Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: _Pan_    29/09/2015    4 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 28 – Fuga
(Natsume)

«Siamo perduti.» era un eufemismo.
Per riassumere: eravamo chiusi dentro una stanza che sembrava impossibile da aprire dall'interno, l'ossigeno non sarebbe durato in eterno, il fuoco ne stava consumando una discreta quantità per permetterci di vedere qualcosa – senza contare le forze che mi stava richiedendo –, in più avevamo una nostra collega in punto di morte a causa dell'Alice di Persona e non c'era uno straccio di segnale per comunicare con l'esterno.
Avevamo anche perso Yui, e io non avevo la minima idea di cosa fare per risollevare la situazione. Mitsuki aveva distolto lo sguardo dallo schermo del mio cellulare per fissarlo di nuovo sulla ragazza tra di noi, che a malapena respirava. Stavamo entrambi cercando di mantenere la calma, ma non era per niente facile tentare di pensare lucidamente in una situazione simile.
Mi era capitato, qualche volta, di vedere il potere di Persona in azione, ma mai per una tortura così lenta e dolorosa. Da quando avevo dieci anni ho assistito a delle scene che non voglio ricordare, ma nessuna mi impediva di continuare a guardare come questa.
«Ci dev'essere qualcosa che possiamo fare!» borbottò la mia caposquadra, con un sospiro frustrato che mi sono scoperto a condividere. «Per forza. Forse Yui ci troverà.»
«Onestamente,» dissi, piano, per essere sicuro che non potessero sentirci da fuori, nel caso qualcuno fosse tornato a controllare. «spero che abbia avuto il buonsenso di andarsene.»
C'era una parte di me che sapeva che non era quello il caso, e non solo perché eravamo parenti: noi eravamo una squadra, e nessuno dei membri, per quanto strani potessero essere, si sarebbe mai sognato di abbandonare un compagno nei guai.
Mi beccai un'occhiataccia, comunque, anche solo per averlo ipotizzato, ma non commentò, come se avesse saputo che già quello era abbastanza.
«Che ne pensi di riprovare con la porta?» mi suggerì, mentre mi faceva cenno di seguirla di nuovo verso l'altra parte della stanza.
Ora che era illuminata, era chiaro che era vuota, se non per qualche traccia di fornitura in legno, ed ecco spiegato l'odore, perciò davvero quella era l'unica via di fuga che possedevamo. Come già sapevamo, tirarla fu inutile: era bloccata, ma ci provammo lo stesso. Il fatto che il tempo stringesse di certo non aiutava a pensare con calma, ma certo era che se avevamo una speranza di uscire era proprio lì.
Un punto debole, una spaccatura nella porta. In fondo quella struttura era vecchia e mal tenuta.
Studiammo la porta per qualche minuto, prima di renderci conto che non c'era niente del genere. Mitsuki, frustrata, le tirò un calcio, finendo per farsi male da sola, e la porta emise un tonfo sordo e un rumore che somigliava a un fischio, non appena fu colpita dal suo piede che temevo proprio ci avrebbe fatti scoprire prima di subito. Rimanemmo in ascolto del silenzio che ne seguì per un bel po', paralizzati, ma non successe nulla.
«Non guardarmi così.» mi avvisò. «Lo so che non è stata una grande idea.»
Il che mi portò a pensare che tutta questa situazione era stata portata da una non tanto grande idea. Chissà come, io e quei quattro squilibrati, riuscivamo sempre a metterci nei guai – e che guai – per cose che non riguardavano quello che si supponeva fosse il nostro lavoro.
E finivamo sempre per rischiare la vita.
«Ahi...» borbottò di nuovo la mia caposquadra, non sapevo se più arrabbiata o più dolorante.
Decisi di non commentare il fatto che ti aspetti che il tuo piede ti faccia male dopo aver dato un calcio a, praticamente, un muro di metallo, anche se lei sosteneva che il sarcasmo migliorasse l'atmosfera e altro genere di amenità. Fare spirito era l'ultima cosa che ci serviva.
«Stupidi cardini.» continuò lei, spingendo la porta. «E dai!»
«Aspetta.» la bloccai, e la scansai con la mano libera, l'altra ancora impegnata a fare luce con le fiamme. Avevo appena avuto un'idea. «Se non possiamo aprire la porta dalla maniglia, lo faremo dall'altra parte.»
