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Autore: voiceOFsoul    29/09/2015    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ritardo. Una costante nella mia vita. Fin da quando mia madre smise di accompagnarmi ovunque dovessi andare, per me è sempre stata una corsa alle lancette dell'orologio. E oggi non mi sono smentita. Per quanto sia grave arrivare tardi ad un esame universitario o il primo giorno di lavoro, credo che niente batta essere in ritardo già al colloquio per il nuovo posto di lavoro. Specialmente quando si ha alle spalle un curriculum come il mio.
Laureata con il massimo dei voti ma con la mia reputazione è stata segnata dalla taglia di reggiseno. Perché se hai una quinta coppa D e frequenti una facoltà composta per il 96% da uomini e per il 24% da racchie, il tuo 30 e lode non può essere frutto di notti insonni a sbattere la testa sui libri. Deve essere merito di un orale con il professore giusto. E quando poi trovi il tuo bel posto di lavoro e lotti con unghie e denti per dimostrare chi sei, ma le promozioni arrivano solo al cambio di direzione quando a prendere le decisioni è un giovane attraente, di certo non è perché ha la mente aperta e comprende il tuo potenziale ma sempre per il famoso orale! Poco conta se a causa di queste illazioni diventate ormai verità per il mondo intero, la moglie del capo lo costringa a trovare una scusa per licenziarti se non vuole passar la vita pagando alimenti da capogiro. Poco conta se ti ritrovi a ventisei anni a dover ricominciare da zero a causa del tuo maledetto doppio cromosoma X e della tua coppa D.
A causa di tutto ciò, ho indossato la maglia meno scollata ed attillata che sono riuscita a trovare, ho truccato il viso il minimo per non sembrare una zombie saltata fuori da un B-movie e adesso sono bloccata nel traffico sbraitando come una forsennata. Cerco disperatamente un piccolo spiraglio di salvezza che possa farmi recuperare il ritardo accumulato, ma anche a semaforo verde la fila interminabile di auto scorre di un paio di metri al massimo. Non voglio e non posso permettermi di arrivare in ritardo al colloquio, rischiando di essere ancora una volta additata come quella che prenderà il lavoro per i servizietti erotici al capo. Non stavolta.

Il cellulare vibra. Do un'occhiata sfuggente al nome che lampeggia sul display. Diego. Rispondo, infilando l'auricolare all'orecchio destro.
«Pronto, Diego dimmi tutto.»
«Ehi Ram, com'è la situazione? Sei già diventata top manager della super azienda?»
«Diego, ti prego, non scherzare. Sono ancora imbottigliata nel traffico e sto sudando come in una sauna finlandese perciò puzzo da far schifo. In più ti ho già detto che i tempi da top manager sono finiti per me. Voglio solo una piccola scrivania per poter lavorare e ricominciare a pagare la mia parte d'affitto. Una dove non mi si veda neanche.»
«Cazzate! Prima di tutto sai che per l'affitto non devi preoccuparti. Per quanto riguarda il lavoro, invece ...beh, tu sei Ramona Centini. Hai il management nel sangue. Non puoi rimanere nascosta in un angolo buio solo per la moglie del tuo ex capo ha dato i numeri perché non sopportava che il suo maritino d'oro stesse tutti i giorni vicino ad una bella ragazza del tuo calibro e della tua intelligenza. Non appena capiranno quali sono realmente le tue capacità, non ti permetteranno di farlo. Ovviamente questo è valido solo se il tuo futuro capo sarà una persona con un minimo di intelletto e qualche palla in più di quel testa di cazzo che ti ha licenziato.»
«Marco è un bravo direttore. La SoftWaiting è cresciuta molto grazie a lui.»
«Non difenderlo, Ram. Ti ha licenziato perché sua moglie è pazza. Ha mandato via il suo miglior dipendente per i capricci di una donna in crisi perché si avvicina agli 'anta.»
«Questo non toglie che abbia fatto molte altre scelte giuste.»
Diego resta in silenzio. Scatta di nuovo il rosso e devo fermarmi un'altra volta.
«Ci sei ancora?»
«Ram, tu sei troppo buona. Te lo ripeto da quanto? Sei anni? Sette? »
«Nove. Quattordici se iniziamo a contare dal primo anno delle superiori.»
«Quattordici anni, porca trota.» Mi scappa una risolino. Quella sua imprecazione tanto pulita mi fa sempre ridere. «Ti amo quando ridi così.»
Una fitta mi si dirama dall'intestino e mi sale fino nel petto.
«Diego, credevo che avessimo chiarito che...»
«Ehi, ehi! Frena!» Lo sento ridere forte, quasi senza potersi fermare. «Non ti sto chiedendo ancora di sposarmi. Sei stata parecchio chiara nel tuo 'oddio, no, no-no, no-no-no-no' alla Scherbatsky. Ma non puoi impedirmi di amare la tua risata. Come amico, ovviamente.»

