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Autore: guiky80    30/09/2015    11 recensioni
La piccola Sanae Nakazawa alle prese con i primi batticuori.
‘Quindi se uno ti chiama per nome è perché gli piaci?’
Questa domanda ronzava in testa alla piccola Sanae Nakazawa, otto anni, maschiaccio, sempre pronta a far rissa, un leader nato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata ad un'amica che come la Signora Nakazawa è alle prese con i primi batticuore del figlio...




Lei era stata educata così.

Le persone si chiamano per cognome per rispetto, e anche per ottenere rispetto.

Solo le amiche strette si chiamano per nome e, ovviamente, i parenti.

Il ragazzo che ti piace?

No! Sei pazza!

Vuoi passare per una facile?

Per una che non sa stare al suo posto?

Per una senza rispetto?

No, lo chiamerai per cognome: sempre!

Se, e quando vi metterete insieme, allora, forse, potrai chiamarlo per nome, ma dovrai chiedere il suo permesso e lui dovrà chiederlo a te.

Quindi se uno ti chiama per nome è perché gli piaci?’

Questa domanda ronzava in testa alla piccola Sanae Nakazawa, otto anni, maschiaccio, sempre pronta a far rissa, un leader nato.

Tutta la sua forza, però, tutte le sua testardaggine si erano dissolte come neve al sole di fronte a quel ragazzino poco più grande di lei di età, ma molto più alto fisicamente.

Quel ragazzino che lei conosceva, quel ragazzino che lei detestava.

Lo stesso ragazzino che le aveva allungato una mano al parco, dopo averla fatta cadere senza volere, quel ragazzino che aveva abbassato gli occhi, quasi a scusarsi, ma lei non ci aveva creduto, lei lo conosceva bene, quindi era rimasta ancora più scioccata da quelle parole:

“Mi dispiace, Sanae.”

Non Nakazawa. Non Anego. Non maschiaccio. Niente! Solo Sanae.

Poi era corso via palla al piede e l’aveva lasciata lì a bocca aperta, mentre il vento disperdeva il suo sussurro: “Non preoccuparti… Genzo.”

I giorni a seguire non lo aveva più incontrato.

Era impossibile che lei piacesse a Genzo!

Eppure… lui l’aveva chiamata per nome. Forse la considerava amica? Mmm ma no, assurdo!

Ma allora? Come fare per scoprire cosa passava per la testa di quel ragazzino che lei, nella quiete della sua cameretta, aveva iniziato a chiamare Genzo.

Non Wakabayashi. Non spocchioso ragazzino viziato. Non stupido! Solo Genzo.

Si era anche accorta di quanto quel nome fosse bello e forte da pronunciare.

Una mattina si era guardata allo specchio e aveva sussurrato “Sanae Wakabayashi” Era diventata viola ed era scappata via. Era scappata via da quel riflesso e dal caldo che le aveva invaso il cuore.

Quel pomeriggio lo aveva rivisto al campo, come al solito si litigava per l’utilizzo.

Come sempre quelli della Shutetsu non volevano saperne di usare il loro campo, bello, attrezzato, no, meglio rompere le scatole ai ragazzini della Nankatsu.

Lei aveva subito affiancato Ryo che discuteva con Izawa e Taki, loro lo canzonavano e lei aveva preso le difese dell’amico; finché non si era levata quella voce profonda, che aveva fatto aprire in due la squadra avversaria per permettere al loro capitano di avanzare.

Sorriso beffardo, mano sulla tesa del cappellino e l’altra a stringere il pallone sotto al braccio, gambe divaricate.

“Ishizaki, rassegnati e porta via questo branco di rammolliti!”

La squadra era scoppiata a ridere e qualcuno urlava: “Ben detto Capitano!” “Sì andate via!”

Poi il portiere aveva spostato lo sguardo sulla ragazzina lì accanto, quegli occhi antracite sembravano trafiggerla e lei aveva taciuto. Per la prima volta non si era ribellata a Genzo Wakabayashi.