Lei incrociò le braccia al petto, dubbiosa e scettica. «E come pensi di farlo?»
Passai una mano sui cardini per assicurarmi che quel piano messo in piedi in meno di cinque secondi potesse avere anche solo la speranza di andare in porto.
«Li fondo.» spiegai, e mi rimproverai di non averci pensato prima: ho passato così tanto tempo a pensare agli effetti negativi del mio Alice che faccio sempre fatica a considerarlo qualcosa di utile.
Mi guadagnai una pacca sulla spalla di incoraggiamento. «Allora è vero che sei un genio!» mi disse lei, ma non sembrava soddisfatta come se il piano l'avesse messo in piedi tutto da sola: mi ha preso per un braccio prima che potessi avvicinarmi alla nostra unica speranza per la fuga. «Yuka mi ha detto in che condizioni sei, non è il momento buono per uccidersi.»
Sospirai. «Vedila così.» intendevo tagliare corto. «Se non lo faccio, restiamo qui tutti e tre. Se lo faccio, c'è una minima possibilità che usciamo di qui.»
O almeno due di noi.
Lei continuò a tenermi per il braccio, lontano abbastanza perché non potessi fare nulla.
«Molla la presa.» suonò quasi come un ordine, a cui, ovviamente, lei non obbedì. «E fammi una promessa: se perdo i sensi, lasciami indietro.»
«Col cavolo, ragazzino!» fu subito la sua obiezione, ma la scansai, riprendendomi il mio braccio e facendo quello che andava fatto: perdere tempo in inutili chiacchiere avrebbe solo consumato ossigeno fin troppo utile.
La stanza piombò nel buio appena avvicinai le mani agli unici due cardini su cui ruotava la porta, l'unica cosa che si vide, in mezzo all'oscurità, fu il metallo rosso incandescente, non appena si fu riscaldato abbastanza.
«Natsume, per favore.» mi pregò Mitsuki, e mi sembrò davvero dispiaciuta per me. «Non serve a niente farsi del male.»
Odiai che avesse ragione.
Il bello era che non potevamo fare altro: in fondo alla stanza c'era una ragazza che stava morendo e noi saremmo stati i prossimi, se non ci fossimo dati una mossa in qualche modo. Il mio Alice mi stava consumando, era una cosa che succedeva da anni e prima o poi avrebbe avuto la meglio su di me.
Avrei dovuto essere spaventato a morte, invece riuscivo solo a pensare a una cosa: «Ci sono delle persone che devo proteggere.»
Persone che non meritavano di condurre la vita che stavano facendo in quella scuola, e a cui mancava poco per essere sull'orlo del baratro. Ruka aveva un peso non indifferente sulle spalle, uno che sa tutto e non può fare niente, ma Mikan... era sempre stata quella che vedeva il lato buono di tutto, e tutti quanti, Imai in cima alla lista, abbiamo sempre cercato di proteggerla dal lato oscuro dell'Accademia, e ora c'è finita dentro, senza essere minimamente preparata per questo. Mi domando quanto ancora potrà resistere tra gente che non è affatto come lei.
A volte non posso fare a meno di pensare che tutto questo sia colpa mia.
«Se è così, devi essere vivo per farlo.» la voce di Mitsuki mi tirò fuori dai miei pensieri, e la sentì chiaramente scuotere la testa, ma si allontanò da me, forse per andare a prendere la nostra collega.
E fu una buona idea, perché non appena avessi finito con quella porta, avremmo dovuto fare veramente alla svelta.
Non potei, appena le notai entrambe al mio fianco, fare a meno di pensare che c'era qualcosa di strano, in tutta quella storia: prendere una ragazza entrata da poco nell'azienda concorrente non è esattamente la strategia che Persona amava usare. A lui piaceva prendere pezzi grossi, giusto per sottolineare il fatto che nessuno è al sicuro, che per quanto a chi si oppone al Preside piaccia pensare di avere una possibilità, l'Accademia può arrivare dovunque.
Non riuscivo a trovare un senso nel fatto che Yuuko fosse stata scelta per creare problemi all'Organizzazione Z. Era praticamente l'ultima arrivata, una ragazza che non era in grado nemmeno di rispondere al telefono, perché mai avrebbe dovuto sapere qualcosa che avrebbe finalmente permesso al Preside di togliersi dai piedi quelli che continuavano a mettergli i bastoni tra le ruote?
