lei, con amarezza.
«Mi
dispiace… non volevo dire quello che ho detto. Ne abbiamo
parlato a lungo…»
«Ma
è evidente, Tony. A parole dici una cosa e poi ne dimostri un’altra.»
«Non
è vero.» le disse lui, posandole una mano sulla guancia. «Non c’era niente da
perdonare, ho sempre rispettato la tua scelta.»
«Non
sembra.» rispose Ziva, scostandosi e girandosi turbata. «Non so se possiamo
continuare così. Non ti fidi di me e oggi ho avuto la prova che neanche io
riesco a fidarmi di te. Dici queste cose e io non ci credo.» concluse lei,
sentendo le lacrime pungerle gli occhi.
Prese
il giaccone e si avviò decisa verso la porta.
«Dove
vai?» le chiese Tony, con uno sguardo vicino alla disperazione, sentendo
rivivere tutto il dolore che aveva provato quel lontano giorno, nell’aeroporto
di Israele.
«Devo
stare da sola per un po’.» disse, chiudendosi la porta alle spalle e iniziando
a piangere quasi istantaneamente.
Tony
restò bloccato, paralizzato dagli eventi e incredulo di come la situazione
fosse degenerata. Incapace di restare in casa, prese al volo le chiavi della
macchina e iniziò a girare la città, nel silenzio notturno che avvolgeva D.C.
Dopo
alcune ore, confuso da ciò che dovesse fare, come sempre, quando aveva avuto
bisogno di un consiglio serio, una barca di legno si formò nella sua mente e la
strada da seguire fu per Tony assolutamente chiara.
La
porta era aperta, ovviamente, e la
discesa nel seminterrato di Gibbs fu senza fretta; Tony si era fermato a
domandarsi se il suo capo fosse già nel mondo dei sogni – erano pur sempre le 2
del mattino -, ma un ritmico martellare, proveniente da giù, dissipò tutti i
suoi dubbi.
A
Gibbs bastò solamente un’occhiata al suo Agente anziano per alzarsi dalla
sedia, dirigersi nella scrivania dietro per prendere due bicchieri, riempirli
di bourbon e consegnarne uno nelle mani di Tony.
Lui
se lo rigirò tra le mani, osservando il liquido giallo che batteva nelle pareti
di vetro del bicchiere e avvertendo una fitta di disagio farsi strada dentro di
lui.
«Pensa
che non mi fidi di lei.»
«È
vero?»
Il
silenzio che seguì fu sufficiente.
«DiNozzo.
Stai sbagliando prospettiva.»
«Che
intendi?»
«La
vita può toglierti la felicità come e quando vuole, non essere tu stesso a
togliertela.»
Tony
restò sconcertato da quelle parole, pregne di un antico dolore e realizzò che
avesse pienamente ragione.
Era
vero che aveva il timore che Ziva se ne potesse andare, diamine, ci aveva convissuto per anni con quella paura, ma la vita
e il suo lavoro stesso non gli offrivano nessuna garanzia che sarebbe arrivato
il giorno successivo.
«Hai
ragione capo!» esclamò Tony, colto da illuminazione.
«Ora
va’ a casa, domani non accetto ritardi.»
Ma
l’Agente anziano non lo udì neanche, già al limite delle scale che
congiungevano la cantina al piano superiore.
Voleva
soltanto correre da Ziva e baciarla e dirle che l’amava, che aveva capito il
suo sbaglio e che tutto aveva senso ora.
Tornato
a casa, ovviamente, non la trovò ma non si perse d’animo e si sedette sul
divano, certo che sarebbe tornata.
Per
prendere i suoi vestiti, se non altro.
All’alba
le sue certezze iniziarono a vacillare, ma doveva avere fiducia in Ziva. Non
avrebbe chiuso tutto ciò che avevano in quel modo.
Quando
si fecero le 9 del mattino, capì che avrebbe potuto tranquillamente andare a
lavoro e che Ziva aveva bisogno di altro tempo, per cui si fece una doccia e
poi si diresse verso la base navale. La fortuna gli arrise, dato che fu una
giornata abbastanza veloce e che gli tenne impegnata la mente tra una chiamata
che lei gli rifiutava e i messaggi che mandava ad intervalli irregolari e che
non ricevevano mai risposta.
Mcgee
ed Ellie, grazie a non si sa quale miracolo, non
indagarono pur notando l’evidente malcontento di Tony e lo lasciarono andare,
la sera, senza avergli fatto alcun tipo di interrogatorio.