Scatta il verde. Mi rimetto in movimento, mentre ancora le mie interiora non si decidono a darsi una calmata. Sentirlo sdrammatizzare in questo modo, con quella risata tanto forzata, con quella nota tanto malinconica nella voce, fa quasi più male di vederlo riporre la scatolina di velluto blu di nuovo in tasca.
«Come va il traffico?» Come sempre, è lui a rompere il silenzio.
«Sempre trafficoso. Ho gli ultimi otto minuti prima di essere ufficialmente una disoccupata che non ha più un colloquio presso una media azienda informatica che ha bisogno di una tappabuchi.»
«Io, invece, ho gli ultimi dodici secondi prima di essere un uomo ucciso dal responsabile di reparto nel pieno esercizio del proprio diritto alla pausa.»
Sento in lontananza una voce che gli dice di smettere di dire cazzate e tornare a lavoro.
«Ti prego, Diego, chiudi il telefono e torna a lavorare. In casa ne basta una di disoccupata.»
«Buon lavoro. Ci vediamo per cena.» Stacco la chiamata.
Appoggio telefono ed auricolare sul sedile passeggero accanto a me. L'auto va quasi da sola, all'assurda velocità di crociera di 15 chilometri orari, finché alla mia destra intravedo la salvezza: una via che pare completamente svuotata dal traffico. Mi porterà a fare un po' di strada in più ma, valutando il bonus-malus della situazione, può farmi comodo per recuperare un po' di ritardo. Decido che va bene così ed aziono la freccia. Inizio a spostarmi piano ma in modo deciso, avvicinandomi al marciapiede per facilitare l'uscita dalla strada principale.

Boom!
Cazzo, posso dimenticarmi il colloquio.

Tolgo la cintura di sicurezza, aziono le frecce d'emergenza e scendo dall'auto come un uragano.
«Dove hai imparato a guidare? A Cartoonia? Non sai che non si supera a destra? E, in tutti i casi, non hai visto la freccia? Mancava solo l'addormentato di turno oggi. Che giornata di merda!»
Il ciclista che mi è venuto addosso è ancora rantolante sul selciato. Mentre chiudo lo sportello dell'auto con forza, mi sento un po' in colpa per aver iniziato a gridare senza prima accertarmi delle sue condizioni. E se avesse sbattuto la testa troppo forte e si fosse spezzato l'osso del collo? Scrollo via questo assurdo quanto irreale pensiero.
La sua bicicletta è a terra insieme a lui che sta iniziando ad alzarsi. Appena mi accorgo che sembra tutto intero, il senso di colpa viene rimpiazzato immediatamente dal suo predecessore: la rabbia. Attendo pazientemente alle sue spalle che si rialzi del tutto. Si spolvera con le mani i vestiti e mi soffermo a notare il suo cappotto scuro, la sciarpa annodata al collo e i pantaloni dal taglio casual non troppo attillati che però mettono in risalto un fondoschiena che ha tutta l'aria di essere in forma smagliante.
Cacchio, Ram! Torna alla realtà! La verità è che ho subito pensato a uno dei soliti ciclisti che si credono al Tour de France e, dimentichi di essere in centro città, si comportano da padroni assoluti della carreggiata. Invece mi trovo davanti ad uno dei pochi cittadini che decide di spostarsi in bicicletta. Guarda te che ho investito un eroe dell'ambiente! No no, non ci siamo. Tu non hai investito lui, è stato lui a venirti contro mentre facevi una svolta regolare e segnalata con largo anticipo. Giusto, Ram? E ti sta anche facendo accumulare ritardo per il colloquio.
Il ciclista finalmente si volta e posso chiaramente distinguere il rumore della mia difesa che va in frantumi. Mi trovo davanti al più bel sorriso che abbia mai visto. Sì, sorride, e i grandi occhi scuri gli si arricciano spinti dalla curvature delle guance coperte da una lieve barba. Ha delle labbra non troppo sottili e chiare che in questo momento lasciano libera visione di una stupenda dentatura da spot televisivo.
«Ti prego di perdonarmi.» Dice cogliendomi di sorpresa e riportandomi alla realtà.
Devo avere una faccia da ebete più del solito.
«Non so dove avevo la testa! Ti sei spaventata?»
Continuo a guardarlo con la bocca leggermente aperta senza riuscire a rispondere.
«Ehi ...tutto bene?» Smette di sorridere e si china leggermente verso di me per accertarsi che non sia in catalessi.
«No.» Mi sfugge dalle labbra come un sussurro.
«No? Ti sei fatta male?» Aggrotta la fronte e si china ancora di più.
«No!» Stavolta esce più come un urlo. «Cioè, sì per dire no. No che non mi sono fatta male. Si che sto bene. No che non mi sono spaventata.» Parlo ad una velocità di circa venti parole al secondo, quasi non prendo fiato. Ma soprattutto non ho la più pallida idea di cosa sto dicendo. Ram, cosa cazzo stai combinando?
«Wow!» Ride di nuovo. «Non avrai sbattuto la testa, vero?»
«Suppongo di no.» Istintivamente porto la mano destra alla tempia e mi unisco alla sua risata. «Credo di essere così per natura.»
«Un po' di pazzia non fa male.»
«Suppongo di no.» Questo sconosciuto mi ha appena dato della pazza? E continua a sorridere!
«Tu? Ti sei fatto male cadendo?»
«No, non molto.» Si guarda le mani che sono ancora impolverate e su cui si vede qualche graffio. «Niente che non si possa risolvere con un po' d'acqua e sapone. Dovrò sistemare la forcella e la ruota anteriore, forse anche l'ammortizzatore, ma nulla di irrecuperabile. Credo che quella che ci sia andata sotto sia stata la tua macchina.»
La macchina! Porca p... Dimentico lui e il suo sorriso, lo sposto poco delicatamente con la mano e ammiro la portiera destra della mia auto. Una bella serie di graffi scuri campeggia da metà sportello fino al faro, accanto al quale è scavata una stupenda riproduzione a dimensioni reali di ruota da bicicletta. Mi sento sbiancare.
«Povera Charlie!»
«Charlie? Sarebbe la macchina?»
Stavolta la sua risata, complice il dargli le spalle che mi impedisce di cedere al fascino del suo sorriso perfetto, mi irrita parecchio.
«Hai problemi al riguardo?» Mi volto, cercando di incenerirlo con lo sguardo.
«Assolutamente no.» Non smette di ridere
«Non trovo nulla da ridere in questo.» Indico il danno che ad occhio e croce mi costerà almeno 600€ che al momento non ho ed il peso di questi otto mesi da disoccupata vivendo sulle spalle di Diego mi spinge un nodo in gola.