Doveva essere qualcos'altro, e dal momento che l'unica cosa che interessava a quel piccolo, infido essere erano gli Alice, era fuori di dubbio che considerasse quello di Yuuko di una particolare utilità, anche se non riuscivo a capire in che modo potesse giovare al Preside qualcuno che sa cambiare aspetto: mi pareva che raggiungesse i suoi scopi molto bene anche senza.
«Ho quasi finito.» mormorai, dopo aver aggiunto un altro po' di calore, per fare più in fretta.
Avevo di certo quelle curiosità, ma non intendevo trattenermi tanto a lungo per scoprirle.
«Stai bene?» mi domandò Mitsuki, una vena di preoccupazione che attraversava le sue parole.
E non mi fidavo della mia voce, ormai, abbastanza da suonare convincente, così mi limitai ad annuire, tentando di ignorare il sudore freddo che mi scendeva dalla fronte. Eppure ero incapace di avere paura per me stesso, inspiegabilmente, mi sentivo anzi profondamente convinto che non sarebbe successo nulla, quando invece sapevo, razionalmente, che il mio Alice mi stava accorciando la vita ogni minuto che passava, sempre di più.
Quando la porta coprì lo spiraglio che la separava dal pavimento, non ci fu più tempo per pensare a nient'altro che spostarla e correre, e sperai che Mitsuki si ricordasse la strada che avevamo fatto bene quanto me: ma a quanto pareva era così, perché mentre mi porgeva il braccio libero di Yuuko, ci stavamo già dirigendo il più velocemente possibile verso le scale.
La complicazione di non toccarla direttamente non sembrava essere abbastanza: non appena iniziammo a scendere sentimmo delle voci, le stesse di quei due che ci avevano chiuso dentro, sensibilmente più agitati di quanto fossero stati prima. Mitsuki mi scoccò un'occhiata agitata e cercammo di fare meno rumore, di darci una mossa, ma la nostra collega era completamente svenuta, e non potevamo andare poi così veloci.
«Eccoli!» un colpo di pistola ci sfiorò sopra le teste, costringendoci a inginocchiarci sugli scalini, a un passo dal cadere e ritrovarci in fondo con tutte le ossa rotte.
Quando un altro colpo riuscì a sfiorare la spalla di Mitsuki facendola lamentare per il dolore, mi resi conto che non avevano – o non ce l'avevano più – l'ordine di lasciarci in vita. Piuttosto che farci portare fuori di lì quella ragazza, ci avrebbero fatto fuori – avrebbero fatto fuori anche me che ero il loro informatore.
E mentre ci accingevamo a continuare la nostra folle discesa, coperti dalla grata di ferro che faceva da corrimano a quella scala, non potei fare a meno di chiedermi ancora come mai Yuuko, proprio perché era lei e non perché era una dei nostri, fosse così importante per qualche motivo dal non rischiare di lasciarci andare via con lei.
«Avanti, idioti!» fece un altro, che raggiunse quelli che già ci stavano prendendo di mira e fece per seguirci.
Avevo un'agitazione per niente inspiegabile in fondo allo stomaco, e non per i proiettili, avevo passato così tanto tempo in missione per loro che era praticamente un suono familiare, da bambino ero stato terrorizzato, ogni volta che ci avevano sparato addosso per provare a difendersi, ma ormai non erano altro che l'ennesimo ostacolo tra noi e la sopravvivenza: il mio Alice era ad un passo dallo sfuggirmi di mano e la consapevolezza che quella poteva essere l'ultima fu improvvisamente più tangibile.
«Vai.» lasciai il braccio di Yuuko e Mitsuki mi guardò come se fossi impazzito, ma la incoraggiai verso il piano inferiore con una piccola spinta.
Non aggiunsi altro perché non era il momento delle spiegazioni: se nessuno dei due fosse rimasto indietro era impossibile che anche solo uno di noi sarebbe uscito di lì e portare la ragazza priva di sensi fuori da quel posto era diventata una priorità assoluta, senza contare che qualcosa mi diceva che non era tanto probabile che ce l'avrei fatta in ogni caso.
Inoltre, mi sentivo in dovere di trovare mia zia, sperando che non l'avesse fatto uno di loro prima di me.