Nel
momento in cui mise piede nell’appartamento, Tony aveva subito capito che Ziva
non ci era neanche passata e si sedette amareggiato sul divano.
Era
la prima volta che litigavamo in quel modo, accusandosi l’un altro cose che
probabilmente, in un momento normale, non si sarebbero mai detti.
Tony,
del resto, le aveva sempre nascosto quanto avesse realmente sofferto dal
momento in cui aveva preso quell’aereo a Tel Aviv, perché non voleva che lei si
sentisse in colpa e, in fondo, sapeva davvero che era stato quel periodo di
lontananza a farla diventare sua, alla fine.
Se
non avesse fatto quel percorso di redenzione interiore, non sarebbe mai tornata
da lui, pronta finalmente per ricominciare a vivere.
Perso
nei pensieri, si addormentò sul divano, mentre sulla TV scorreva un vecchio
film in bianco e nero, di quelli che piacevano a Ziva.
Nel
primo albeggiare del nuovo giorno, un rumore insolito scosse Tony dal suo sonno
e lo portò ad alzarsi di scatto, sorpreso da dove fosse. Ci mise qualche
secondo a riorganizzare le informazioni e poi guardò verso la finestra dove la
luce stava iniziando a sfumarsi nel cielo violetto.
Guardando
l’orizzonte, un’ispirazione lo colse e uscì rapidamente dall’appartamento,
percorrendo velocemente le scale e arrivando sul tetto dell’edificio,
chiedendosi come avesse potuto non pensarci prima.
Come
aveva sospettato, la vide lì, appoggiata al bordo della ringhiera, con lo
sguardo fisso davanti a sé.
Sapeva
quanto entrambi amassero quel luogo, da dove si vedeva tutta la città e dove
spesso l’aveva sorpresa mentre guardava l’orizzonte; probabilmente doveva
essere lì da appena pochi minuti.
Le
si avvicinò, sperando che non fosse ancora tremendamente arrabbiata, ma quello
che vide nel suo sguardo, quando lo guardò, fu solo stanchezza e tristezza.
Gli
occhi avevano ancora i segni di un pianto recente e Tony si pentì di non aver
capito prima.
«Ziva…»
«Mi
dispiace, ho esagerato. Non volevo dirti quelle cose, ma mi sono sentita
nuovamente tradita, anche se comprendo le tue motivazioni.» iniziò lei, subito,
pentita di come avesse condotto la discussione.
«Ziva… ascolta…»
«Tu
hai ancora paura che, un giorno, faccia i bagagli e scompaia dalla tua vita. E
la colpa è solo mia, non tua. Posso perdonarti che tu abbia esitato nel dirmi
di Tali, ma non posso passare sopra al fatto che non ti fidi abbastanza del mio
amore.»
Vedendolo
in silenzio, prese coraggio e tentò in tutti i modi di convincerlo.
«Non
me ne andrò Tony, okay? Fidati di me.
Quello che ho fatto in passato, mi ha insegnato proprio questo. Tu sei il posto dove voglio stare,
sicuramente litigheremo ancora e chissà cosa ci succederà, ma non me andrò
via.»
«Lo
so. Mi son sempre fidato del tuo amore, avevo paura del resto.»
La
sua voce vibrava di una così ferma certezza che Ziva si voltò stupita.
«Puoi
credermi, Ziva. Ho capito il mio sbaglio, è stupido avere paura che tu mi lasci
per un motivo preciso, quando la vita è imprevedibile. Dobbiamo goderci ogni
singolo giorno.»
Tony
sentì l’impellente desiderio di baciarla e, con un braccio, la tirò a sé,
mettendo il capo nei suoi capelli.
«E
cosa ti ha fatto giungere a queste conclusioni?»
«Un
amico.»
Restarono
abbracciati, a guardare l’alba che saliva, parlando senza remore e muri. Ziva
disse tutto ciò che la notizia su Ari le aveva provocato, rammaricandosi che
dovesse incolpare lui di quel dolore che si sarebbe sempre portata dentro e
Tony l’aveva ascoltata con pazienza e amore, senza mai lasciarle la mano.
Come sempre
avrebbe voluto fare.
«Mi
sento davvero un cretino.»
«Lo
sei.» confermò lei, ridendo.
«Ho
davvero pensato che sarebbe stato meglio lasciarci, Tony. Non volevo
costringerti a un rapporto senza fiducia.»