Lui smette di ridere e tossicchia imbarazzato.
«Beh, sono stato io a venirti addosso.» Inizia ad accarezzarsi i capelli. «Credo che, anche se avresti potuto prestare più attenzione allo specchietto laterale...»
La goccia che fa traboccare il vaso. Lo interrompo come una furia.
«Senti, belloccio, ho capito che gioco stai facendo e puoi anche smetterla. Con me tutti i sorrisini e il faccino gentile non attaccano.» Cazzate, c'ero cascata in pieno, ma questo lui non lo sa, forse. «Numero uno, avevo la freccia inserita da un bel po'. Numero due, andavo talmente piano che neanche mia nonna sarebbe potuta essere più prudente. Numero tre, stavi sorpassando sulla destra. E sai che c'è? Numero quattro, questa non è una pista ciclabile quindi tu qui non ci dovresti neanche stare.» Sbuffo come un toro. «E sei anche senza casco!» Aggiungo in tono ancora più nevrotico.
Il suo sorriso sparisce del tutto. Stringe le labbra e vedo l'immensa profondità dei suoi occhi neri che mi fissano.
«Non so che idea ti sia fatta, ma non è mia intenzione tirarmi indietro rispetto ad una mia responsabilità.» Lo dice con una tale sicurezza che mi fa quasi sentire in colpa. Esce dalla tasca un biglietto da visita e me lo consegna. «Ora devo proprio scappare. Chiamami quando ti viene più comodo per prendere accordi su quando portare la tua auto dal mio carrozziere di fiducia. Meglio se ad orario di pranzo.»
Conservo il bigliettino in tasca, senza guardarlo, immobilizzata a fissare i suoi occhi.
«Sì ...sì, credo sia ...meglio.» Balbetto.
Si china a rialzare la bici azzurra da terra, la parte anteriore è completamente distrutta. Si spolvera ancora una volta la mano sul cappotto e me la porge.
«Ci sentiamo presto allora.»
Un po' intimidita gli porgo la mia. La afferra con una presa salda ma delicata, senza farmi male. Distende un po' le labbra nulla di paragonabile al primo sorriso che gli ho visto in viso.
«Ti auguro una buona giornata.» Mi lascia la mano. «E sta attenta.»
Si volta verso la strada e parte spingendo con difficoltà la bicicletta al suo fianco. Resto immobile ad osservarlo andare con il naso per aria. Non mi stupisce affatto che mi abbia colpito. Lo guardo scomparire dentro una traversa qualche metro più in là. Faccio un respiro profondo, dò un'ultima occhiata contristata alla portiera danneggiata e risalgo in auto. Mi abbandono sul sedile con un altro profondo respiro.

Il telefono vibra di nuovo, appena dopo aver girato la chiave d'accensione. Aggrotto le sopracciglia vedendo sul display un numero non memorizzato in rubrica. Infilo nuovamente l'auricolare e rispondo mentre mi immetto di nuovo in carreggiata.
«Pronto?»
«Signorina Centini? Sono Virginia della LambdaDev. Chiamo in merito al suo colloquio fissato per oggi.»

   
 
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