«Torno a prenderti.» fu la promessa della mia caposquadra, prima di caricarsi sulle spalle Yuuko, trovando un modo per non farsi infettare dall'Alice di Persona e si affrettò ad uscire di lì. Le assicurai un percorso tranquillo innalzando una specie di barriera di fiamme tra gli inseguitori e loro, fornendole una strada libera da lì all'uscita.
Ancora accucciato per evitare i proiettili, tentai di incamminarmi lungo la stessa strada, ma qualcosa – qualcuno – mi afferrò per il colletto della maglietta.
«Avrei dovuto ammazzarti quando potevo.» l'uomo che era il braccio destro di Persona da quando avevo memoria, mi schiacciò contro il muro, e mi ritrovai a tossire sangue sulla sua camicia, facendogli fare una smorfia disgustata, poi accennò con la testa a due tizi dietro di lui. «Andate.»
Spostai lo sguardo solo per notare che il mio Alice mi aveva effettivamente tradito: troppo stanco per continuare a mantenere le fiamme che avrebbero intrappolato dentro quei bastardi, ora erano liberi di inseguire Mitsuki e Yuuko. Ci provai a farle alzare di nuovo, ma non riuscivo quasi più a sentirmi le dita, figurarsi fare qualcos'altro.
Chiusi gli occhi, sentivo già che il mondo intorno a me stava assumendo una conformazione piuttosto confusa: mi stavo estraniando di nuovo, come tutte le volte che chiedevo troppo a me stesso, ma stavolta sembrava così diverso che per un momento fui percorso da un brivido di terrore.
Non ero mai stato spaventato, mai. L'idea di morire non era mai stata di grande peso, per me, ma non riuscivo a smettere di pensare alle parole di Mitsuki: dovevo vivere per proteggere le persone che amavo, se fossi morto sarei stato inutile e, dopotutto, una parte di me non ne voleva proprio sapere di lasciare questo mondo sapendo quelle persone impunite.
Non avevo però la forza di riaprirli, sebbene lo volessi con tutto me stesso.
Sentii altri passi. «Capo, il soggetto è pericoloso.»
«Nah, non lo vedi che sta morendo?» gli rispose lui, con una risata fin troppo divertita. «Magari Persona vorrà fare chiacchiere con la nostra talpa, prima che ci lasci le penne. Così può spiegargli perché diavolo ha deciso di fare il voltafaccia, e accorciarsi l'agonia che lo aspetta.»
Mi lasciò andare e mi ritrovai di nuovo accasciato su uno scalino, incapace di sentire nulla se non ciò che mi circondava fisicamente. Mi stava lasciando ogni cosa, e io non potevo farci niente.
Poi, uno sparo e delle grida.
«Che diavolo fai, idiota?» una domanda che mi pareva provenire dal tizio di fronte a me, e poi ci furono altri colpi, ma io non ero in grado di tenere gli occhi aperti del tutto, riuscivo solo a guardare la scena attraverso le ciglia, e per qualche ragione che non riuscivo a spiegarmi, vidi gli uomini dell'Accademia spararsi tra di loro.
I passi di corsa di quelli che scappavano facevano vibrare la scala di metallo così forte che rischiai di cadere, fui afferrato di nuovo per il colletto e improvvisamente qualcosa mi andò giù per la gola.
«Bevi, ragazzino.» mi sembrava la voce di mia madre, la stessa negli unici ricordi veramente felici, nemmeno un po' sporcati da quella vaga tensione che sembrava impossibile abbandonasse i miei muscoli da che avevo varcato il cancello della scuola, a poco più di sei anni.
Fu questo che mi spinse a reagire: il ricordo di mia madre.
'Promettimi che starai sempre attento, hai ereditato la caratteristica Alice dalla tua mamma.'
Era una cosa che mi ripeteva spesso.
«Dai, Natsume...» mi spronò la voce di quella che solo dopo mi accorsi essere Yui. «Che ti è successo?»
Scossi la testa, l'unica cosa che fui capace di fare, e spostai lo sguardo verso l'uscita. Lei mi capì al volo, e supportandomi riuscì a condurmi fuori, tenendomi la testa bassa per evitarmi di essere colpito da qualche proiettile vagante, il che mi riportò a pensare a come potesse stare la mia caposquadra.
E forse eravamo stati anche fortunati con gli uomini all'interno del palazzo, ma con quelli fuori che cercavano di stanare gli altri due membri della nostra squadra, non potevamo avere speranza.