«Sono
stato egoista Ziva, come spesso sarò. Ho anteposto la paura al tuo diritto di
sapere la verità, perché davvero a volte mi sembra tutto così bello da essere
un sogno.»
Restarono
abbracciati per un tempo indefinito, sciogliendo tutti i dubbi che si portavano
dentro, nell’aria fresca e umida di quel primo mattino.
«Perché
non siamo sposati?» chiese poi, a bruciapelo e stupendosi lui stesso.
Ziva
rise, stringendosi ancora di più a lui: «Perché non me l’hai mai chiesto.»
«Vuoi
sposarmi, Ziva?» le sussurrò lui, nell’orecchio.
Lei
sentì il cuore perderle un battito e si chiese come diavolo facesse Tony
DiNozzo a provocarle quelle reazioni, arrossì e sentì la risposta sbocciare
chiara dentro di sé.
«Perché
ora?»
«Beh… so che non è molto romantico dopo il litigio che
abbiamo avuto, ma in fondo non credo ci sia un momento migliore, Ziva. È la
dimostrazione che, nonostante tutto, noi
ci saremo.»
«Allora,
penso che si potrebbe fare.» disse lei, con tono di sufficienza.
«Ma
che risposta è?»
«Oh,
Tony DiNozzo, vuoi sentirti dire che sì,
ti sposerei ora e altri mille milioni di volte?» gli chiese, avvolgendogli le
braccia al collo.
«Beh!
Non sarebbe male.» confermò lui, attirandola a sé.
«Secondo
me una è più che sufficiente, pensa sopportarti per mille matrimoni!»
«Potrei
offendermi.»
«Potresti.»
disse lei con un sorriso malizioso. «Oppure potresti scendere giù con me e
inaugurare il nostro nuovo status di fidanzati.»
«Ziva
David!»
«Cosa?»
Tony
la osservò, illuminata dalla tenue luce dell’alba e capì che quello sarebbe stato uno dei momenti
che avrebbe ricordato per tutta la vita, più di quando l’aveva conosciuta, più
di quando l’aveva rivista dopo averla aspettata per tanto tempo, perché era in
quel momento che aveva realmente capito.
Più
forte delle paure e più del dolore, Ziva era la speranza.
Le
prese il volto tra le mani, come aveva fatto a Tel Aviv e la baciò
delicatamente, sorridendo tra le sue labbra.
«Gibbs
mi ammazza se arrivo in ritardo.»
«E
se ci parlassi io?»
«Ti
ricordi com’è Gibbs, vero? Anche se hai smesso di lavorare per lui, le
abitudini non sono cambiate.»
«Hai
ragione!» disse lei, dandogli una lieve pacca sul sedere. «Quindi faremmo
meglio a non perdere tempo, no?»
«Beh,
contando che ti sei appena condannata a spendere tutto il tuo tempo con me…»
Ziva
rise e scese le scale, seguita da Tony che all’ultimo gradino la prese dai
fianchi e se la caricò in spalla, tra le rise e le proteste dell’israeliana.
«Mettimi
giù!»
La
depositò sul letto e spense tutte le sue proteste, trasformandole in sospiri
ben più piacevoli, di baci al sapore di quello che erano sempre stati Ziva e
Tony: una miscela iniziata per caso, riscaldata da battute e provocazioni e
cresciuta tra un riso e uno scherzo, divisi da una lontananza inaspettata e,
infine, scoppiata nel più scontato e ambito degli epiloghi: l’amore.
Fine!
Salve,
fandom di NCIS, era da un bel po’ che non scrivevo
sulla mia coppia preferita.
L’idea
della fic nasce dalla richiesta di una mia amica, che
voleva che descrivessi Tony e Ziva in un tosto e forte litigio e questo è il
risultato (ovviamente tutta la parte su Ari, Moab e
Tali è assolutamente inventata XD).
Non
avevo previsto venisse così lunga,ma sono soddisfatta del risultato.
La
storia si svolge più avanti negli anni, Ziva è tornata e sta con Tony da tre
anni (che, in teoria, è quello che mi aspetto essere l’epilogo di questa serie
TV. Fate tornare Ziva, vi prego.)
Che
altro dire, ah sì, i versi iniziali vengono dalla canzone Inaspettata di Biagio Antonacci, ma non il titolo.
Spero
vi sia piaciuta, spero vogliate lasciarmi un commentino **
Un
bacione,
EclipseOfHeart