Lui aveva abbassato il cappellino sugli occhi e si era girato, ma lei aveva avuto l’impressione che quel sorriso si fosse trasformato, fosse diventato più dolce… per lei.

Ryo era furibondo con gli avversari: “Il campo serve a noi!”

Aveva urlato, ma lui se ne era andato verso la porta e la squadra si era richiusa come un portone dietro di lui.

Era il primo incontro dopo quel giorno al parco e Sanae era confusa.

Lui di solito litigava con Ryo, e quello lo aveva fatto, ma poi canzonava lei, sempre, e invece questa volta non aveva parlato. Perché?

Quella sera nel suo letto, la piccola Sanae guardava il soffitto, finché sua madre non si era affacciata alla porta.

“Piccola mia, ancora sveglia?”

La bimba aveva annuito e sospirato. La Signora Nakazawa si era seduta sul letto e al figlia di punto in bianco aveva raccontato tutto, o quasi.

“Un ragazzo che conosco mi ha chiamato per nome, ma non è mio amico, anzi litighiamo sempre!”

La madre aveva sbarrato gli occhi e poi aveva sorriso, aveva sempre avuto paura che la sua bimba fosse troppo ‘maschiaccio’ che non si sarebbe interessata ai ragazzi ancora per un bel pezzo, e invece eccola lì, alle prese con la prima crisi d’amore, le aveva accarezzato una guancia. “Forse vuole essere tuo amico.”

La ragazzina aveva corrugato la fronte. “L’ho pensato… ma non credo proprio, litighiamo sempre!”

“Magari gli piaci e non sa come dirtelo.”

Aveva ipotizzato ancora la donna. La figlia aveva sospirato e la madre si era insospettita. “Sanae… a te piace ?”

Era arrossita di botto. “Io… non so… io… lui…”

L’adulta aveva sorriso di più. “Ok, ti piace. Beh non resta che vedere se ti chiamerà ancora per nome!”

“Ma oggi non l’ha fatto!”

La signora aveva corrugato la fronte. “Eravate soli la prima volta che l’ha fatto?”

Cenno d’assenso. “E oggi?”

“No no.” Il genitore aveva sorriso.

“Ecco perché, non vuole farlo davanti agli altri… magari è timido”

Sanae aveva sgranato gli occhi.

“Timido lui? Ma no!”

Erano passati altri tre giorni, di quelli della Shutetsu nessuna traccia.

La Nankatsu si allenava e lei era seduta a bordo campo a guardarli. D’un tratto un’ombra l’aveva coperta si era voltata e si era ritrovata sovrastata da Genzo Wakabayashi.

Lei non riusciva a parlare, lui aveva guardato il campo.

“Tentano ancora di allenarsi? Pensano davvero che serva a qualcosa?”

Ed eccolo il suo sorrisetto sghembo. Sanae aveva respirato forte, si era alzata e aveva assunto la sua posizione di battaglia: gambe divaricate, pugni sui fianchi e sguardo di fuoco fisso in quello antracite del portiere, senza più timore, senza più remore.

“Piantala di sfotterci! Si stanno impegnando al massimo!”

Lui con le braccia incrociate sul petto aveva sollevato un sopracciglio e aveva sorriso. Non era uno dei suoi soliti sorrisi strafottenti era un sorriso aperto e allegro.

Sanae era arrossita suo malgrado, lui si era chinato verso di lei sussurrando: “Finalmente, pensavo avessi perso il tuo piglio battagliero quando l’altro giorno non mi hai detto nulla. Ti preferisco così, anche se tifi per la squadra sbagliata. Mi piaci molto di più così... Sanae.”

Si era raddrizzato e stava per andarsene, lei era rimasta stordita dalle sue parole. “Ti preferisco così… mi piaci molto di più così.. Sanae”

Lo aveva ricorso e gli aveva parato la strada poco lontano. “Perché mi chiami per nome?”

Lui aveva inclinato la testa. “Perché no?”