«Ma questi non finiscono mai...» fu il commento soffiato tra i denti di mia zia, che col braccio che non mi sosteneva tirò fuori dalla borsa una pietra Alice, ed ero tornato fin troppo lucido per potermi sbagliare. La strinse nel pugno e le scomparve sotto la pelle, con una strana luce viola. «Che ne pensate di un bel sonnellino?»
Fece appena in tempo a domandarlo, che già uno di loro ci aveva puntato contro la sua arma, ma Yui si baciò il palmo della mano e soffiò verso di loro, come a volerglielo mandare, esattamente come quelle coppiette melense da cui mi sono sempre guardato.
L'attimo dopo, dormivano tutti.
«Chi l'avrebbe mai detto.» commentò lei, ma non perse tempo e mi tirò per la manica verso l'ultimo posto in cui avevo visto la nostra macchina. «L'Alice di Narumi funziona davvero!»
«Come hai fatto?» le chiesi, stupito.
Avevamo entrambi il fiatone per la corsa.
«Un Mix di Alice con quello dell'Amplificazione.» mi spiegò, spingendomi di fronte a sé per andare più veloci. «Sono partita dall'ufficio con un paio di Pietre, non si sa mai. A quanto pare ho fatto bene.» di nuovo mi diede una spinta e mi ritrovai contro la fiancata dell'auto. «Sali.»
Stupito dal fatto che Mitsuki fosse rimasta lì, mi affrettai a salire al suo fianco, spinto anche da lei che mi faceva fretta con un gesto della mano: ancora non mi ero del tutto ripreso, e quando mi sedetti sul sedile, finalmente in grado di rilassarmi, mi resi conto di quanto in realtà fossi stato teso per tutto il tempo.
I muscoli mi facevano male dovunque e avevo quest'incredibile bisogno di dormire che non mi faceva sentire per niente tranquillo, così come non mi rassicurava quel bruciore che mi sentivo scorrere nelle vene come se al posto del sangue avessi avuto pezzi di vetro.
«Lei come sta?» domandò, in fretta, Yui, mentre Mitsuki metteva in moto e partivamo in direzione dell'Ospedale Alice più vicino. Mia zia si preoccupò di avvisare Yuka di ciò che era successo con un messaggio, proprio nell'attimo in cui Mitsuki imprecava.
«Se riusciamo ad arrivare in fretta, sopravviverà.» rispose, prendendo una curva così velocemente che ci ritrovammo tutti spiaccicati sul lato destro dell'auto. «Le ho dato una pietra Alice di Izumi, delle poche che ci sono rimaste, per rallentare il contagio. Sono più grandi ed efficaci di quelle di Mikan, ma non possono fare miracoli. Ci serve Yuka.»
Abbassai lo sguardo su Yuuko – raggomitolata nel sedile vicino al mio e priva di sensi – e la sua espressione sofferente: la sua pelle stava per essere quasi completamente invasa dal nero che testimoniava l'infezione data dall'Alice di Persona, l'Alice della Morte.
Stavo per dire di fare più in fretta, di rischiare anche di fondere il motore, ma quando alzai lo sguardo per rivolgermi alle mie due colleghe sui sedili anteriori, una chiazza nera sullo specchietto retrovisore attirò il mio sguardo, e per essere sicuro che non stessi immaginando qualcosa per colpa del fatto che ero provato dall'uso del mio potere, mi girai.
Non avevo le visioni.
«Ci stanno seguendo.» mi spostai per essere completamente girato verso il bagagliaio. Qualunque cosa li avesse fatti combattere gli uni contro gli altri sembrava aver perso il loro effetto perché sembravano tutti d'accordo su una cosa: distruggerci.
Un momento dopo mi nascosi di nuovo dietro il sedile, premurandomi di spingere Yuuko in modo tale che anche la sua testa fosse protetta dalla scarica di proiettili che investì la nostra macchina.
«Ehi!» strillò Mitsuki, abbassandosi sul volante per evitare le schegge del vetro posteriore praticamente polverizzato. «Devo ancora finire di pagarla!»
Mi scrollai le schegge dai capelli, mentre le lanciavo un'occhiataccia che non poteva vedere – questa storia di fare del sarcasmo per migliorare la situazione cominciava a darmi sui nervi –, ma invece notammo entrambi mia zia che si premeva la mano sulla gamba, colpita da un frammento di vetro che era ancora conficcato nella sua coscia e che pensò bene di lasciare lì, prima di rischiare di morire dissanguata.
Era tutto così maledettamente frenetico che non c'era tempo per elaborare una strategia: richiamai le mie ultime forze per uno sforzo che sperai ci facesse perlomeno guadagnare tempo.
«Ci penso io.» dovevo indirizzare comunque il mio potere in qualche modo, prima che mi si ritorcesse contro nello stato in cui ero, sembrava quasi che mi dovesse scoppiare tra le mani. Quindi abbassai il finestrino, e mi affacciai per puntare al bersaglio.
La strada sarebbe stata dritta per un po', per fortuna, e questo mi permetteva di non rischiare di fare del male a qualche innocente.
Mirai alle gomme: indirizzai il mio Alice proprio là, riscaldando il materiale che non potendo sopportare l'alta temperatura esplose, togliendoci dai piedi la prima delle due auto degli inseguitori.
«Grande!» si complimentò Yui, affacciandosi anche lei, armata di una pistola che doveva aver sottratto a uno degli scagnozzi di Persona.
«Come mai sono arrivati così presto?» fu la domanda di Mitsuki, che lanciava occhiate prima allo specchietto e poi alla strada di fronte a sé.
Yui si sistemò contro il sedile con un lamento che le sfuggì tra i denti. «Be', anche l'Alice di Chihiro ha la sua durata. È solo una bambina!» si giustificò, sparando il primo colpo, che andò a incrinare il parabrezza dell'auto dell'Accademia troppo vicina a noi, riducendolo in un'accozzaglia di piccoli frammenti di vetro, che di sicuro avrebbero compromesso la visibilità dell'autista.
Ottimo.
«Non possiamo cambiare strada?» domandai, notando la fin troppa presenza di passanti. Tra l'altro, era più facile che gli sfuggissimo, se cambiavamo direzione proprio ora che non potevano distinguerci chiaramente. «Si farà male qualcuno.»
Fui costretto a ritirarmi dentro l'auto, a una nuova scarica di proiettili, uno dei quali mi sfiorò la fronte proprio mentre mi mettevo al riparo.
«Stai bene?» fu la domanda preoccupata di Yui, ma io mi limitai ad avvolgere il pugno nella manica della maglietta per pulire la scia di sangue che mi stava scendendo dalla ferita per fortuna superficiale. Tremavo così tanto che non sarei riuscito per niente al mondo a dare una risposta, e non volevo preoccupare nessuno più di quanto già fosse necessario.
Ero stato miracolato.
Ero vivo.
Pensai con rabbia che chissà quante persone non avevano avuto la mia stessa fortuna e che molte di quelle lo meritavano. Uno dei dirigenti dell'Organizzazione Z per primo, e io avevo aiutato a farlo fuori, anche se non per mia scelta, quelle persone, quelle che erano in auto con me e che io ero stato mandato a tradire, avrebbero dato qualunque cosa per salvare uno come me.
Una volta, Persona mi aveva detto che ero nato per seminare morte e distruzione, proprio come il mio Alice, ma quella fu la prima volta in cui fu il mio sangue a richiederlo, a pretenderlo.
Girai la testa e osservai con la coda dell'occhio l'autista con la testa fuori dal finestrino per osservare la strada.
Avevo la nausea ma non potevo sprecare quell'occasione.
«Dammi la pistola.» tesi la mano verso Yui, la quale mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. Non tremavo più, la mia mano era più ferma di quanto non fosse mai stata mentre le chiedevo di passarmi l'arma.
Non era mai stata mia intenzione uccidere qualcuno, eppure da quando avevo dieci anni questo era stato il mio destino. Per causa mia era morta così tanta gente che avevo perso il conto, ma mi sentivo un maledetto assassino ogni volta, anche se non era mai stata colpa mia.
Sapevo che stavolta sarebbe stato diverso. Stavolta stavo scegliendo di farlo.
C'erano troppe vite in gioco, vite di innocenti, coi miei sensi di colpa ci avrei fatto i conti più tardi, quando l'adrenalina sarebbe sfumata e mi avrebbe lasciato solo con la consapevolezza che avevo spezzato l'ennesima vita.
Mia zia, però, scosse semplicemente la testa, come a volermi comunicare che non me l'avrebbe mai lasciato fare, nemmeno se fosse stata l'ultima opzione disponibile, come credevo che fosse.