“Beh io so che… insomma… chiami per nome solo chi…”

Non riusciva a finire la frase, essere a bordo campo era un conto, ma essere sola con lui lontano dagli altri era diverso.

Wakabayashi aveva sorriso e si era chinato verso di lei di nuovo. "Si chiama per nome solo un amico stretto e chi ci piace giusto?”

Lei aveva annuito non riuscendo a sostenere il suo sguardo, lui aveva continuato. “Beh noi non siamo certo amici stretti… quindi… è facile la conclusione.”

Poi senza alcun preavviso le aveva dato un bacio sulla guancia. “Ciao, Sanae”

Lei era rimasta stordita e sentiva uno strano sfarfallio nella pancia. Lui l’aveva lasciata lì, ma aveva sentito quel sussurro che l’aveva fatto sorridere di più. “Ciao Genzo…”


 

***


 

Sono passati quindici anni da quel giorno, dal primo bacio, sulla guancia, di Sanae Nakazawa, come quella sera lontana è sveglia e guarda il soffitto, come quella sera lontana pensa a lui Genzo Wakabayashi.

Si volta lentamente verso destra e sorride. Eccoli lì pesantemente addormentato, provato dagli allenamenti, stanco fisicamente, steso a pancia sotto, senza maglietta, con un braccio sotto la testa e l’altro abbandonato lungo il fianco, i muscoli in rilievo, quei muscoli che lei accarezza e graffia durante la passione, durante le loro notti infuocate.

Dopo quel bacio non c’erano stati altri momenti romantici, lui troppo preso con il calcio, lei incredula che non sapeva bene che fare alle prese con il primo amore di bimba.

Poi era arrivato il tornado Ozora, il ragazzino che aveva fatto battere il suo cuore più di Wakabayashi.

Quel ragazzino che l’aveva sfidato, e quando lei era andata con Ryo a fare il tifo per lui, perché era contro la Shutetsu, in realtà lei non sapeva bene che fare.

Alla fine Wakabayashi aveva perso, incredibile, ma vero e si era chiuso nella sua villa ad allenarsi fino allo sfinimento, non poteva sopportare quell’affronto fatto da un ragazzino avversario.

Poi era nata la Nankatsu, in seguito Genzo era partito per la Germania, senza più parlare con lei, senza dirle più nulla.

Il suo sentimento per Tsubasa era stato forte per tutta l’adolescenza, ma non ricambiato.

Infine era arrivato il Brasile, la sua partenza, che lei aveva vissuto male.

La sua vita era stata scandita dall’università e dagli impegni come manager della nazionale, e lì aveva rivisto Genzo Wakabayashi.

Quella sera si era ritrovata con lui sotto il portico dell’albergo del ritiro, aveva riso con lui fino alle lacrime ricordando i vecchi tempi.

Poco dopo lui si era alzato, le aveva dato un bacio sulla guancia dicendo. “Buonanotte Sanae.”

Ed eccolo ancora quel batticuore, quello sfarfallio, esattamente come molti anni prima.

Sanae lo aveva trattenuto per un braccio, lui si era voltato e i loro occhi si erano incatenati un secondo prima che le loro labbra si incontrassero in una danza senza fine.


 

Sorride e guarda ancora il suo uomo, l’uomo che lei ha deciso di seguire fino in Germania, dopo aver preso la laurea breve a Tokyo.

Chiude gli occhi cercando di dormire, non è ancora Sanae Wakabayashi, ma decisamente è una Sanae molto felice, felice di poter vivere accanto al primo ragazzo che le abbia fatto battere il cuore.






Note dell'autore:
Eccomi qui! 
Questa One-shot è nata dal nulla... mentre scrivevo un'altra storia ho pensato "ma che strazio doverli chiamare per cognome!" e da lì è nata l'idea, buttata giù in due giorni, e betaggiata in meno di mezzora dalla mia mitica, super, inimitabile Beta SANAE77. Grazie BETA MIA!
 

   
 
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