«Mi-chan, chinati.» le ordinò, e quando lei obbedì, schiacciandosi ancora di più sul volante, Yui si trovò uno spazio tra lei e il sedile per riuscire a mirare dal lato giusto, al prezzo di aprire il taglio nella sua gamba che cominciò a sanguinare copiosamente.
Fu lei a sparare il colpo, e mi scoprii a non avere il coraggio di guardare, lo feci solo dopo, quando sentii il tonfo dell'auto che si scontrava con un palo, ma era già troppo lontana perché si potesse distinguere altro che il motore fumante e le persone agghiacciate dalla scena a cui avevano appena assistito.
«Il capo avrà da brigare per coprire questo.» fu l'unico commento di mia zia, mentre si rinfilava in auto, stavolta estraendo il pezzo di vetro, con un lamento e una smorfia dolorante. «Quanto manca all'ospedale? Non vorrei dissanguarmi nella tua auto nuova.»
Mitsuki le lanciò la stessa occhiata di rimprovero che mi era appena venuta in mente, se non fosse stato che non avevo la forza di muovere nemmeno le palpebre. «Lo scolapasta nuovo, vorrai dire.» la corresse lei, cosa che mi spinse davvero a farmi qualche domanda sulla sanità mentale di entrambe.

Quando arrivammo finalmente in ospedale, Yuka ci venne incontro con dietro due barelle e dei medici che si occuparono sia di Yuuko che della gamba di Yui.
«Si può sapere cosa diavolo è successo?» ci domandò, alternando lo sguardo tra me e Mitsuki che a parte quel graffio sul braccio e la testa piena di schegge e polvere sembrava stare bene. La mia fronte ancora sanguinava, credo, almeno a giudicare dal fatto che sentivo qualcosa di caldo colarmi sulla guancia, ma non ero nemmeno riuscito ad alzarmi dal sedile.
Subito dopo essermene accorto mi erano entrambe praticamente addosso, estremamente preoccupate.
«Sto bene.» tentai di assicurare ad entrambe, ma non devo essere sembrato convincente, perché le loro facce non mutarono nemmeno un po'.
«Cosa ti aveva detto il dottore sull'usare il tuo Alice, Natsume?» mi riprese Yuka, aiutandomi ad uscire dalla vettura. Non persi nemmeno tempo a chiedermi come faceva a sapere cosa mi avesse detto il dottor Imai quando ancora ero a scuola, che fu proprio lui che vidi nell'atrio dell'ospedale.
Per un attimo ebbi paura che fossimo di nuovo all'Accademia, prima di rendermi conto che era impossibile che succedesse una cosa simile, che per quanto pazzi potessero essere i membri dell'Organizzazione Z, non erano necessariamente degli idioti, sapevo che Imai era uno di noi.
«Be', se può essere di consolazione...» fece Mitsuki, prendendomi dall'altro lato per non farmi cadere. «...ci ha salvato la vita.»
Mi misero momentaneamente a sedere su una di quelle sedie del corridoio, dubitavo che avrebbero potuto tenermi in piedi per più tempo, anche se erano in due.
La testa mi pulsava terribilmente, così l'appoggiai al muro fresco, tentando di trovare un po' sollievo, cosa che ovviamente non successe, perfino le parole che si scambiavano Yuka e la mia caposquadra mi rimbombavano nelle orecchie come un tamburo, capivo che più o meno stavano parlando di cos'era successo e di cosa fare da ora in avanti, ma parlavano troppo piano perché potessi concentrarmi.
L'unica cosa che volevo era starmene in pace.
L'avevo voluto per tutta la vita, e nonostante questo mi ero ritrovato a fare tutto tranne che quello. Le uniche volte in cui avevo potuto considerarmi tale era stato insieme a Mikan, e avevo finito per mettere in pericolo pure lei, e questo sarebbe stato il mio unico, gigantesco rimpianto se avessi dovuto morire.
Avevo promesso a me stesso che l'avrei tenuta al sicuro ad ogni costo, e adesso lei era così tanto in pericolo che non avrei nemmeno saputo dire quanto. Avevo lasciato la scuola per lei, per fare in modo che non le accadesse nulla di male, e da allora era precipitato tutto.
«Non ti addormentare, ragazzino.» mi avvisò la voce di Mitsuki, ma era così distante che non seppi mai se l'aveva detto veramente o se era solo uno scherzo della mia immaginazione.
«Mitsuki!» fu un urlo che mi strappò veramente dal mio stato di torpore e dormiveglia. «Si può sapere che hai combinato?»
Aprì lentamente gli occhi e trovai la mia caposquadra seduta vicino a me, una mano sulla mia spalla, e solo allora mi accorsi che mi stava scuotendo per riportarmi alla realtà.
Lei anche alzò lo sguardo sul dottor Imai, sbattendo le palpebre, come se non sapesse di cosa stesse parlando, quando avevamo davvero rischiato grosso, e più di una volta.
«Oh, ciao, Subaru.» lo salutò lei, allegra, tirando la manica sulla sua ferita perché non gli ci cascasse l'occhio, cosa che non fece altro che attirare il suo sguardo di rimprovero.
Le prese la parte ferita con gentilezza ma con fermezza. «Stai bene?» le domandò, e non pensavo che avrei mai visto Subaru Imai parlare dolcemente a qualcuno che non fosse sua sorella.
Mi lanciò uno sguardo, e valutò anche la mia ferita alla testa, mi tolse il cotone che nemmeno mi ero reso conto qualcuno mi aveva messo sulla testa, e sembrò soddisfatto dal fatto che non sanguinasse più, anche perché non mi degnò di un'ulteriore occhiata, tornò a rivolgersi alla ragazza accanto a me.
«Non dovresti fare cose del genere, nelle tue condizioni.» stavolta il rimprovero era più duro. «Avevi promesso che non saresti andata in missione. Di nessun tipo.» Mitsuki sbuffò. «Non doveva essere una missione.» precisò, e chiese aiuto con lo sguardo a Yuka, la quale scosse la testa con disapprovazione, lasciando me con l'impressione di essere l'unico a non sapere di che cavolo stessero parlando. «Ero uscita per sorvegliare uno dei miei, e ci siamo imbattuti nei nostri cari, vecchi amici. Non pensavo di essere in pericolo, nonostante le mie condizioni
Quali condizioni?
Imai le tese la mano, aspettando che lei la prendesse. «Dobbiamo fare dei controlli.»
«Sto bene.» ribatté Mitsuki, seccata. «È a lui che devi fare dei controlli. Sta male.»
Accennò a me con la testa, la mano ora stretta in quella di lui, e mi resi conto che non era una semplice stretta amichevole: quei due condividevano qualcosa di più che la dedizione a una causa.
Se non ricordavo male, Ryu e Jou avevano fatto qualche battuta in proposito a un ragazzo, ma davvero non avevo la testa per pensarci, anzi, mi domandai subito perché non fossero corsi subito lì.
Il dottore non sembrava dello stesso parere, e cercò di convincerla a cambiare idea.
«Sono incinta, non sono in fin di vita come il ragazzino.» si lamentò, adesso lasciando la presa con stizza. «Io e il bambino stiamo bene, Subaru. Occupati di chi ha bisogno, non di me, perché questo è anche tuo figlio.»
E con questo ero ufficialmente convinto di stare perdendo la testa.
Imai sospirò, sconfitto. «Vieni, Natsume.» mi incitò ad alzarmi, con un cenno della mano che la sua fidanzata aveva appena mollato. «Adesso ti trovo un letto.»
Cercai di prepararmi psicologicamente al fatto di dovermi muovere, anche se mi sembrava davvero l'ultimo dei miei bisogni. Avevo appena iniziato a sentirmi meglio, o così mi sembrava. Mi alzai nel silenzio dell'ospedale intravvedendo la capigliatura eccentrica di Narumi: stava parlando con qualcuno, ma non appena mi alzai, forse troppo in fretta per le forze che avevo, fui colto da un capogiro che mi tolse anche il fiato.
L'ultima cosa che mi parve di vedere, prima di perdere completamente i sensi, fu Mikan.
Da bambina.

*****

Ciao a tutti, lo so sono in un ritardo imbarazzante, e credo di aver detto già l'altra volta che avrei tentato di fare prima per non finire tra altri otto/nove anni, ma non ce l'ho fatta U.U
Scusate, se ancora seguite la storia sappiate che mi dispiace!
So che è un pelo più corto degli altri, ma mi sembrava un po' pesante, io stessa non ce l'ho fatta a rileggere molti capitoli, e ho deciso di tagliare le parti che non sono poi così utili ai fini della trama.
Grazie di essere passati :D

  
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